I giardini
di pietra
capitolo IV
di
Unmei
Credo di essere stato un uomo testardo, ora forse un po' meno che in
gioventù, anche se in compenso brontolo molto più di allora. Spesso non mi
arrendevo nemmeno di fronte all'evidenza del mio torto, addirittura mi
incallivo maggiormente nelle mie posizioni, spinto ormai principalmente da
quella che si potrebbe chiamare 'questione di principio'.
Mi intestardii nel non voler arrendermi alla lusinga di Florent. Non che
avessi motivi morali: ero nato in una famiglia molto credente, ed ero
stato educato in costose scuole gesuite.....tutto ciò aveva fatto di me un
ateo fervente, quindi non era certo per scrupolo religioso, per paura del
cosiddetto peccato, che m'impedivo di abbandonarmi alla passione.
Non avevo una fidanzata a cui porgere il braccio, e vivevo in quella
grande casa praticamente da solo con lui, eccezion fatta per Matilde, che
in ogni caso era una presenza piuttosto discreta; la notte, poi, dormiva
nella piccola dependance, cosa che mi lasciava tutta l'intimità del mondo
e che mi avrebbe permesso di scivolare facilmente nel letto insieme al mio
violinista..... se solo avessi voluto.
Persisteva dentro di me l'idea che ci fosse qualcosa si sbagliato,
pericoloso, nel sentimento che provavo, ed ero convinto che se avessi
resistito abbastanza a lungo questo sarebbe svanito da solo, consumato da
se stesso. Avevo paura.....di restare ferito e scottato come mi era
capitato già in altre occasioni, nelle uniche due reazioni omosessuali, le
uniche due relazioni e basta, a dire il vero, che io avessi mai avuto.
La prima volta non ero nemmeno quindicenne, e terribilmente innocente
(dovrebbe essere vietato, essere così innocenti!), e lui era un amico di
mio padre; un uomo di trentacinque anni, molto bello e molto ricco, amante
dell'arte e dei viaggi.
Frequentava spesso la nostra casa e mio padre aveva ogni cortesia per lui,
fino all'eccesso, desiderando rimanere nelle sue grazie poiché egli
apparteneva ad una famiglia molto potente nella sfera politica.
Si chiamava Alberto ed aveva viaggiato in tutta Europa, ma era stato anche
in Egitto, in Russia, in Cina ed in India ed io adoravo sentirlo
raccontare dei suoi viaggi..... lo ammiravo e non c'era niente che
desiderassi quanto diventare suo amico; ogni sua attenzione nei miei
riguardi mi riempiva d'orgoglio, mi sembrava un regalo prezioso, solo per
me.
Che fosse amore, o qualcosa di molto simile, ciò che provavo per lui non
mi era chiaro, ancora non ne conoscevo i sintomi, ma se avessi avuto più
esperienza sarei riuscito a distinguere nei suoi occhi, quando si posavano
su di me, non solo gentile condiscendenza, ma anche una rapace lascivia.
Tanto buoni erano i suoi rapporti con la mia famiglia che mio padre non
ebbe nulla in contrario quando lui, un'estate, propose che passassi le
vacanze nella sua tenuta a Bordeaux. Disse che avrei potuto migliorare la
mia pronuncia del francese, e che se lo avessi desiderato mi avrebbe
insegnato un po' qualche dialetto parlato nelle lontane terre che aveva
visitato. Ovviamente ero al colmo della felicità.
Partii, e passai con lui due mesi, nei quali mi insegnò molto più del
previsto, e cose che certo poi non avrei potuto riferire a mio padre.
Per tutto il nostro viaggio d'andata ebbi da lui frasi lusinghiere,
indagatrici, sguardi e sorrisi di un uomo che davvero sa sedurre, e
sfioramenti per niente casuali che mi rimescolarono i sentimenti così
forte da farmi girare la testa.
.....Due sere dopo il nostro arrivo alla magione francese inevitabilmente
mi ritrovai nudo sotto di lui, abbandonato alle sue mani e alla sua bocca,
semi-ubriaco del vino di quelle terre che mi aveva offuscato la ragione ma
acceso i sensi.
E così fu ogni giorno ed ogni notte per tutta quella lunga vacanza:
Alberto mi prese, in ogni senso, ancora ingenuo, e spalancò per me le
porte del piacere lussurioso.
Mi fece leggere libri di cui mai avrei immaginato l'esistenza; voleva che
lo facessi ad alta voce, e da nudo, per potersi gustare l'erezione che
provocavano quei romanzi indecenti, e poi baciarmi, toccarmi, fino a
quando non riuscivo più a seguire le parole sulla pagina, e la mia voce si
spezzava, ansimante, e il libro mi scivolava dalle mani.
Mi insegnò a godere del mio e del suo corpo e ad abbandonarmi a giochi
erotici a volte dolcissimi a volte perversi, e di cui in fretta non
riuscii a fare a meno, come se potessi vivere solo attraverso la voluttà..
I suoi racconti mi parlarono di cose a cui prima non aveva mai accennato,
mi descrisse bordelli orientali profumati d'incenso, con i loro delicati
fanciulli educati alla poesia e al piacere, ma mi parlò anche delle strade
squallide dove 'nel fango potevi trovare veri gioielli'.....
Nei suoi viaggi esotici Alberto era solito comprare i favori dei ragazzini
di strada, anche più giovani di me a quei tempi; diceva che non c'era
nulla di male, perché lui ripagava quella sola ora di piacere effimero con
tanto denaro da permettere loro di sfamare se stessi e le loro famiglie
per un mese.
E poi diceva che io lo facevo impazzire perché c'era più purezza in me che
in qualsiasi marchetta undicenne di Budapest, e che niente era dolce
quanto corrompere i puri.
Forse da questo racconto non vi siete fatti una buona immagine di Alberto,
forse vi appare un licenzioso privo di morale, nient'altro che un
corruttore ed un perverso, ma sbagliate.
Era un uomo che conosceva il mondo, era generoso a modo suo, seduttore,
edonista e molto colto, ed io ne ero innamorato. Non so se lui ricambiasse
quel sentimento, ciò che so è che dopo quell'estate, per quasi un anno,
fui il suo solo amante, e che nella sua lussuria c'era sempre un caldo
fondo di tenerezza, di protezione: nel mondo che lui tesseva per me
c'erano solo bellezza e grazia, e sogni da realizzare.
E so che mi promise, una volta avessi finito gli studi, di portarmi con se
in viaggio, dove io avessi voluto, per un intero anno.
E poi so che un inverno si ammalò di tubercolosi, e morì senza che io lo
potessi baciare, abbracciare per l'ultima volta, perché non mi volle a
casa sua, per evitare contagiarmi..... e perché detestava che lo vedessi
smagrito, esausto e sofferente. Lui, che mi aveva mostrato quanto fossero
fiammanti i colori della vita, non poteva sopportare di spegnersi come un
uomo qualunque, ed io..... io che avrei voluto essergli vicino ogni
istante, stringerlo, accompagnarlo nelle ombre tenendolo fra le
braccia..... non potei nemmeno assistere al suo funerale, per la febbre
violenta che mi assalì quando infine egli morì.
Soffrii incredibilmente, mi ammalai anch'io, di un morbo nato e germinato
nella mia anima: non volevo mangiare, né uscire dalla mia camera e piansi,
piansi per giorni, come non si conviene ad un maschio.
Comincia a pensare di non volermi innamorare mai più, per non soffrire, e
per essere fedele ad Alberto fino alla morte..... e volevo morire presto
anche io, perché mi sembrava di non aver più futuro, ogni persona intorno
a me appariva sbiadita, banale, stupida, in confronto al mio perduto
amore.
Tuttavia non morii, piano piano tornai al mondo, a passi insicuri, ed
infine mi innamorai ancora, tre anni dopo, di un mio compagno di studi
poco più grande di me, Patrizio. Lui aveva un carattere dolce, e
remissivo, pelle chiara, capelli rossi e occhi verdi come un irlandese. I
nostri caratteri erano molto più equilibrati tra loro..... tra noi non
c'era una figura dominante come lo era stata quella di Alberto, né c'era
così tanta densa e bruciante passionalità.
Il nostro rapporto era quieto e tranquillizzante, profondo ed intimo, un
reciproco appoggio che si consolidava ogni giorno, diventando
indispensabile. A lui diedi tutta la mia fiducia, a lui consacrai i miei
sentimenti e le mie speranze, i miei desideri. Pensavo che il nostro
incontro fosse voluto dalle stelle perché ci fossimo compagni..... e poi
lui mi tradì. Non semplicemente trovando un altro amante.....no,
magari.....
Lui venne da me, un giorno, dopo quasi due anni della nostra segreta
relazione, e mi disse 'mi sposo'.
Ci misi alcuni secondi per recepire il significato di quelle parole.
E poi lo sentii dire che era meglio se non ci fossimo più frequentati, e
se avessimo dimenticato tutto ciò che ci aveva legati.
Non mi arresi, lottai..... gli dissi che non poteva.....che lo amavo, lo
presi per il bavero e lo baciai, e lo implorai, e quasi lo picchiai.....
ma non servì.
"Noi non possiamo continuare - mi disse - Dobbiamo pensare al nostro
avvenire, al posto che occuperemo in società, alle responsabilità che ci
attendono. Questo è un amore senza futuro: siamo due uomini, Riccardo, una
vita insieme non ci è permessa, il mondo non lo vuole. Era chiaro sin
dall'inizio che sarebbe finita in questo modo. Io ti amo ancora.....ma
spero che questo sentimento finisca presto, e ciò avverrà in minor tempo
se non ti vedrò più. Per questo..... ti dico addio."
Mi mancò la forza di replicare, lo lasciai andare, domandandomi chi
diavoli avessi amato, in quegli anni.....
Ecco come finì: con il suo matrimonio organizzato dalla famiglia, con una
ragazza di famiglia facoltosa che lui conosceva a malapena; dopo un anno
ebbero il primo figlio, si trasferirono a Roma e persi completamente le
sue tracce. Ciò che mi rimase furono le sue parole di commiato, l'idea che
essendo uomini non potevamo permetterci di credere in una relazione
duratura, se non persino nell'amore stesso.
Nostro dovere era obbedire alla società e farsi inquadrare in essa senza
ribellarsi, e vivere in maniera 'giusta', avere una moglie, dare origine
ad una famiglia.
Il dolore dell'abbandono fu sostituito dall'amarezza, e mi convinsi che
davvero non c'era speranza per me; due volte mi ero innamorato, due volte
ero stato abbandonato, entrambe in modo orribile. Pensai che forse era
vero che a quelli come me non poteva essere concesso l'amore, e che forse
aveva ragione Patrizio, obbedendo senza proteste al volere paterno.
Così a vent'anni chiusi il mio cuore, e da quel momento in poi evitai ogni
rapporto che andasse oltre la conoscenza superficiale: non volli nuovi
amici, men che meno nuovi amori.
Mi ritrassi così tanto in me stesso da riuscire a vivere dimenticandomi
del sesso, spegnendo prontamente ogni attrazione che provava ad accendersi
in me. Quasi riuscii a convincermi di non essere la stessa persona che
aveva amato Patrizio..... quasi pensai che il sentimento afoso che mi
aveva legato ad Alberto e la mia iniziazione alla lussuria fossero stati
frutto della mia immaginazione.
Ecco, semplicemente, mi arresi sull'amore. Per dolore, per delusione, per
paura, lo bandii dalla mia anima e vissi in tal modo per dieci,
interminabili anni, traendo consolazione e felicità solo nella scultura,
nella quale riversavo tutti i miei sentimenti, dal più basso al più
sublime, sfogandovi tutta la passione prigioniera.
E poi incontrai Florent.
Pensate alle spaventose condizioni del mio cuore, impietrito da tanto
tempo.
Pensate a che tempesta causò quel ragazzo, al mio desiderio di fuggire,
alla mia paura, a com'ero disabituato ad amare. Immaginate i miei desideri
contrastanti di dare un'altra possibilità al sentimento e di costruire
ancora un altro muro attorno alla mia anima.
Forse ora potete capire meglio perché non volevo cedere, perché volevo
scappare, perché quell'attrazione mi sconvolgeva totalmente, come fosse la
prima.
Continuai il mio lavoro, vivendo al fianco di Florent ogni giorno.
Suonammo ancora insieme, facemmo altre passeggiate, giri in carrozza;
passammo le nostre serate rimanendo spesso in piedi fino a notte
fonda..... era sufficiente anche solo essere l'uno accanto all'altro,
entrambi a leggere, per sentire una rasserenante sensazione di pace, anche
se non bastava, non più..
Lui talvolta trasformava la semplice vicinanza in contatto.....
sfiorandomi nel passarmi vicino, sedendo così vicino a me sul sofà che i
nostri corpi erano l'uno contro l'altro ed un tremito mi attraversava da
capo a piedi. Poi si allontanava, se ne andava, aspettava che io facessi
qualcosa.
Mi sentivo sempre più unito a quel giovane, e più convinto che chiamare
ciò che nutrivo 'attrazione' fosse riduttivo, e siccome non volevo rendere
manifesti i miei sentimenti consacravo il desiderio nello scolpire il
simulacro del mio adorato. Non avevo altro modo, capite, per accarezzare
il suo corpo, se non quello indiretto datami dal marmo e dallo scalpello.
Al fine giunsi a provare un attaccamento morboso per quella statua: non
ero sicuro di volerla finire, perché poi mi sarebbe stata portata via. Non
volevo finirla perché non volevo separarmi da Florent..... non volevo
finirla perché mi aggrappavo ad essa per mantenere il controllo, e perché
almeno quel viso inanimato lo potevo accarezzare senza timori. Poi.....
Poi una sera andai nel mio studio, da solo. Accesi tutti i lumi, che
crearono una bella e tenue luce tremolante e crepuscolare, e mi avvicinai
all'angelo di pietra, ammirando il mio lavoro.
Ammirando l'angelo stesso, rapito dai miei sentimenti.
La statua non era ancora terminata, ma fino all'altezza della vita era già
quasi perfetta; le braccia, il petto erano lisci flessuosi come i suoi, i
capelli sembravano veri, il viso.....
.....oh, il viso.....
Restai a guardarlo come avevo guardato lui la prima volta, ammaliato; poi
fuori dal mio controllo salii sulla scaletta per essere alla stessa
altezza della statua. Accarezzai il volto marmoreo, scesi la mano sul
collo, sulla spalla e poi sul petto, con il respiro sospeso.
Non potevo, non volevo, avere lui, ma quella era una statua, solo una
statua, anche se bella e perfetta. Era una statua ed era mia, perché io
l'avevo scolpita, e quindi avevo il diritto di fare ciò che volevo.
Baciai le fredde labbra di pietra, una mano sul suo petto, l'altra sui
capelli. Un bacio lungo, in cui immaginai di avere davvero lui e di
sentire il suo calore sciogliere i miei terrori. Florent avrebbe potuto
spezzarmi il cuore, la statua no..... e con gli occhi chiusi potevo
sognare quanto ne avevo bisogno.
Quando infine mi staccai rimasi a guardare da vicino il misterioso sorriso
sulla bocca che avevo lambito; accarezzai le labbra inerti e confessai il
mio amore con voce malinconica, quasi addolorata.
Scesi, e voltandomi mi accorsi di non avere solo la compagnia del Florent
di marmo, poiché quello in carne ed ossa mi stava osservando dalla soglia,
avvolto nella vestaglia cremisi.
La terra mi mancò da sotto i piedi; ero così sconcertato da non capire se
il viso mi fosse sbiancato o se stesse andando a fuoco, giacché
dall'espressione di Florent era evidente che aveva visto tutto.
E quell'espressione non era arrabbiata, o infastidita..... era dolcissima,
stupenda, così piena di tenerezza, ma anche di trionfo, da farmi tremare.
Mentre stavo penosamente paralizzato lì dov'ero lui venne verso di me con
incedere silenzioso.
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