Avvertenza.Questo racconto descrive sesso tra uomini in maniera crudamente esplicita e priva di sottintesi. A chi non si sentisse abbastanza portato per il genere o avvertisse la materia come offensiva consiglio di non proseguire nella lettura solo per curiosità, perché non gli piacerebbe. Gli altri spero che si divertano. Rating: nc-17.
Hopeless Tale di Molly
Non riusciva a ribellarsi. Non c’era mai riuscito, fin dalla prima volta che era successo. Aveva stretto le sue mani nei pugni fino a fargli male, gli aveva sbattuto tra le labbra impazienti il suo rifiuto in un grido soffocato e roco. Aveva respinto in un sussulto violento il suo corpo eccitato che si premeva contro di lui, il suo sesso rigido nei calzoni che gli sfregava le natiche, in un contatto rabbioso. Si era staccato, con orrore, gli occhi sbarrati nell’oscurità della stanza, senza riuscire a parlare, a pensare, mentre il respiro si spingeva fuori affannoso, rotto. Aveva resistito disperatamente a quelle braccia che lo afferravano ancora, aprendo a forza le sue, spingendolo contro la parete con un tonfo sordo. Aveva resistito alla lingua che gli infilava tra i denti, quasi brutale, alla saliva umida, in bocca. E poi aveva ceduto, invece. Completamente. Aveva ceduto ogni volta.
Si girò sul fianco, a guardare nel letto il suo compagno addormentato. Il lenzuolo lo copriva lieve disegnando il suo ventre, la linea forte dei fianchi Era bello il suo profilo nel sonno: sembrava trovare quella pace che lui non aveva mai, quando viveva. Anche quando facevano l’amore. Anche se adesso avevano imparato a farlo sommessamente. E, senza averlo deciso, gli sfiorò la guancia in una carezza indugiante. Era l’ultimo giorno di licenza, e quella sera erano andati a far baldoria da soli, in una delle tante taverne della Parigi malfamata, dove nessuno ti chiedeva niente se poi passavi la notte in una delle stanze di sopra, con una puttana o con un amico. Se non ti prendevi una coltellata subito, ci potevi rimanere tranquillo, dopo, finché volevi.
“André…” La sua voce che usciva dal sonno aveva qualcosa di stranamente indifeso. Lo osservava attento, quando si svegliava, per cogliere l’attimo breve in cui le labbra erano ancora distese, prima che l’ironia le curvasse nel disincanto di quel sorriso perenne, che faceva venir voglia, quando lo vedevi, di prenderlo a pugni prima che parlasse, perché sicuramente avrebbe detto qualcosa di imbarazzante e di vero. Ma adesso non era così. Non era più così da un po’, comunque. Per lo meno tra loro. “Che ore sono?” “Ancora presto. È notte”. Lo vide girarsi con un mugolio svogliato, affondare il viso nel guanciale, dandogli le spalle. Lo aveva fatto anche la prima volta, subito dopo essere venuto dentro il suo corpo con un’ultima spinta veemente, un gemito cupo. Mentre, stordito da ciò che era successo, rifiutando ancora di crederci, lui ascoltava i colpi impazziti del cuore nel petto e i sussulti estremi dell’orgasmo che lo aveva invaso per primo, avvampando incontrollato nei lombi, il seme tiepido sul ventre premuto contro il lenzuolo, sgorgato in un’esplosione lenta, da levare il fiato, senza che una sola carezza avesse sfiorato il suo sesso. Lo aveva scopato e lo aveva fatto godere. Poi era rimasto serio, di spalle, come aspettando che lo uccidesse.
Ma non lo aveva ucciso, no. Non avrebbe potuto, comunque, perché sapeva, già quella prima sera, che sarebbe finita così. Erano giorni che ci pensava, che non riusciva a scacciar via quel pensiero, da quando aveva sentito il tocco della sua mano calma avvolta sul pene, dargli piacere con lenti gesti crescenti, scoprendolo lentamente, fino in fondo, in un modo che lo aveva fatto bagnare. Erano di guardia insieme, e sul finire del turno avevano parlato. Lui era pieno d’amarezza, e il suo amico gli aveva passato un braccio intorno alle spalle d’istinto, per confortarlo. Si era lasciato stringere, non sapeva neanche perché. Ma poi la carezza del suo viso era diventata un bacio inatteso, lievissimo, all’angolo della bocca. Si era preso le sue labbra spingendolo piano contro il muro, per un istante eterno, prima che lui riuscisse a uscire dallo stupore e ad avere una reazione qualsiasi. E quando poi invece si era irrigidito sconvolto, e aveva esclamato “Che fai?”, aveva udito un fremito oscuro nella sua voce, le sue braccia bloccarlo, e la mano scendere, infilarsi nei pantaloni. Si era eccitato all’istante, incredulo, costernato, accorgendosi del sussulto trionfante del suo compagno. Si era fatto accarezzare e toccare senza smettere un attimo di dire no, disperato. Finché Alain non si era interrotto lasciandolo a mezzo, quando aveva voluto. Quando già la sua mano vinta, guidata da lui, stringeva piano col palmo il pene eretto dell’amico, nella stoffa dei pantaloni di fustagno. “Basta”, gli aveva detto. E se n’era andato da solo.
Era rimasto allibito, fremente di sgomento e d’ira. Non era nemmeno riuscito a parlare per chiamarlo, per scagliarglisi addosso e fare a botte con lui. Ma, quando ormai era lontano, lo aveva seguito, ancora pieno di rabbia per ciò che aveva fatto. E non visto lo aveva osservato entrare nell’armeria, per posare il fucile. Era arrivato alla porta socchiusa, e stava per affrontarlo, ma aveva sentito un rumore strano, che lo aveva fatto fermare. Poi li aveva distinti nell’ombra, come in un sogno assurdo, ed era rimasto trasecolato a guardare quello che accadeva. Lassalle era in ginocchio davanti a lui e lo succhiava avidamente, senza fermarsi, mentre Alain gli teneva la testa con le mani serrate tra i capelli e lo tirava a sé con cattiveria, affrettandone i movimenti e muovendo i fianchi verso di lui. Lo aveva trovato nell’armeria e se lo era fatto succhiare lì, subito, come tante altre volte, per sfogarsi della voglia insaziata. Tirandolo giù e spingendolo fino a terra, senza una parola. Ma questo André lo aveva saputo dopo, non quella sera. Forse Alain lo aveva fatto anche apposta, a lasciare la porta aperta. Quella sera li aveva guardati dalla fessura. E alla rabbia, all’eccitazione, all’orrore, si era aggiunto un odio che non riusciva a capire. Li aveva guardati e, guardandoli, si era toccato anche lui. Ed era venuto subito, quasi subito, come Alain, appena lo aveva visto riversarsi in un rantolo nella bocca di Lassalle. E il suo tremito oscuro, e la riga di sperma perlato che scivolava all’angolo delle labbra dell’altro. E il sorriso appena accennato, nell’oscurità, che aveva intravisto sul viso della sentinella. E la frase che gli aveva detto, piano: “Ti ho fatto godere, Alain?”
Ma era successo prima, tanto tempo fa. Tra lui e Alain non era come con Gérard o con qualsiasi altro. Loro stavano insieme. A lui aveva detto che lo amava. Glielo aveva detto, alla fine, una notte delle tante che avevano avuto, soli. Una notte di alcuni mesi prima, quando Alain lo aveva leccato per un’eternità, prima di entrare in lui. E poi si era mosso piano, pianissimo, in un modo che si sarebbe detto dolce, fino a venire. Glielo aveva detto venendo. Dopo, per la prima volta nella sua vita, si era fatto prendere. Lo aveva implorato di penetrarlo anche lui. Ed era venuto ancora, mentre André si muoveva, agitato e impaziente, nella sua carne. Erano venuti insieme, in un orgasmo simultaneo, che non finiva più.
Stavano insieme. Erano amici e facevano l’amore. E scopavano. Col tempo André aveva superato l’orrore che gli dava l’idea. L’aveva superato presto, in effetti, perché con Alain stava bene, e Alain trovava sempre le parole giuste, i gesti necessari.
Come la volta che lo aveva visto pronto per uscire, perché doveva accompagnare Oscar a ringraziare Bouillet a Parigi. Erano soli nella camerata, perché era un giorno di libera uscita, e soltanto loro erano rimasti là. “Vedo che ti sei fatto bello…”, gli aveva detto guardandolo dalla branda, sorridendo beffardo. Poi si era alzato e gli era andato vicino, accanto al letto a castello. “La divisa in ordine, la faccia sbarbata…” Gli aveva infilato la mano tra i bottoni della giacca. “Ti vuole tirato a lucido, stasera, eh?”, aveva mormorato sarcastico al suo orecchio, mentre André si era sentito tremare e gli aveva afferrato il polso, allontanandolo. Ma Alain gli aveva stretto di nuovo i fianchi, da dietro, e gli aveva passato la mano destra tra i glutei, parlando a voce bassa: “Già… chissà perché ha chiamato proprio te, André… Forse ti vuole tutto per sé… Magari ha deciso di dartela, e stasera è la volta buona che te la scopi…” “Che cazzo vuoi?”, aveva ringhiato in risposta, divincolandosi. “Niente, André, proprio niente, lo sai - aveva detto la lingua dentro l’orecchio, mentre il corpo di Alain lo aveva afferrato, e lo schiacciava con forza contro il sostegno verticale del letto -. Solo fotterti un pochino anch’io, solo questo…” E poi era successo tutto in pochi momenti, perché gli aveva solo abbassato un po’ i pantaloni, quanto bastava per penetrarlo, e a quel gesto André si era turbato follemente, all’istante. Lo aveva sentito estrarre il pene dalla divisa e infilarglielo tra le gambe, mentre le stringeva con le mani, dai lati, sfregandolo in mezzo alle cosce fino a sfiorargli i testicoli. Allora aveva avuto un gemito, aggrappandosi alla sponda di legno. “Dimmi che lo vuoi”, gli aveva ordinato Alain in un ansito, posando il sesso bagnato contro il varco nascosto del suo corpo, e premendo appena. “Dimmelo, adesso!” Non si era reso conto bene del prima e dopo, perché mentre gli diceva sì stavano già scopando, di nuovo, e avevano scopato come due selvaggi, per minuti che non finivano mai, in piedi contro il letto a castello, con la porta chiusa. Alain gli aveva impugnato il pene, passandogli le dita davanti, infilandole nei calzoni chiusi accarezzando i muscoli tesi del ventre, e lo aveva massaggiato ritmicamente mentre si muoveva dentro di lui, respirando forte. Lo aveva toccato febbrile, in silenzio, finché lui gli aveva inondato il palmo eiaculando in un grido. E poi l’amico lo aveva inondato anche col suo sperma, immediatamente, appena aveva sentito quei getti sprigionarsi caldi nella mano, per le sue carezze.
Era stato tentato di andare da Oscar senza cambiarsi, tanto aveva goduto, tanto voleva conservare sul corpo la sensazione di quel piacere tremendo, e il loro seme mescolato, confuso.
Poi, sì, era successo quello che era successo, a Saint Antoine. Lo avevano quasi ammazzato. E anche lei aveva rischiato la stessa cosa. Guardando quella corda davanti a sé, sollevato verso il cappio da mille braccia violente, le ferite di mille colpi sulla pelle, André aveva pianto, perché non sapeva dov’era lei. Convinto che sarebbe morto entro pochi minuti, in quei minuti aveva sofferto un dolore immane per non poterla salvare. E la sera stessa, a casa, quando ormai erano in salvo, pestati e vivi, aveva avuto l’impulso di prenderla con sé e portarla in un angolo oscuro a parlare come quando erano piccoli, a consolarla, e stavolta far l’amore con lei. Gli era sembrata la cosa più naturale del mondo, fare l’amore con lei.
“Lo so che tu l’ami - gli aveva detto Alain, giorni dopo -. Lo so. Ma il fatto è che adesso vuoi anche me, e le due cose non si escludono”. Già, non si escludono. Era vero. Anche volere Alain era naturale. All’inizio non riusciva a capirlo, ma poi si era reso conto che andare a letto con lui non lo aveva cambiato. Non lo aveva reso meno uomo. Uomo, donna… che differenza c’è tra un uomo e una donna quando puoi scioglierti di languore e gratitudine tra le braccia di un amico che ti accarezza? Quando puoi chiedergli di darti piacere senza vergogna del piacere che provi? Questo succedeva, con lui. Anche Alain rimaneva un uomo, mentre si offriva al suo amplesso, mentre lasciava che lo penetrasse scivolando lentamente in lui e riceveva con desiderio il suo corpo. E quando era dentro Alain rimandava all’infinito il piacere, perché amava restare a lungo in quel rifugio, il più a lungo possibile. Il suo compagno ne era felice al punto di piangere, quasi. Una volta era riuscito a farlo venire due volte di seguito, senza che perdesse l’eccitazione, perché lo aveva preso lentissimamente, per più di un’ora, baciandolo sul collo e le spalle. Ora stavano insieme.
No, la differenza non è molta, in fondo, se il sentimento che provi è reale, se ti rende felice. Pensava questo, André.
Aveva trovato un amico che lo aveva consolato, accettandolo per com’era, senza chiedergli niente. Aveva desiderato il suo corpo e scaldato la sua pelle la notte. Gli aveva insegnato a baciarlo intrecciando la lingua piano alla sua. Un pomeriggio lo aveva baciato infinitamente, senza staccarsi mai, e si erano spogliati l’un l’altro lasciando i vestiti scivolare a terra, in casa da soli. Erano rimasti nudi, di fronte, a guardarsi. Poi Alain si era chinato piano e gli aveva lambito il pene con la lingua, lo aveva eccitato facendolo crescere in bocca, lo aveva succhiato a lungo, con dolcezza e passione, lasciandosi guardare mentre lo faceva, chiudendo gli occhi felice nel sentire i suoi gemiti sempre più affannosi. Lo aveva fatto godere così, con la bocca, senza nessuna fretta, e dopo aveva continuato a succhiarlo fino ad eccitarlo di nuovo. Poi si era alzato e con la lingua aveva percorso il suo ventre, il suo petto, fino a trovare le labbra, si era spinto con dolcezza contro di lui e lo aveva abbracciato piano mentre lo baciava sciogliendosi in quel sapore, sollevandolo sul gradino della finestra. Gli aveva allargato un poco le gambe guardandolo, di fronte a lui, e con le mani aperte, tenendo i suoi fianchi, lo aveva portato a sé. Si erano uniti così, e nel farlo si erano detti mille cose meravigliose. Era bello farlo con Alain, lui trovava il momento giusto. Baciandolo lo aveva guidato al piacere mentre lo penetrava lentissimo, ansimando insieme, come potesse percepire l’incendio che gli divampava nel ventre mentre lo possedeva, e il godimento acutissimo prolungato all’estenuazione di un orgasmo che iniziava minuti prima senza concludersi mai, finché il seme scaturiva in ultimo in un fiotto vivo, culmine estremo tra gli altri culmini di piacere provato, sfinito dalla sua intensità.
Voleva anche Alain. Non avrebbe smesso di volerlo, ormai.
Chissà, forse se la vita fosse stata diversa non sarebbe successo questo. Ma che senso aveva chiederselo, a questo punto? La sua vita era andata così, e lui ne era il risultato. Aveva amato inutilmente Oscar per troppi anni per poter pensare a un’esistenza normale. In fondo anche Oscar non sapeva che cosa essere: non lo aveva mai saputo, e adesso che cominciava a capire lo sapeva ancora di meno. Era una donna che viveva come se fosse un uomo. Che per tutta la vita aveva voluto sentirsi un uomo. Lui, comunque, non aveva mai cessato di amarla. Ma solo da quando aveva trovato Alain era riuscito a guardare con equilibrio alla cosa. Era diventato più lucido. Anche se a lei sembrava più freddo, se n’era reso conto. Paradosso banale, la donna che per una vita aveva amato invano adesso si accorgeva di lui perché non la inseguiva più. Lo cercava, lo voleva accanto nelle missioni, gli chiedeva di andare a casa insieme. André lo aveva compreso da tempo, e lo sapeva che prima o poi l’avrebbe avuta davvero. Lo sentiva, adesso, e pensava alla cosa con una gioia pacata, come a un evento atteso che avverrà di sicuro, e che sarà bello. Avrebbero fatto l’amore e avrebbe sfiorato delicato la sua pelle. L’avrebbe presa dolcemente, perché era vergine, e l’avrebbe consolata e protetta, tenendola tra le braccia. Forse sarebbe riuscito a farle scoprire il piacere, poco a poco. O forse subito, fin dalla prima sera. Chissà. Anche lui era vergine, da quel punto di vista, perché non l’aveva mai fatto con una donna. Ma non aveva timore.
Solo, si sentiva un po’ stanco. Forse vecchio, esperto di troppa vita. Quel viaggio non lo aveva lasciato indenne. Sarebbe stato bello, e l’avrebbe amata. Ma non sarebbe mai stato come poteva essere prima. Era troppo tardi.
Alain gli era accanto. Si preoccupava per lui. Quella sera, prima di cedere al sonno, lo aveva avvolto con un braccio, studiando con lo sguardo il soffitto alla luce fioca della candela. “Devi lasciare l’uniforme, André. Devi smetterla con questa vita”. Se n’era accorto, lui. Se n’era accorto quasi subito, ai primi segnali. Sapeva da tempo che avrebbe perso anche l’altro occhio. E lo aveva protetto, fin dal primo momento, impedendogli di rischiare la vita quando era in servizio. Si accorgeva di tutto, dei peggioramenti anche minimi, di giorno in giorno. Ma non lo aveva detto a nessuno, rispettando la sua volontà. Nemmeno a Oscar, soprattutto a Oscar. Non aveva preteso niente e lo vegliava soltanto. Sapeva che non avrebbe mai rinunciato a starle vicino, qualunque cosa dicesse. Una volta, che lo vedeva star male, si era perfino spinto a consigliargli di rivelarlo a lei. Gli aveva detto che non l’avrebbe perduta, se lo amava davvero. Gli aveva detto che non sarebbe rimasto solo. “Non devi aver paura - aveva mormorato serio -. Io penserò a te, in ogni caso”. André si era voltato, allora, e lo aveva guardato commosso. Era strano da riconoscere, sulle linee a tratti anche rudi dell’espressione che gli indugiava sul viso: ma quello di Alain era amore, lo era sul serio. Profondo e disadorno, senza speranze e sogni, proprio come lui. Lo aveva desiderato e lo amava, gli aveva dato soltanto consolazione e gioia. Non esigeva niente.
Quando te ne sei accorto, gli aveva chiesto una volta, quando ormai tante cose li univano, e non aveva più timore a fare certi discorsi. Non gli aveva risposto subito, sembrava che cercasse la risposta in quello stesso momento. “Non lo so. Quasi subito, credo”, aveva detto semplice infine, con un mezzo sospiro. In fondo Alain non conosceva l’amore, prima. Aveva conosciuto donne, e a un certo punto aveva imparato le strade del piacere coi suoi compagni. Non si era mai fatto troppe illusioni sulla vita. Per questo era capace di amarlo senza pretendere nulla. Gli sembrava già tanto che gli fosse successo, alla fine, e che lui lo volesse, non lo avesse mai rifiutato. Anche se sapeva che André non lo amava allo stesso modo. Era un sentimento grande, quello del suo amico. Ne provava rispetto, e riconoscenza.
“Com’è farlo con una donna, Alain?” Glielo aveva domandato pochi giorni prima, quasi all’improvviso, e troppo tardi si era accorto della fitta dolorosa che gli avevano dato le sue parole, dalla piega impercettibile che si era contratta ai lati della sua bocca. Stava pensando a lei, la pensava sempre, anche se poi la notte godeva tra le sue braccia, e lo accarezzava. “Scusami”. “No, perché?”, aveva detto lui allora, quasi senza amarezza. “Capisco che tu te lo chieda. Io lo capisco”. Poi aveva sollevato lo sguardo, come se cercasse nei suoi ricordi una risposta sincera. “Non lo so… è diverso. Ma anche bello. Le donne sono… fragili, sono leggere. A volte temi di romperle, se le stringi troppo. Ma forse è questo che è bello, a pensarci bene”. “E si gode allo stesso modo?” Lui aveva sorriso, allora. “È bello quando sono loro a godere, e tu le guardi. È una cosa che le devasta. Da rimanerci stupito, se non lo sai. In quel momento sei certo che morirebbero, per te”. André aveva pensato che prima di morire avrebbe dovuto almeno una volta far godere Oscar, e vederla devastata dal piacere che lui le dava. “Per tanto tempo ho conosciuto solo le donne - aveva detto poi Alain, mentre lo ascoltava disteso -. Mi sembrava la cosa più naturale, allora. Lo facevo come tutti gli altri. Ma era come se non bastasse, se non potesse bastare”. “E ti sei mai innamorato di una donna?” “No, innamorato no”.
Si passò una mano sul labbro, girandosi verso di lui, e si accostò lentamente. Gli carezzò la schiena, scendendo lungo la spalla forte, percorrendogli il dorso. Lo sfiorò così, per un po’, mentre Alain rimaneva voltato, senza destarsi. “Smettila, André”. Lo sapeva che era sveglio. Continuò a toccarlo finché girò il viso sul cuscino verso di lui. Lo guardava serio. “Smettila”. “No”. Lo fissò con una luce viva nello sguardo. Si avvicinò al suo corpo, posandogli sulla schiena le labbra, arrivando al collo. Lo baciò con desiderio intenso, adagiandosi su di lui, stendendo le braccia sopra le sue, fino a prendergli i polsi. Lo fece star fermo e continuò a baciargli la nuca, l’orecchio, scaldandogli la pelle col suo respiro. “Una volta, Alain, hai detto che saresti morto, per me”, mormorò a voce bassissima, senza smettere. “Sì”, lo sentì gemere, alterato, caldo. “Sì, è vero…” “Dillo di nuovo - sussurrò allora spingendo la lingua lungo la guancia, per trovare la bocca -. Voglio soltanto sentirlo”. Allora il volto di lui lo raggiunse fremente, e girò il capo a incontrarlo, mentre lo teneva fermo sotto di sé. Lo accolse e lo baciò con passione, senza respiro. Le lingue s’intrecciarono in un abbandono ardente, colmo di languore. “Voglio morire per te – disse in un gemito Alain -. Potrei morire anche ora…” “No… no, tu non devi morire, non puoi…” Scese verso il suo ventre e lo cercò con la bocca, si accovacciò piano accanto a lui, il capo contro il bacino. Poi accolse tra le labbra il suo sesso, che pulsava appena sotto la pelle tesa e lucente. Lo sfiorò con la lingua umida, seguendolo con la punta, scoprendone le scabrosità poco a poco, per tutta la sua lunghezza. Si fermò all’orlo tenero, resistendo al desiderio di morderlo, e coi denti accennò un lievissimo assalto, stringendolo appena, solo un istante. Chiuse gli occhi quando udì il lamento infiammato del compagno, le sue mani che si chiudevano, il fruscio del lenzuolo. Lo avrebbe succhiato con ardore, fin da quel momento, ma resistette, e gli passò intorno la ruvidità della lingua. Poi risalì e sostò a lungo dove sapeva che lo avrebbe fatto impazzire, tormentandolo con leggerezza infinita. “Ti prego André… ti prego… prendilo… fallo…” Era in suo potere, adesso, si agitava inerme contorcendosi sul cuscino, e gli uscì quasi un grido quando lo sentì cogliere il sapore della sua eccitazione. André per un istante pensò che lo avrebbe fatto venire così. Invece avvertì le sue mani tremanti chiudersi intorno al capo. E forzarlo, cedendo alla voglia, ad avvolgergli le labbra intorno: a tenerlo dentro, mentre, senza che lui si muovesse, Alain lo stringeva, adesso, e dimenava il bacino con colpi ritmici e convulsi, entrando tutto, nella sua bocca. “Sì… fallo… fammi venire… dai…” Allora chiuse le labbra succhiandolo, lasciandosi guidare dal moto febbrile dei suoi fianchi, dalla sua smania. Eppure durò a lungo, a lungo, finché André si accorse che stava per venire anche lui, e si prese il pene nella mano toccandosi, continuando a succhiare. Solo un attimo, perché esplose appena lo fece, con un rantolo soffocato, senza allontanare il viso. Serrandolo ancora di più. “Oh… sì, André… sì… anche tu… oh… ti amo…” Un fiotto caldo, improvviso, sgorgò dal suo sesso riempiendogli la bocca, mentre Alain lo accompagnava ancora con movimenti successivi del corpo. Un altro schizzo, e un altro ancora, sembrava non finisse mai quell’orgasmo, il suo seme il suo sapore, e i suoi occhi chiusi. “Amore... amore mio...André...” Lo aveva detto con un suono quasi di pianto, completamente indifeso. Non lo aveva mai detto così, non lo aveva mai chiamato “mio”. Non si difendeva più, in nessun modo. Lo amava disperatamente, e non si difendeva più.
Poi si riprese un poco, e lo tirò a sé sul cuscino, i capelli che ricadevano sparsi sul viso. Un affanno lieve agitava ancora il suo respiro. Lo guardò fisso scuotendo appena il capo, e si girò su di lui baciandolo, baciandolo profondamente. “Ti amo”, gli disse tenendolo stretto, con la fronte sulla sua spalla.
A volte, in momenti così, anche André provava l’impulso di dirlo. Succedeva sempre più spesso che avesse il desiderio di abbandonarsi alla potenza di quella frase, di pronunciarla con gioia, non con dolore. Non lo aveva mai detto, ad Alain, perché non lo sentiva appieno, dal profondo della sua anima, e rifuggiva con orrore il pensiero di mentirgli su una cosa così. Eppure, più passava il tempo, più era felice del suo amore per lui. Una notte stava proprio per sfuggirgli, in un gemito. Si era trattenuto a fatica.
Alain non glielo aveva mai chiesto. Glielo diceva e basta. Anche se lo desiderava infinitamente, se n’era accorto. Lo avrebbe reso completamente felice se gli avesse confessato che lo amava, lo avrebbe portato al colmo della gioia. Per questo non lo aveva mai fatto. Non era più sicuro di niente, e non voleva ingannarlo.
Un male. Una malattia lenta che corrode il cuore e lo rende incapace di battere con sincerità. Era questo che si sentiva addosso. Si sentiva malato dentro. Come se non andasse bene più per nessuno, se non fosse più buono né per Oscar né per Alain. E per nessun’altra persona. Qualunque cosa fosse accaduta, ormai, qualunque scelta avesse fatto, sapeva che non sarebbe mai stato totalmente felice, che non avrebbe potuto mai più rendere felice qualcuno. Avrebbe lasciato rovine su qualsiasi cammino, a partire dai frantumi di se stesso. Nemmeno Oscar era una risposta, ormai. Neanche se lei lo avesse amato con tutta l’anima, per tutta la vita. Non sarebbe bastato. Gli venivano sempre lacrime di rabbia quando pensava a quante speranze aveva nutrito su lei, a quanta purezza c’era nel suo amore, un tempo, con quanto slancio l’aveva desiderata e seguita, e aspettata, finché si accorgesse di lui. Poi quell’attesa era diventata un veleno, e lo aveva intossicato. Adesso aveva tradito il suo amore, e continuava a tradirlo senza esitare. Andava a letto con un suo amico, e ne provava un piacere infinito. Non avrebbe rinunciato a lui, nemmeno se Oscar glielo avesse chiesto piangendo. Le avrebbe mentito, magari. Avrebbe fatto l’amore con lei, sarebbe stato il primo a entrare nel suo corpo. L’avrebbe accarezzata e baciata infinitamente dicendo che l’amava. Avrebbe ascoltato le parole d’amore di lei, dopo una vita di desiderio. Ma non avrebbe rinunciato ad Alain. Le avrebbe mentito.
Alain faceva parte della sua vita. Godevano insieme, e gli voleva bene. Eppure, anche lui, non riusciva ad amarlo allo stesso modo. Anche se impazziva quando lo stringeva, la notte.
Tardi. Questo era successo: era troppo tardi. E lui era in una trappola buia, senza vie di fuga.
Per questo non gli importava più molto dare una svolta alle cose. La sua vita era quella, ormai. Era Palazzo Jarjayes, con Oscar che beveva il tè silenziosa, vicino a lui. Era la caserma dove stava con altri soldati, la branda sotto quella di Alain. Talora, quando smontava dal turno di guardia ed era notte fonda, il suo amico si spogliava nel buio e veniva sotto le sue coperte, mentre dormivano tutti, fingendo di salire al suo letto. Lo aveva fatto la prima volta una notte, cogliendolo di sorpresa, e si erano eccitati moltissimo al pensiero di farlo così, coi compagni addormentati intorno. Il corpo di lui era freddo, e il contatto con la sua pelle caldissima li aveva fatti impazzire entrambi. Alain lo aveva voltato di schiena e gli si era posato sopra, prendendogli i polsi, racchiudendo le braccia nelle sue. Poi gli era entrato dentro poco per volta, tappandogli con una mano la bocca perché non gemesse di dolore e di voglia. Era stato meraviglioso, e da allora lo avevano fatto altre volte.
Non era solo il piacere che sapeva dargli, che gli aveva fatto scoprire. Era il bene che gli voleva, il fatto che lo accettasse. C’era un profondo rispetto nelle cose che faceva Alain, una grandezza triste che non chiedeva niente per sé. Lo aveva desiderato e lo amava, gli sarebbe stato accanto qualsiasi cosa accadesse. Era il suo compagno, e su lui avrebbe potuto contare, in qualunque caso.
Per questo rimase in silenzio, quel pomeriggio, quando Oscar gli prese la mano e lo condusse in camera sua, quando chinò il viso piangendo e gli chiese di perdonarla. Le labbra che posò sulle sue, con un’audacia timida che lo intenerì all’improvviso, avevano un sapore dolce, un altro sapore. La baciò perché era una cosa che voleva fare da sempre, e per un attimo gli sembrò di poter essere ancora quello di prima. Era vero, era leggera, fragile. La strinse piano per non farle del male e le asciugò il pianto di sotto gli occhi. Gli chiedeva perdono, facendosi baciare, e soffriva, e ad André parve allora che la vita non avesse alcun senso, perché ognuno di loro aveva tante cose da farsi perdonare, ed era di una tristezza infinita tutto quel dolore, quel bisogno di dire scusa, d’implorarsi l’un l’altro di sopportare le debolezze e gli errori con cui ci si feriva continuamente, semplicemente vivendo. La guardò fissa, addolorato e calmo, e le chiese scusa anche lui. E disse che non doveva pensare mai più di avere una colpa. Non era stata lei a decidere il proprio nome e a mettersi addosso un’uniforme, a volere che per tutta la vita la sua natura di donna fosse negata. Non era stata lei a ordinare al proprio cuore di innamorarsi di un altro. Di non vedere per tanto tempo che lui l’amava. Non ci sono colpe da perdonare. Solo pene da scontare, questo sì.
Forse non lo avrebbe neanche fatto, quella notte. Lei gli si era abbandonata e gli aveva chiesto di diventare sua. Aveva chiuso gli occhi, e un desiderio dolce e timoroso tremava sulla sua pelle. Aveva temuto, vedendola così indifesa e sincera, di sporcare la sua purezza, il suo cuore limpido e pieno di fiducia. E anche se, stringendola in quei momenti, lo aveva invaso una passione fortissima che non aveva mai provato prima, anche se già le sue mani carezzavano la camicia desiderose del seno e i suoi fianchi si stringevano a lei in una brama ardente, André si era fermato e l’aveva quasi allontanata da sé, prendendole con le mani le braccia. Uno strazio amarissimo si era impadronito del suo cuore.
“Oscar, io… non lo so se questo è giusto per te…” “Perché?”, chiese lei in un gemito disperato, come se non potesse affrontare l’idea di tornare a prima. La fissò desolato, sgomento, perché aveva voglia del suo corpo, terribilmente. E troppo era l’amore che aveva conosciuto per lei. “Io… io ti ho amato per una vita, Oscar, davvero. Da sempre. Ma non sono più quello che ero prima, sono successe troppe cose… troppe…” Lo aveva detto scuotendo il capo, convinto che non avrebbe capito, e lo avrebbe odiato. “Tu sei così… vera… sei così pura, Oscar… sei così capace di sperare… Io non lo sono più, non lo sarò mai più. Potrei farti male, potrei farti tanto male…” Lei lo ascoltava, con un’angoscia buia a disegnarle il viso. Lasciò le braccia tra le sue mani, annullata, e lo guardò come se non riuscisse a piangere. “Tu che ne sai - gli disse infine, in un moto quasi ribelle -, tu che ne sai, André, della mia purezza? Credi davvero che io sia capace di sperare in qualcosa, di far felice qualcuno? Io distruggo tutto quello che tocco”. Chinò il capo, posandogli la fronte sul petto. Una voce che quasi si perdeva, dentro il silenzio: “Non mi fa alcuna paura il male che potresti farmi, quello che potremmo farci. Io non ho più paura di niente”.
Nient’altro lo avrebbe scosso, ma quelle frasi sì. La tirò a sé chiudendola in un abbraccio forte, e si abbandonò a quel suo amore, senza pensare più.
Per un po’, dopo che fu sua, gli sembrò di poter ritrovare ciò che aveva perduto. Si erano amati senza farsi promesse, e ora andava da lei ogni notte, e lei gli si offriva. Era stato bellissimo, la prima volta e le altre, e una notte l’aveva fatta venire, e poi c’era riuscito quasi sempre, da allora. Era vero, l’estasi devastava il suo volto in un modo indicibile. In quell’attimo si sentiva felice, si sentiva potente. Era stupenda e femmina, e lui impazziva quando la stringeva a sé muovendosi nel suo corpo. Le diceva sei la mia donna, glielo diceva ogni volta.
Alain lo capì subito, e non disse niente. Non disse niente neanche quando lo vide allontanarsi, fare in modo di non restar solo con lui. Non cercò nemmeno di toccarlo, non entrò nel suo letto. Gli rimase distante per settimane, e lui chinò il viso e rifiutò di pensarci. Voleva ritrovare ciò che aveva perduto, e gli parve di potervi riuscire, con Oscar.
Ma non era così. Non lo sarebbe più stato, ormai. Oscar era dolce e arrendevole, adesso, e in certi istanti era così indifesa da fare tenerezza. Avrebbe potuto, solo chiedendoglielo, farle cambiare vita e andare via per sempre di lì. Lei lo avrebbe seguito, ne era sicuro. Ma non voleva andare da nessuna parte. La teneva stretta, la coccolava ed entrava in lei, le dava piacere con le sue carezze e ne godeva dolcemente, appassionatamente. Eppure non bastava, non bastava più. Lo aveva sempre saputo. Non c’era più soltanto lei nel suo cuore. Non era più l’unica sua ragione di vita. Non voleva separarsi da Alain, anche se per giorni interminabili si ostinava, ora, a dimenticarlo. A dimenticare la sua pelle, il suo letto, il suo sorriso disilluso e le parole che sapeva dirgli. Non voleva mancargli, dargli il dolore di un abbandono annunciato ma non per questo meno lacerante. Forse più crudele, anzi, proprio per questo. Non voleva lasciare il suo volto cupo, il dolore che gli stava causando rifiutando l’intimità che li aveva uniti, i sentimenti che avevano provato insieme. Lo vedeva sempre più solo, e disperato, e voleva curarlo. Voleva curarlo lui, perché lui soltanto era in grado di farlo, e nessun altro poteva. E nessun altro ci doveva provare, doveva provare a toccarlo. Gli mancava terribilmente, la verità era questa. La verità era che soffriva a stargli lontano, e che vederlo soffrire lo distruggeva.
Sarebbe bastato un momento. Anche se questo Oscar non lo sapeva.
Aveva fatto l’amore con lei, nel pomeriggio. La notte, durante il turno di guardia, si avvicinò ad Alain che non parlava da ore. Gli prese il fucile, all’ombra della torretta, e lo appoggiò contro il muro. Poi si accostò e lo baciò sulla bocca, profondamente. Lo baciò a lungo, con una passione che non ammetteva rifiuto.
Così era ricominciata, perché lo aveva scelto lui. Alain lo aveva accettato, disperato e felice, e prendeva ciò che gli dava senza cercare di averlo tutto per sé. Anche se il pensiero di Oscar lo faceva star male, e si vedeva. Fu una gioia, per André, ritrovare le sue mani, il suo corpo, il conforto del tempo della loro relazione antica. Erano legati da tanto, e ciò che avevano fatto era molto più di quanto servisse a unire due persone in un’intesa d’amore. Lo baciò con infinito sentimento in cuore, e pensò che era bellissimo stare ancora tra le sue braccia. Che non voleva, non poteva rinunciare a lui.
E subito, la notte dopo, andarono a casa sua, a Parigi. Non inventò nemmeno una scusa: non tornò da lei e basta. Finirono a letto appena entrati, e André gli si offrì, pieno di desiderio, mentre lui lo fissava. E non fu importante che, in quel primo abbraccio, Alain non fosse riuscito a farlo, a far l’amore con lui. Aveva avuto paura, in quei giorni, e ora, sotto le coperte, sembrava annientato dall’averlo perduto. André continuò a baciarlo mentre lo udiva chiedere scusa, mortificato. Gli si strinse il cuore, perché non sembrava più neanche lui. Lo baciò per fargli capire che non sarebbe rimasto ancora da solo. Finché lo eccitò, di nuovo, con le sue carezze, e gli fu sopra, guardandolo intensamente nella luce fioca, piano, e si mosse con intensità crescente, mentre lui godeva arreso alla sua passione. E quando il suo compagno arrivò al culmine, e senza osare una parola sussultò in un impeto profondo e gli venne dentro, André provò un’estasi e una dolcezza che non aveva mai sperimentato prima, e mentre Alain si abbandonava inerme all’orgasmo, guardandolo, non abbandonò un istante i suoi occhi e gli disse che non lo avrebbe lasciato mai più.
*
Ora le cose stavano così, e non si poteva cambiare. A Oscar continuava a voler bene profondamente. Ad amarla, forse, anche se con infinita tristezza. E gli piaceva far l’amore con lei, quando lo cercava. Ma lui la cercava sempre meno, adesso. Non era facile, comunque, per loro due, incontrarsi soli e passare una notte insieme. Non vivevano più nella stessa casa, André non tornava quasi mai in licenza. E lei aveva sempre tanti doveri da assolvere, tanta attenzione da usare per proteggere la propria reputazione. Non la biasimava per questo: era costretta a farlo. La loro unione era impensabile, per la disparità sociale e per il ruolo che lei svolgeva: nasconderla non era una prova d’indifferenza, ma un modo per non farla finire. Si sentiva in colpa verso di lei, perché l’aveva tradita. Si sentiva in colpa per averla presa. Le stava facendo del male, come temeva: si era voluto illudere e aveva sbagliato, e in fondo lo sapeva da prima che avrebbe sbagliato, prima di far l’amore con lei. Non bastava il fatto di averla avvertita, per sentire la coscienza a posto. Non bastava, soprattutto da quando si era reso conto che proprio avere lei gli aveva fatto capire l’importanza di ciò che provava per Alain. Da settimane, ormai, aveva deciso di parlarle, e interrompere quella relazione che li aveva legati troppo tardi per poter sopravvivere a ciò che erano diventati. Non lo aveva ancora fatto, però, e ogni giorno che passava sentiva, adesso, il peso di quella menzogna. Non era per egoismo che rimandava, anche se c’erano infinite cose che non voleva perdere di lei. Soprattutto non voleva perdere l’affetto che li aveva legati, la loro vita passata insieme all’ombra l’uno dell’altra, la memoria piantata nell’anima di ciò che erano stati e che erano, perché ciò che ognuno di loro era dipendeva da come si era modellato sull’altro, e questo affondava radici così profonde nelle viscere che il rapporto con Alain, nonostante ciò che entrambi provavano, non poteva nemmeno sognare di paragonarvisi. Ma non era per questo che stava esitando ancora. E nemmeno perché farlo con lei gli piaceva, gli piaceva moltissimo. Alain non poteva capire quanto potesse essere bello far l’amore con lei. Non glielo aveva detto perché sapeva che le avrebbe spezzato il cuore. Quei giorni erano passati senza che sapesse farlo. Aveva sbagliato, facendole del male, e adesso le avrebbe fatto altro male per rimediare.
Eppure doveva dirglielo. Doveva.
*
Solo, non immaginava nemmeno quanto dolore avrebbero provato entrambi. Sperimentarlo non fu lo stesso. Glielo disse poco tempo prima che le cose precipitassero, quando era chiaro ormai a tutti che il popolo si sarebbe ribellato e che a loro sarebbe stato ordinato di combatterlo, in nome del re. Sapeva che lei non avrebbe mai dato quell’ordine, e aveva capito che meditava di lasciare tutto, di schierarsi coi rivoltosi. Come lui, e anche per lui. Allora le parlò prima, con la morte nel cuore. Le disse che doveva finire, che non poteva più. Le disse che doveva saperlo prima di prendere quella decisione, perché lui non avrebbe mai smesso di volerle bene, ma non sarebbe stato più il suo compagno. Non era giusto.
Oscar ne soffrì infinitamente, e quello che lo addolorò di più fu che lo aveva capito, se lo aspettava. Gli era rimasta attaccata senza farsi domande, chiudendo gli occhi perché aveva troppa paura. Quando glielo disse la costrinse ad aprirli. Lei lo fece, piangendo, e si diede tutta la colpa.
“Tu non mi ami, non è vero, André? Ho buttato via troppo tempo, troppe occasioni… e adesso tu non mi ami più?” Non sapeva come spiegarglielo, come farle comprendere. “No, non è questo, Oscar. Sono io, io… Io sono cambiato, non ne hai colpa tu. Non proverò più per nessuno quello che ho provato per te... Ma non è più come prima, Oscar, non lo sarà mai più… Io ero… sincero, un tempo. Ora non lo sono più. Ora tutto quello che provo è come se suonasse a vuoto, se non potessi più crederci”. Era vero, e terribile, e impossibile da spiegare: non era più capace di amarla. Non era più capace di amare nessuno. In fondo non era stato capace nemmeno di amare Alain nello stesso modo in cui ne era stato amato. Ma ciò che provava per Alain, adesso, era incredibilmente forte. Non sapeva neanche lui cosa fosse.
Eppure Oscar non lo condannò. Sembrava che quel discorso lei lo capisse. Decise lo stesso di comandarli mentre si univano al popolo in rivolta. Lo decise anche se non aveva speranze, anche se sapeva che avrebbe perduto tutto, e sarebbe rimasta completamente sola. Lo decise per amore, per disperazione e per scelta.
*
E non lo accusò mai. Non lo accusò nemmeno quando scoprì tutta la verità, nemmeno di fronte al turbamento fortissimo e all’orrore di vederlo con Alain, dopo che la Bastiglia era caduta, e loro erano tutti dei disertori. Li trovò a letto insieme, le labbra unite, nella stanza che dividevano nel quartiere dei soldati ribelli.
“Oscar, mi dispiace… io…” Non sapeva come finire la frase. L’aveva seguita fuori. Lei era entrata senza bussare, e li aveva visti. Ora non riusciva a parlare, non riusciva a guardarlo. “Ma com’è possibile - mormorò smarrita -, com’è possibile…” Lui non rispose, non c’era niente da dire per lacerare il silenzio che li schiacciava. “Era per questo?”, gli disse infine lei, straziata. “Per questo mi hai lasciato, André?” Provò dentro al suo cuore un’amarezza profonda, mentre rispondeva scuotendo il capo disperato, acre, la stessa frase ripetuta, come non ce ne fossero altre: “No. Non è questo. Non è questo il motivo”.
Lei chinò il capo, e con le mani sul viso, con la voce spezzata, disse lo so.
André comprese allora, sgomento, che anche in lei abitava la stessa malattia che gli aveva corroso il cuore. Che anche adesso, perfino adesso, Oscar era come lui.
Quando angosciato ritornò nella stanza, Alain si rivestiva lentamente, in un silenzio di pietra.
*
La Bastiglia era caduta, ed era caduta anche ogni illusione che aveva dato un pretesto alla loro vita. André non riusciva a dimenticare il male che le aveva fatto, non si dava pace. Ora che lei sapeva, non era più in grado di trovare la gioia che il rapporto col suo compagno gli dava. Era come annientato, di giorno. Sembrava quasi sfuggirgli. Anche se poi, la notte, trovava rifugio nel suo letto e si faceva toccare, si faceva possedere in una frenesia folle, come se volesse annegare in quegli amplessi disperati, in quella passione sconvolgente e stordita, e non dover più aprire gli occhi. Andò avanti per giorni e giorni, mentre tutt’intorno a loro divampava una guerra civile. E ogni volta che sorgeva il sole sapevano di poter morire.
*
Fu allora, fu per questo, che Alain cambiò, con lui, e divenne spietato.
Non reggeva la sua sofferenza, non poteva sopportare di vederlo stare male così, di sentirsi colpevole verso Oscar. Non poteva più sopportare di sentirsi di troppo, come se quello di André non fosse mai stato e non potesse mai essere amore, nonostante ciò che era successo. Come se fosse stata la sua presenza, solo la sua presenza, a rendere infelici tutti. Indossò di nuovo la sua maschera cruda, strafottente, il suo fare insolente e duro. E volle farsi lasciare. André non capì perché, ma adesso era Alain che lo rifiutava, che lo teneva lontano. Lui lo desiderava, lo tratteneva quando gli sfuggiva allontanando le sue braccia in un gesto duro e sprezzante. Lo cercava ancora, quando respingeva i suoi tentativi. Non riusciva a capirlo, e si aggrappava disperato alla pienezza del rapporto che avevano conosciuto insieme. Cercava Alain. Lo cercava, e lo feriva, cercandolo, senza rendersi conto.
E una notte, quando provò a sedersi nel buio sul suo letto, accanto a lui, per parlare, nella stanza che dividevano insieme, Alain gli afferrò le braccia all’improvviso e lo spinse brutalmente con la faccia sul pavimento. E senza una parola, colpendolo quando resisteva, gli fu sopra e gli strappò di dosso i vestiti, gli fece male con pugni e morsi trattenendolo inchiodato a terra, eccitandosi per i suoi rifiuti, per la sua paura, per le sue grida che soffocava tappandogli con il palmo la bocca. Gli afferrò i fianchi schiacciandolo sulla pietra fredda e gli allargò quanto bastava le natiche, senza pietà. Lo penetrò con violenza tenendolo fermo, spingendosi dentro con più forza a ogni gemito di dolore, si mosse avanti e indietro in fretta dentro il suo corpo abusando crudelmente di lui, ansimando parole terribili mentre lo stuprava: “È questo che vuoi, André? È questo che vuoi da me? Il cazzo? Ti piace così tanto quando te lo metto nel culo che non puoi farne a meno? Eccotelo, prendilo, è tutto tuo, ecco… oh… sì, bravo… così… così mi fai godere, André… bravo… Sei contento? Sei contento, adesso? Sei contento?” I minuti interminabili che durò, sul freddo di quel pavimento, al buio, furono riempiti soltanto da lamenti strozzati e gemiti disperati e sordi. Alain non si fermò fino a quando non sentì arrivare il piacere, e si abbandonò a un orgasmo acre, cattivo, mentre le lacrime che gli uscivano dagli occhi bagnavano calde le spalle dell’uomo che amava, nudo sotto di lui. Ma di questo André non si accorse, perché era già svenuto quando Alain venne, muovendosi con un’ultima spinta nel suo corpo inerte.
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Quel giorno il tramonto sembrava non finire mai. I soldati ribelli al comando di Oscar attendevano che il comandante arrivasse, riuniti nello spiazzo deserto, dietro le barricate. Le cose non andavano bene, e occorreva un’azione di forza per impedire al reggimento austriaco di prendere possesso della città, spazzando via i ribelli. Bisognava assolutamente impedirlo, perché se quei soldati fedeli al re avessero occupato Parigi, il popolo avrebbe perso la sua battaglia per sempre.
Aspettavano Oscar, che aveva un piano. Un piano disperato, come la situazione. Che richiedeva un eroe.
Il comandante arrivò, e contro il cielo rosso spiegò, senza nascondere nulla, qual era l’unica cosa da fare. La differenza numerica era schiacciante: se avessero affrontato i soldati nemici così sarebbero stati massacrati in un’ora. Bisognava agire di sorpresa: aggirare il loro acquartieramento quella notte stessa, approfittando del buio. Attendere due o tre ore, che la maggior parte dormisse. Poi piazzare dell’esplosivo nei punti vitali, e far saltare tutto. Solo allora li avrebbero attaccati, cogliendoli all’improvviso, quando non erano in grado di organizzare la reazione.
“Ma occorre un volontario”. Oscar lo disse con voce seria, senza celare la verità. Era una missione suicida, con alte probabilità d’insuccesso. E chi l’avesse compiuta non sarebbe tornato vivo. Comunque sarebbero morti tutti il giorno dopo, se non si fosse trovato il modo di arrestare il reggimento nemico. Il comandante disse che nessuno doveva sentirsi tenuto a farsi avanti. Disse che era l’unica strada, e che in mancanza di un soldato che si offrisse se ne sarebbe incaricata lei.
Ma non era opportuno che lei morisse, lo sapevano tutti. Solo lei poteva comandare l’assalto, dopo la sortita, con buone possibilità di vittoria.
“Lo faccio io”.
Guardava verso di lei con un’espressione seria e tranquilla, col braccio alzato in modo quasi indolente. Sputò di lato in un soffio la pagliuzza che teneva tra le labbra, e mise le mani in tasca. “È un buon piano, funzionerà”. “Alain…” “Comandante, siete pallida. Non preoccupatevi. So quello che dico. Gli faccio un servizio completo, a quelli”. Lo disse quasi con un sorriso, come se non gli importasse il resto.
Oscar pensò, fissando le sue labbra chiuse, che doveva avere un grande cuore un uomo capace di ironizzare mentre decideva di offrire la propria vita. Guardò André, che da giorni se ne stava in disparte, e non parlava più con Alain. Riuscì a cogliere il suo sguardo, per un istante, e vi vide dentro la morte.
*
“No, André, non posso fartelo fare”. “Sì, Oscar, puoi. E mi darai quell’incarico, perché lo farò comunque”. Si avvicinò a lui, nell’ufficio in cui era andato a parlarle da solo, tendendo in un moto trattenuto le braccia, quasi a toccarlo. “Ti supplico, André. Non farlo, ti sto supplicando. In nome del nostro passato, in nome dell’affetto che hai provato per me, se ancora ne provi almeno una briciola. Ti prego…” La fissò commosso e grave, poi scosse il capo. “È molto più di una briciola, quello che provo. Ma non posso ascoltarti, Oscar. Lo farò comunque”.
“Non accetterà mai che tu vada al suo posto”. “Allora ci andremo in due”. Lei cedette alla disperazione, allora. “André.. ma perché… perché vuoi farlo? Voi non siete felici, io lo vedo… lo vedo che nemmeno vi guardate più in faccia, non vi parlate più…” Rimase in silenzio, senza abbassare lo sguardo. “E le ho viste quelle ferite sul viso, quei lividi che hai sulle braccia. Te li ha fatti lui, ti ha picchiato, vero? È per questo che sono giorni che lo eviti, che hai interrotto ogni rapporto. Ti ha fatto del male… te ne fa ancora… sempre…” “Non ha mai voluto farmi del male. Non avrebbe mai voluto farlo. Voleva che lo lasciassi, e c’è riuscito. Ma ora non posso lasciarlo morire da solo. Io gliene ho fatto molto di più”. “André, io non voglio niente per me, ti prego… voglio solo che tu viva… solo che tu viva…” Gli si gettò sul petto, piangendo, e sapevano entrambi che quella era l’ultima volta che si abbracciavano. “Perdonami - sussurrò tenendola a sé – Perdonami, ti scongiuro, per tutto ciò che ti ho fatto. Perdonami perché devo andare. Devi darmi quest’incarico, Oscar, ti prego”. Lei tacque, vinta, si sciolse da quella stretta disperata e lo fissò piena di dolore, gli occhi colmi di pianto. “Non puoi vivere con me, André… ma puoi morire per lui…” Allora scosse il capo con un sospiro che gli uscì dal cuore da solo, e si sentì come se quella che le dava fosse l’unica risposta possibile. “Non lo so se posso morire per lui, Oscar… non lo so. Ma so che posso morire con lui”. Quando Alain arrivò nelle scuderie, nel buio della prima sera, lo trovò già pronto, con le redini dei cavalli nelle mani, che lo aspettava. *
Aveva cercato d’impedirglielo, ma non c’era stato niente da fare. Avevano cavalcato insieme, fino alla fine della città. Poi erano smontati lontano, e nel buio si erano avvicinati al sobborgo occupato dal reggimento nemico. Erano riusciti a infiltrarsi, distraendo la sentinella, e adesso stavano lì, sopra il tetto di quella costruzione bassa, protetti dal parapetto. Aspettavano nascosti che arrivasse il momento giusto.
“Perché sei venuto, André?” Glielo chiese serio, con una voce sommessa e triste, seduto a terra, appoggiato con la schiena al muro nel silenzio della notte. Lui lo fissò guardandolo negli occhi: “Te l’avevo detto che non ti avrei lasciato solo mai più”. Alain si portò le mani al viso, e soffocò un gemito. “Anche dopo quello che ti ho fatto - mormorò disperato -, anche dopo quello?” Era la prima volta che lo vedeva di nuovo com’era quando diceva di amarlo, senza quella maschera di durezza addosso. “Sì, anche dopo quello”. Allora il suo compagno lo fissò costernato, come se non potesse capire, e avesse un bisogno assoluto di una risposta. “Perché, André? Perché hai voluto fare questo per me? Io sono stato un bastardo, e non meritavo niente, neanche di chiederti scusa. Meritavo di morire e basta. Perché?” Lui allora si avvicinò, e abbracciò le sue spalle, e lo strinse consolando quel pianto senza lacrime. Avvertì il calore del suo viso, le labbra vicine alle sue. E le sfiorò, le prese e lo baciò piano, profondamente, perché quella era l’ultima volta che poteva farlo, e lo fece a lungo, finché non lo sentì rispondere, abbandonarsi. “Perché ti amo, Alain. Perdonami. Perché ti amo”.
Quello fu il loro ultimo bacio. Soltanto un bacio. Si baciarono disperati in silenzio, stringendosi in mezzo al nemico, chiedendosi perdono mille volte.
*
Poi arrivò l’ora, il momento di muoversi. Presero le sacche con l’esplosivo, controllarono il materiale con attenzione. C’era tutto, ce l’avrebbero fatta. Dovevano scendere adesso, e agire.
Alain rimase un poco in silenzio, col volto chino. Poi alzò gli occhi a guardarlo. E, inaspettatamente, sorrise. “Lo sai che ci ammazzano, sì?” “Lo so”, rispose annuendo, e un sorriso breve, istintivo, si stese anche sulle sue labbra. “E perché hai fatto questa cazzata, André?” “Non lo so. Ci ho messo parecchio a deciderlo. Ero un po’… confuso”. “Già, confuso…”, mormorò Alain trattenendo a stento una risata divertita. “E cos’è che ti ha fatto decidere, alla fine?” “E chi lo sa… forse il nostro ultimo incontro mi ha schiarito le idee… devo essere un po’ masochista”.
Si guardarono negli occhi un istante, nell’aria della notte, e si misero a ridere insieme, soffocando il rumore.
FINE
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