I giardini di pietra capitolo VI di Unmei
Un mattiniero raggio di sole si faceva strada tra i pesanti tendaggi, e colpiva la bottiglia di cristallo, attraversandola, rendendo simile ad ambra lucente il liquore che conteneva. Florent dormiva quieto tra le lenzuola con le labbra schiuse e le ciglia tremanti per chissà quale sogno….. io lo guardavo, in pace: fumavo una sigaretta, i miei sensi divisi tra l’aroma del tabacco e la sensazione del levigato bocchino d’avorio tra le mie dita. Fuori dalle finestre c’era Venezia. Eravamo arrivati il giorno prima, in tempo per vedere il tramonto infuocare le cupole di San Marco, e il cielo riempirsi di colori accesi, per poi scurirsi, e l’acqua dei canali farsi sonnolento inchiostro. Fu Florent a voler andare in quella città, in primavera, e all'inizio non mi spiegò nemmeno perché. Accadde una sera, dopo un concerto. La musica, immancabilmente, lo rapiva ed io spesso ne approfittavo per fissare il suo viso, studiare il suo viso e gli occhi brillanti. Ma ad un certo punto, quella volta, sembrarono luccicare di lacrime trattenute e non di delizia.
'Florent che è forte, e non piange mai….. e questa è una musica gioiosa e spensierata, non può essere commozione, malinconia, non può…..e allora perché?' Anche se mi sedeva accanto a teatro, ed anche sul landau che ci riportò a casa, lo sentivo lontano, separato da me da una distanza da lui imposta….. qualcosa che talvolta già si era fatto avvertire, ma di cui ora sentivo tutto il peso. Sapevo che era inutile chiedergli di raccontarmi cosa non andasse, e che dovevo pazientare, e sperare, che prima o poi da solo decidesse di sciogliere i lacci del suo cuore. Nella notte lo sentii girarsi alla ricerca del sonno, sospirare, arrendersi. Accese il lume e le sue mani danzarono. <Portami a Venezia.> Dunque, eccoci. ~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°
Si era agli albori della primavera, e Venezia splendeva. Ma quella città splende sempre, anche nella miseria….. io non la conoscevo quasi per niente allora, ma più avanti ci avrei vissuto per quasi vent'anni e ogni calle e campiello mi sarebbe divenuto familiare. Florent….. lui la conosceva, oh, così bene, e in quei giorni mi fece da guida, mostrandomi chiese, ponti ed eleganti palazzi, scivolando con le gondole lungo i canali, o passeggiando sotto il sole tiepido. La parlata veneziana mi entrò in fretta nelle orecchie, e così anche quella dei tanti stranieri che, sotto i portici delle Procuratie Nuove, sorseggiavano vini pregiati e bevande speziate al Caffe Florian. Quanto tempo passai in quel locale, nei miei anni veneziani! Quasi ogni giorno, d'inverno nelle sale affrescate, su divani di velluto rosso, a perdermi nel suono graffiato del grammofono….. o nella bella stagione, all'aperto, sulle poltroncine di vimini, a guardare la vita scorrere a Piazza San Marco….. ma sto divagando….. Ero con Florent a quel caffè, quando sollevai l'argomento che mi pungolava da giorni. C'era il suo passato, a Venezia, era chiaro, ma solo quello sapevo, e non mi bastava. "Siamo qui ormai da due settimane - gli dissi - e ancora non mi hai spiegato perché sei voluto venire, così all'improvviso….. né perché eri tanto turbato quando me lo hai chiesto." Mi guardò e sorrise, un sorriso che sembrava voler far finta di niente. "Tu eri agitato - continuai ostinato - e di norma non ti agiti mai. Hai sempre il perfetto controllo su te stesso….. e su gli altri." Aggiunsi dopo una breve pausa. Sì, su di me Florent il controllo lo aveva di sicuro. Lui sostenne il suo sguardo, poi guardò il suo bicchiere e bevve il vino color rubino. Annuì. <Domani.> Mi disse. Certo, voi sapete che non usò la voce, ma i gesti, ma per me quello era parlare, e visto che solo io lo potevo capire mi sentivo onorato e speciale; condividevamo qualcosa da cui tutti gli altri erano esclusi. Per il resto di quel giorno Florent però fu chiuso e adombrato, come quella sera, dopo il concerto, quando mi chiese di portarlo alla Serenissima. Mi sembrava così triste, e per distrarlo parlai e parlai, così tanto che non ricordo più di cosa; probabilmente dissi un mucchio di sciocchezze. Solo una frase rammento….. "Se tu sei nato qui, ed io son di Genova, dovremmo essere rivali, non trovi, Florent?" Lui sorrise, e mi prese per mano.
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Il giorno dopo mi consegnò un foglio, su di esso v'era un indirizzo; il posto non era raggiungibile con una semplice passeggiata, sicché ingaggiai una gondola e nella tarda mattina scivolammo leggeri sui canali. Stavo per scoprire chi era, finalmente, ed ero agitato, emozionato. Impaurito, e nemmeno sapevo da cosa. …..Improvvisamente fa più freddo, forse tra poco pioverà. Non importa…..di solito si dice 'due gocce di pioggia non m'ammazzeranno', però forse nel mio caso è possibile, vista la mia salute traballante. Non importa: parlare di tutto questo mi sta facendo bene; segreti rimasti taciuti per mezzo secolo, dolori mai condivisi, colpe mai assolte….. visto che non ho nessuna intenzione di confessarmi ad un prete, prima d'andarmene, lo farò al vento. Che stavo dicendo?….. oh, già. Quando sbarcammo diedi istruzione al barcaiolo di passare a riprenderci dopo qualche ora, poi seguii Florent, che già si era incamminato lungo il sentiero lastricato che dal piccolo molo s'inoltrava nell'isoletta. Attraversammo un parco, guardai le siepi e gli alberi che sembravano incustoditi da alcuni anni, le fontane tristemente asciutte, inverdite dal muschio. E poi giungemmo ad un palazzo….. ad una bella e grande villa, ma dall'aria stranamente spettrale; rabbrividii inspiegabilmente per il silenzio assoluto che ci circondava. Florent stringeva le braccia al petto come se sentisse freddo, mentre ci avvicinavamo alla scalinata principale; io mi fermai ai margini di essa, ma lui salì i gradini, lentamente e giunse al portone. Vi posò le mani e la fronte, e rimase lì per lunghissimi minuti, immobile….. poi si lasciò scivolare, lentamente, inginocchiandosi a capo chino. Se fino a quel momento m'era tenuto a distanza per rispetto, attendendo la sua chiamata, un cenno, non potei evitare di corrergli accanto, allarmato. Gli circondai le spalle con un braccio, gli baciai una tempia. "Casa? Questa era casa tua?" Un sì. E poi sì alzò, andò a sedere su uno scalino e s'appoggiò pallido e languido ad una colonna. Con una mano mi indicò una targa scolpita sopra l'atrio….. uno stemma di famiglia. Poi mi sorrise, come sa da quello avrei dovuto capire tutto, come se lui ne fosse sicuro. Mi sembrò d'averlo già visto, quell'emblema, ed aguzzando la vista riuscii a leggere l'iscrizione….. scavai disordinatamente nei ricordi, ed allora mi venne tutto alla mente! I Visconti Luinei De Noris. Bocheggiai, tornai a guardare Florent, e lui distolse gli occhi. Certo che ricordavo: ciò che era successo quattro anni prima aveva fatto scalpore, se ne era parlato a lungo, specialmente nelle città di mare, e negli ambienti dell'alta società. Umberto Luinei De Noris apparteneva ad una famiglia di vecchia nobiltà; era un proprietario terriero ed un armatore. Era, perché gestì male i propri affari, si lasciò trasportare dal gioco d'azzardo oltre il limite dell'umano buon senso, si impegnò in imprese rischiose e dissennate nella speranza di recuperare i capitali perduti, ma ottenne solo nuovi tracolli. Fino all'ultimo mantenne le apparenze di ricchezza, ma dovette vendere l'una dopo l'altra navi, ville, terre….. anche i pregiati pezzi della sua collezione d'arte, tutto per saldare i debiti contratti. Ignoro se fosse riuscito a pagarli completamente, so che si era quasi ridotto alla nullatenenza, che molti domestici erano stati licenziati, che i suoi soci gli avevano voltato le spalle. Una notte….. era estate….. forse ubriaco, forse disperato, forse impazzito….. uccise la moglie che gli dormiva accanto, una bellissima e colta donna francese. Uccise il figlio maggiore nel suo letto, ed il minore, inseguendolo fin sul portone di casa. Uccise il maggiordomo che fedelmente era rimasto al suo servizio anche nella disgrazia, ed infine….. si impiccò. Solo il figlio mezzano era sfuggito al massacro, un ragazzo di diciassette anni di cui non si trovò più traccia. Tutto era chiaro, anche troppo. Non sapevo cosa dire: <mi dispiace> suonava così vuoto e insulso.
Non sapevo cosa fare: abbracciarlo che conforto gli avrebbe mai dato?
Lui guardava il prato con occhio vacuo, forse perso nei ricordi, e la sua mano assentemente accarezzava la colonna. Parlai, imbarazzato. "Eri tu….. tu il figlio che si salvò?" E il suo assentire fu così leggero da esser quasi impercettibile. "Tu, quella notte….." <Ero andato in città, di nascosto.> < Un amico, Gabriele, era venuto a prendermi che già era buio e mi riaccompagnò all'alba, e trovai…..> Le mani gli tremarono; le congiunse, intrecciando le dita, e le raccolse al petto. Il respiro pesante e il capo chino….. Capii che si stava dominando per non cedere ai ricordi e alla commozione, alla schiacciante pressione emotiva che quel posto stava esercitando su di lui. [Mio amato Florent….. non è necessario mostrarsi sempre forti, incrollabili a tutti i costi. Se desideri piangere, piangi….. e se non vuoi che ti veda chiuderò gli occhi, ma intanto ti stringerò fra le braccia, e ti chiederò scusa, perché sono stato io, tante volte, a domandarti del tuo passato.] Pensai tali parole, ma non le pronunciai; lo strinsi a me, muovendomi piano per cullarlo, avvolgerlo completamente, farlo sentire meglio, così come io m'ero sentito finalmente sereno sfogandomi tra le sue braccia, la nostra prima notte insieme. Sì, so che le mie pene di cuore non erano paragonabili a ciò che aveva vissuto Florent, ma in quel momento anche io stavo soffrendo crudelmente, per lui. Lo strinsi ed accarezzai fino a che fu lui ad alzarsi, ad occhi ancora asciutti, poiché non aveva versato nemmeno una lacrima; per mano passeggiamo attorno alla casa, e per il parco abbandonato, così bello nel suo abbandono, per poi fermarci sotto un vecchio gazebo. Lì venni a conoscere il resto. Quando era rincasato e aveva trovato il massacro, accanto a lui c'era l'amico con cui aveva girato in città, felice ed ignaro del destino che aveva scampato; era stato quel giovane a sorreggerlo e a portarselo via di nuovo, subito, lontano dalla morte e dal sangue. Per più di due mesi era rimasto chiuso in casa sua, sconvolto, insonne, sperduto, poco più di un ragazzino, rimasto solo al mondo. Ricordo che la sua scomparsa fu considerata un mistero: a lungo cercarono l'unico scampato alla strage, si fecero supposizioni, pettegolezzi, ipotesi anche assurde e crudeli, vergognose. Poi, una notte, Florent si fece riaccompagnare alla villa; i morti ormai giacevano sepolti al cimitero, e il sangue era stato lavato via, ma null'altro era cambiato. Nessuno più era entrato nella villa, nemmeno gli sciacalli, per rubare gli ultimi quadri rimasti in casa: la disgrazia era recente, ma molto in fretta si era sparsa la superstizione che quel luogo portasse male, che ora le anime degli assassinati lo infestassero. Non rimase molto: ficcò alcuni abiti in una sacca da viaggio, un pettine, uno specchio ed una boccia di profumo. Prese qualche soldo che teneva nascosto nella sua stanza, e naturalmente il suo amato, inseparabile violino. Molto prima dell'alba partì, con i capelli tagliati corti e le ombre sotto gli occhi, accompagnato in carrozza fino in Lombardia dallo stesso amico che gli era stato accanto per tutto quel tempo. Poi Florent chiese di scendere e di proseguire da solo….. senza sapere dove né come….. ma da solo. C'erano tante cose che non capivo. Perché se ne fosse andato in quel modo, a vivere nella miseria e nell'incertezza: doveva pur avere qualche parente che potesse accoglierlo. <Parenti? Quali? Quelli che mi consideravano un minorato perché non posso parlare? Quelli che probabilmente mi avrebbero fatto chiudere in un istituto per tarati?> Ed allora perché non aveva chiesto aiuto al suo amico, a Gabriele? E come lui aveva potuto permettergli di andarsene in quelle condizioni disperate? Io mai, mai avrei permesso che….. Florent mi interruppe. <So che non puoi capire. Non potevo, non riuscivo a restare a Venezia, e sono….. scappato. Anche io sarei dovuto morire quella notte; l’essere ancora vivo significava cominciare da zero.> <Gabriele comprese ciò che provavo. Non fu contento della mia decisione…..ma mi aiutò ed ebbe fiducia in me.>Poi mi accarezzò il viso, ed aggiunse: <Mi spostai spesso, poi rimasi quasi un anno a Milano. Ricominciai a vagabondare e infine giunsi a Genova. Un'altra città di mare, anche se molto diversa….. ma mi piacque. Trovai alloggio in una soffitta, in una viuzza vicino alla cattedrale, lì ho vissuto per sei mesi. Poi ho incontrato te.> Restammo ancora a lungo lì sotto, ed io lo stringevo e poggiavo il viso sui suoi capelli. Mio povero Florent….. che se avesse netto nei miei pensieri la compassione mi avrebbe probabilmente preso a schiaffi. Mio orgoglioso, dolceamaro Florent….. Le campane scandirono l'ora a cui il barcaiolo doveva tornare a prenderci; mentre tornavamo al molo feci per prenderlo per mano….. ma mi sfuggì come acqua tra le dita, e corse in avanti senza fermarsi al mio richiamo, lasciandosi alle spalle me e la sua antica dimora. ~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°
Io comprai quella casa: i vent'anni che vissi a Venezia li passai in quel palazzo, nelle stanze dagli stucchi dorati e dai soffitti affrescati dove Florent era cresciuto. Sbagliavano le voci superstiziose: l'unico fantasma che si aggirava fra quelle mura ero io. Io alla ricerca dell'ombra del passato lì trascorso. La sua camera….. forse ancora vi aleggia il suo profumo, m'illudevo. La stanza dove aveva imparato a suonare il violino, in giorni felici e lontani come uno sogno sfocato….. In quella sala forse, se avessi teso l'orecchio, avrei sentito l'eco della musica.
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Finalmente rilassato poco dopo già dormiva, con la mano intrecciata alla mia. Ma mentre gli stavo accanto, vegliandolo per essergli vicino se vividi incubi lo avessero assalito, mi sentivo un verme….. un infame e un immorale, e a ripensarci ancora provo lo stesso disgusto di me stesso, a distanza di tanti anni. Perché….. Perché nonostante quanto cocente fosse il dolore che nutriva, quanto orribile ciò che aveva dovuto vedere, quanto dura la vita che aveva fatto dopo quel giorno….. Nonostante ciò nel mio animo aveva messo radici una oscura e perversa gioia: perché quella disgrazia lo aveva condotto fino a me….. perché ero l'unica persona che lui avesse, e perciò non mi avrebbe mai, mai lasciato. Pensai che se nulla gli fosse accaduto avrebbe per sempre vissuto a Venezia e non ci saremmo incontrati….. la sua sventura era la mia fortuna, ed io ne ero felice. Esultavo della sventura che aveva colpito lui e la sua famiglia. Forse tutta questa solitudine è la punizione per i vergognosi pensieri di quella notte lontana….. il meritato castigo per il mio cuore egoista. |