Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono neanche un po’. La signora Rowling ne dispone come meglio crede, io ci gioco a tempo perso, senza pretese e senza fini di lucro.
Harry
Potter e il cervello che non ha
parte XIX
di Sourcreamandonions
In cui Draco ha un sacco di problemi e si sfoga in malo modo
Draco non sapeva perché si fosse svegliato. Non finchè non sentì qualcosa che gli trapanava lo sterno. Battè le palpebre più volte, cercando di schiarirsi le idee, e guardò in giù. In mezzo al suo petto troneggiava un gomito di Potter che cercava di farsi largo verso i suoi organi interni. Sempre un bel modo di essere svegliato. Con un movimento cauto per non svegliare il compagno che ancora dormiva come un bisonte si scostò da lui, sdraiandosi supino e sospirando profondamente, poi corrugò la fronte. Perché cazzo di prima mattina si preoccupava di non svegliare il coglione che gli dormiva nel letto? Ecco, così si era rovinato la giornata. Aveva bisogno di lavarsi. Una bella doccia e poi via Potter. Via tutto il giorno e possibilmente per i giorni successivi. Fuori dalla sua vita che, se avesse avuto voglia di incasinarsela, ci avrebbe pensato da solo.
Draco saltò giù dal letto e si recò in bagno. Tornato si sentiva un po’ meglio, se non altro perché era fresco e pulito, e si rivestì in fretta. L’ultimo giorno di vacanza, meno male.
Draco si stava finendo di allacciare i pantaloni quando Harry si mosse. Vide la sua mano cercarlo sotto le coperte proprio dov’era prima e, non trovandolo, mettersi a sedere con gli occhi ancora chiusi, chiamandolo piano.
“Draco?”
La sua voce roca gli fece quasi venir voglia di ridere, se non fosse stato che vederlo in una situazione così intima gli faceva tornare in mente tutte le lugubri riflessioni della giornata precedente. Tutte quelle motivazioni erano ancora valide. Doveva rimettere ordine nella situazione.
Avvicinandosi al letto raccolse gli occhiali di Harry, che durante la notte erano finiti per terra ai loro piedi, e glieli tirò, colpendolo in faccia. Harry si lamentò per il dolore, poi li raccolse e se li mise.
“Ciao,” disse come se gli fosse passato sopra un treno. “Che fai?”
“Mi alzo e sarebbe il caso che lo facessi anche tu, visto che te ne devi andare.” Draco si finse indaffarato a frugare nel suo armadio, mentre Harry si trascinava giù dal letto e si rivestiva stancamente. “A proposito,” disse Draco senza guardarlo, “oggi avrei un po’ di cose da fare. Cose private… Personali. Beh, ho bisogno di starmene un po’ per gli affari miei, quindi non mi fare la sanguisuga addosso come tuo solito.”
Harry lo guardò con poca speranza e finì di mettersi le scarpe.
“Come ieri?”
“No, ieri alla fine sei venuto qui a dormire anche se ti avevo detto di no. Tanto tu fai tutto di testa tua comunque…”
“Quindi oggi non ci vediamo per niente?” chiese Harry incerto.
“Oh! Potter! Che intuito fulminante! Bravo, mi stupisco!” lo prese in giro Draco.
“Piantala di fare lo scemo,” brontolò Harry. “L’ho capito che non mi vuoi vedere, non sono ritardato.”
“Ah no? Caspita…” continuò Draco.
Harry sospirò e si avvicinò al compagno.
“Beh, spero di incontrarti per caso più tardi, allora.”
“Farò in modo che non succeda, stanne certo,” ribattè Draco.
“Ci penserò io a manipolare gli eventi,” sogghignò Harry.
Poi gli posò un bacino sulle labbra e se ne andò senza aggiungere altro e senza aspettare che Draco facesse strada. Ormai era abituato.
Draco sospirò, scosse la testa e si interrogò a lungo sulla propria infinita depravazione ad andare con un tipo del genere.
Draco si impose un secondo giorno di ritiro spirituale in assenza di Potter. La mattinata trascorse tranquilla. Si concesse qualche lusso a cui non si abbandonava da un po’: tè speziato, un lungo, lunghissimo bagno ristoratore con sali speciali che sua madre faceva arrivare appositamente dalla Siberia e che si era portato da casa e qualche dolcetto sgraffignato in cucina con il beneplacito degli elfi. Era quasi di buon umore, tanto che scrisse a sua madre, sincerandosi della sua buona salute e raccontandole a grandi linee la tragedia che era stata rimanere bloccati a Hogwarts tutte le vacanze. Ebbe l’accortezza di glissare su parecchi particolari di quel periodo.
I problemi cominciarono nel pomeriggio. Appena tornato in camera litigò con un elfo che era andato a rifargli il letto e aveva lasciato il copriletto pendere da una parte di due centimetri più dell’altra. Quando la creaturina se la filò terrorizzata il giovane si sedette pesantemente nella poltrona di camera sua e si prese la testa fra le mani. Era lì che malediva l’elfo e l’incapacità in generale della gente quando il suo sguardo cadde su qualcosa che non gli apparteneva e non avrebbe dovuto stare in camera sua. Per terra vicino al caminetto c’era una fiala d’olio di quelle di Potter. Doveva averla lasciata lì la notte precedente, quando poi alla fine aveva voluto farlo senza per non alzarsi dal letto. Maledetto Potter! Ora gli riempiva pure la camera di ammennicoli! La statuetta, l’olio, cos’altro si sarebbe inventato? Presto avrebbe cominciato a trasferire i vestiti!
Draco scattò in piedi e si mise a passeggiare avanti e indietro nervosamente per la stanza. Nonostante i buoni propositi ricominciò a rimuginare sul Gryffindor e su come le cose, negli ultimi tempi, avevano preso una piega inaspettata e negativa. Potter si era preso decisamente troppa confidenza con lui e tutto perché lui gliel’aveva data. Non si era più imposto su di lui da…tempi immemorabili, non riusciva più nemmeno a sbatterlo fuori dal proprio letto. Sempre così con le sanguisughe: all’inizio tutte timide e sottomesse, poi te le scopi un po’, ti diverti e loro ti si attaccano e ti accorgi troppo tardi che non riesci più a staccartele. E lui ci cascava sempre come un coglione. Probabilmente Potter credeva persino che ci tenesse a lui!
In uno scatto d’ira tirò un calcio al muro, poi si prese la testa tra le mani cercando di ragionare. Doveva calmarsi, perché per qualche strano motivo gli stava andando il sangue alla testa come non gli succedeva da un sacco e stava perdendo lucidità. Anche questo doveva essere parte dell’effetto Potter, la perdita di cervello. Decise che quella sera stessa avrebbe detto al Gryffindor che era il caso di allentare un po’ i rapporti, soprattutto in vista del ritorno dei compagni, e che non avrebbe ceduto come la notte precedente ai suoi mugugni di protesta. Per il momento ciò di cui aveva bisogno era una bella boccata d’aria gelida. Si mise il mantello e velocemente uscì in cortile. Si sedette su un muretto e inspirò a fondo l’aria gelida e nevosa. Subito sentì un po’ di calma scivolargli sotto la pelle, entrargli dentro dai polmoni e diffondersi nel resto del suo corpo. Sì, doveva solo calmarsi e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Era ancora impegnato a ripetersi questo concetto quando improvvisamente un dolore lancinante lo colse al braccio, facendolo gemere. Andò con la mano destra a coprire velocemente l’avambraccio, che sembrava bruciare come il giorno in cui aveva ricevuto il Dark Mark, stringendo gli occhi e trattenendo il respiro. Poi alzò la manica lentamente, scoprendo il segno che contraddistingueva tutti i Death Eaters. Era diventato nero e risaltava in modo raccapricciante sulla sua carnagione lattea.
Un rumore indistinto lo fece quasi trasalire. Aprì gli occhi e cercò Potter, convinto che l’unico disturbatore della quiete pubblica potesse essere lui. Invece vide, ancora lontano ma in veloce planata, un gufo. Era molto bello, dal portamento regale e dall’insolito colore nero. Lo riconobbe immediatamente. E un gufo significava probabilmente brutte notizie. Se l’aspettava prima o poi, ma sperava di avere ancora un po’ di tempo per gestire la situazione e chiarirsi le idee. Quando la bestiola fu giunta a circa un metro da lui lo squadrò coi suoi occhi innaturalmente profondi e gli lasciò cadere in mano una lettera. Poi riprese quota con qualche battito d’ali e scomparve nel cielo grigio invernale. Draco guardò con apprensione la lettera tra le sue mani. Non poteva di certo aprirla lì; avrebbe dovuto trovare un posto tranquillo dove nessuno l’avrebbe potuto sentire. Sarebbe dovuto tornare in camera, però era anche vero che all’interno di Hogwarts ci fossero orecchie e occhi indiscreti ovunque. Un conto era scoparsi Potter, un altro ricevere lettere molto, molto private. Decise di andare a leggerla all’altro lato del laghetto. La piovra schifosa in quel periodo aveva tutti i suoi problemi e di certo non l’avrebbe disturbato e nessuno degli studenti o dei professori si sarebbe avventurato nella neve fino a là. Nascondendo la lettera in una tasca interna del mantello, attento a non essere individuato da occhi indiscreti, Draco si allontanò e si diresse con fatica verso il luogo scelto per aprire la lettera.
Giunto a destinazione si accertò ancora una volta di essere solo e finalmente estrasse la lettera e la aprì. Come avesse preso vita, la busta si spiegò completamente, facendo cadere due pietruzze nere che Draco riuscì a prendere al volo, e da essa uscì una voce sibilante e stridula. Come al solito allo Slytherin venne la pelle d’oca, mentre il Dark Mark riprendeva a bruciare terribilmente. Temeva il proprietario di quella voce e i suoi mezzi più di ogni altra cosa al mondo. Si concentrò sul messaggio che si diffondeva nell’aria.
“Allora, Draco, quanto dovrò aspettare prima di ottenere notizie da parte tua? Ti ho accolto tra le mie file perché mi hai promesso meraviglie e non sto vedendo alcun risultato. Io odio essere preso in giro e odio essere deluso nelle mie aspettative. Dovresti saperlo. Te l’ho già dimostrato. Contattami immediatamente mediante le Pietre Focaie che ho allegato.”
La busta prese immediatamente fuoco e si incenerì davanti ai suoi occhi. Draco era scosso ma deglutì, cercando di non mostrare alcun turbamento. Lord Voldemort lo sconvolgeva sempre, anche dopo mesi di servizio. Era entrato a far parte dei Death Eaters poco dopo essere tornato a casa l’estate precedente. Era furibondo per suo padre e, appena arrivato, aveva visto le condizioni in cui versava sua madre e il fango che veniva gettato sulla sua nobile casata. Nessuno poteva permettersi di trattarli così. Ma ormai nessuno avrebbe potuto aiutarli, tranne lui, il potente Lord Voldemort. Draco non si era neanche dovuto sbattere a cercarlo, ci aveva pensato lui tramite Bellatrix. Evidentemente pensava che avrebbe potuto essere d’aiuto un secondo paio d’occhi interni alla scuola per tenere d’occhio Potter. Non aveva avuto molta scelta. Quello era sempre stato il suo posto, fin da quando era nato. Suo padre l’aveva preparato a quel momento fin dall’infanzia, insegnandogli tutto ciò che sapeva di magia oscura, di sotterfugi, persino il suo modo di vedere il mondo e vivere la vita. Draco aveva sempre creduto che essere un Malfoy fosse la cosa più bella e facile del mondo. Dovevi solo essere perfetto, impeccabile, e in quello era bravissimo. Ora che si era dovuto svegliare e accollarsi le responsabilità del nome che portava aveva riformulato la cosa, riducendola alla più bella. Però ci dovevi sputare il sangue. Aveva passato una delle estati più esaltanti e dolorose della sua esistenza. Era stato istruito prima da Bella, che per amore del sangue che li legava si era offerta di addossarsi quella mansione, ed era stato testato da Lord Voldemort in persona. Draco aveva provato più di una volta sulla propria pelle quanto fosse forte, quanto la sua volontà fosse d’acciaio e la sua mente contorta e subdola. Di certo i momenti in cui aveva sbagliato non erano passati impuniti. Aveva imparato cosa fosse la sofferenza e l’umiliazione, e ad amare l’infliggerla piuttosto che subirla. Il Dark Mark che portava sul braccio era la prova della propria fedeltà e lealtà.
Draco era arrivato a scuola con le migliori intenzioni di uccidere Potter. Ne era fermamente convinto, ne aveva persino discusso, e seriamente, con Crabbe e Goyle, architettando e studiando tecniche infallibili. Lo aveva tenuto d’occhio, studiato, conosciuto come una mappa. Un po’ si era divertito in quel processo di ricerca, Potter in fondo era a suo modo simpatico, buffo, insomma, un Gryffindor sfigato. L’aveva seguito, controllato; stava andando tutto bene, troppo bene. Infatti la sua mente malata aveva cominciato a mettersi in mezzo. Ok essere bisessuali, quello l’aveva già appurato da circa un’annetto, ma farsi Potter… Eppure fin dalla prima volta in cui l’aveva avvicinato quell’anno e aveva avvertito l’attrazione del Gryffindor nei suoi confronti gli era scattata la maledetta molla del seduttore. O del dominatore, che nel suo caso combaciavano. Da lì a farsi davvero ed estensivamente Potter c’era voluto poco, dopodichè la sua vita aveva cominciato a prendere una piega diversa e…si era scordato i propri impegni. Non del tutto, chiaro, come avrebbe potuto con un tatuaggio del genere sul braccio a ricordarglielo? Ma era stato assorbito da altri piaceri e si era convinto che a furia di andarci a letto ne avrebbe ricavato qualcosa di buono. Aveva trovato in lui lati positivi, stimoli, potenzialità. Si era detto che così sarebbe stato più facile creare l’occasione giusta per farlo fuori. E poi aveva diciassette anni, per carità, era posseduto dagli ormoni, non era colpa sua! Voldemort probabilmente non era dello stesso parere. E chi l’avrebbe potuto biasimare? Si era messo in una situazione troppo intricata e ora non sapeva come uscirne.
Quella convocazione da parte di Voldemort confermava i suoi timori che il prolungato silenzio da parte sua sugli sviluppi del caso Potter stessero insospettendo il potente mago. Ora avrebbe fatto meglio a inventarsi una buona scusa per la propria inoperosità. O avrebbe potuto trovare qualcosa di serio da dire. In fondo qualcosa l’aveva scoperto, o almeno teorizzato. Potter non poteva essere ucciso. Avrebbe potuto dire quello al suo signore e sperare si ritenesse soddisfatto. Tanto valeva provare, al massimo l’avrebbe ucciso.
Draco fece una faccia indispettita a quell’ultimo pensiero che gli attraversò la mente con un tono ironico terribilmente fuori luogo. Aprì il palmo, che ancora stringeva le due pietre e le fregò tra loro, lasciandole cadere a terra. Immediatamente da esse scaturì un fuoco blu che, incurante della neve circostante, fiammeggiò alto almeno sessanta centimetri. Vi si accucciò davanti in attesa ed ecco, dopo appena qualche secondo, il volto di Voldemort far capolino da dietro le fiamme. Draco fu scosso da un brivido ma si contenne.
Abbassò il capo e disse “Mio signore.”
Voldemort ridacchiò.
“Draco, mi hai fatto attendere,” sibilò il mago.
“Sono spiacente,” si scusò Draco. “Dovevo trovare un luogo adatto.”
Voldemort fece un verso sibilante e Draco corrugò la fronte.
“Allora, ti ho lasciato tre mesi. Cos’hai da dirmi? Perché hai qualcosa da dirmi, vero?”
La voce del mago oscuro era inquisitrice come il suo sguardo e nonostante la distanza Draco si sentì a disagio. Dovette stringere i denti e sforzarsi di liberare la mente, sperando che i suoi segreti non fossero rivelati.
“Sì… In verità non molto. Non c’è molto da scoprire su Potter e sulle sue abitudini. È la persona più banale e noiosa della terra.”
“Questo lo sapevamo già. Non sei lì per dirmi quanto sia insulso quel ragazzino. Ma mi avevi promesso che saresti riuscito a scoprire qualche punto debole. Qualcosa che potessi sfruttare a mio favore.”
Draco tentennò. Doveva dire quello che aveva pensato ma gli sembrava così stupido… E poi non doveva far trasparire il suo sollievo dicendo che Potter non poteva essere ucciso. Sarebbe morto lui all’istante in sua vece.
“Cosa c’è? Mi vuoi dire che non hai trovato niente di utile? Che non sei in grado di essere al mio servizio?” Draco rabbrividì. Sapeva bene cosa intendesse minacciare con quelle parole. “O forse mi stai nascondendo qualcosa?”
“No,” disse subito Draco, come riscuotendosi. “Veramente…c’è qualcosa.” Gli raccontò le sue riflessioni e le sue conclusioni, cercando di essere il più chiaro e conciso possibile per non annoiare né infastidire Voldemort. “Quindi,” disse concludendo, “credo che in Potter sia rimasta intrappolata parte della vostra energia vitale. Temo che uccidendo lui vi autodistruggereste.” Trasse un respiro e disse “Purtroppo, se i miei ragionamenti fossero esatti, Potter non potrebbe essere eliminato. Naturalmente rimetto a voi, che siete così superiore a me, il giudizio.”
Abbassò gli occhi e attese il responso del mago. Ci fu un momento di silenzio, poi Voldemort sembrò sospirare.
“Sapevo che le tue capacità non sarebbero andate sprecate. Non mi ero sbagliato nel giudicarti. Hai una mente acuta per la tua età. Ti confido che ci avevo già pensato anch’io, ma se ora anche tu dici la stessa cosa, evidentemente dev’essere palese. Avrò sottovalutato me stesso…”
Draco non parlò, ma attese pazientemente che Voldemort decidesse sul da farsi.
“Allora, se Potter mi ha rubato parte dei poteri, farai in modo che io li riacquisti.”
Draco alzò la testa di scatto, confuso.
“Ma… Come?”
Voldemort ridacchiò di nuovo con quella sua risatina stridula che faceva accapponare la pelle.
“Creerai una pozione che riesca a estrapolare ciò che di me è passato nel corpo di Potter. Lo farei io stesso, ma al momento non ho i mezzi, né il tempo.”
“Non sarebbe meglio che se ne occupasse il professor Snape? D’altronde è lui l’esperto in pozioni,” obiettò Draco.
“Già… Ma vorrei evitare di rivolgermi a lui. Ultimamente mi sta insospettendo il suo comportamento… Per il momento questa ricerca rimarrà fra di noi. E poi sei il suo pupillo, no? Avrai sviluppato qualche capacità autonoma…”
Draco deglutì, poi annuì.
“Certo. Mi metterò subito al lavoro.”
“Bravo,” sibilò il mago oscuro, “così mi piaci. Aspetto notizie al più presto. Positive, si intende.”
Draco annuì, sospirando internamente. Si concentrò sul tenere libera la mente per non far trasparire altri pensieri.
“Tu farai per me quella pozione e io farò in modo che Potter la beva,” continuò Voldemort quasi parlasse con se stesso più che con lo Slytherin. “E quando accadrà…lo ucciderò.”
L’odio in quella voce faceva quasi paura. Questo sentimento balenò per un attimo negli occhi del ragazzo biondo, ma per fortuna Voldemort svanì, interrompendo la comunicazione. Il fuoco si spense e tutto attorno a lui tornò silenzioso.
Draco si scrollò, come se si fosse appena destato da un sogno. Voleva salvarsi e invece si era messo ancor più nei casini. E tutto per colpa di Potter! Era lui, che stava cercando di proteggere! Era completamente ammattito! Si guardò bene intorno, controllando che nessuno l’avesse visto, poi raccolse le pietre, disperse le ceneri nella neve soffice finchè non scomparvero del tutto e fece ritorno al castello, rimuginando tra sé l’eventualità di tagliarsi le palle per rientrare in possesso del proprio cervello.
Aveva appena fatto in tempo a passare davanti all’aula di Pozioni quando si sentì afferrare per un braccio e trascinare all’interno della stanza. Colto alla sprovvista si voltò bacchetta alla mano, ma chiunque l’avesse agguantato lo spinse con le spalle contro la porta, chiudendola. Draco si trovò davanti, com’era immaginabile, il volto sorridente di Potter, che non gli diede neanche il tempo di parlare, tappandogli la bocca con un bacio appassionato. Draco, che già aveva tutti i suoi motivi per essere nervoso, si infuriò. Potter non aveva alcun diritto di trattarlo in quel modo, come se fosse stato uno quasiasi dei suoi amici sfigati. Lo spintonò via da sé e fece un paio di passi allontanandosi dalla porta.
“Oh! Piano,” ridacchiò Harry, indietreggiando fino a ritrovare l’equilibrio.
“Che cazzo facevi? Mi tendevi un agguato?” gli ringhiò addosso Draco.
“Più o meno…” rispose laconico Harry.
Draco si girò e fece per aprire la porta, ma Harry se ne accorse e con un balzo in avanti gli cinse la vita con le braccia, trattenendolo.
“Ehi! Non vorrai mica andartene subito così!”
“Certo che sì,” brontolò Draco, levandosi le sue braccia di dosso. “Non intendo star qui dentro con te un secondo di più.”
Draco sentì il Gryffindor ridacchiare ancora, mentre le sue braccia si stringevano attorno alle sue spalle.
“Possibile che non ti manco neanche un po’?” chiese sornione Harry, dandogli un bacino sul collo.
“Levati di torno o ti incenerisco,” lo minacciò Draco con una voce gelida.
“Eddai… Non c’è nessuno, è l’ultimo giorno... Non ti ispira niente quest’aula vuota? Quando ci ricapita?”
Il tono rilassato e giocoso del Gryffindor fu, per Draco, la goccia che fece traboccare il vaso. Si voltò di scatto e lo spintonò via con forza, mandandolo a sbattere con un fianco contro un banco. Harry emise un lamento e si voltò a guardarlo ferito.
“Ma si può sapere che hai oggi?” gli chiese in tono accusatorio massaggiandosi la parte indolenzita.
“Che ho oggi? Oggi?! Da quando non mi prendi più sul serio, eh, Potter? Da quando le mie minacce ti fanno ridere?” Fece due passi verso di lui, avvicinandosi per poterlo guardare dritto negli occhi. “Da quando pensi di poterti prendere tutte le libertà che vuoi con me come se fossi un mio amico o addirittura qualcosa di più?”
Harry non sembrò minimamente impaurito dallo sguardo di sfida dello Slytherin, particolare che fece imbestialire ancora di più il ragazzo biondo. Con aria di sufficienza, il Gryffindor incrociò le braccia sul petto e ricambiò il suo sguardo.
“Pensavo fossimo oltre questo livello. Vuoi ricominciare coi pestaggi?”
Draco fu una saetta. Gli afferrò un braccio e glielo torse dietro la schiena, costringendo Harry a girarsi per non soffrire troppo. Draco non si impietosì per il lamento di dolore che lanciò, ma strinse ancora di più, spingendosi contro la sua schiena e facendolo piegare in avanti sul banco.
“Draco…” mormorò Harry, ma lo Slytherin lo zittì subito.
“Una volta mi chiamavi Malfoy e quello era il modo giusto di rivolgerti a me,” gli sibilò accostando la propria bocca al suo orecchio. “Non so cosa sia maturato nel tuo cranio vuoto, ma non ti azzardare mai più a prenderti gioco di me. Non osare neanche darmi confidenza. Non sei un mio amico, non sei neanche un mio pari. Non sei niente.”
Un guizzo d’ira brillò anche negli occhi di Harry.
“Ah sì? Pensa, mi era sembrato che avessimo una relazione o qualcosa del genere, visto che abbiamo passato le ultime due settimane a scopare tutti i giorni.”
Draco gli premette con la mano libera la faccia contro la superficie liscia e fredda del banco con violenza.
“Noi non abbiamo un cazzo!” gli ringhiò nelle orecchie.
“Stronzo,” mormorò Harry respirando a fatica. “Ti stai cagando addosso perché domani tornano i tuoi amichetti e hai paura che scoprano come hai passato le vacanze.”
La sfrontatezza di Harry fece sragionare Draco del tutto. Perse ogni briciolo di calma. Coi fianchi spinse con forza Harry contro il bordo del banco, facendogli sbattere il bacino e premendosi contro di lui. Non era eccitato, ma sarebbe bastato poco.
“Vuoi vedere in cosa consiste tutta la nostra bella relazione? È questo che vuoi?” lo provocò Draco. “Va bene, ti accontento subito.”
Con una mano slacciò velocemente i pantaloni del Gryffindor, nonostante si divincolasse sotto di lui sibilando insulti incomprensibili. Glieli abbassò, così come le mutande, e si spinse di nuovo contro di lui. Sentì Harry gemere di dolore e paura.
“Draco, non così, ti prego… Basta…”
Draco non era in grado di comprendere. Con le mani che gli tremavano si slacciò i pantaloni, tenendo la presa sul braccio torto di Harry per non farlo alzare, e liberò il proprio membro dai boxer. Moscio come non mai. Sempre più irritato da tutta quella situazione lo afferrò e si accarezzò più volte con decisione, riuscendo a malapena a ottenere un lieve cambiamento dello stato delle cose. Registrò allora che Potter aveva smesso di lottare per liberarsi. Si abbassò per vederlo in faccia e vide che aveva gli occhi chiusi e un’espressione affranta.
“Ti prego…” mormorò debolmente.
Poi lo scosse un singhiozzo. Si stava mettendo a piangere. Istantaneamente Draco gli lasciò il braccio e si allontanò da lui di qualche passo all’indietro. In fretta e furia si ricompose, riallacciandosi i pantaloni, mentre Harry si lasciava scivolare sul pavimento senza preoccuparsi di rivestirsi. Era evidente che stesse cercando in tutti i modi di trattenersi dal piangere. Draco non sapeva cosa fare. Non sapeva neanche perché aveva reagito in quel modo. Non gli interessava violentare Potter, non lo eccitava più. Non aveva più senso. Più sconvolto di prima e incapace di reagire in modo sensato o di scusarsi si voltò e aprì la porta dell’aula, uscendo in tutta fretta. Non si fermò finchè non arrivò in camera sua, poi non riuscendo più a trattenersi lanciò un urlo di rabbia, sfogando la sua frustrazione sulla porta con un pugno che la incrinò nel centro. Si afferrò la mano, ora sanguinante e che gli faceva un male cane e si maledisse un centinaio di volte. Andò a metterla sotto l’acqua fredda ma arrivò praticamente subito alla conclusione che doveva essersi rotto qualcosa perché si gonfiò immediatamente. Si convinse allora ad andare in infermeria a farsi medicare. Passando davanti all’aula di Pozioni sentì provenire dall’interno un pianto sordo, come ovattato. Fingendo di non averlo mai udito affrettò il passo, occupando la propria mente per trovare una scusa da raccontare a madam Pomfrey riguardo alla causa dell’incidente.
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