I
giardini di pietra
capitolo VII
di Unmei
Il vento si è fatto
tagliente e tra poco imbrunirà; sono
stanco, infreddolito, ma continuo a restare qui, per consolazione e per
castigo.
Non mi muovo nemmeno quando
sento una voce conosciuta chiamarmi, intrisa di rimprovero.
Questo è l'altro segaossa,
quello giovane. Il mio medico ufficiale anela ormai al ritiro, e sta man mano
lasciando i pazienti al suo assistente, questo giovanotto che avrà trent'anni e
che se è possibile è persino meno accomodante del suo mentore. È alto, ancor
più di me….. o forse lo è semplicemente come lo ero io da giovane, e il suo
viso è dipinto di colori nordici: capelli biondo chiaro, trasparenti occhi
azzurro ghiaccio. Ha il naso dritto e fine, un portamento nobile; il suo
atteggiamento è distaccato e severo, capace di incutere soggezione, ma
indipendentemente dai miei sentimenti nei suoi confronti devo ammettere che
possiede un fascino naturale di cui forse è del tutto inconsapevole. Come
potrebbe rendersene conto, d'altra parte, finché bada soltanto al lavoro ed
allo studio, senza concedersi svago?
"Signor Varni! Sapevo che l'avrei trovata qui anche questa
volta!"
Ed ecco che arrivato alla mia
età devo patire le prediche di qualcuno che potrebbe essere mio nipote. Posso
anche fingere di ignorarlo, ma non servirà, e so che sarebbe capacissimo di
trascinarmi via bruscamente e senza troppi indugi.
"I suoi dolori peggioreranno se si ostina ad uscire con
questo tempo! O forse alla prossima crisi dovrò rifiutarmi di iniettarle la
morfina, per farla ragionare?"
"Di questi tempi addestrano ai medici all'arte del ricatto,
pare…. Quand'ero giovane si limitavano a insegnar loro come far morire la gente
anche solo per un'unghia incarnita."
"Può risparmiarmi il
sarcasmo e seguirmi; ho lasciato l'auto fuori dai cancelli."
Rispondo con uno sbuffo seccato
e non lo guardo nemmeno; forse era passato da casa mia per controllare come
stessi, o forse è stata la mia governante a chiamarlo pregandolo di cercarmi e
di ricondurmi all'ovile. Entrambi i casi mi fanno pensare a quanto gli esseri
umani siamo fondamentalmente incapaci di occuparsi degli affari propri.
"Lei viene sempre qui, davanti a questa tomba. Era….. era una
persona a lei cara?"
E qui sì mi volto a guardarlo,
sorpreso da una domanda che non mi sarei aspettato….. non da lui, taciturno,
che non mi ha mai chiesto alcunché sul mio privato, né tantomeno ha mai
mostrato interesse verso di esso.
"È la mia tomba."
Replico piattamente.
Ed è vero, estremamente vero;
lui però non può capire, mi guarda perplesso. Non ho intenzione di spiegargli:
sarebbe una storia troppo lunga, o forse breve, ma difficile.
O magari nemmeno difficile, e
queste sono tutte scuse per non ammettere che avrei paura del suo giudizio. Non
di quello che potrebbe esprimere nel sapere che ho amato un ragazzo; io temo
che possa dirmi ad alta voce quel che la coscienza mi sussurra da mezzo secolo.
….. è stata colpa mia.
Posso accusare solo me stesso.
Saluto il mio Florent di liscio
marmo sfiorandolo con la mano, e senza parlare gli prometto che domani, se sarò
vivo, ci rivedremo; poi seguo il giovane dottore, in silenzio…..già sapendo che
esso durerà per tutto il tragitto verso casa, e oltre. Continuamente, tra lui e
me, scorre un intero fiume di disagio….. e sono io ad aver creato questa incomunicabilità,
sin dal nostro primo incontro.
Ragionando me ne dispiaccio,
perché sotto la distaccata scorza professionale che dimostra si intuisce in lui
un animo gentile (qualche giorno fa ho persino visto un libretto di poesie di
Shelley che faceva capolino dalla tasca della sua giacca), e paziente. So che
sarebbe un’ottima persona da avere come amico, una volta vinte le sue barriere,
e che non ha nessuna colpa dei fantasmi che resuscita nei miei ricordi….. ma
non riuscirò mai a guardarlo fisso negli occhi, a sedermi a parlare con lui.
E questo perché io provai ostilità all’istante, cinquant’anni fa,
per quell’uomo.
Perché lo odiai quanto Florent
lo amava.
Perché a lui diedi la colpa del
mio abbandono….. così volli illudermi.
Perché da egoista insicuro quale
fui e sono, non seppi fidarmi e ferii chi non avrei mai voluto addolorare.
Lungo la strada verso casa
chiedo al dottore di fare una deviazione dal percorso più breve, perché voglio
vedere il mare.
E pensare.
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C'erano folla e bancarelle
quella mattina d'estate in piazza Banchi; un turbinare di colori, un
confondersi di profumi e voci.
Sotto il sole della mezza estate Florent aveva già
sufficientemente curiosato tra i venditori ambulanti, ed ora si stava dirigendo
con sicurezza verso la chiesa di San Pietro, per visitare le botteghe che si
trovavano al piano inferiore l'edificio sacro. Non ricordo che negozi vi si
trovassero, in quegli anni….. onestamente non saprei nemmeno dire cosa ci sia
adesso, è molto tempo che non passo più da quelle parti. In effetti è un luogo
che ho sempre evitato, da quando lui se ne è andato; Forse, se lo avessi
evitato anche quel giorno nulla di brutto sarebbe mai successo
Ma in quel momento lontano non
avevo alcuna preoccupazione….. quasi.
I capelli di Florent erano
visibilmente cresciuti, dal giorno del nostro incontro ed ora, sotto l’intensa
luce del quasi mezzogiorno, splendevano d’oro scuro. Desideravo passare la mano
tra le folte e morbide ciocche, rese calde dal sole….. sfiorarle con le labbra
e respirare il vago profumo che portava addosso. Ma in pubblico non potevo fare
nulla di tutto ciò.
In Italia non c'erano leggi che
punissero l'omosessualità; non per tolleranza quanto perché le autorità
preferivano far finta di ignorare la questione, quasi fosse un modo per negarne
l'esistenza. Tuttavia….. tuttavia l'opinione pubblica era severa, ed io ero un
artista che stava cominciando ad avere una buona fama; uno scandalo avrebbe
potuto distruggermi, e forse poi sarebbero occorsi anni per rifarmi. Perciò in
pubblico non potevo lasciarmi andare nemmeno a piccole dimostrazioni d'affetto,
e per lo stesso motivo ad amici e conoscenti che frequentavano la mia casa
avevo presentato Florent come un lontano parente a cui davo ospitalità poiché
in contrasto con la propria famiglia. Gli unici che potessero smentire questa
mia versione erano la mia domestica, la quale non aveva interesse a farlo, e
che voleva troppo bene a me e a Florent per danneggiarci in qualsiasi modo, e i
miei genitori, che abitavano lontano e ai quali non avevo fatto parola
dell'amore che era capitato all'improvviso nella mia vita. Non potevo, non
avrebbero mai compreso.
Sicuramente mi sarei trovato
smascherato se qualcuno avesse scritto loro per chiedere conferma del 'cugino
fuggiasco', ma fortunatamente nessuno mai se ne prese la briga.
Non so come il mio angelo
prendesse questo mio comportamento; a volte vedevo nei suoi occhi traccia di
tristezza, il dispiacere di doverci mostrare davanti agli altri con una bugia.
Però non se ne lamentò mai, né mi chiese di mutare atteggiamento; capiva quale
fosse la nostra situazione, e perdonava la mia vigliaccheria, provandone pena.
O almeno spero che lo facesse.
Mentre lo accompagnavo verso la
chiesa mi distrassi solo un istante ad ammirare i profumati mazzi di una
fioraia e quando mi voltai vidi Florent immobile ed esitante a guardare davanti
a sé qualcosa che io non riuscivo a cogliere.
Non ottenni la sua attenzione
chiamandolo, e dunque gli strinsi lievemente il polso, m’accorsi che tremava,
per scuoterlo da qualsiasi visione l'avesse rapito.
Ma con mio stupore si liberò
della gentile stretta e corse avanti, incurante di urtare altre persone; io gli
andai dietro senza nemmeno capire cosa stesse accadendo.
Lo vidi raggiungere un uomo
molto alto che, fino ad un attimo prima voltato di profilo, aveva appena dato
le spalle e stava allontanandosi.
Lo afferrò per un braccio, lo tirò e lo fece voltare.
Sul bel volto dello sconosciuto vidi immediatamente stupore e
irritazione, ma non appena i suoi occhi chiari si posarono su Florent quelle
emozioni mutarono velocemente, tanto da non riuscire a coglierle tutte.
Sovrana, però, regnava chiaramente l'incredulità; lì, l'uno davanti all'altro
si fissavano riempendosi gli occhi dei rispettivi volti ed io li osservavo ed
aspettavo, cercando di comprendere.
Quando l'uomo parlò, rivelando
una voce bella ma rauca per l'emozione. Disse tre parole soltanto, una domanda
esitante.
"Florent, sei tu?"
E come quella fosse stata la
formula magica per spezzare l'incantesimo che aveva immobilizzato l'aria e il
tempo tutto intorno a noi, Florent fu scosso da un brivido violento e gettò le
braccia al collo del forestiero, lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio, aggrappandosi
a lui come se mai più lo avesse voluto lasciar andare.
Ed io mi sentivo paralizzato,
intontito, nel vedere quell'uomo che non conoscevo strofinare affettuosamente
la guancia sulla testa di colui che amavo, donandogli qualche bacio furtivo tra
i capelli che avevo desiderato accarezzare, ed una lacrima lucente che tra loro
andò a morire.
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Lo stesso pomeriggio quell'uomo
sedeva nel salotto di casa mia, e forse ormai avrete capito di chi si trattava.
Gabriele, la persona di cui
Florent mi aveva parlato a Venezia. L’amico che era stato il suo appiglio
nell’incubo che lo aveva colpito.
Era chiaro che, qualsiasi
sentimento li avesse uniti, esso era ancora vivo e potente; li guardavo
sentendo crescere in me un'emozione violenta, ostile, distruttiva. Solo pochi
mesi prima non avrei mai creduto di poter provare qualcosa di simile.
Ascoltavo le parole dell'intruso, ed una parte di me vi prestava
attenzione….. ma un'altra parte, più forte, più maligna deviava la mia mente
verso fantasie che mi facevano male.
Che mi accecavano di rabbia, che
mi facevano contrarre le dita, fremere le mani, desiderose di colpire;
ossessivamente nella mia testa si ripeteva la domanda…..
….. cosa c'era davvero tra di
loro?
….. cosa c'era davvero tra di
loro?
Perché io nel loro abbraccio non
avevo letto soltanto amicizia: c'era troppa, troppa dolcezza, troppa gioia,
troppa commozione.
E poi il loro cercarsi di
sguardi, i sorrisi che si scambiavano, seduti fianco a fianco sul mio divano…..
il loro sfiorarsi, e soprattutto la felicità sui loro volti.
Quando Florent si rivolgeva a
lui non comunicava con lo stesso alfabeto che usava con me: le sue mani si
muovevano in maniera molto più lesta, fluida; in tal modo si esprimeva ad una
velocità pari alla lingua parlata. Non mi ci volle molto a capire che quei
gesti esprimevano intere parole, concetti,
e che non rappresentavano un semplice alfabeto. Erano un linguaggio più
complesso, probabilmente non facile da imparare. Compresi perché Florent avesse
preferito insegnarmi un codice più elementare, tempo prima, ma non mi spiegavo
perché in tutto il resto del tempo non avesse mai accennato ad istruirmi anche
su questo.
E immagini mi sfilavano davanti
agli occhi, beffarde. Del mio Florent
sotto i baci e le carezze di quell'uomo, mentre annegava nel piacere al suo
tocco, e si avvinghiava a lui, ansimante.
Il cuore accelerava e il volto
mi si infiammava, al pensiero di tale passione ….. un Florent più giovane e
inesperto che da quell'uomo apprendeva l'arte di amare; i trucchi, le carezze,
i movimenti con cui ora mi faceva impazzire. Avevo ritenuto poco importante che Florent avesse avuto altri
prima di me ed ora il solo pensiero mi faceva tremare.
Mi sembrava di avere la gola
piena di sabbia, il respiro mi trafiggeva di spilli. Era follia, lo capisco e
me ne vergogno, ma di quei tempi non me ne rendevo conto; ero diviso tra il
desiderio di prendere a pugni quell’uomo e buttarlo fuori di casa mia e quello
farmi da lui raccontare quanto più possibile su Florent.
Già, egli non mi piaceva: lo
sentivo come un rivale, un avversario….. ma conosceva Florent molto meglio di
quanto lo conoscessi io. E volevo che ne parlasse, che narrasse dei tempi che
per me erano un segreto.
Forzai il mio contegno perché
fosse amichevole, spremetti un sorriso.
"Sembrate essere davvero legati….. la vostra è dunque
un'amicizia di vecchia data."
"Oh….. dura da molto tempo, ormai. Florent non aveva ancora
dieci anni quando lo conobbi. - e non dimenticherò mai lo sguardo pieno di
protettiva tenerezza che posò sul mio amato -
Fui assunto come suo maestro di musica, e lui fu il mio primo
allievo."
Vidi una nota di malinconia sul
suo volto, mentre sembrava volgere gli occhi ad un passato di cui restava solo
cenere, ma che lui evidentemente rimpiangeva come se sperasse di resuscitarlo,
un giorno o l'altro. Provava ancora dolore per la lacerante fine della famiglia
di Florent?
Potevo dire che sì, sicuramente
ne recava anche lui le cicatrici, e forse a volte i sensi di colpa lo
tormentavano, portandolo a chiedersi se avrebbe potuto fare qualcosa per
evitare una simile tragedia.
Gabriele sembrò cercare sul
volto di Florent il permesso di continuare il racconto, ed una volta ottenutolo
riprese a parlare.
"Quando il visconte mi assunse io non sapevo niente di
Florent, tranne la sua età. Ignoravo completamente il fatto che non potesse
parlare….. e fu uno strano gioco del destino, perché a sua volta il signore non
era al corrente che anche il mio fratello minore avesse lo stesso problema.
Anzi, egli ha avuto in sorte maggior sfortuna, poiché è sordomuto. A quei tempi
Florent era un bambino molto chiuso, timido, sorrideva poco; i suoi genitori
avevano deciso di fargli dare lezioni di violino nella speranza che lo
aiutassero ad aprirsi, ad esprimersi. Florent già amava la musica, era
affascinato anche dallo strumento in sé e così si fidò di me più facilmente del
previsto; sembrava davvero ansioso di imparare il linguaggio universale delle
note e dell'armonia. E così pensai che avrei potuto insegnargli anche
qualcos'altro: il linguaggio dei segni. Io lo conoscevo per via di mio fratello
e fui sicuro che sarebbe stato utile anche a Florent."
Si interruppe e rivolse lo
sguardo verso il basso; tacque per qualche istante, assorto, lo ricordo bene,
prima di rialzare gli occhi e continuare il discorso.
"Iniziai con il semplice alfabeto, e poi passai al linguaggio
complesso. Grazie ad esso, almeno in famiglia, avrebbe potuto comunicare
liberamente e sentirsi più vicino agli altri. Certo, dovetti insegnarlo anche ai suoi familiari, e ad un buon numero
di domestici, ma lo feci volentieri; fu davvero un periodo molto felice"
Il suo maestro di violino…..
Il suo maestro di violino!
E io che nei primi tempi mi ero domandato
curioso a chi andasse il merito d'aver istruito alla musica Florent, chi avesse
affinato il suo talento in modo tanto superbo! Ora che lo avevo davanti
desideravo solo che sparisse.
Lo ascoltai raccontare alcuni
episodi, ricordi sparsi; vidi le emozioni susseguirsi sul suo volto, il suo
sguardo illuminarsi, vagare al passato. Non parlò di quella notte fatale, che
aveva segnato il destino di Florent e di conseguenza il suo.
E probabilmente….. anche il mio.
Ascoltavo tutto, intento; imprimevo nella memoria i suoi gesti e
le sue espressioni, le studiavo per capirlo al meglio, sperando di trovare il
modo d'impedire che mi rubasse l'amore.
Gabriele era arrivato a Genova
il giorno precedente e vi si sarebbe fermato una settimana, che per me
rappresentava in quel caso un tempo dannatamente lungo; feci buon viso a
cattiva sorte e per pura formalità lo invitai a soggiornare a casa mia, per
quel periodo. Con altrettanta cortesia (e se fu solo simulazione finse meglio
di me) egli rifiutò, ma acconsentì alla preghiera di Florent, posta con quei
gesti a me misteriosi: promise che l'indomani sarebbe tornato. Al mattino aveva
impegni d'affari, ma il resto del giorno era libero e gli sarebbe piaciuto
visitare la città insieme a noi, se avessimo voluto fargli da guida.
Me ne dissi entusiasta, con
sulle labbra il sorriso più falso del mondo.
Quando io e Florent fummo di
nuovo soli egli mi guardò con serio rimprovero: aveva capito i miei veri
sentimenti e tristemente colpito me ne chiedeva la motivazione.
Il mio atteggiamento lo aveva
ferito, ed io ero ferito dal fatto che lui ne non avesse compreso il motivo.
Cercai di spiegargli, ma l'eloquenza mi tradì e suonai più come un bambino
capriccioso che come un adulto.
"Guardandovi io….. mi sentivo….. escluso! Distante da voi,
che vi conoscete da così tanti anni. Oggi mi è sembrato che di fronte a lui il
sentimento che ci lega sia passato in secondo piano. Ora che l'hai ritrovato -
quanto esitarono quelle parole sulle mie labbra - che hai intenzione di
fare?"
Florent mi guardò con occhi
increduli.
"Cosa credi ci sia tra lui e me?"
Chiese; ed invece di
rispondergli come avrei dovuto esposi ancora di più la mia gelosia.
"Tu gli parli in maniera
differente, ed io mi sentivo uno stupido. Perché non hai insegnato anche a me
anche quel linguaggio? Abbiamo avuto mesi di tempo!”
Ero geloso….. e offeso, arrabbiato, persino impaurito. I
sentimenti figli dell’amore ferito si agitavano dentro di me, con tutte le loro
spine, come se il mio cuore si fosse trasformato in un pulsante cespuglio di
rovi, e glielo volevo rinfacciare.
Sì, l'antica paura
dell'abbandono tornava a farsi sentire, prepotente, e temevo di vederlo
voltarmi le spalle e andarsene….. accanto a quell'uomo che lo aveva stretto
forte in un piazza affollata, senza curarsi di nulla.
Florent mi prese il viso fra le
mani; il suo volto era dispiaciuto, ma credo più per quella che doveva
giudicare mancanza di fiducia nei suoi confronti, che per altro: era deluso da
me.
Scosse la testa, con lentezza.
Mi baciò castamente sulle labbra; le mie erano aride, le sue così morbide…..
<Ti insegnerò ciò che
vuoi.>
<E ti amo. Credimi. Ti prego.>
Ero ancora adirato, ferito e
anche volendolo non credetti del tutto alle sue parole; incredibile come tutta
la mia sicurezza fosse andata in frantumi e come il mio orgoglio minacciasse di
fare la stessa misera fine. Ero sul punto di supplicarlo, e non sapevo nemmeno
bene di che cosa.
Lo attirai a me, lo strinsi e
divorai di baci con furia, urgenza, per ribadire che era mio, solo mio, per sempre.
Volevo farlo sentire in colpa per avermi indotto a pensare al contrario.
E facemmo l'amore….. ma quella
volta sentii dolore. Al cuore, all'anima; il fiato mi passava a fatica per la
gola stretta, ed avevo un'orribile sensazione. Sentivo come se un filo sottile
nel perfetto meccanismo che ci univa si fosse spezzato….. e dovevo fare tutto,
il possibile e l'impossibile per riparare al danno. Potevo farlo…. Sì, in quel
momento avrei potuto riuscirci, rimediare, forse anche stringere amicizia con
Gabriele, e riconoscergli i suoi meriti.
Ringraziarlo per aver aiutato
Florent a divenire ciò che era.
….. ma i buoni propositi
durarono il tempo di un amplesso
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Assorto nei ricordi non mi
accorgo di essere quasi giunto a casa; il silenzio satura l’aria dell’auto,
insieme ad un mutuo disagio. Mi permetto di guardare ancora il giovane dottore;
per ironia della sorte non solo somiglia fisicamente a Gabriele, ma porta un
nome assonante: Daniele.
“Siamo quasi arrivati – gli dico – mi lasci qui, voglio proseguire
a piedi.”
“Non sono il suo autista, e lei non ha bisogno di altra umidità,
quindi se lo scordi.”
Vorrei rispondere usando lo
stesso tono irritato, ma francamente sono troppo stanco, e molto più
mentalmente che fisicamente. Stanco….. di non essere capito, e di non capire.
"Ebbene, anche se peggiorassi che importerebbe? Sono fin
troppo vecchio e non m'importa più di vivere, poiché non ho più nulla da
realizzare. Se vuole veramente aiutarmi perché non mi lascia morire il più in
fretta possibile?"
"Smetta di fare discorsi
assurdi."
"Assurdi? Ma non ha gli
occhi per vedere che trascino il mio corpo e le mie giornate come inutili
fardelli? E lei avrebbe la possibilità di porre facilmente fine a tutto questo,
se volesse….. certe medicine non servono solo a guarire, o sbaglio?"
Glielo sto proprio chiedendo? Di
darmi qualche veleno che ponga fine a tutto questo?
La sua occhiata è di
fuoco, vedo contrarsi per una frazione di secondo il muscolo della sua
mascella.
"Non posso accontentarla, signor Varni. Eppure lei ancora si
rade tutte le mattine….. e i rasoi tagliano, o sbaglio? Perché mai dice di aver
bisogno del mio aiuto in questo senso?"
La cortina del silenzio ci
separa un'altra volta, ed io rifletto sulle sue parole, così vere. Ogni giorno
potrei farlo io stesso….. ho un rasoio affilato, ho persino una pistola. Ho la
fantasia del mio funerale impressa nella mente, da anni.
E tuttavia, vivo.
Arranco.
È una qualche sorta di autoinflitta
punizione? È vigliaccheria?
È l'assurda, impossibile
speranza di risvegliarmi un mattino di nuovo giovane, e che uscendo per
passeggiare, godendo di gambe forti, muscoli agili e polmoni capaci di
respirare senza fatica, possa incontrare un Florent altrettanto giovane? E
riparare all'errore, percorrere la strada da cui io stesso mi allontanai?
Continuo a tacere, e vorrei
urlare e piangere e confessare….. magari dopotutto questo giovane può capire.
Ma mentre guida lo guardo e per la prima volta mi accorgo che anche nei suoi
occhi c'è l'abisso, e l'espressione del suo volto è una tavolozza di rimpianti.
È come se avessi toccato un nervo scoperto….. come se le mie parole abbiano
scoperchiato vecchie tombe, destando i fantasmi che in esse avevano dimora.
Dunque taccio e guardo dal
finestrino, e vedo cielo scuro, e mare agitato.
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Immagini
di Piazza Banchi; questa è d’epoca
http://www.liguriacards.com/genova/banchi/Im003652.jpg
Questa invece è attuale
http://www.lucacambiaso.it/Giragenova/piazza_banchi.htm
E questa è una delle lunghe gallerie affollate di
statue del Cimitero di Staglieno (che io adoro)
http://www.lefotodismilla.it/reportage/reportage9.html