I giardini
di pietra
capitolo II
di
Unmei
Florent è un nome che scorre tra le labbra come un delizioso liquore
zuccherino, vero? Per pronunciarlo la bocca si muove lieve, come per un
sospiro carezzevole. È un fruscio di seta su seta.
Il mio nome è duro, con quelle erre che graffiano e le c secche come un
colpo di bastone. Ditelo, provateci. Riccardo. Un uomo con un nome come
questo dovrebbe essere più forte di quanto sono io.
La mia casa era, a quei tempi, una villa ai margini della città. Avevo
bisogno di spazio e solitudine per scolpire e l'isolamento non mi è mai
spiaciuto; poi si gode della vista del mare a due passi dalla casa, basta
percorrere la stradina che parte dal retro.
Il giardino sembrava sempre un po' selvaggio, e così mi piaceva; nel
cortile la fontana dava acqua fresca e leggera ed in una piccola
dependance viveva Matilde, la mia governante di allora, una donna nubile
dai capelli grigi che sognava che prima o poi mi sposassi e avessi dei
figli a cui avrebbe potuto fare da balia.
Era un'ottima cuoca, Matilde, e lavorava per la mia famiglia da prima
dell'inizio dei miei ricordi. Quando i miei genitori si trasferirono più a
sud, per trovare un clima più secco che alleviasse i loro reumatismi, lei
preferì rimanere con me, temendo che da solo mi sarei anche dimenticato di
mangiare e dormire. Penso che avesse ragione.
Matilde guardò perplessa l'esile giovanotto che mi era accanto, e per un
attimo pensai di sentir piovere critiche, che per quanto egli fosse di
nobile aspetto era chiaro si trattasse di un vagabondo. Florent però
prevenne ogni sua parola, e con un inchino eseguì un perfetto baciamano.
Ora, quale donna non sarebbe conquistata da un bel giovane che compie per
lei un atto di galanteria? E quanti baciamano poteva aver ricevuto nella
vita la mia lodevole governante?
Dall'espressione di Matilde capii che il giovanotto doveva aver passato
l'esame, e ne ebbi subito conferma quando annunciò che avrebbe fatto
scaldare l'acqua per preparargli un bagno.
Nel mentre guidai Florent nella camera per gli ospiti, che era sempre
pronta a ricevere qualcuno nonostante tale evenienza accadesse ben poco di
frequente.
Il pavimento era una profusione di tappeti, la tappezzeria di broccato
rosso Pompei e il baldacchino arricchito dai tendaggi di velluto. Un
divanetto, uno scrittoio, un guardaroba ed una stufa spenta nella stanza
ancora fredda. L'accesi, sporcandomi le mani e pulendomele soprappensiero
sui pantaloni.
Consideravo quella stanza bella ed accogliente, ma Florent non sembrava
esserne molto impressionato, c'era più che altro sul suo viso qualcosa che
somigliava ad una lontana nostalgia.
"Dopo se vuoi ti mostrerò la casa..... e il mio studio, naturalmente.
Vorrei iniziare il lavoro il prima possibile..... certo non oggi..... e
poi prima di passare alla scultura vera e propria devo studiare la tua
figura, fare degli schizzi....."
Ero di nuovo imbarazzato, messo in difficoltà dal suo sguardo troppo
diretto; me ne resi conto, e così frettolosamente mi congedai, lasciandolo
libero di prendere possesso della camera.
Trovai rifugio in salotto, davanti al camino a far ondeggiare il brandy
nel bicchiere. Passata l'euforia del momento, cominciavo seriamente a
chiedermi che fare, come comportarmi, come rivolgermi a lui. Fino a quel
momento mi ero permesso di dargli del tu, e come atteggiamento era stato
piuttosto villano, lo ammetto; lui, d'altra parte, non se n'era dimostrato
offeso.
Offendersi di che, se dopotutto non era che un mendicante che
probabilmente campava sfamandosi con la zuppa offerta dagli ospizi per i
poveri?
Ricordo che pensai a tutto e a niente, in fondo, sentendomi molto stupido
e altrettanto confuso..... mi attraversò la mente pesino l'immagine di me
stesso, nel mio letto con la gola squarciata e lo scompartimento segreto
dell'armadio svuotato di tutto il denaro e dell'oro di famiglia che vi
conservavo..... giusto castigo per aver accolto in casa uno sconosciuto di
cui non sapevo che il nome. Sempre si trattasse di quello vero.
Mentre elucubravo cupamente sul mio destino segnato fuori aveva iniziato a
piovere, e mi alzai per tirare le pesanti tende poiché la vista della
pioggia sui vetri mi immalinconiva a non dire; quando mi voltai lui era
sulla porta.
Dopo quel bagno sembrava che la sua pelle rilucesse, contrastando con i
capelli che invece, ancora umidi, sembravano più scuri. I pantaloni di
velluto e la veste da camera color cardinalizio che aveva indosso li
riconobbi come miei, benché non li portassi più da anni. Doveva essere
stata Matilde a darglieli, e nonostante gli fossero un po' larghi, un po'
lunghi, gli stavano bene. C'erano altri abiti che non portavo e che
giacevano abbandonati in qualche baule...... con il ritocco di un sarto li
avrebbe vestiti alla perfezione; certo non poteva tornare ad indossare i
vecchi e logori panni di qualche ora prima.
"Vieni! - gli dissi - non restare sulla soglia."
Entrò, ed immediatamente una cosa attrasse la sua attenzione, fece
brillare i suoi occhi e sorridere le sue labbra rinascimentali: il
pianoforte verticale di lucido mogano, con i candelabri d'argento, che
stava contro la parete. Si avvicinò allo strumento, accarezzando con
rispetto il legno lucido, poi il leggio; sollevò il copritasti ed accennò
"Für Elise", poi mi guardò e con la testa fece un cenno.
Ed io lo capii.
"Quando ero bambino i miei mi costrinsero ad imparare a suonarlo, ma sono
passati anni dall'ultima volta che ho posato le dita sui tasti..... la
musica mi piace, ma non credo faccia per me. Ho ancora tutti gli spartiti,
se ti interessa."
Ricordo ancora la cena che consumai insieme a lui, quella prima sera; il
ricamo sulla tovaglia, il sapore del vino rosso e forte, ogni briciola di
pane, il profumo denso dello stufato, la fiammella delle lampade a gas.
Ricordo lui all'altro capo del tavolo, e quanto perfetto fosse il suo
galateo, anche migliore del mio.
Avevo immaginato, in quella che probabilmente era presunzione, che si
sarebbe gettato sul cibo come un lupo affamato, invece oltre a comportarsi
come un signore non chiese niente altro oltre alla sua prima, modesta,
porzione. Desideravo ardentemente conoscerlo meglio, venire a capo della
contraddizione che sembrava incarnare, lui così distante ed enigmatico;
pensavo a quanto avrei voluto che potesse parlare per sentire la sua voce
e scoprire se era adatta al suo aspetto senza età.
Forse in quel momento non me ne rendevo del tutto conto, ma mi ero già
fatto stregare da lui in quelle poche ore. Florent non aveva fatto niente
per attirare la mia attenzione, era stato semplicemente se stesso, col
sorriso luminoso e innocente e gli occhi scrutatori di un gatto. Mi
ritirai presto, quella sera, lasciandolo nella sala a sfogliare gli
spartiti, e girandomi tra le coperte faticai a prendere sonno.
Inconsciamente sentivo la mia vita che cambiava: era come un vento che mi
attraversava i pensieri mettendoli a soqquadro..... era una musica
turbinante, una musica per violino.
Devo raccontare di come lavorai con lui? Non credo che sia necessario, e
nemmeno possibile.
Non posso comunicare a parole ciò che era dare forma al marmo, voi non ne
vedreste che una descrizione piena di termini sterili, inutili, per voi.
Certo non vi interessa sapere di subbie e gradine..... se foste scultori
allora comprendereste l'emozione e l'importanza che c'è anche nel gesto di
scegliere uno scalpello.
Quindi non descriverò niente dello studio della figura..... degli schizzi
che tracciai, del piccolo modello di legno, della scelta del marmo.....
no, nulla di tutto questo. La statua è sempre qui, e qui resterà per
decenni e forse secoli: se desiderate immaginare non dovete far altro che
venire a vedere di persona.
Voglio parlare invece di com'era il suo corpo, i muscoli snelli, la pelle
chiara...... pelle d'angelo, nel vero senso della parola.
Sapete cos'è?
La pelle d'angelo, intendo. È un corallo raro, d'un rosa così pallido e
delicato da esser più vicino al bianco che non al rosa vero e proprio. Lui
sembrava fatto interamente di quel materiale prezioso, e con capelli d'oro
brunito.
Sapeva d'esser bello..... certo che lo sapeva, lo sguardo che mi fissò
addosso mentre lento lasciava scivolare la vestaglia, scoprendo il petto,
era fiero e persino audace, privo di ogni timidezza; mi guardò dritto in
viso, sorridendo a labbra chiuse, e forse ne arrossii.
Ero confuso su me stesso e sui miei sentimenti, le mie emozioni; sconvolto
dall'attrazione che provavo e che, spaventato, turbato, amareggiato,
incapace di accettarla, cercavo di nascondere nell'angolo più buio e
recondito del mio cuore, al di fuori anche della mia stessa portata. Avevo
già amato degli uomini, anni addietro, e da tempo avevo deciso che non
l'avrei mai più fatto.....ed ora temevo che lui intuisse tutto, che
leggesse dentro di me..... che la luce nei suoi occhi significasse 'ho
capito benissimo qual è il tuo segreto'.
Quindi negavo a me stesso d'aver provato attrazione per lui.....l'ho
detto, no? Sin dal primo momento..... e lo avrei fatto a lungo; da uomo
testardo detestavo perdere, persino contro me stesso.
Ma parlando sul filo dei ricordi posso raccontare tranquillamente e senza
finzioni di quando iniziai ad innamorarmene, e del perché; in ogni caso
sono vecchio abbastanza da giustificare con l'età i discorsi sconnessi.
Il quando fu probabilmente subito, o quasi, ed il perché.....
..... il perché..... per tutto.
Per ciò che esprimeva in ogni gesto, con la grazia e l'amore per la vita;
per l'espressività incredibile del suo volto, a compensare forse il fatto
di non poter esprimersi a parole.
Perché in lui c'era una luce buona, accogliente, come quella di un sole
caldo che però non ferisce gli occhi.
La prima sera, come ho detto, mi coricai presto, immediatamente dopo cena,
evitando di rimanere con lui; la seconda restammo insieme, nella sala,
entrambi leggendo.... oh, lo ammetto, di tanto in tanto gli gettai
occhiate da sopra il libro.
Chissà se anche lui fece lo stesso, non glielo chiesi mai.
La terza sera suonò il violino, ed ancora lo ascoltai rapito, mentre fuori
pioveva piano e dopo più di mezz'ora mi schiarii la voce e gli chiesi.....
gli domandai.....
"Potresti suonare il brano di quel giorno..... quando ti ho incontrato? Ti
ricordi? Paganini....."
Lui annuì.
E suonò..... suonò per ore, tessendo per me una ragnatela di note e passò
da melodie languide a musiche vivaci.....danze popolari, e poi tristi
armonie che sembravano parlare di amori infelici. Sentirlo suonare così,
solo per me, era quasi troppo.
La quarta sera credevo e speravo suonasse ancora, e invece che con il suo
violino lo vidi arrivare con fogli di carta ed una matita. Prese una sedia
e la portò vicino alla poltrona ove io sedevo, incuriosito dal suo
comportamento.
"Cosa c'è?"
Chiesi, muovendomi un po' a disagio per l'averlo così vicino: la mia mente
attraversata dall'immagine del suo petto nudo, mentre posava per me.
Florent tracciò sul primo foglio una grande e chiara "A" in stampatello,
me la indicò, e poi richiamò il mio sguardo. Portò la mano destra alla
bocca, di taglio, tenendo il pollice separato dalle altre dita, e intanto
mi fissava. Vedendomi confuso tornò a indicare la lettera sul foglio, e
poi ripeté il gesto. Ed allora compresi.
"Questo segno sta per la lettera A, vuoi dirmi?"
Felicissimo annui vigorosamente, sorridendomi, ed io replicai il suo
gesto.
"Beh, questo è facile, me lo ricorderò"
Dissi, e lui cambiò foglio, tracciò una "B" e, questa volta servirono
entrambe le mani, mi mostrò il simbolo corrispondente, ed ancora,
obbediente seguii il suo esempio.
Quella sera Florent mi insegnò a parlare.
.....
.....
Lo ricordo ancora, quell'alfabeto..... non credo lo dimenticherò mai. Lo
imparai tutto quella sera e la prima vera parola che provai a comporre fu
il nome di lui.
Non il mio, come si potrebbe pensare..... il suo.
All'inizio ero un po' lento, a dire il vero, nel capire ciò che Florent 'diceva':
le sue mani erano agilissime e veloci, non riuscivo a star dietro alla
loro danza, ma comprendendo la mia difficoltà ancor prima che io
l'esprimessi. Florent rallentò i suoi movimenti, concedendomi d'acquisire
familiarità, di imparare davvero.....
Io gli parlavo con la voce, lui mi rispondeva con quei gesti e sentivo di
averlo ora molto più vicino, completamente reale, non più solo
l'incarnazione silenziosa di una creatura celeste.
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