Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono neanche un po’. La signora Rowling ne dispone come meglio crede, io ci gioco a tempo perso, senza pretese e senza fini di lucro.



Harry Potter e il cervello che non ha

parte XXVI

di Sourcreamandonions

 

In cui assistiamo ad una sequela infinita di tragiche rivelazioni

Harry si svegliò e sbadigliò. Sentiva un peso sul petto e, socchiudendo gli occhi, vide che altro non era che la testa di Draco che ancora gli dormiva addosso. Durante la notte apparentemente avevano cambiato posizione nel sonno e ora Draco se ne stava col capo sul suo petto e un braccio buttato attorno alla sua vita. Era davvero bello pensare di essere il suo cuscino. Un’altra stranezza da annoverare tra quelle della notte precedente, pensò il Gryffindor. Draco era stato quasi più partecipe di lui e gli era sembrato che si fosse lasciato andare alla passione così come alla tenerezza come mai prima aveva osato. La cosa naturalmente non poteva che fargli un piacere infinito, perché lo faceva sentire, ebbene sì, amato. Harry stiracchiò le gambe, strizzando gli occhi, e sbadigliò pigramente un’altra volta. Non sapeva che ora fosse ma era la prima volta che gli capitava di svegliarsi prima di Draco e senza destarlo dal suo sonno tranquillo. Harry gongolò per un paio di minuti, deliziato da tutto ciò che gli stava capitando. I suoi pensieri amorosi vennero disturbati dal suo stomaco, che emise un gorgoglio sonoro. Si rese conto che aveva una fame da lupi e gli sovvenne che potesse essere più tardi di quanto pensasse. Solo che come poteva scoprire che ore fossero? Tese l’orecchio e sentì nel silenzio perfetto della stanza una specie di ticchettio che prima non aveva notato, ma d’altronde quella stanza era magica e l’orologio avrebbe potuto essere apparso all’improvviso solo perché lui così aveva desiderato. Mosse la testa a destra e a sinistra, indeciso sul da farsi e ancora intontito dal sonno, poi vide vicino a sé la bacchetta di Draco e allungò una mano per afferrarla.
“Accio occhiali,” pronunciò piano per non svegliare il compagno, e quelli di scatto gli volarono in mano.
Li inforcò e si guardò attorno, cercando l’origine del ticchettio. Dopo poco individuò una specie di antico pendolo sul muro dove era certo prima non esserci niente. L’orologio segnava mezzogiorno e un quarto. Harry si strofinò gli occhi incredulo. Già era sconvolgente che lui avesse dormito fino a quell’ora, ma che Draco stesse ancora dormendo… Avrebbero fatto meglio a darsi una mossa, comunque, perché presto sarebbe stata ora di pranzo.
Sbadigliò e abbassò lo sguardo sui capelli biondi di Draco che gli solleticavano il petto. Era bellissimo ed emanava un profumo delizioso e inebriante, incomprensibile dopo una notte come quella passata. Delicatamente si puntellò con le mani e si tirò un po’ su, scivolando via da sotto il suo corpo. Distrattamente notò un’ombra scura sul braccio che gli cingeva la vita. Ancora quel cavolo di graffio, pensò, e sembrava peggiorato. Scosse la testa. Non si capacitava di quale fosse la parte dell’allenamento degli Slytherin che produceva nel compagno tutti quei segni, ma la cosa non gli piaceva per niente. Pensando ad altri segni si guardò il petto, dove la testa di Draco era scivolata un po’ più in basso scoprendo un segno tondeggiante marroncino. Gli aveva piazzato proprio dei bei morsi, constatò Harry sorridendo. Abbassò lo sguardo sulla pancia per vedere che segno gli avesse lasciato in quel punto e si pietrificò. Gli sembrò che tutta la sua persona si fosse tramutata in ghiaccio. Involontariamente lo sguardo gli era caduto sul braccio di Draco, e più precisamente sulla parte più bassa, vicina al polso, e aveva visto. Il graffio. Altro che graffio! Era un segno nero, un marchio che avrebbe riconosciuto ovunque. Il Dark Mark. Ciò che contraddistingueva ogni singolo Death Eater.
Harry chiuse gli occhi, scuotendo la testa. Doveva esserci un errore, non poteva essere. Forse era un sogno o forse era ancora frastornato e stava avendo le visioni. Era inconcepibile che Draco… Riaprì gli occhi e li riabbassò sul braccio, dove ancora spiccava il marchio di Voldemort. Harry allungò una mano per toccarlo e quando i suoi polpastrelli sfiorarono la pelle in rilievo la ritirò in fretta, come se si fosse scottato. Lentamente si tirò indietro, mettendosi seduto.
I suoi movimenti sembrarono svegliare finalmente lo Slytherin, che si mosse, strofinando il viso contro di lui, e poi aprì gli occhi. Vedendolo Draco sorrise, un sorriso che appariva sincero e rilassato, e mormorò “Buongiorno.”
Harry non rispose, l’espressione sul volto impassibile, una statua di cera. Draco, ancora intorpidito dal sonno, non sembrò farci caso, anzi si sporse un po’ in avanti per baciarlo teneramente sulle labbra, ma il Gryffindor si ritrasse. Allora Draco sembrò percepire che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa che non andava. 
Corrugò la fronte, cercando con le poche forze mattuttine di mettersi a sedere, e biascicò “Che c’è?”
Harry non rispose, ma si ritrasse ancora di più, sedendosi contro la testata del letto e raccogliendo le proprie gambe al petto, lo sguardo fisso sul braccio che ancora lo ipnotizzava. Draco fece ancora una faccia turbata, non capendo, poi seguì il suo sguardo e tutto gli fu più chiaro.
“Oh, cazzo…” esclamò in un sussurro, istantaneamente sveglio.
Harry si strinse le gambe con le braccia in una posizione quasi difensiva.
“Dimmi che è uno scherzo,” mormorò con un filo di voce.
Draco si passò una mano fra i capelli, nervoso.
“Potter…” cominciò, ma non ebbe il tempo di formulare una spiegazione o una storiella decente, perché il Gryffindor lo interruppe.
“Dimmi che è uno scherzo!” gli gridò Harry, gli occhi spalancati.
Draco lo fissò in silenzio.
“Dimmi che è un cazzo di scherzo di merda!” continuò a gridare Harry, le labbra che gli tremavano.
Draco si limitò a sospirare. Ormai era inutile mentire e non gli sembrava ci fosse niente da spiegare. Si voltò a guardare la parete.
Una mano di Harry gli afferrò il braccio, facendolo voltare di scatto.
“Perché?” gli urlò in faccia Harry, poi ancora, quasi implorante, “Perché?!?”
Draco gli afferrò la mano e gliela tolse dal proprio braccio, tenendola in mano, ma il Gryffindor la ritrasse come schifato.
“Potter, non venirmi a dire-” cominciò a dire calmo, ma Harry non sembrava in grado di ascoltare. 
“Cosa, Draco? Eh? Cosa?” gli urlò riabbracciandosi le ginocchia. “Ma quando cazzo pensavi di dirmelo?”
Draco deglutì.
“Hai sempre saputo con chi andavi a letto, non mi fare adesso le scene isteriche,” disse irritato dalla situazione che non riusciva a gestire.
“Cosa, sapevo? Ma come cazzo facevo a saperlo? Me lo sognavo di notte? Me l’hai detto mentre dormivo?”
“Oh, piantala!” sbottò Draco. “Non è che tu mi conosca da un anno! Sapevi perfettamente chi fossi e chi fosse mio padre!”
“Certo! Scusa! È colpa mia! Come ho potuto immaginare che tu fossi diverso?” esclamò sarcastico Harry.
Draco sbuffò e si voltò dall’altra parte.
“Cosa aspettavi a uccidermi? Sei venuto a letto con me per avere l’occasione giusta? Perché mi sembra che tu ne abbia già sprecate parecchie. A quest’ora avresti già dovuto darti da fare…”
Ormai Harry blaterava parlando a ruota e anche se Draco avesse provato a fermarlo non sarebbe servito a niente. Lo Slytherin si limitò a portarsi una mano al viso e ad afferrarsi le tempie, attendendo che la finisse.
“O preferivi divertirti un po’ prima? Eh, immagino fosse bello poter dire che prima di ammazzarmi me l’hai messo nel culo…” 
Draco sentì l’incontenibile desiderio di andarsene da quella stanza, di mettere tra sé e Potter la maggiore distanza possibile. Com’era possibile che, dopo una notte bella come la precedente, si riducessero in questo modo?
“Guarda, non so neanche perché mi stupisco,” continuò a straparlare Harry. “Chiunque mi stia attorno o muore o cerca di uccidermi! Anzi, probabilmente è meglio così. Almeno, se proprio devo morire ammazzato, morirò bene.” 
Draco sentì che il respiro del Gryffindor farsi irregolare e si voltò a guardarlo. Spalancò gli occhi. Il ragazzo moro stava piangendo; le lacrime che gli rigavano il viso senza freni, ma non sembrava neanche essersene accorto.
“È il meglio che mi può capitare, no? Mi innamoro una volta di una persona, tanto vale che se proprio ci tiene mi ammazzi lui!” Tirò su col naso e continuò. “E io che mi facevo i problemi a dirti che ti amo! Che cretino! Io ero qui che pensavo a quanto ti amo e tu intanto ti organizzavi per uccidermi!” 
Era chiaro che stesse parlando da solo, ma Draco era come impietrito. L’aveva già visto piangere, ma mai così disperatamente. Si sentiva impotente, non sapeva cosa fare ma non riusciva neanche ad alzarsi e a mollarlo lì da solo col suo dolore. Sentirlo urlargli in faccia che lo amava in quel modo quasi lo anestetizzava alla consapevolezza del significato di quelle parole. Probabilmente Potter non si era neanche reso conto di ciò che gli stava confessando.
“Ma dimmelo, dimmelo che sono un imbecille!” gli urlò contro Harry, al limite della disperazione, poi si abbracciò le ginocchia e scoppiò in violenti singhiozzi che gli scossero tutto il corpo. 
Draco non sapeva cosa fare, però a questo punto era certo che non fosse il caso di lasciarlo solo. Era troppo scosso e l’essere abbandonato in quel momento sarebbe stata giusto la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Semplicemente se ne stette lì seduto ai piedi del letto a guardarlo chiedendosi che cazzo gliene fregasse di cosa avrebbe fatto Potter se l’avesse lasciato da solo e perché mai avrebbe dovuto sentirsi in colpa, perché un po’ in colpa si sentiva, per averlo fatto piangere in quel modo, visto che delle sue scelte era ancora convinto. Aveva fatto la cosa migliore, non c’era dubbio, altrimenti che scelte avrebbe avuto? Forse i metodi di Lord Voldemort non erano proprio convenzionali, ma ciò a cui aspirava era ciò che avrebbe voluto vedere realizzato lui quanto suo padre. 
Dopo qualche minuto di singhiozzi ininterrotti il pianto di Harry diminuì di intensità, riducendosi a un debole lamento. Draco sopportò di udirlo tirare su col naso sei volte di fila prima di allungarsi, recuperare i propri pantaloni dal pavimento di fronte al letto ed estrarre da una tasca il proprio fazzoletto. Senza dire niente lo allungò al Gryffindor, sfiorandogli leggermente la mano per farsi notare. Harry non lo guardò, ma accettò il fazzoletto e vi si soffiò il naso rumorosamente, scatenando una faccia schifata in Draco, poi vi si asciugò gli occhi. Dieci secondi dopo aveva ricominciato a piangere, vanificando il gesto di poco prima.
Draco lo guardò di sottecchi, valutando il suo stato.
“Potter…” osò piano.
Harry non gli rispose per qualche secondo, poi tirò su col naso e pronunciò uno scocciato “Eh?”
“Finito?”
Harry sbuffò. Draco non avrebbe saputo dire se fosse stato più irritato o sfinito.
“Cosa vuoi?”
“Niente.”
“Non sei mica costretto a star qua,” gli rispose in malo modo Harry, soffiandosi nuovamente il naso.
Il fazzoletto profumava di Draco. Non poté trattenersi dal mettersi di nuovo a piangere.
“Lo so,” rispose semplicemente Draco, ma non si mosse.
Harry strinse il suo fazzoletto in mano, poi alzò lo sguardo sullo Slytherin. Draco si sentì sprofindare di tre metri sotto il suolo. Incredibile, ma in quegli occhi, dietro alla rabbia e alla delusione, leggeva ancora affetto.
“Non te lo posso ridare il fazzoletto,” mormorò Harry, facendo un profondo respiro.
Draco alzò le spalle ma non distolse lo sguardo. Fu Harry ad abbassarlo. 
Ci fu un attimo di silenzio, poi Harry sussurrò “Tu mi vuoi ammazzare?”
La domanda era assurda quanto in fondo veritiera. Draco non poteva dargli torto, quello era ciò che avrebbe dovuto fare e che voleva fare fino a qualche mese prima. Ma ora…no, ora non più. Voleva tenerselo. Ci stava bene, non voleva disfarsene. Non sapeva come sarebbe stato possibile portare avanti la cosa, ma non voleva sacrificarlo inutilmente per la soddisfazione di un mago oscuro. Potter era suo e non voleva che lo toccassero. 
Fece un profondo respiro, poi sospirò “No.”
Harry fece una risatina. 
“Lo sai che hai un marchio da Death Eater sul braccio?” gli chiese ironico. “Magari non te ne sei accorto…”
“Certo che lo so, Potter,”sibilò Draco. Non sopportava il sarcasmo del compagno sull’argomento.
“E allora spiegami,” disse, alzando un po’ di tono la voce, “come cazzo è possibile, visto che l’unico scopo dei Death Eaters è di uccidermi!”
Draco strinse i denti, schermando le proprie orecchie dalla vena isterica nelle parole del Gryffindor.
“Non è solo quello,” rispose.
“Anche!” ribattè Harry.
“Oh, Potter, basta!” sbottò Draco. Sentì il respiro del compagno bloccarsi e respirò a fondo per calmarsi. “Non ti voglio uccidere. Vuoi che sia sincero con te? Ok. Volevo vederti morto, era la cosa che più desideravo, vederti morire e soffrire come un cane, possibilmente.” Udì un singhiozzo ma non si fermò. “Mi hai rovinato la vita, hai fatto sbattere in prigione mio padre, che ti aspettavi?” 
“Avete ucciso i miei genitori!” urlò Harry, ricominciando a piangere.
Draco lo guardò sorpreso. Evidentemente aveva sopravvalutato i suoi tempi di ripresa. Era ancora completamente sconvolto. Beh, un po’ aveva ragione… Attese che Harry si calmasse di nuovo, con conseguente soffiata di naso, poi riprese.
“Non ti voglio uccidere,” disse piano, fissandolo.
Harry alzò lo sguardo su di lui e lo fissò per qualche secondo. Poi scosse la testa.
“Vattene, Draco. Lasciami solo. Ho bisogno di riflettere un po’.”
Draco tentennò. Harry si asciugò gli occhi di nuovo e tornò a fissarlo.
“Va’ via, Malfoy!” esclamò con un po’ più di forza. Poi la sua voce tornò ad essere poco più di un sussurro. “Lasciami in pace. Non ce la faccio più…” Detto questo si rimise a piangere silenziosamente, incapace di trattenersi.
Draco lo osservò per un paio di secondi, poi si alzò, si vestì in silenzio e, gettandogli un’ultima occhiata, se ne andò.
Harry allora si concesse di ricominciare a singhiozzare rumorosamente. Si lasciò andare sul letto, abbracciando il cuscino e appallottolandosi su se stesso, e sfogò pienamente la sua disperazione.


Draco andò a pranzo ma non mangiò quasi niente. I suoi occhi ogni cinque minuti circa si fissavano sul posto vuoto al tavolo dei Gryffindor dove avrebbe dovuto sedere Potter. Immaginava fosse ancora nella stanza a piangere. Avrebbe dovuto andare a riprenderlo, forse, non poteva lasciarlo là tutto il giorno, ma non era neanche la sua balia, e poi lo aveva mandato via lui, che cazzo… E comunque non gli andava giù niente. 
Ron, dal canto suo, era piuttosto preoccupato. Harry quella mattina non era nel suo letto e probabilmente aveva passato fuori tutta la notte come faceva spesso ultimamente. Aveva pensato che si fosse incontrato con la sua misteriosa ragazza e che si fosse addormentato con lei da qualche parte, probabilmente rischiando di essere scoperto, ma quando non si era fatto vedere neanche per l’ora di pranzo aveva cominciato ad angosciarsi. Harry ultimamente era strano, l’aveva già detto più di una volta, ma non riuscire in nessun modo ad entrare nella sua testa e nella sua vita lo metteva a disagio. Avrebbe voluto sapere se, com’era probabile conoscendolo bene, si stesse mettendo in qualche casino senza via d’uscita, magari con Voldemort come protagonista. Mangiò di corsa, mettendo da parte qualche assaggino in caso avesse trovato il compagno affamato in camera al suo ritorno, e non appena ebbe finito tornò nei dormitori della propria casa per controllare se si fosse rifatto vivo. Non dovette attendere a lungo. Era sdraiato sul proprio letto quando vide la porta aprirsi e, dopo pochi secondi, Harry apparire da sotto il mantello dell’Invisibilità. La vista non gli piacque per nulla. Harry aveva i capelli più sconvolti del solito, gli occhi gonfissimi e rossi e un’espressione devastata. I vestiti erano tutti in disordine, come se si fosse vestito in fretta e furia, in mano portava il libro di Pozioni, cosa inconcepibile, e sul collo aveva un vistoso segno viola di natura indubbia. 
“Ma che hai fatto?” chiese stupito mettendosi a sedere sul letto.
Harry scosse la testa, sorridendo debolmente, poi, tutto ad un tratto, scoppiò a piangere. Ron lo osservò accasciarsi sul suo letto e singhiozzare come un bambino, sentendosi impacciato perché non sapeva cosa fare né cosa dire. 
Aspettò qualche minuto, poi sussurrò “Vuoi stare solo?” 
Harry scosse la testa debolmente e cercò di darsi un contegno respirando profondamente più volte. 
“No… Scusa…” biascicò passandosi una mano sul viso per asciugarsi.
Ron stava per chiedergli qualcosa ma in quel momento entrò Neville, che vedendo l’atmosfera plumbea si fermò sulla porta.
“Non volevo disturbare… Io…” si scusò il ragazzo, ma Harry gli fece cenno di entrare.
“Vieni, vieni, non ti preoccupare. Non stavamo dicendo niente di particolare,” lo rassicurò Harry.
Neville si recò al proprio letto e vi si sedette, mettendosi a trafficare tra le sue cose. Ogni tanto lanciava qualche occhiata dispiaciuta e preoccupata a Harry ma non disse niente. 
“Ti ho portato qualcosa da mangiare, in caso avessi fame,” disse Ron, tendendo ciò che aveva messo da parte.
Harry rifiutò.
“No, se mangio ora vomito,” sussurrò sorridendo. 
Ron fece un sorriso triste e vedendolo un po’ più calmo osò chiedergli qualcosa.
“È per…la tua ragazza?” chiese.
Harry sospirò, poi annuì. 
“Avete litigato?” chiese ancora.
Di nuovo Harry annuì.
Ron fece un’espressione comprensiva. Vedendo che Harry si stava rimettendo a piangere e non intendeva parlarne si alzò e fece per uscire.
“Allora ti lascio un po’ solo…” disse cautamente.
Harry annuì, tirando fuori dalla tasca un fazzoletto per soffiarsi il naso. 
Neville, che fino a quel momento era stato in silenzio sul suo letto, osservò il fazzoletto, sul quale erano ricamate in verde una D e una M, e con voce bassa lo chiamò. 
“Harry?”
Il ragazzo si voltò verso di lui con un’espressione interrogativa.
“Ti posso chiedere una cosa?” Neville domandò, poi guardò verso il ragazzo coi capelli rossi e aggiunse “Anche se c’è Ron?”
Harry si intimorì un po’ perché intuiva la natura della domanda, ma annuì.
Neville trasse un profondo respiro, come se dovesse dire qualcosa che gli metteva ansia, e disse “È Malfoy?”
Harry lo guardò stupito, e quasi in trance annuì, per poi ricominciare a piangere annuendo con più decisione.
Ron rimase fulminato sul posto. Non poteva credere alle proprie orecchie.
“C-cosa?” balbettò. “Cosa c’entra Malfoy?”
Harry sospirò, cercando per l’ennesima volta di darsi un contegno, e fra le lacrime biascicò “Non…non ce l’ho la ragazza, Ron… È Draco… Draco…” Non riuscì a ultimare la frase, ma il significato era chiaro.
Ron rimase basito, con la bocca aperta. Neville si alzò e in punta di piedi si defilò dalla stanza. Il ragazzo coi capelli rossi non ci fece neanche caso; era ancora assorbito nel processo mentale di comprensione della rivelazione inaspettata. Dopo quasi un minuto sembrò ritrovare la voce.
“Harry? Ma tu sei…gay?” chiese sconvolto.
Harry alzò lo sguardo, fulminandolo.
“Grazie per la comprensione, Ron, è proprio il momento adatto per fare commenti idioti,” lo rimproverò.
Ron deglutì.
“No, non volevo dire che… Ma non me l’avevi mai detto… Quando…? Malfoy?!?”
Ad Harry venne da ridere vedendo l’amico così sconvolto. Eh sì, forse era una notizia imprevedibile.
“Ron, non te l’ho mai detto perché non l’avevo appurato fino a…qualche mese fa,” disse Harry abbastanza calmo. “Non cercherò di violentarti nel sonno, tranquillo.”
“No, non pensavo…!” esclamò Ron arrossendo. Si sedette sul letto e chiese ancora una volta “Ma Malfoy?” 
Harry alzò le spalle.
“Cosa ti devo dire Ron? Se ti dovessi spiegare tutto dall’inizio ci vorrebbero sei settimane e comunque temo non ti farebbe molto piacere…”
Ron arrossì ancora di più. Era la verità, doveva ammetterlo.
“Ma è per lui che stai così?” chiese.
Harry strinse le labbra, poi annuì. Ron si scurì in volto.
“Ron, non è una delle solite questioni idiote per cui litighiamo con gli Slytherin. La storia tra me e Malfoy è andata molto più seriamente… Forse troppo…”
Ci furono un paio di minuti di silenzio, durante i quali entrambi i ragazzi sembrarono intenti a pensare, poi Ron sembrò avere una rivelazione.
“Ma allora, quando mi raccontavi della tua ragazza, che poi sarebbe…Malfoy… Non era vero niente, ti inventavi tutto.”
Harry sorrise tristemente.
“Più o meno. In realtà ti raccontavo tutte cose vere, modificando solo un paio di particolari qua e là e scambiando le parti.”
“Oh,” bofonchiò Ron, poi sembrò capire. “Oh!”
A Harry venne quasi da ridere.
“E quand’è cominciata questa storia?” chiese Ron. La curiosità era più forte del ribrezzo che il pensiero gli causava.
“Prima di Natale, anche se ha raggiunto la pienezza proprio durante le vacanze.”
Ron rimase a bocca aperta.
“Harry, ma è da…più di cinque mesi! E non mi hai mai detto niente!”
“Non volevo sconvolgerti, e poi non credo che Draco sarebbe molto contento di sapere che te l’ho detto…”
“E quindi da cinque mesi Malfoy è…il tuo ragazzo?”
Harry scosse la testa.
“No, non come intendi tu. Non stiamo insieme. Lo conosci Draco, lui è per niente coinvolgimento, niente responsabilità, niente sentimenti. Sesso. Facciamo sesso e basta. Praticamente è come se stessimo insieme comunque, ma senza implicazioni romantiche. In teoria…”
Ron era rimasto basito al sesso-e-basta. Fece una faccia sconfortata.
“Scusami, ma il pensiero di te e Malfoy che fate sesso mi…sconvolge un po’…”
Harry annuì, sorridendo.
“Immagino… A volte sconvolge anche me.”
“E ora stai così perché…ti ha mollato, o qualcosa del genere?”
Harry scosse la testa, nuovamente serio.
“No, non è stato lui. Ho solo scoperto un lato della sua personalità che non credevo esistere e…ci sono rimasto molto male. Mi ha ferito.”
Ron non trattenne uno sbuffo.
“Harry, quante facce può avere la personalità di Malfoy? Lo conosciamo da sei anni e da sei anni sappiamo che è un bastardo.”
“Non è vero!” esclamò Harry, poi sentì che doveva ridimensionare la sua difesa. “Cioè, il lato bastardo è quello che mostra a tutti, ma lui non è così. Quando è da solo, in camera sua, è molto più… Umano, Ron. Ha un sacco di qualità: è intelligente, preciso, ordinato, colto, simpatico,” vide la faccia incredula dell’amico ed esclamò “è vero! E poi a letto sa essere così dolce e sensuale e passionale… E poi è bellissimo…” Guardando in faccia Ron capì che forse aveva esagerato con questi ultimi particolari non rischiesti. 
Weasley sembrava sul punto di vomitare.
“Non so perché, Harry, ma il tuo Draco non mi convince per niente… Io ho visto solo uno stronzo e sarà così per sempre.”
“Non ti ho mica chiesto di innamorarti di lui,” disse Harry. “Ti sto solo dicendo che per me è diverso, punto. Io…mi sono innamorato.”
Ron si limitò a mugolare come di dolore. Harry non sembrò dargli peso, era perso nei suoi ricordi e nelle sue fantasie.
“Anche a me suona strano dirlo, ma dopo questi mesi passati con lui mi sento diverso…”
“Ci credo…” commentò Ron.
“No, non in quel senso!”
Ron lo guardò sospettoso. 
“Non è che stai diventando anche tu un fan di Tu-sai-chi, eh?”
“Ma ragioni?” lo rimproverò Harry. “Voldemort passa la sua vita a cercare di uccidermi… Mi dovrei suicidare.”
Ron, che alla menzione del mago oscuro aveva strizzato gli occhi come al solito, ci pensò su, poi annuì convinto.
“Allora quando sei stato male, alla fine delle vacanze di Natale, era sempre per lui?”
Harry annuì.
“Stesso motivo?”
Harry scosse il capo.
“No, mi aveva detto che non voleva più incontrarsi con me. Voleva troncare tutto.”
“E invece stavolta sei tu che hai deciso di troncare tutto.”
Harry sospirò.
“Non ho deciso niente, Ron. Non so cosa fare. Sono così confuso… C’ho pensato tutta mattina. Un momento mi dico che dovrei lasciarlo perdere-”
“La voce della verità.”
“- e quello dopo penso che se solo andassi in camera sua tutto cambierebbe prospettiva. Ma temo non sia così facile…”
“TU vai in camera SUA?” chiese Ron incredulo.
“Sì, tutto grazie ad uno dei miei regali di Natale, una specie di Portkey che ci collega.”
“E gli altri?”
“Quali altri?” chiese Harry corrugando la fronte.
“Crabbe, Goyle… I suoi compagni di stanza.”
A Harry sfuggì una mezza risata.
“I prefetti di Slytherin hanno delle camere singole,” disse.
Ron divenne viola in faccia.
“Maledetti! E io che ancora sono costretto a dividere la camera con voi!”
“Eh, Ron, ogni casa dà alle cose l’importanza che ritiene opportuna.”
“Quanto mi farebbe comodo una camera singola…” sospirò Ron, poi guardò Harry e notò che era tornato triste. “Ho detto qualcosa che…”
“No, niente, pensavo… Attività impropria per me, direbbe Draco.” Si zittì un attimo e una lacrima gli rigò la guancia. “È bello davvero avere una camera tutta per sé. Ce la siamo goduta praticamente tutti i giorni.”
“E prima di Natale come facevi ad entrare nella loro casa?” chiese Ron, pensando che farlo parlare potesse fargli bene.
“Ci incontravamo nella Stanza delle Necessità, quella che appare quando ne hai bisogno, hai presente?”
Ron annuì.
“A volte la usiamo ancora,” aggiuse Harry con voce rotta. “Tipo ieri notte, ci siamo fermati là a dormire.” Harry sospirò, cercando chiaramente di non rimettersi a piangere, ma con scarsi risultati. “Cazzo, era stato tutto così perfetto!” esclamò, asciugandosi gli occhi col fazzoletto. “Ma come ho fatto…” scoppiò in un paio di singhiozzi e nascose il viso fra le mani.
Ron era in crisi. Non sapeva se sfogarsi per Harry fosse un bene, ma la sua vista in quelle condizioni non era sopportabile e inoltre i particolari della sua storia con Malfoy lo stavano facendo star male. Non poteva accettare il pensiero che Harry, il suo amico Harry, se la facesse con quel bastardo di prima categoria, che nella vita non faceva altro che sputare veleno in faccia agli altri e a mettere i bastoni fra le ruote a tutti coloro che valevano qualcosa per non far notare quanto fosse squallido e inetto lui. Aveva bisogno urgente di vedere Hermione, di abbracciarla, baciarla e sentirsi normale.
Lentamente si alzò dal proprio letto e si avvicinò a Harry. Tentennò per un secondo, poi gli appoggiò una mano sulla spalla e la strinse leggermente per dargli conforto. Harry non smise di piangere, per cui piano piano lasciò la stanza in cerca della propria ragazza.
Quando Harry uscì dal dormitorio trovò Ron e Hermione seduti sul divano a confabulare. Quando lo videro arrivare, il viso nuovamente gonfio e gli occhiali, che era intento a pulire, in mano, gli sorrisero e Hermione gli chiese se si sentisse meglio. Harry alzò le spalle, sospirando. Si guardò intorno e individuò Neville a qualche metro da loro seduto ad un tavolo, intento a studiare. Lo chiamò, facendogli cenno di avvicinarsi, e si accostò a sua volta al divano.
Quando fu sicuro di non essere udito da estranei mormorò “Ragazzi, vorrei chiedervi se, per favore, poteste far finta di non sapere niente della storia… Capite cosa intendo…”
Tutti e tre annuirono. Hermione gli accarezzò un braccio.
“Cos’hai deciso di fare?” gli chiese preoccupata.
“Ho bisogno di un po’ di tempo, di starmene da solo… Ci devo pensare… Non è facile… Se potesse rimanere tutto fra di noi… Mi raccomando, ragazzi, se la cosa si venisse a sapere sarei rovinato e lo stesso sarebbe per Malfoy, o forse peggio.”
I ragazzi non sembrarono molto contenti di sentire il nome di Draco, ma annuirono, promettendo. Harry sorrise appena.
“Ora vado a farmi una doccia e magari un sonnellino prima di cena. Grazie, siete i migliori amici che mi potessero capitare.”
Così dicendo si allontanò in direzione dei bagni. I compagni lo osservarono sparire, poi si guardarono molto seri.
“Ragazzi, sono sconvolto,” sospirò alla fine Ron.
“Lo siamo tutti, Ron, ma non è questo il punto. Harry è in crisi, non dobbiamo lasciarlo solo, ok?” chiese Hermione.
I due giovani annuirono.
Più tardi, in camera, ebbero l’opportunità di sconvogersi di nuovo vedendo Harry in mutande sfoggiare sul proprio corpo una collezione di morsi incredibile. Malfoy ci andava giù pesante. Harry non aveva commentato; si era limitato a stringere le labbra, e i suoi compagni avevano capito che sarebbe stato un periodo davvero pesante.


Draco lasciò passare un paio di giorni prima di preoccuparsi. Era normale che il Gryffindor avesse reagito a quel modo alla rivelazione, ma sperava avesse un tempo di ripresa minore. Invece ogni giorno lo vedeva sbattuto come un cencio. Palesemente non dormiva abbastanza, dalle occhiaie che gli segnavano il viso, e doveva aver terminato tutte le lacrime di cui era in possesso, perché gli occhi rossi ormai non erano che la normalità. Ma la cosa che più disturbava Draco era il velo di impassibilità che portava in viso. Mai un cenno, un segno di disperazione, un tentennamento o un momento di crisi nell’incrociarlo per i corridoi o in classe, niente di niente. Come se lui non esistesse. Draco non se la sentiva di fare il primo passo, anche perché non toccava a lui andare a cercare chi lo aveva allontanato di proposito. Sapeva di dover dare al Gryffindor il tempo necessario per chiarirsi le idee e fargli pressione non avrebbe di certo migliorato le cose. Eppure dopo la prima settimana quell’atteggiamento posato, freddo e così insopportabilmente triste lo aveva portato all’esasperazione. Avrebbe preferito vederlo disperarsi urlando. Non voleva che si disperasse, però. Avrebbe voluto parlargli, capire cosa gli passasse per quel cervellino, ma non c’era occasione e non poteva andare a cercarla. Era incatenato, l’unica cosa che poteva davvero fare era fregarsene di tutto e tutti, Potter per primo, e continuare a concentrarsi sulla propria vita, aspettando che qualcosa cambiasse. Riuscì a tenere Potter lontano dai pensieri quasi per sei ore consecutive e si disse soddisfatto di sé. 
Passarono così due intere settimane. Draco spendeva le sue giornate fra i libri e la maledetta pozione commissionatagli da Voldemort, convincendosi che di Potter potesse fare a meno e aspettando ogni momento di vederselo comparire di fianco. Harry pianse finchè non ebbe più la forza di andare avanti; allora si rimise a pensare e a rimuginare su di lui e il compagno, i loro comportamenti, i loro segreti. Alla fine fece la sua scelta. Era l’ultimo sabato di Maggio, quindi erano passate esattamente due settimane dal suo litigio con Draco. Era giunto il momento di mettere in chiaro la situazione.