SERIE: SLAM DUNK
PARTE: 2/.
PAIRING: Ruhana; Senkosh; Mitko; Makikyo; Hana(gata)fuji; Ryoaya.
RATING: AU/PG
ARCHIVIO: Ysal.
DECLAMERS: i personaggi non sono miei, ma del mitico Inoue sensei.
Io
mi diverto solo a torturarli per mio diletto
personale! ^__^
I
cinque guardiani
Parte
seconda
di Soffio
d'argento
Kaede arrivò a casa che il sole stava già tramontando. Purtroppo per
strada aveva incontrato alcune sue fan che lo avevano tenuto bloccato per
mezz'ora.
Entrò in casa e appoggiò Do'hao nella cesta che gli aveva comprato e
sistemato in camera sua. Era bianca con un nastro rosso annodato ai bordi
intrecciati della cesta. Il gattino osservò il nuovo padrone a lungo e,
quando Kaede scese sotto per preparare la cena, scese dalla cesta e
cominciò a perlustrare la stanza. Salì con un balzo sulla
scrivania e da lì osservò tutta la camera. Era molto grande, spaziosa e
ordinata. C'erano poster di campioni dell'NBA appesi ai muri bianchi delle
pareti. C'era una foto vicino al comodino, ma dalla posizione in cui si
trovava non riusciva a capire quale ricordo racchiudesse. Scese dalla
scrivania bianca e salì sul letto. Era molto morbido. Si accoccolò sul
cuscino soffice e rimase a guardare quella foto. Ritraeva una famiglia
felice, almeno così appariva.
C'era una bellissima donna dai lunghi capelli neri che abbracciava da
dietro un bambino che le assomigliava tantissimo. Era senz'altro il
ragazzo che lo aveva portato sin lì, ma aveva qualcosa di diverso.
Gli occhi blu erano socchiusi in un'espressione allegra e il sorriso era
luminoso, quasi quanto, se non di più, quello della madre. E poi c'era un
uomo dietro di loro, che osservava felice i due soggetti.
Era molto alto e aveva un aspetto severo, ma la sua espressione tradiva i
suoi sentimenti. Era evidente che adorasse quelle persone.
Si addormentò così, osservando quella fotografia dalla cornice di legno.
Kaede salì poco dopo in camera. Appena aprì la porta vide una palla di
pelo rossa raggomitolata sul suo cuscino. Sorrise e dopo tanto tempo si
accorse di essere rilassato. Prese la piccola palla di pelo e la strinse a
sé, sedendosi sul letto. Lo sguardo gli cadde sulla foto del comodino.
Nonostante fosse stata vicina ai suoi occhi, aveva sempre evitato di
guardarla. Quella foto richiamava dal passato i suoi fantasmi. Quei tempi
erano ormai lontani e non sarebbero più tornati. Osservò la madre e la
ricordò proprio così, sorridente e affettuosa, poi il suo sguardo si
posò sul padre. No. Lui era molto cambiato. Quel sorriso non glielo aveva
più visto e quegli occhi così espressivi non riusciva a ricordarli.
Quelle rare volte in cui si rincontravano, lui evitava di guardarlo in
viso. Sapeva che non lo faceva perché lo odiava, ma perché gli ricordava
sua madre.
Accarezzò il piccolo gatto e si sdraiò sul letto. Il suo sguardo
incrociò il soffitto bianco e si addormentò. Si svegliò poche ore dopo,
risvegliato dal micino che reclamava attenzioni leccandogli il viso.
Sembrava triste. Kaede lo prese tra
le braccia e scese in cucina. Prese la ciotolina del gatto e gli versò il
latte. Il gattino divorò in breve quella ciotolina e pretese di più. Ben
presto Kaede si rese conto che la prima immagine che si era fatto del
micio, cioè che fosse un mangione, non era poi così diversa dal vero. In
poco tempo il gattino fece fuori due ciotole di latte e una ciotola piena
di pesce. Solo quando si sentì assolutamente sazio, cioè quando fu
talmente pieno da sembrare un porcellino in miniatura, si accoccolò sulle
gambe del padrone e si addormentò.
Kaede sbuffò un po'. Non era molto comodo mangiare con una palla (era
proprio il caso di dirlo) di pelo sulle gambe che faceva le fusa, anche se
il termine più adatto era russare. Ma i gatti russavano? Scrollò le
spalle e iniziò a mangiare con l'aiuto di una sola mano, visto che
l'altra non riusciva a staccarsi dal pelo morbido del Do'hao.
Finito di cenare, Kaede appoggiò il gattino sui cuscini del divano e
andò in cucina a sistemare. Il micio si svegliò quasi subito e Kaede se
lo trovò fra i piedi che miagolava.
<< Do'hao. Devo sistemare la cucina. Torna in salotto. >>
<< Miao. >> il gattino piegò la testolina di lato e lo
guardò come si guarda qualcosa di buffo.
Kaede scoppiò a ridere e lo prese in braccio per poi appoggiarlo sul
tavolo.
<< Stai fermo qui e aspettami buono. Appena finisco ci andiamo a
vedere la partita dell'NBA che ho registrato
ieri sera>> Kaede si sentì ridicolo a parlare così ad un gatto
che, delle sue parole, non avrebbe capito una proverbiale "h",
ma il gattino si acciambellò, come avesse compreso tutto.
Appena ebbe finito di rassettare la cucina, Kaede prese in braccio il
gattino, che per tutto il tempo non si era perso un solo suo movimento, e
si sistemò in salotto. Ebbe giusto il tempo di sistemare la cassetta,
prendere il telecomando e sedersi sul divano, che il gatto si addormentò
immediatamente.
Quando la partita terminò, Kaede salì lentamente le scale, in modo da
non farlo svegliare, poi lo sistemò nella graziosa cuccia bianca e si
addormentò guardandolo.
A casa Mitsui la situazione era un po' diversa. Hisashi non aveva mai
avuto un animale per casa, se si escludeva quel povero pesce rosso che
aveva avuto da bambino e che aveva accidentalmente fatto morire
rimpinzandolo di cibo. Inoltre aveva trascorso gli ultimi anni della sua
vita da solo, senza nessuno, circondato da alti muri che lui stesso aveva
creato. Era a malapena riuscito a prendersi cura di sé e adesso avrebbe
dovuto badare ad un gattino così piccolo che stava benissimo in una mano.
Come gli era venuta in mente un'idea del genere? Era inutile chiederselo,
la risposta la conosceva già. Appena Toru aveva aperto la busta della
spazzatura, aveva subito notato il musetto del più piccolo dei gattini e
si era sentito stringere il cuore pensando alla sua sorte. Kaede avrebbe
voluto portarseli a casa, ma aveva ringraziato di cuore Akira quando aveva
proposto di prendersi cura ognuno di un gattino.
<< Ebbene Megane questo è il mio regno, che da oggi sarà pure il
tuo, contento? >>
Il gattino miagolò, come risposta, dall'alto della sua testa. Vi era
finito quando per strada avevano incontrato un cane che aveva abbaiato al
suo indirizzo. Il gattino si era così spaventato che si era svegliato e
artigliato alla testa di Hisashi e da lì non era ancora sceso. Per
fortuna per tornare a casa aveva preso stradine secondarie sgombre,
altrimenti non riusciva ad immaginare la reazione della gente a veder
passare un gigante di 185 centimetri con un gatto
abbarbicato sulla testa che poteva sembrare tranquillamente un cappello.
<< Non ti sembra il momento di scendere Megane? Qui non ci sono
cani, te lo assicuro. >>
Hisashi prese in mano il gattino tremante e lo sistemò sul divano.
Non fece in tempo a fare un passo che lo sentì arrampicarsi sui suoi
pantaloni.
<< Abbiamo proprio paura, eh Megane? Va bene, ma non ti sistemare
sulla mia testa. >>
Hisashi fece vedere, al gattino, tutte le stanze, in modo da prendere
possesso della casa, si diceva. Il gattino osservava la casa dalle braccia
di Hisashi e miagolava appena uscivano da una stanza per entrare in
un'altra, come a dare il suo assenso.
La situazione non cambiò neppure quando iniziò a cucinare. Il piccolo
micio restava appollaiato sulla sua spalla, mentre Hisashi, con la cura di
un cuoco, per la prima volta dopo tanto tempo, riprendeva dimestichezza
con una parte della sua vita che aveva cancellato.
Cucinò da grande esperto una cena completa, come quelle che preparava
Toru quando si riunivano a casa di qualcuno. Senza neppure rendersene
conto, apparecchiò per due e si sedette al tavolo.
<< Ma che. ? >> e scoppiò a ridere.
Inconsciamente aveva considerato il gattino un essere umano e aveva
apparecchiato, oltre che cucinato, per due. Prese allora la ciotolina del
gatto e la appoggiò sul tavolo, riempiendola con ciò che lui non
considerava "pericoloso" per un micino così piccolo.
<< E' giusto che anche tu possa assaggiare le prove di cucina del
Gran Cuoco Hisashi Mitsui. >> il gattino guardò per un po' quella
ciotolina e poi il suo padrone, come a voler accertarsi che fosse qualcosa
di commestibile.
<< Stai tranquillo, Megane. E' tutto ottimo. >> e così
cominciarono quella strana cena.
Finito di cucinare si sedettero un po' sul divano e Mitsui prese la
sua chitarra. Mentre le note delle canzoni si diffondevano per tutta la
stanza, il piccolo Megane si addormentò sulle sue gambe e non si svegliò
neppure quando Hisashi lo prese e lo portò in camera, dove dormì sul suo
cuscino.
<< Che cosa hai lì Toru? >>
Minako, la figlia dei signori Hasugi, era, per natura, una bambina tanto
curiosa quanto impertinente. Si avvicinò, trotterellando, verso l'alto
giocatore dello Shohoku, per osservare cosa quel gigante tenesse con tanta
cura tra le mani.
<< E' un gattino Minako. >>
La piccola si sporse per vedere meglio e i suoi occhi si allargarono
all'inverosimile quando incontrarono quelli di Emerald. Accarezzò
lentamente il gattino, quasi temesse di romperlo con un gesto inconsulto,
poi guardò Toru e il suo sorriso si allargò di più.
<< Sono contenta che ti piacciano i gattini, così quando ci
sposeremo avremo una casa piena di tanti animali diversi!>> e,
senza neppure dargli il tempo di replicare, gli stampò un bacio veloce
sulla guancia e scappò a casa.
Toru rise dolcemente alle trovate della piccola innamorata di lui. La
mattina, per esempio, prima di andare a scuola, passava sempre da casa sua
ad augurargli il buon giorno e Toru l'accoglieva con il suo sorriso più
sincero. Quella bambina gli faceva molta tenerezza. Se avesse avuto una
sorellina più piccola, l'avrebbe voluta tale e quale a lei.
<< Mi dispiace Toru per il disturbo che ti crea sempre mia figlia.
>>
<< Non si preoccupi signora Hasugi. >> disse scrollando la
testa l'alto giocatore: << Minako è una bambina molto simpatica e
mi fa compagnia. >>
La madre di Minako era una bella donna che non aveva ancora neppure 29
anni. Si era sposata giovanissima e subito aveva avuto Minako. Da poco
aveva avuto un altro bambino, Shun, e Minako aveva sofferto per
quell'intrusione negli affetti e così si era ancor più affezionata a
lui. Toru l'aiutava a fare i compiti e la sgridava quando faceva i
dispetti al fratellino più piccolo, come per esempio togliergli il
ciuccio e nasconderglielo. Era una sorta di fratello maggiore,
qualcuno che, comunque si fossero evolute le cose, non le avrebbe mai
negato una carezza.
Entrato nella grande e vuota casa, il gattino scese dalle braccia di Toru
ed iniziò ad esplorare l'abitazione. Toru guardò attento il gattino fare
passi sicuri e certi, come conoscesse già l'abitazione, poi lo sguardo
gli cadde sull'orologio del salotto.
<< Si è fatto proprio tardi. >>
Si avvicinò al micino e lo prese in braccio.
<< Ora devo uscire per andare a fare la spesa. Purtroppo non la
faccio da almeno tre giorni e il frigo è vuoto. Tu aspettami qui ok?
>>
Il micino miagolò e leccò il viso di Toru, che sorrise e lo appoggiò
sul divano.
Quando il ragazzo fu fuori, il micino continuò l'esplorazione dalla casa
e si adagiò sul gran letto dalle lenzuola blu addormentandosi.
Toru analizzava il cibo in scatola negli scompartimenti del supermercato.
Fra gli ingredienti c'erano così tanti nomi che non conosceva e
sicuramente molti di loro corrispondevano a sostanze chimiche. Ruotò la
testa da un lato all'altro dello scaffale, ma le lattine sembravano tutte
le stesse.
Alla fine prese del latte, dei biscottini per gatti e degli ingredienti
per cucinare cibi sani al nuovo venuto. Dopo tanto tempo si sentiva così
contento da non crederci. Occuparsi di qualcuno era elettrizzante, lo
aveva già provato con la piccola Minako. Adesso si sarebbe occupato di un
gatto così piccolo da aver assoluto bisogno di lui, della sua protezione.
Giunto a casa trovò Emerald all'ingresso, addormentato vicino alle sue
pantofole. L'aveva aspettato lì e Toru si commosse. Come facevano a dire
che gli animali non avevano sentimenti, non avevano anima?
Quel piccolo gatto forse era più umano di certa gente che conosceva.
Il micio riconobbe subito l'odore del ragazzo, infatti si svegliò appena
Toru fu dentro.
<< Ti ho portato cose buone da mangiare. >>
Il micino lo seguì in cucina, dove Toru cominciò ad armeggiare con gli
attrezzi da cucina. Forse i suoi genitori non erano stati il modello di
famiglia perfetta, ma gli avevano infuso la passione per la cucina e la
fantasia nella scelta degli alimenti.
Toru armeggiò lì per almeno una mezz'oretta. Quando ebbe finito, sul
tavolo sistemò dei cibi che avrebbero fatto impallidire un cuoco esperto.
Sistemò in un piattino più piccolo ciò che aveva cucinato per Emerald e
insieme cenarono nella più assoluta tranquillità.
Quella sera chiamarono i genitori da Parigi e, dopo tanto tempo, Toru si
sentì così in pace da riuscire a portare a termine una conversazione con
loro senza soffrirne. Erano pur sempre i suoi genitori e, anche se non
c'erano quasi mai con lui, lo pensavano ovunque andassero, telefonandogli
anche alle tre del mattino incuranti dei vari fusi orari.
Anche il piccolo Emerald si addormentò ben presto sul petto di Toru, a
sua volta addormentatosi sul divano, dopo aver visto sì e no metà
partita di basket registrata la sera prima.
Quando Shinichi giunse a casa, ad aspettarlo fuori dalla porta trovò
Emily, figlia di amici di famiglia da poco trasferitisi in Giappone per
questioni di lavoro.
Emily era, a detta di tutti, una ragazza molto bella. Aveva lunghi capelli
di un castano chiaro e occhi verdi, nonostante fosse di padre giapponese.
Aveva un sorriso accattivante che infrangeva i cuori dei suoi compagni di
classe ed era anche molto intelligente. In definitiva, era proprio la
ragazza che ogni ragazzo sognava di incontrare, eppure a Shinichi non
piaceva, almeno non in quel senso.
Conosceva Emily da quando erano piccoli. Erano cresciuti come fratello e
sorella, molto uniti, forse fin troppo. Era sempre stato bene con lei,
finché non aveva notato qualche cambiamento nel suo modo di fare. Emily
era diventata più invadente, lo chiamava anche quattro volte al giorno,
la trovava dietro la porta di casa sua al ritorno da scuola e prima di
andarci. Si autoinvitava a cena e frugava nella sua cassetta delle
lettere. Shinichi non era poi così sciocco e aveva capito cosa provasse
Emily e per questo, in quegli ultimi mesi, adducendo la scusa degli
allenamenti pesanti, aveva
cercato di evitare ogni loro incontro. Si sentiva a disagio in una stanza
con lei. Lei aveva sempre aspettato a casa che il telefono squillasse, ma
invano. E ora era davanti alla sua porta e lui sapeva il perché. La madre
di Emily gli aveva raccontato che una prestigiosa scuola europea le aveva
offerto una borsa di studio per un periodo di due anni. Avrebbe dovuto
trasferirsi a Londra, ma qualcosa la frenava. All'inizio Emily era stata
felice della proposta, ma in un secondo tempo aveva pensato di rifiutare,
con somma disperazione dei genitori che non sapevano più cosa pensare.
Shinichi sapeva però cosa spingeva Emily a rifiutare quell'offerta e si
sentiva in colpa.
<< Shin-kun, finalmente sei arrivato. >> la ragazza gli corse
incontro gettandogli le braccia al collo.
Tempesta mugolò di disappunto.
<< E questo da dove spunta fuori? >> domandò Emily additando
il gattino.
<< Entriamo dentro che te lo spiego. >>
Emily si accomodò nell'ampio salone, mentre Shinichi, in cucina,
preparava del the con i biscotti. Tempesta, il piccolo gattino, era seduto
sul divano e scrutava con sguardo non molto benevolo, la nuova arrivata.
Emily si muoveva nervosamente sulla poltrona. Quel gatto dagli strani
occhi lillà, la faceva sentire in imbarazzo. In effetti non era solo
quello, ma quegli occhi così profondi che sembravano non appartenere a
nulla di terrestre, la facevano sentire male. Sembrava che la osservassero
con ostilità. Per fortuna Shinichi tornò presto dalla cucina con un
vassoio pieno di cibarie. Il piccolo gattino, appena vide Shinichi sedersi
sulla poltrona vicino a quella della ragazza,
scese dalla sua postazione e saltò sul grembo del ragazzo.
<< Ti è molto affezionato. >>
<< Sì. Lui e i suoi fratelli li abbiamo trovati in un sacco della
spazzatura ieri pomeriggio. Io e i miei compagni di squadra. Ne abbiamo
preso una a testa. Sono tutti molto belli. >>
<< Come si fa ad abbandonare un gattino? >> chiese inorridita
la ragazza, sorseggiando il the.
Cercò di accarezzare il gattino, ma questi, appena la vide avvicinarsi,
allungò la zampetta per graffiarla.
<< Quel gatto non mi sopporta. Cerca di allontanarmi. Come il
padrone. >>
Shinichi smise di sorseggiare il the.
<< Emily... Mi dispiace. >>
<< Non è vero. Se tornassi indietro lo rifaresti, lo so io e lo sai
tu. E così farei io. Odio queste scene patetiche e probabilmente fra poco
mi metterò a piangere, quindi devo sbrigarmi a dirti ciò che devo, non
voglio scoppiare a piangere davanti a te. >>
La ragazza prese un cuscino e lo strinse forte. Shinichi si alzò dalla
poltrona e le si avvicinò, appoggiandole una mano sulla spalla.
Emily si alzò di scatto e lo abbracciò. Si morse un labbro per non
piangere e si strinse più forte che poteva al ragazzo. Quando, poco dopo,
si allontanò, si sedette sul divano e fece segno a Shinichi di sedersi
accanto.
<< Io l'ho capito, lo sai? Beh a dire il vero sarei stata proprio
una stupida a non accorgermene, visto che rifiutavi anche il più piccolo
contatto con me, come avessi qualche malattia infettiva. >>
Shinichi le strinse la mano, come a chiederle scusa. Si sentiva così
stupido. Per tutto il tempo aveva pensato solo a lui, al modo migliore per
non sentirsi in imbarazzo e non aveva pensato ad Emily, la sua compagna
d'infanzia, la ragazza con la quale aveva vissuto tutta la sua vita fino a
quel momento. Aveva considerato Emily come tutte quelle ragazzine che gli
scrivevano lettere profumate ogni sera e che le stipavano nel suo
armadietto. L'aveva considerata una scocciatura, ammise tristemente.
Guardò un attimo Emily mentre lei, nel tentativo di non piangere,
continuava a torturarsi il labbro inferiore con piccoli morsi. Era molto
bella, più di tutte le ragazze che aveva conosciuto in vita sua. Era
molto intelligente, era spiritosa e sensibile. Eppure, nonostante tutti
questi pregi, non riusciva a vedere in lei altroché la sua migliore
amica.
<< Io mi sono innamorata di te Shinichi. Non chiedermi quando è
accaduto, perché non saprei che risponderti. E' successo che una mattina,
svegliandomi e guardando la foto di noi al mare con le nostre famiglie,
sai quella appesa sul muro, non ti ho visto più come il mio migliore
amico, ma come la persona che più amo in vita mia. Ma per te non è lo
stesso, lo so. >> fece una breve pausa, Shinichi avrebbe voluto dire
qualcosa, ma rimase in silenzio: << Ho pensato
molto a noi, da quel giorno in poi. Ho cercato di capire cosa provassi per
me, ma non vi ho trovato nulla, forse solo l'amicizia. Forse. Non ho più
la forza per vedere se fra noi possa un giorno nascere qualcosa. Mi sono
stancata d'amare per tutti e due. Tu mi hai fatto soffrire Shinichi, ma
non posso neppure biasimarti e non sono venuta qua per farti sentire in
colpa. >>
Emily liberò le mani dalla stretta di Shinichi, prese la giacca della
divisa scolastica e la borsa della scuola.
<< Fra qualche giorno parto per Londra, ero venuta a dirti questo.
Ho pensato di inseguire i miei sogni. Spero che tu possa essere felice e
lo spero pure per me. Magari lì incontrerò qualcuno che sappia farmi
sorridere. Ti voglio bene Shinichi, te ne voglio tanto. >>
Detto questo si abbassò su di lui e gli sfiorò le labbra con le proprie.
<< Volevo dare il mio primo bacio al mio primo amore. >>
<< Emily. anche io ti voglio bene, ma come un'amica e sulla nostra
amicizia non devi mai dubitare, hai capito? Mi sono comportato male, da
codardo. La verità era che non volevo farti soffrire e invece ho
combinato un casino. Resteremo amici? >>
La ragazza annuì e uscì da quella casa. Shinichi rimase a guardare le
due tazze con il liquido dorato. Tempesta gli saltò addosso e cominciò a
leccargli la faccia.
<< Non ti preoccupare micino. Stando con me scoprirai che sono un
concentrato di cattive maniere, perciò, se dovessi trattarti male, hai il
mio permesso di graffiarmi o mordermi. >>
<< Miao. >> miagolò in risposta il micio.
Shinichi tornò in cucina. Sul grande tavolo c'era un biglietto di Mariko,
la governante assunta dai genitori. Gli aveva preparato già la cena, in
puro stile giapponese.
Shinichi apparecchiò la tavola nel gran soggiorno e divise in due i
piatti preparati da Mariko. Pensò che avrebbe potuto invitare anche
l'Esercito della salvezza, vista la gran quantità di cibo.
Cenarono in silenzio, poi si sistemarono nel gran letto dalla stanza di
Maki, Shinichi con le spalle appoggiate al muro e Tempesta sulle sue
gambe.
Shinichi accarezzò il gattino con lente carezze. Sembrava che quel
gattino turbolento stesse riflettendo su qualcosa, talmente era
silenzioso.
<< Pensi ai tuoi fratellini? Non ti preoccupare. Staranno benissimo.
>>
In breve si addormentarono, cullati dal rumore della pioggia che scendeva
lenta sui muri delle case.
Akira tornò a casa che ancora non aveva trovato il nome al gattino.
La sua faccia era piena di graffi. Kaede si era lamentato dell'eccessiva
litigiosità del suo gatto, ma anche quello che aveva fra le braccia non
scherzava. Ogni volta che sceglieva un nome, lui lo graffiava, neanche
riuscisse a capire cosa stesse dicendo. Entrò sbuffando e lanciando la
cartella sul divano.
Si tolse le scarpe con ancora il gattino in mano e diede un'occhiata di
sfuggita alla casa. Era come sempre vuota e silenziosa, ma ormai vi era
abituato. Entrò subito in camera sua per cambiarsi d'abito e mettersi
qualcosa di più comodo. Appoggiò il gattino sul letto e cominciò a
cambiarsi.
<< Uhm. pare che tutti i nomi che trovo per te non ti piacciano. Ma
un nome devo dartelo. Come potrei chiamarti? >> chiese più a se
stesso che al piccolo gattino.
Poi ebbe un'illuminazione. Si voltò di scatto verso il piccolo gatto che
camminava a tentoni sul grande letto. Lo prese in braccio e lo
avvicinò al suo volto.
<< Ho trovato! Ti chiamerò Hiroaki, Hiro-kun! >>
Analizzò per un attimo le reazioni del gatto e sorrise pensando di aver
trovato il nome adatto. Sistemò nuovamente il gatto sul letto e continuò
a cambiarsi.
<< Avevo un amico immaginario quando ero piccolo, si chiamava
Hiroaki. Non è un bel nome? Io lo chiamavo sempre Hiro-kun. Non era molto
gentile e non faceva mai ciò che gli dicevo. Metteva subito il broncio
quando... >> e scoppiò a ridere: << Lo vedi? Continuo a
considerarlo reale! Mi sentivo molto solo quando ero piccolo, però ora ci
sei tu, piccolo Hiroaki e sono sicuro che ci troveremo bene insieme.
>>
Prese nuovamente il gattino in mano e canticchiando scese le scale.
Il gatto era ballonzolato da una parte all'altra ma non sembrava
preoccuparsene, anzi sembrava che gli piacesse.
Akira si ritrovò in cucina guidato dal suo stomaco e cercò di cucinare
qualcosa, ma in cucina era proprio una frana. Dopo un'ora di prove e due
padelle affumicate, decise di chiamare il ristorante lì vicino e ordinare
qualcosa a base di pesce.
<< A te dovrebbe piacere il pesce, no? Mi dispiace Hiro-kun, ma sono
un disastro in cucina, vado avanti a piatti surgelati e roba di
ristoranti, però >> disse in tono solenne: << prometto che,
da ora in poi, proverò a migliorare in cucina. Non posso certo lasciar
morire di fame il mio nuovo amico non immaginario. >>
Nell'attesa dell'arrivo dell'inserviente, che avrebbe portato la cena,
Akira e il piccolo Hiro si misero a guardare un programma in tv. Hiro si
addormentò subito, mentre Akira rimase a guardare, non più la tv, ma la
piccola creatura che dormiva vicino a lui.
Ricordava ancora il giorno in cui aveva incontrato Hiro. Andava in seconda
elementare. Era ancora piccolo, ma la sua altezza superava quella dei
ragazzini delle classi superiori, per questo era tenuto a distanza dai
compagni di classe.
Un pomeriggio, all'uscita della scuola, decise di passare dal piccolo
parco giochi del parco vicino casa e lì lo vide. Era più piccolo di lui
e si dondolava sull'altalena, come aspettasse qualcuno. Quando si
avvicinò di più, il bambino gli corse incontro e gli sorrise.
<< Mi chiamo Hiroaki. Ti stavo aspettando. Ti va di essere mio
amico?>>
Solo questo, ma al piccolo Akira parve che il terreno sotto i suoi piedi
si fosse trasformato in una soffice nuvola. Quando tornò a casa, tutto
allegro e sorridente, provò a presentarlo alla madre e al padre, ricchi
industriali.
<< Ma cosa dici Akira? Qui con te non c'è nessuno. >>
I genitori lo portarono da vari specialisti e tutti gli risposero che era
normale, per un bambino della sua età, avere un amico immaginario. Eppure
per lui era reale, almeno quanto i genitori e la vecchia governante.
Possibile che non esistesse davvero? Eppure Hiro glielo aveva spiegato.
Nessuno, escluso lui, poteva vederlo. Da quel momento non fece più caso a
niente. Era felice di avere un amico così speciale, che potesse stare
solo con lui, che volesse bene solo a lui.
Allungò la mano verso il piccolo gattino e constatò che il suo calore
era come quello di Hiro. Aveva fatto bene a dargli quel nome, era come se,
quell'amico immaginario, scomparso un giorno all'improvviso, fosse tornato
a tenergli compagnia.
Il campanello suonò un paio di volte prima che Akira si decidesse ad
alzarsi e andare ad aprire.
Il commesso del negozio lo guardò sbalordito. In effetti non era da tutti
essere alto un metro e novanta. Pagò in fretta il conto e si diresse in
salotto.
Cenarono sul divano, uno accanto all'altro. Akira ogni tanto allungava il
braccio per accarezzare quel pelo liscio come la seta e in quel momento il
micino alzava il viso e miagolava. Ascoltarono un po' di musica sdraiati
Akira sul divano e il piccolo Hiro sul suo petto, mentre una mano lo
accarezzava. Era così piccolo, pensava Akira, eppure qualcuno non si era
fatto scrupoli ad abbandonarlo.
Come aveva potuto farlo? E se non li avessero trovati loro? Sarebbero
morti soffocati. Erano così piccoli che non ce l'avrebbero fatta a
sopravvivere.
Allungò la mano fino ad afferrare il bicchiere di cola sul tappeto.
Il respiro del micino era calmo e regolare, probabilmente si era
addormentato in quella posizione. Akira si sistemò meglio sul divano e si
addormentò. Per la prima volta, dopo tanto tempo, tranquillo e sereno.
Quella notte i ragazzi non sognarono nulla.
Fecero un lungo sonno riposante e il mattino dopo si svegliarono più
energici di prima. Si ritrovarono davanti al cancello principale dieci
minuti prima dell'inizio delle lezioni e cominciarono a chiacchierare.
Nessuno di loro parlò del sogno che quella notte non si era ripetuto. I
ragazzi si raccontarono dei gattini e di come si erano comportati. Tutti
risero immaginandosi Hisashi con il Megane sopra la testa a mo' di
capello. Hisashi tenne per un po' il muso, ma poi, ripensando al giorno
prima, rise pure lui. Shinichi chiese a Kaede cosa avesse
fatto il Do'hao e, quando il ragazzo rispose che si era limitato a
rimpinzarsi, si misero nuovamente a ridere. Il viso di Akira parlava da
solo, invece. Eppure tutti si stupirono quando rivelò di aver trovato un
nome al gattino e soprattutto a sapere il nome. Hiroaki.
Non era di certo un nome per un gatto, ma era sempre meglio di tutti i
nomi che gli erano venuti in mente il giorno precedente. E poi il gattino
sembrava gradire.
Da lontano la manager dello Shohoku osservava, non vista, gli alti
giocatori. Era contenta che fossero tornati quelli di un tempo. Lei e
l'allenatore Anzai si erano parecchio preoccupati e per questo avevano
inventato la storia della tubazione rotta. Per fortuna sembrava aver
funzionato.
Sospirò e si avvicinò al gruppo.
In quel periodo anche lei si sentiva strana. Aveva come la sensazione che
qualcuno la seguisse. E poi c'era quel sogno. Lo stesso tutte le notti.
Scosse la testa per non pensarci e entrò in classe.
FINE SECONDA PARTE
Scleri finali dell'autrice che soffre di DMP (ovvero: deformazione mentale
permanente.):
Autrice guarda compiaciuta la ff: bene bene. la situazione si sta
evolvendo.
Ru: allora? Dov'è Hana?
Autrice gongolante: abbi un po' di pazienza. sto preparando una sorpresa
per tutti e cinque. Alla fine mi ringrazierete, ne sono certa.
Ru: non ne sono così convinto. Non fai altro che combinare pasticci TU!
Autrice: bene. vorrà dire che, se non la smetti con tutte le tue
lamentele, trasformo il rating da PG in deathfic. Bwahahahahahah!
Ru: maledetta!
Autrice: hai detto qualcosa Ede?
Ru: sì! Ho detto che tu mpheotncentk..
Autrice: ?__?
Akira che aveva tappato la bocca di Ede: ma nulla Autrice!
^_________^
Toru: siamo così contenti quando scrivi tu!
Shin: ogni tua parola è poesia!
Hisa: specie se parla di me e Kimi-kun. ehm. volevo dire: sempre e
comunque.
Autrice: smettetela di fare i lecchini! Tsè! Vabbè torno a scrivere.
Tutti: finalmente!
Autrice: dopo la merenda! ^o^
Magic Five: e ti pareva! ¬__¬
Autrice: i declaimers li conoscete. Che altro dire? Nulla, solo che spero
che la storia vi sia piaciuta.
Un bacionissimo!
Alla prox!
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