Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono neanche un po’. La signora Rowling ne dispone come meglio crede, io ci gioco a tempo perso, senza pretese e senza fini di lucro.
Harry
Potter e il cervello che non ha
parte XX
di Sourcreamandonions
In cui si torna alla depressione di Potter, spettacolo
raccapricciante
Il ritorno a scuola degli altri studenti fu per Draco un sollievo. Finalmente aveva qualcuno con cui parlare e passare le giornate. Potter non gli aveva più rivolto la parola. In realtà non si era più fatto vedere in giro se non in momenti strettamente necessari e le sue apparizioni erano sempre in compagnia di qualcuno, corredate da occhi gonfi ed espressione depressa. I primi giorni lo Slytherin fece finta di niente. I suoi compari allietavano i momenti comuni e spesso lo intrattenevano con i racconti delle loro vacanze o qualche cattiveria gratuita sulle altre case. Draco era particolarmente silenzioso e loro avevano mostrato comprensione per il suo malumore, dovuto al periodo natalizio passato a Hogwarts. Di notte si sentiva un po’ a disagio, dopo due settimane a condividere il proprio letto, ma poteva sopravvivere, e se la voglia affiorava poteva trattenersi, o far da solo. Non aveva bisogno di Potter nel letto, questo era chiaro.
La situazione cominciò a pesargli veramente quando lo stato penoso del Gryffindor si fece manisfesto a tutti. D’altronde aveva delle occhiaie da record e le borse sotto gli occhi si sprecavano. Inoltre era ormai chiaro a tutti che le notti passate in bianco non avevano motivazioni piacevoli, ma erano spese a piangere. All’inizio si era preoccupato di nascondere un po’ il rossore e la stanchezza, ma ora si aggirava come un fantasma in più per i corridoi, tanto che un paio di fantasmi veri cambiavano strada quando lo incontravano lamentandosi che metteva loro tristezza.
Una sera, passando per un corridoio poco trafficato, Draco sentì Neville che parlava con Luna e si fermò ad ascoltare. Il Gryffindor si stava lamentando del fatto che Harry fosse sempre così giù da farlo preoccupare. Spesso bisognava costringerlo a mangiare e a scuola come negli allenamenti di Quidditch che erano appena ripresi non si impegnava. Neville credeva che il suo problema fosse amoroso, perché solo una storia andata male poteva ridurre così qualcuno e chiunque fosse doveva essere rimasto al castello per le vacanze, visto che l’avevano ritrovato così al loro ritorno. Aggiunse che persino la professoressa McGonagall si era preoccupata per lo stato di Harry, tanto da chiamarlo a colloquio per chiarire il problema, ma il Gryffindor aveva detto che non si sarebbe confidato con nessuno, tanto meno con la professoressa. Diceva che non avrebbe capito. Draco si stupì della sincera preoccupazione che traspariva dalla voce di Neville e si chiese come facesse Potter ad attirarsi l’affetto di tutti gli sfigati del mondo, ma si affrettò ad allontanarsi senza farsi vedere quando sentì Luna lodare il ragazzo per la sua sensibilità e baciarlo. Una scena da far passare la fame a chiunque per un anno.
La mattina seguente Draco stava facendo colazione e Crabbe gracchiava il suo disappunto per alcuni compiti delle vacanze mal giudicati dagli insegnanti quando Goyle, che stava imburrando placidamente una fetta biscottata, la lasciò cadere nel piatto con un grugnito schifato. Draco alzò gli occhi verso di lui e vide che era intento ad osservare il tavolo dei Gryffindor. Voltando lo sguardo nella stessa direzione notò che stava guardando proprio Potter, che in quel momento era appoggiato coi gomiti sul tavolo e aveva la testa fra le mani, come se non avesse la forza di sostenerla, mentre una compagna del settimo anno faceva di tutto per convincerlo a mangiare una brioche con la marmellata, proposta che il ragazzo continuava imperterrito a rifiutare allontanandola e scuotendo la testa.
“Dev’essere imbarazzante…” mormorò Goyle.
Draco si voltò a guardarlo.
“Cosa?”
“Essere Potter,” rispose semplicemente lo Slytherin. “Voglio dire, guardalo! Fa pena! Non mangia più, non dorme più, piange, poverino! E si fa vedere da tutta la scuola. Dicono sia depresso. Ma si può essere più squallidi?”
“No,” mormorò Draco, tra sé e sé. “Non si può.” Guardò la sua colazione e si raddrizzò. “Mi ha fatto passare l’appetito. Ci vediamo a lezione da Snape tra mezz’ora.”
Si alzò, guardando i suoi compagni che mangiavano indisturbati annuendo, e si allontanò dalla sala. Non intendeva sopportare quella vista un secondo di più.
Draco si recò in camera sua. Gli stava venendo la gastrite. Ancora una volta Potter agiva su di lui, nonostante l’avesse allontanato. La sua presenza anche solo nel raggio della sua visuale lo turbava. Qualcosa dentro di sé si muoveva e la sua mente cercava di ignorare un vago sentimento di…mmm…senso di colpa, ma non poteva andare avanti all’infinito. Appoggiò la fronte alla parete fredda, chiudendo gli occhi. Non si sarebbe scusato con Potter per come l’aveva trattato, non ce n’era motivo, però magari a parlargli avrebbe migliorato un po’ la situazione. Insomma, se si fosse lasciato morire di fame niente omicidio, niente gloria, niente gioia… Draco sospirò, maledicendo la propria monotona ironia. Si voltò e andò al baule, dove aveva ritirato, o meglio tirato, la statuetta del cobra dopo il litigio. Frugò, cercandola, la tirò fuori e la maneggiò. Non avrebbe dovuto tenerla, non era molto giusto. Cioè, da una parte non si sentiva molto a proprio agio, sapendo che Potter sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento della notte in camera sua, ma dall’altro quello era un suo regalo di Natale, se lo doveva tenere lui e magari ci teneva pure, conoscendo la sua indole sensibile. Avrebbe dovuto riportargliela. Avrebbe dovuto parlarci. Doveva vederlo. Mmm… Situazione di merda… Ok, avrebbe cercato di incontrarlo, ma ultimamente era impossibile beccarlo da solo. Magari dopo pranzo. Quel pomeriggio aveva gli allenamenti, avrebbe potuto aspettarlo fuori dagli spogliatoi. No, forse sarebbe stato meglio evitare, ci sarebbero stati i suoi compagni di squadra e sarebbe scoppiata la rissa di sicuro. Allora meglio fuori dalla casa dei Gryffindor. Se si fosse appostato bene non l’avrebbero visto. No, si sarebbe messo nella merda… Sì, come se ci fossero state altre possibilità! Se voleva liberarsi di quella cosa doveva rischiare. Maledetto Potter, avrebbe fatto meglio a dimenticare lui, la sua sorte e tutto il resto. Al diavolo anche la statuetta. Mmm… Vabbè, ci avrebbe pensato dopo pranzo, al momento stava facendo tardi a lezione. Lezione con Potter, tra l’altro, che culo… Bella giornata che lo aspettava. Era già nervoso a livelli da record.
Posò la statuetta, raccimolò i suoi libri, penna e pergamena e si diresse verso l’aula di Pozioni. Potter arrivò dopo di lui, evitando il ritardo di circa un paio di secondi. Era uno straccio. Draco strinse i pugni e si costrinse a svuotare la mente. Avrebbe messo fine a quella situazione invivibile quel giorno stesso.
Draco si aggirava per i corridoi, aspettando il momento buono per recarsi alla casa dei Gryffindor. Erano venti minuti che ci provava, ma sembrava che tutti gli studenti della scuola si fossero dati appuntamento per bloccargli la strada quel pomeriggio. Per una missione in incognito non era propriamente il massimo. Draco imprecò tra sé sgusciando finalmente nel corridoio che portava alla torre della casa avversaria. Si mise in paziente attesa dietro una colonna, sperando che nessuno andasse a rompergli vedendolo. Passarono venti minuti. Il nervosismo cominciava a farsi sentire e di stare lì in piedi fermo non ne poteva più. Inoltre erano già passati due ragazzini Gryffindor del quarto anno che l’avevano guardato sorpresi e se n’erano andati bisbigliando. Aveva avuto la chiara impressione che lo stessero prendendo per il culo. Si stava rendendo ridicolo, Draco lo sapeva bene. Che cazzo ci faceva lì? Tanto Potter non sarebbe mai uscito da solo, né lui sarebbe potuto entrare, anche conoscendo la password. Perché agiva d’istinto se portava solo a rovinarsi il fegato e la reputazione? A furia di stare con Potter stava diventando stupido come un Gryffindor. Un po’ stizzito si infilò le mani in tasca e si avviò a grandi passi verso la scala, facendo attenzione a non incrociare lo sguardo di nessuno. Superò i due quartini, che erano ancora lì in piedi davanti alla porta e lo guardarono sospettosi, e raggiunse la scala. Davanti a sé, guarda il caso che scherzi tendeva a fare, Ron Weasley.
Il rosso lo guardò passare, cercò di impettirsi e gli urlò dietro “Malfoy, si può sapere che ci fai sempre davanti alla mia casa?”
Draco non si sprecò a rispondere. Si voltò quanto bastava per vedere il Gryffindor, alzò due dita in segno d’insulto e se ne andò.
Ron gli urlò dietro “Ti tengo d’occhio,” poi si guardò intorno, tirò un sospiro di sollievo e si avviò verso il proprio dormitorio a prepararsi. Dovevano andare agli allenamenti.
Quando Harry tornò al dormitorio in compagnia del resto della squadra era stanco morto ma un po’ più rilassato. Fare attività fisica, nonostante le sue resistenze, lo aiutava a scaricare la frustrazione, se non il dolore. Essere trattato in quel modo da Draco l’aveva ferito più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Non era neanche paragonabile alle umiliazioni subite in passato, eppure era stato come un coltello rovente in pieno petto. Ci era cascato, era colpa sua, si era illuso che Draco potesse cambiare. Ma non doveva pensarci, perché se no si sarebbe rimesso a piangere e dopo tutta la fatica fatta per trovare un attimo di tranquillità non era proprio il caso.
Sentì il brusio fin dall’esterno. Entrarono di corsa e trovarono praticamente l’intera casa radunata nella sala comune. C’era gente che discuteva ad alta voce, chi bisbigliava, chi cercava di capirci qualcosa in quel marasma e si guardava intorno confuso. Harry seguì Ron che andò da Seamus, il quale si trovava nell’occhio del ciclone.
“Che è successo?” chiese il Prefetto al compagno di camerata.
“Oh, meno male che sei arrivato! Stavamo per venirti a chiamare. C’è stato un furto.”
“Un furto?”
“Sì. La macchina fotografica di Colin Creevey. Qualcuno si è introdotto oggi pomeriggio nella camerata del quinto anno e gliel’ha rubata.”
“Era ora,” bofonchiò Harry da sopra le spalle di Ron, guadagnandosi un’occhiataccia del compagno.
“Non si sa chi sia stato?” chiese Ron a Seamus ignorando il commento sarcastico di Harry.
“No. Hermione è andata a chiamare la McGonagall mentre l’Headboy cercava inutilmente di riportare un po’ d’ordine. Che casino…”
Ron si mise a urlare di fare silenzio e si avvicinò all’Headboy per consultarsi. La folla lo guardò sbigottita per circa dieci secondi e poi riprese indisturbata il proprio brusio fino all’arrivo di gran carriera della professoressa. Allora tutti si zittirono, aspettando di vedere cosa sarebbe successo.
“Allora, signor Creevey, mi dica esattamente cosa è successo,” disse la strega avvicinandosi al giovane Gryffindor.
Colin, il viso affranto, le spiegò con voce tremante come avesse usato l’ultima volta la propria macchina fotografica quel giorno appena dopo pranzo, dopodichè era andato a lavarsi, lasciandola in camera, e tornato non l’aveva più trovata. L’aveva cercata dappertutto e aveva chiesto ai suoi amici e compagni di stanza, ma nessuno aveva visto movimenti strani né intrusi.
Quando finì di raccontare si alzò un brusio concitato, che la professoressa però zittì subito. Volse lo sguardo attorno a sé, squadrando tutti gli studenti con cipiglio severo.
“Mi auguro,” disse alla fine, “che il responsabile di questa sparizione si renda conto della gravità del fatto e abbia il coraggio delle proprie azioni. Prima si concluderà questa faccenda meglio sarà per lui, o lei.” Attese un attimo, osservando di nuovo i volti attorno a lei che la fissavano attenti. “A questo punto,” continuò, “sono benaccetti suggerimenti. Se qualcuno di voi ha visto qualcosa o è stato testimone di qualche stranezza è tenuto a comunicarlo immediatamente.”
Di nuovo ci fu un brusio nella sala comune, poi due mani si alzarono dalla folla. Calò il silenzio e i due ragazzi, che frequentavano il quarto anno, si fecero avanti timidamente.
“Sì?” li spronò la professoressa vedendo che tentennavano.
“Noi…” mormorò uno dei due, “noi avremmo visto qualcosa di strano…”
“Cosa?”
“Beh… Non abbiamo visto chi ha preso la macchina fotografica di Colin, ma passando fuori in corridoio abbiamo visto… Malfoy, professoressa.”
Ci fu un’ondata di esclamazioni di sorpresa. La strega fece segno di non fare rumore e guardò il ragazzo che aveva parlato con severità.
“Cosa intende dire con abbiamo visto Malfoy?”
“Era in corridoio, seminascosto da una colonna, immobile. Non faceva niente, semplicemente se ne stava lì, come ad aspettare qualcosa. Ci siamo stupiti perché Malfoy non avrebbe dovuto assolutamente essere su questo piano, tanto meno vicino all’entrata della casa dei Gryffindor. Aveva un’aria strana…subdola. Sono piuttosto sicuro che stesse architettando qualcosa.”
“E poi è rimasto lì per un bel po’,” continuò l’altro ragazzo. “Noi ci eravamo fermati davanti al quadro della signora grassa e l’abbiamo visto andare via in tutta fretta quasi mezz’ora dopo. Sembrava molto arrabbiato. Ma Malfoy è sempre di buon umore da quando suo padre è stato rinchiuso ad Azkaban…”
Ci fu un risolino sciocco che la professoressa McGonagall soppresse immediatamente con uno sguardo glaciale.
“Il solo fatto che Malfoy si trovasse qui non implica che sia entrato in questa casa. Sebbene io non riesca a immaginare cosa ci potesse fare in corridoio…”
“È vero, professoressa, anch’io l’ho visto.” La voce che si era alzata era di Ron. Attese che la strega si voltasse a guardarlo e continuò. “L’ho incrociato mentre se ne andava. Sembrava davvero fosse di fretta. Gentile come al solito, naturalmente. Mi ha messo in agitazione perché era la seconda volta che lo beccavo fuori dalla nostra casa.”
“La seconda volta?” chiese la professoressa.
“Sì, l’avevo già incontrato sulle scale un giorno durante le vacanze. Anche allora gli avevo chiesto cosa volesse e non aveva saputo rispondermi.”
“Signori, le vostre accuse sono piuttosto dirette. Mi auguro che vi rendiate conto di stare accusando un vostro compagno di furto. Verranno presi provvedimenti nei suoi confronti.”
Harry era stato colpito da un calcio in pieno petto già la prima volta che era stato nominato Draco. La sua mente sembrava viaggiare a seimila chilometri all’ora. Il cuore gli batteva all’impazzata. Non poteva credere alle sue orecchie. Stavano accusando Draco di aver rubato una stupida macchina fotografica. Perché mai Draco avrebbe dovuto entrare nei dormitori dei Gryffindor rischiando quasi certamente di essere beccato solo per rubare un’orrenda, inutile macchina fotografica? Poteva comprarsene quante ne voleva, non aveva certo bisogno di quella di Colin. E poi Draco non era il tipo da fare una cosa simile. Non avrebbe mai potuto abbassarsi a una nefandezza simile. No, si rifiutava di accettare che potesse essere stato Draco, era inaudito. Però continuavano ad incolparlo e ora ci si stava mettendo anche quell’idiota di Ron. Tipico suo accusare una persona solo in base ai suoi pregiudizi. Non poteva starsene lì con le mani in mano ad osservare impotente. Doveva fare qualcosa per scagionare Draco, doveva trarlo d’impiccio. Ma cosa avrebbe potuto dire? Che Draco non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere? Bella difesa…
“Allora, se siete convinti, manderò a chiamare il signor Malfoy e andremo insieme dal preside. Signor Weasley, e voi due, vorreste seguirmi?”
Così dicendo si voltò e lasciò la sala comune con i tre ragazzi al seguito.
Harry rimase lì a fissare l’uscita per qualche secondo. Avvertì Seamus esclamare “Che storia, ragazzi!” ma non gli rispose. Era ancora assorto nei suoi pensieri. Draco era innocente, ne era certo. Non poteva essere stato lui, perché… Perché il Draco che conosceva lui non l’avrebbe mai fatto. Forse. Ah, dopo quello che era successo non si poteva dire. Avrebbe potuto anche non essere entrato dall’entrata ufficiale, ma solo uscito. Aveva ancora la statuetta… Eppure era impossibile. Non c’era una ragione al mondo per cui Draco avrebbe dovuto fare qualcosa di così stupido. Non poteva proprio digerirlo. Avrebbe dovuto aiutarlo. Doveva. Fornirgli un alibi, magari. Sì, certo, ma quello sarebbe stato mentire e poi si sarebbe esposto in modo preoccupante davanti alla professoressa McGonagall, al preside e agli altri studenti, Ron compreso. Perché mai avrebbe dovuto sbattersi tanto per chi lo aveva usato e buttato come un fazzolettino di carta? Non se lo meritava. Non si meritava niente, né il suo aiuto nè i suoi sentimenti. E allora perché gli si stava sciogliendo il cuore?
Harry avvertì la mano di qualcuno sul suo braccio. Si voltò a guardare chi ne fosse proprietario e vide che era Neville.
“Tutto ok, Harry?” gli chiese preoccupato. “Dai, andiamo, tanto finchè Ron non tornerà non scopriremo la verità.”
Harry deglutì, poi scosse la testa.
“No, scusa, devo andare.”
“Andare dove?” gli chiese il compagno, ma Harry aveva già infilato la porta e si stava dirigendo di corsa verso l’ufficio di Dumbledore.
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