Highlander/L'immortale
Capitolo 5
di Isarma
POV DI MITSUI
È l’alba oramai, il sole sta sorgendo, luminoso e silenzioso, annunciando l’arrivo di un nuovo giorno.
Per innumerevoli vite dell’uomo ho atteso l’aurora, come annuncio della morte di un regno e della nascita di uno nuovo, come spartiacque delle ere che si susseguivano veloci, come, forse, ultimo mio saluto al sole nascente.
L’ho pensato. A volte, desiderato.
L’appressarsi del nuovo giorno come inizio di una nuova guerra e di nuovi dolori ed ora…
Il sole accarezza la pelle di questo giovane uomo addormentato, baciando e reverendo un corpo che non è ancora stato mio e, forse, ora, riscalda anche due cuccioli di uomo che dormono nella stanza affianco alla nostra. E saluta il risveglio di due giovani amanti, perché la loro notte di passione concedesse oblio ad uno di loro cancellando, o per lo meno lenendo, il ricordo del sangue e della morte, inneggiando alla vita.
Lascio che i suoi timidi raggi mi colpiscano pensando che questa volta potrebbe essere veramente l’ultima.
Sawakita è morto, per mano di Kaede, Karis è vendicata ed oramai… solo quattro di noi sopravvivono.
E, ora, per la prima volta dopo secoli penso realmente alla morte.
Non esistono lieti fine in questa storia, qualora fossi io l’unico a continuare a vivere sarei solo.
Mortale ma dotato di una lunghissima vita vivrei ancora una volta dopo tutti loro e poi… questo significherebbe che brathair sarebbe morto senza di me, e questo pensiero mi lacera il cuore.
Hasegawa è in città e desidera la sua morte, la brama da quando fu esiliato da Gaidhealtachd per via di Fukuda, da quando Kitcho scoprì il suo tradimento; qualsiasi mezzo pur di ottenere la sua dipartita, nulla ormai ha più importanza se non la sua rivalsa, neanche la reminiscenza e la ricompensa.
Eppure io non posso oppormi ad un avvenimento che sta per compiersi, una battaglia che appartiene solo a me, e che io ho sempre fuggito, mi attende.
Secondo una religione occidentale la società degli uomini è stata minata fin dall’inizio dal delitto più grave: il fratricidio; ed ora esso sta per ripetersi, reiterando un costume antico e feroce.
La guerra civile è la più crudele delle contese perché in ogni caso saranno la mia carne ed il mio sangue a giacere immoti al suolo.
E così, fratello, io e te saremo di nuovo rivali, l’uno di fronte all’altro ed il premio questa volta non sarà solo un regno ma la vita stessa.
Sospiro affranto; fino ad adesso non sono mai riuscito ad affrontarlo, ma ora tutto è diverso.
Se io morissi le prime persone uccise da lui sarebbero coloro che mi sono più vicini, perché nessuno possa reclamare la vendetta, perché nessuno possa contrastare il suo dominio.
Mi avvicino al letto e mi sdraio accanto a Kimi, vorrei non dover pensare anche solo per poco, trovare anch’io un po’ di pace e, forse, anche un po’ di amore.
Accarezzo con la punta delle dita la sua clavicola, scendo sul petto sfiorando la pelle serica e tiepida, il suo corpo è pallido e profumato, è buono il suo sapore.
Le sue ciglia fremono e solleva le palpebre, svelando bellissimi occhi castani. Un sorriso dolce ed innamorato illumina il suo volto; le sue mani incorniciano il mio viso e lo avvicinano al suo, mi bacia con tenerezza e passione, ed il mio desiderio di lui esplode.
Lentamente i vestiti scivolano dai nostri corpi, le nostre pelli vengono a contatto, le sue mani timide mi esplorano.
“Toccami!” ed il mio è un comando ed un’implorazione.
“Quante cicatrici!!” e le sue dita le sfiorano in una dolce e lenta carezza, le sue labbra le baciano, ed io rabbrividisco sotto il suo tocco, non le teme, non prova ribrezzo per esse. Lascia che la mia mente affondi nella sua, che le nostre sensazioni si confondano.
Inverto con un colpo di reni le nostre posizioni ed ora io sono sopra lui.
Le nostre virilità si sfiorano ed accarezzano, imitando l’amplesso, e brividi di piacere scendono lungo la mia schiena.
Con la mia bocca marchio il suo corpo affinché tutti sappiano che è mio, lui mi appartiene, come la mia anima appartiene a lui, ed io sono irrimediabilmente dannato.
Le sue mani carezzano il mio petto, segnando la linea dei muscoli, scendono sull’addome, e poi sempre più in basso…
Un sospiro esce dalle mie labbra. “Kimi……”
“Sì, Hisashi?” mormora e le sue gote sono arrossate, i suoi occhi lucenti.
Le sue gambe abbracciano la mia vita e mi attirano a sé.
Ed io affondo in lui, annegando nel suo calore, perdendomi in lui.
Il suo amore è un sentimento soverchiante, che mi fa rinascere e morire, ancora ed ancora, tra le sue braccia, ad ogni spinta mia più profonda ad ogni suo gemito, grida il mio nome con la voce e la mente, ed io grido il suo fino a quando…
Io divengo lui, e lui diviene me…
E non ci sono più pensieri coscienti, ma solo un’esplosione di colori e suoni, un turbine confuso delle nostre percezioni, delle nostre emozioni che si armonizzano.
Invoca ancora una volta il mio nome ed il suo piacere esplode, come il mio, ed esausto ricado tra le sue braccia, stringendolo a me, pregandolo di non lasciarmi mai.
“Mai, Hisa, mai.”
Eppure so che il mio amore potrebbe essere un addio.
Il respiro di Kogure era ancora affannato, sentiva su di sé l’odore di Hisashi ed era una bella sensazione.
Con il capo poggiato sul suo petto ascoltava il battere regolare del suo cuore, che scandiva la melodia della sua vita. Le loro menti erano ancora in contatto e finalmente ebbe accesso ai suoi ricordi, a tutti i suoi ricordi.
La sua vita, così come lui l’aveva vissuta, e non come era descritta nei libri degli osservatori, era davanti a lui; per la prima volta Hisashi gli si abbandonava totalmente.
L’assalirono immagini di epoche passate e luoghi mai visti. Posti di stupefacente bellezza che solo nei suoi sogni aveva osato immaginare.
Tutto si svolgeva in una atmosfera ovattata, perché filtrata dal ricordo e dalla nostalgia. Sembianze di volti amati si presentarono a lui come fonte di luce, ed essi erano veramente stati ciò per Hisashi.
Antiche lingue da tempo dimenticate, usi sconosciuti, rifluirono vividi nella sua memoria con una fisicità quasi dolorosa.
Si raffigurò ai suoi occhi l’immagine di Gaidheltachd come fu all’epoca del suo massimo splendore, coi templi di marmo e le statue dorate che rilucevano al sole.
E poi… a tutto si sostituirono un buio ed un silenzio arcani ed irreali, poteva sentire l’aspettativa di Hisashi e la forza degli elementi che si riversava in lui: il mistero di antichi spiriti che si rivelavano.
Di nuovo cambiava il luogo e l’epoca.
Vide un tempio di grandissime colonne, che due uomini non sarebbero riusciti ad abbracciare, sul picco di un’altura a strapiombo sul mare, che si ergeva su un prato profumato, di fiori colorati.
Udì, con una memoria non sua, lo stormire delle fronde degli ulivi sacri ed il canto degli uccelli, la musica degli insetti.
Sperimentò la reminiscenza: la sensazione di essere una cosa unica con la natura, di far parte della sua divinità.
E poi… provò la nostalgia ed il dolore per le persone perdute, per i luoghi distrutti, per le musiche ed i linguaggi mai più ascoltati.
Condivise le sue lacrime ed i suoi sorrisi, percepì il calore e la sensazione di protezione proveniente da persone amate, soffrì la perdita irrimediabile di tutto ciò.
Comprese la disperazione di vagare di epoca in epoca, di vita in vita, senza mai invecchiare, senza mai morire, ma vedendo gli altri invecchiare e morire.
Ricordò con nostalgia e struggimento giorni perduti, sentì tutti i secoli e la conoscenza su di sé.
Rimpianse di non poter più udire canti familiari e melodiosi, ma suoni sgradevoli e metallici, non più dolci profumi ma odori acri e sentì su di sé la tristezza infinita di una vita senza fine ed infinitamente sola.
Tutto questo era Hisashi Mitsui, ed ora apparteneva anche a lui.
Ed accanto alla sua forza ed alla sua lealtà scorgeva la crudeltà del guerriero, il suo orgoglio di essere custode degli spiriti guardiani, la sua… arroganza? No, non era corretto: la semplice consapevolezza di sé, di essere potente e figlio e nipote di re.
La ribellione nei confronti di un destino che sembrava già scritto e poi…
Solo dolore, un grande, infinito dolore, del corpo e dello spirito, ed un buio senza fine: tradito, ferito, morente.
Fuggiasco urlava la sua mente, ed esule dal suo mondo.
Inetto, perché incapace di opporsi a chi più aveva amato, suo fratello, suo padre.
La guida della sua infanzia, trasformata, dalla smania di potere e di dominio.
Un tiranno gridava la sua ragione, il mio maestro gli sussurrava il suo cuore.
“Sashi?” Kogure alzò il volto dal suo petto per potere scorgere l’espressione del suo viso “Avevi un fratello?”
“Ho un fratello” lo corresse con voce tranquilla.
“Come mai di lui non si sa niente?”
Un sorriso ironico si dipinse sul suo volto, non era rivolto direttamente a lui, ma contro la categoria degli osservatori stessi.
“Perché lui ha voluto così. Ed, infondo, voi umani siete ben poca cosa di fronte al suo potere. Se io lo avessi desiderato, voi non avreste mai potuto sapere di me, e lo stesso vale per i più potenti di noi. Ma… alla fine non ci è mai interessato che voi mortali poteste osservarci ed alcuni di noi hanno sempre ignorato la vostra esistenza. Ti sei mai chiesto come sono nati gli osservatori, Kimi, come hanno potuto scoprire la nostra presenza?” ed era strana l’espressione del suo volto.
Kogure scosse la testa confuso ed incuriosito.
“No, ma senz’altro tu me lo dirai, vero?”
“Quando seppi che la mia gente era stata maledetta, che mai più avrebbe potuto tornare nella nostra terra, decisi che, comunque, avrebbe dovuto esserci memoria di noi: voi nascete da questo mio desiderio.”
“Oh!”
“Non mi sembri molto sorpreso”
“Beh… ormai con te non mi stupisco più!”
“Mi stai insultando Kimi?” ed il suo tono era dolcemente provocante. Le sue mani risalirono la schiena di Kogure in una tenera carezza, ed incorniciarono il suo volto. Iniziò a tempestarlo di baci, leggerissimi, come ali di farfalla.
Kimi accarezzò ancora una volta le sue cicatrici
“Come te le sei procurate? Non certo durante la tua vita di immortale.” I segni,
infatti, non sarebbero rimasti impressi sul suo corpo. “E’ stato prima vero?”
Aveva percepito qualcosa, il ricordo di una
sofferenza legata all’immagine del fratello, ma non aveva ben compreso e temeva
una sua reazione, ponendogli una domanda diretta.
“Sì” un sospiro “è stato prima. Io abbandonai Gaidhealtachd prima del mio popolo. Quando gli spiriti guardiani mi scelsero, subito dopo la morte di mio padre, ne fui così felice Kimi! Ero fiero di me, ed il sorriso orgoglioso di mio fratello mi riempiva il cuore di una calore che allora non comprendevo. Ora so che avrei fatto di tutto per avere la sua approvazione. Era molto più grande di me, lui era stato mio padre, non il re, che era troppo impegnato negli affari di stato e che non poteva certo occuparsi di un ragazzino che per lui non aveva alcun interesse e che lo aveva privato dell’affetto dell’unica donna che mai avesse amato. Mia madre morì per far nascere me, mio padre non me lo perdonò. Se non fosse stato per Gwydion io non avrei mai conosciuto il calore di una famiglia. Ero troppo piccolo per regnare quando mio padre morì, ero giovane ed inesperto. Gwydion divenne il mo tutore. E mentre io crescevo ed imparavo a conoscere gli spiriti guardiani ed i loro poteri, i miei poteri, lui governava, poi… io non ho mai compreso cosa fosse successo. Era strano, Kimi, il suo sguardo assente e triste, in esso non brillava più alcuna luce. Si allontanò gradualmente da me e da tutto ciò che lo circondava. E poi… Non seppi mai dove si fosse recato, ma quando tornò… era … diverso… E con la sua infelicità iniziò anche la nostra. Era come ossessionato, voleva la supremazia su tutti i popoli. Chissà forse pensava che questo avrebbe colmato il vuoto del suo cuore, non so… Ci allontanammo, e poi… Mi imprigionò. Queste cicatrici sono un suo ricordo.”
“Hisashi!?” e gli occhi di Kogure stavano diventando lucidi.
“Va tutto bene, Kimi, ora va tutto bene” e lo strinse maggiormente a sé “fu Kitcho a liberarmi e da allora, per secoli, condividemmo la medesima sorte. Se non fosse stato per lui, probabilmente, sarei morto.”
Ma Kogure percepì anche ciò che lui non avrebbe mai detto: la sua sorpresa, la sua paura, il suo dolore e smarrimento.
E l’odio: bruciante, intenso, feroce.
Per secoli era stato dominato da esso, il suo unico scopo era stato trovarlo e poi… non sapeva nemmeno lui, forse ucciderlo, o forse chiedergli semplicemente perché…
“Era un uomo buono e giusto, mi amava teneramente, almeno così ho creduto, ma poi…” lo vide scuotere la testa rassegnato “lui sarà solo uno dei miei mille rimpianti, uno dei miei mille pentimenti.”
“Ed ora…”
“Ed ora la fine è vicina. Forse ciò che successe al mio popolo fu giusto, ci macchiammo di innumerevoli colpe, la nostra arroganza causò anche la sofferenza di voi umani… Ma tutto finalmente avrà termine… in un modo o nell’altro. Sawakita è morto, l’ha ucciso Kaede. Rimaniamo solo io e Kitcho, Hasegawa e… lui”
Kogure sapeva che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Erano anni che gli osservatori aspettavano la conclusione della loro lotta secolare, eppure, ora si scopriva incapace di accettarlo, non era pronto.
Se fosse successo qualcosa ad Hisashi? Se fosse stato lui a morire?
Aveva paura e nessuna difficoltà ad ammetterlo con se stesso. Si sentiva impotente.
Era stata una sua libera scelta, sapeva perfettamente, mettendosi con lui, a cosa andava incontro, ma fino ad ora era come se, una parte di sé, avesse voluto negare la realtà che, quella mattina, si era presentata a lui con feroce brutalità. Perderlo dopo essergli stato così vicino, dopo aver condiviso ogni cosa di lui… era intollerabile.
Avrebbe desiderato che Hisashi gli dicesse che tutto sarebbe andato bene, che lui sarebbe sopravvissuto, ma… sapeva che non era possibile, non avrebbe mai pronunciato promesse che non era sicuro di mantenere, e poi…
Se Kitcho fosse morto, se fosse stato lui ad ucciderlo, il suo amore sarebbe stato in grado di impedirgli di seppellire nuovamente se stesso nelle tenebre? Avrebbe lottato contro il suo fratello giurato e contro il suo fratello di sangue? Contro colui che un tempo aveva amato? Sarebbe riuscito ad ammazzarlo?
Avrebbe voluto… Kami! Si sentiva veramente stupido… salvarlo da tutto questo, il suo desiderio più grande era impedire che soffrisse ancora, tuttavia…. Era solo un uomo, non poteva fare nulla, soltanto continuare ad amarlo e sostenerlo, sperando che questo servisse a qualcosa.
Ora capiva perché Hisashi fino a questo momento non aveva voluto fare l’amore con lui e non aveva condiviso con lui i suoi pensieri; sapeva, infatti, che la sua attuale tristezza e sofferenza erano di Hisashi, e capiva che ogni sua emozione si riversava in lui, senza alcuna possibilità di scampo.
“Siamo ora veramente legati, Kimi. Non era questo che desideravi?”
Ed il suo tono era incerto e timoroso.
“Sì, lo era. Lo avevo immaginato diverso… credo, ma era questo ciò che volevo. Poco fa mi hai chiesto di non lasciarti mai, ora io lo chiedo a te.”
Un sorriso gentile comparve sul volto di Hisashi “Farò ciò che posso, non posso dirti che tutto andrà bene, lo sai anche tu.”
Kogure annuì. Lo sapeva “Me lo farò bastare” e lo baciò con passione.
Desiderava ancora far l’amore con lui, sentirlo vicino. Prima di dover pensare di nuovo ad Akira, Hiro, Kaede, Hana, gli osservatori, e tutto ciò che sarebbe accaduto, voleva ancora per una volta essere soltanto loro, sapere che Hisashi, anche se solo per poco, era stato solo suo.
“Lo sono, Kimi, come non è mai stato per nessun’altro”
E poi di nuovo si abbandonò completamente alle sensazioni che lui gli faceva provare. Era bellissimo far l’amore con lui, eppure straziante. Fu davvero come se fosse l’ultima volta e si ritrovò a piangere senza sapere perché.
“Ti amo, Kimi, ti amo. Di vita in vita, per sempre.”
“Di vita in vita, per sempre.” Si scoprì a ripetere le sue parole come se lo avesse già fatto, eppure… scosse la testa, una strana sensazione di deja-vu lo aveva colto senza che lui, però, riuscisse a comprenderla.
Appoggiò il capo sulla spalla di Hisashi e si addormentò cullato dalla sua voce e dal suo amore.
POV DI MITSUI
Per secoli ho atteso questo momento, ho creduto che l’appressarsi della fine mi avrebbe fatto sentire più libero e più felice.
Stolto !!
Ero persuaso che combattendo, facendo di tutto per rimanere in vita, avrei potuto in qualche modo espiare le mie colpe, mondarmi dei miei peccati.
Non avevo pensato che saremmo rimasti io e Kitcho, non avevo mai voluto pensarlo.
E Gwydion.
E lui…
Fratello, amico, padre, maestro.
Tutto il mio mondo.
La sua approvazione mi donava nuova vita, il suo affetto mi faceva sentire meno solo e… meno sbagliato.
Non capirò mai perché gli spiriti guardiani scelsero me e non lui. Potrei chiederglielo ma non credo otterrei risposta.
Non ho desiderato io tutto questo potere, non ho mai anelato ad una corona ed invece…
Quante volte mi sono domandato se lui fosse cambiato per colpa mia, se avessi sbagliato io, usurpandolo di un suo diritto!
Sarei morto, se questo lo avesse fatto sentire meglio, ma… mai avrei potuto affidargli gli spiriti guardiani, non potevo permettergli di essere padrone di un simile potere. Allora, come molte altre volte nella mia vita, pensai che la morte fosse una buona via di fuga, eppure, Kitcho credette in me, come sempre ha fatto.
Perché poi non lo comprenderò mai.
Chiudo gli occhi e mi abbandono ai ricordi.
Eravamo due pesti, due disgraziati, sempre in cerca di nuove avventure, ed incredibilmente bravi a cacciarci nei guai. Mio padre si accorgeva di me solo in questi momenti, e penso che spesso abbia desiderato che io non fossi mai nato, ed allora… interveniva Gwydion, e salvava me e Kitcho da terribili punizioni.
Quante volte gli rimproveravano di essere troppo indulgente con me, di perdonarmi praticamente tutto?
Lui sorrideva, lo faceva sempre quando mi guardava, scuoteva il capo e diceva di sapere ciò che faceva, che giunto il momento avrei accettato le mie responsabilità e la sua fiducia in me mi faceva impegnare nella scherma e negli studi, non volevo che fosse rimproverato per colpa mia!
Mi amava, di questo non ho mai dubitato, per questo per anni credetti di odiarlo. Come aveva potuto farmi così male se mi amava? Perché?
Vorrei tanto chiederglielo.
Insegnò a me e Kitcho ad usare le nostre facoltà, solo una volta si arrabbiò con noi: fu quando ne abusammo. Eravamo convinti che fosse uno scherzo divertente alterare il corso di un fiume ed il ciclo vitale di un albero. Ci dimostrò il contrario. L’albero morì, così come i pesci del fiume.
Il nostro atteggiamento insensato aveva causato tutto questo.
Quell’albero dava frutti, i pesci sarebbero stato nutrimento per chi abitava vicino al fiume, e noi… Le sue parole sferzanti furono più dolorose di qualsiasi frustata, ma comprendemmo…
Ad ogni azione corrisponde una conseguenza, noi avremmo sempre dovuto essere pronti ad accettare il fio delle nostre scelte, giuste o sbagliate che fossero.
Ed ora io accetterò quel fio.
La sua morte.
Ed il mio eterno dolore.
Ma è l’unica possibilità che ho. Non posso permettere che viva perché questo mondo, che ho imparato ad amare, si trasformerebbe in una tenebra senza fine.
Ed non voglio che questo accada.
Sospiro stanco ed ancora una volta mi chiedo come sia possibile che sia avvenuto tutto questo. Non lo so, né lo saprò mai.
Apro gli occhi di scatto, e mi avvio all’ingresso, poi ridacchio, rendendomi conto che sarebbe ridicolo che un immortale, che voglia sfidarmi, bussi alla mia porta.
“Brathair! Vieni” ed il suo viso è serio e teso. “Cos’è successo?”
“Hasegawa ha rapito Soichiro.”
Annuisco e lo lascio entrare. “Di cosa hai bisogno?”
È un timore che anche io ho avuto... che usassero chi amavo come esca contro di me, un metodo abbastanza scontato, ma molto efficace purtroppo. Per questo ho voluto che Aingel, Uisge, Talamh ed Oiteag proteggessero loro e non me.
“Chiedi a Kogure dove si nasconde Hasegawa.”
“E’ una trappola, lo sai?”
Annuisce sfinito “Lo so, ma… non posso lasciarlo nelle sua mani. Ho paura di quello che potrebbe fargli. Mi odia, lo sai, farebbe di tutto per ferirmi e Soichiro non può difendersi da lui” e c’è disperazione nella sua voce.
“Lascia che ti aiuti.”
“E come?”
“Manderò uno spirito guardiano a liberarlo, così che tu possa combattere contro di lui ad armi pari.”
Lo vedo scuotere il capo. “Non lo so, non credi che dietro a tutto questo possa esserci Gwydion?”
“Non capisco”
“Pensaci Hisashi. Siamo rimasti solo noi quattro e sa che io non combatterei mai contro di te, né tu contro me. Allora perché non utilizzare Hasegawa per eliminarmi, e per essere sicuro che questo accada aiutarlo, dicendogli dove io mi trovi e come colpirmi, indebolendomi, in modo da non essere costretto ad affrontarmi in futuro, sì da potersi dedicare completamente al suo duello con te? E magari sperare che io, agendo di impulso, proprio come ho fatto -solo ora mi rendo conto di essere stato un idiota che si è fatto manovrare- venga a chiedere il tuo aiuto? Potrebbe così avere entrambi alla sua mercé, e tu saresti senza gli spiriti guardiani, perché posti a protezione di chi ami, e quindi facile da battere.”
Lo guardo sorpreso “Nah… mi sembra troppo macchinoso. E ci sono troppe incognite che lui non può controllare”
“Gwydion è contorto… ed è sempre stato in grado di usarci come burattini.”
“Non fino a questo punto. Kaede ed Hana dovrebbero essere ancora insieme, dirò loro di rimanere uniti, così Talamh potrà venire con noi. Ok?”
“Va bene.”
“Non sei ancora convinto.”
“No… solo una sensazione. Le mie facoltà non sono sviluppate come le tue, però, provo un’inquietudine dalla quale non riesco a liberarmi, come se avessi avuto una premonizione e non riuscissi a ricordarla, non so… lascia stare.”
“Kitcho, penso che questa sia la cosa migliore da fare”
Acconsente, eppure, non è completamente persuaso.
Jin si svegliò di soprassalto, gli dolevano i polsi e sentiva freddo. Il buio lo circondava senza che riuscisse a distinguere dove si trovava. Aveva un ricordo confuso di quello che era successo: era in casa, Fukky era appena uscito, aveva aperto la porta pensando che fosse lui e poi… il nulla.
La testa gli pulsava dolorosamente e la nausea lo colpiva ad ondate. Provò ad alzarsi, ma una sensazione di violenta vertigine lo costrinse a risedersi. Si sentiva stordito, colpa probabilmente della botta ricevuta, ma doveva cercare di scappare da quel luogo.
“Non credo che questo sia possibile Jin-san. Se lei non commetterà azioni stupide od inutili, noi non le faremo del male. Il nostro unico scopo è che lei stia tranquillo e svolga il suo ruolo di esca.”
Sentì un’altra voce protestare, ma venne zittita con veemenza, li sentì discutere tra loro in una lingua che non conosceva; sembrava quella che usavano Hisashi e Fukky per parlare quando non volevano che gli altri li capissero o quando volevano irritare lui e Kogure.
“Chi siete?”
“Ma come” chiese una voce sgradevole “Fukuda
non ti ha parlato di me? Che cattivo ragazzo!!”
Un uomo alto forse un po’ più di
lui gli si avvicinò e poté scorgere i suoi lineamenti: c’era malvagità nei suoi
occhi e Jin, senza sapere perché, si sentì rabbrividire.
“Piantala Hasegawa! Avrai ciò che desideri quando arriverà Fukuda, ma ricorda Hisashi o lo spirito guardiano sono solo miei, ed ora vattene. Lasciami solo con lui” l’alto uomo chinò il capo ed obbedì.
L’uomo che aveva parlato accese la luce e Soichiro ebbe modo di osservarlo con attenzione.
Era bellissimo: i suoi lineamenti ricordavano quelli di Hisashi, ma i suoi colori… erano magici: i grandi occhi d’oro e i lunghi capelli di rame lo rendevano luminoso ed unico, sembrava irreale, un’apparizione nel buio della notte, illuminato dalla sua luce.
“Mi chiamo Gwydion Mitsui. Conoscevo Fukuda, un tempo”
“Siete un suo amico?”
“Una volta lo ero. Ora lui e mio fratello sono miei nemici. Eppure dovrebbe conoscermi, visto che ha scritto anche di me nei suoi libri. Li ho letti, delle divertenti fantasie, molto romanzate ovviamente.”
Gli sorrise e Jin fu molto più spaventato dal suo sorriso che dalle minacce dell’uomo chiamato Hasegawa.
Era un sorriso freddo e distante, da predatore, e per la prima volta in vita sua si sentì debole e fragile.
“Come le ho detto non ho intenzione di farle del male, se non mi costringerà” e Soichiro comprese che per lui che morisse o che rimanesse in vita era assolutamente indifferente. Ed ebbe l’impressione che lui leggesse nella sua mente.
“Esatto. Oh non che mi prenda la briga di farlo, ma lei trasmette i suoi pensieri con una certa intensità!”
Cercò di ricomporsi e di non mostrare la sua sorpresa od il suo disagio, non avrebbe sopportato di essere trattato come un inetto, si fece forza e pronunciò la domanda che più gli premeva.
“Cosa volete da Kitcho?”
“Io nulla, anche se spero che porti con sé mio fratello. Hasegawa lo vuole morto ed, in fondo, la sua morte potrebbe fare comodo anche a me”
Jin spalancò gli occhi, e glielo diceva così? Provò una furia cieca; iniziò a divincolarsi cercando di colpirlo ma inutilmente. Senza comprendere come, si trovò inchiodato alla parete incapace di muoversi, a nulla servirono i suoi tentativi. E poi cadde in un sonno senza sogni.
Fukuda si era recato da Hisashi senza pensare a nulla che non fosse un modo per liberare Jin. Non si era soffermato a considerare la cosa più ovvia e cioè che Hisashi non lo avrebbe lasciato affrontare tutto questo da solo. E così con Talamh al loro fianco si stavano dirigendo entrambi in una trappola sicura.
Non temeva per sé, da tempo aveva accettato la possibilità di essere ucciso da un uomo della sua stirpe, era molto triste come pensiero ma oramai aveva imparato a conviverci, ma non riusciva a perdonarsi di aver messo in pericolo Soi ed ora anche Brathair. Non avrebbe sopportato di veder morire nessuno di loro sotto i suoi occhi. Doveva fare in modo che non accadesse loro nulla.
-So badare a me stesso, Brathair, non ho bisogno della balia, prendiamo Jin e poi andiamocene, ad Hasegawa e Gwydion penseremo poi.-
Fukuda si sentì in colpa perché avere la presenza di Hisashi al suo fianco, sapere di essere sorretto dalla sua forza, era rassicurante e avevano maggiori possibilità così di salvare Soichiro ed uscirne vivi.
Si diede per l’ennesima volta dell’idiota. Come aveva potuto essere così ingenuo e credere che un vigliacco come Hasegawa lo avrebbe affrontato a viso aperto senza ricorrere a sotterfugi? Era un codardo, ma non stupido, sapeva di non aver possibilità contro di lui combattendo lealmente, eppure, aveva pensato che avesse ancora conservato un briciolo di onore.
- Non lo ha mai posseduto-
- No, molto probabilmente. Ma il pensiero di Soi in pericolo a causa mia…-
Sentì la mente di Hisashi che dolcemente sfiorava la sua, e la sua mano che si poggiava sulla sua spalla.
-Andrà tutto bene-
E Kitcho gli credette come ogni volta in passato.
“Sono qui”
La voce dolce e sommessa di Talamh attirò la loro attenzione.
Erano arrivati all’ingresso di una villa bellissima ed antica che si ergeva su una collina, dominando tutta la zona antistante.
-Così tipico di mio fratello-
-Sì, penso proprio di sì, come facciamo ad entrare? –
Lo vide riflettere e poi un sorriso spavaldo si dipinse sul suo volto e Fukuda iniziò a preoccuparsi.
-Sai credo proprio che ci stiano aspettando, probabilmente avevi ragione, ma penseranno che sia venuto solo io con te, quindi una piccola possibilità di sorpresa la abbiamo. Io non credo di riuscire a nascondere la mia presenza a Gwydion…
-E quindi?- anche se iniziava ad intuire la sua idea: era una follia! Ma si scoprì eccitato; forse un po’ matti loro lo erano sempre stati.
-Direi di causare il maggior scompiglio possibile e di attirarli. Per primo lo farò io così che tu possa andare a liberare Jin con l’aiuto di Talamh. Di Hasegawa non mi fido… e poi… beh si vedrà… inutile fare troppi progetti. Non trovate?-
E rivolse loro uno sguardo di intesa.
-Potrebbe essere rimasto Gwydion da Soichiro… - ma non era convinto neanche lui di questo.
- Con me che mi offro a lui su un piatto d’argento? Nah … -
- Hisashi… -
-Tranquillo, e poi ci sarai tu pronto a salvarmi il collo come sempre, no?-
Fukuda annuì, dopotutto non era un piano malvagio ed era l’unico possibile, ma la sensazione di inquietudine provata fin dal risveglio non lo aveva ancora abbandonato.
POV DI MITSUI
Lui è qui. Lo sento.
La sua presenza, che per tantissimi anni ha rassicurato me ed il mio popolo, ora mi appare minacciosa e potente.
La sua impronta mentale è per me inconfondibile.
Da bambino non riuscivo ad addormentarmi senza essa al mio fianco; da ragazzo la cercavo sempre, perché il sapere di averlo accanto mi dava forza; da uomo… ho desiderato rincontrarla se per odio o per amore non so.
Sono millenni che non lo vedo, benché sappia che dietro le trame di molti immortali e mortali, rivolte contro di me, ci fosse lui.
Non ho accompagnato Fukuda solo per aiutarlo, ma perché ora che la nostra fine è vicina io e Gwydion dobbiamo porre termine a questa guerra, che proprio con noi, forse, ha avuto origine.
Richiamo tutto il mio potere e di esso mi ammanto, non lo combatterò con la spada, non lui, e voglio che si accorga di me, che riconosca la mia presenza e la mia forza.
Faccio un cenno del capo a Kitcho e spero che, quando la nostra battaglia inizierà, lui sia il più lontano possibile.
Gli ho mentito.
Voglio combattere con Gwydion prima che possa nuovamente sfuggirmi, voglio che oggi tutto cessi. Troppo a lungo ho aspettato, ed io non sono mai stato un uomo paziente.
Per la prima volta in vita mia mi sento davvero libero. Per me stesso, combatterò solo per me stesso e per nessun’altro. Perché lo abbia bramato con una tale forza non so. Probabilmente mi illudevo che ancora qualcosa, dell’uomo che mi aveva allevato, in lui sopravvivesse, ma ora che il mio sguardo si volge su di lui, che i miei occhi incrociano i suoi so di aver sperato invano.
Gwydion Mitsui è morto millenni fa, ed io non lo avevo compreso. L’uomo che ho di fronte è un estraneo che veste la sua carne ed il suo potere, ma il suo spirito… prego affinché abbia trovato pace.
“Hisashi” mi saluta con un cenno del capo e mi sorride, ma non brilla alcuna luce nei suoi occhi: sono gli occhi di un morto.
Come siamo cambiati! Diversi entrambi e peggiori. Non sono più innocente e lui non è più l’uomo saggio e generoso che conoscevo.
“Sei venuto, dunque. A lungo ho bramato rincontrarti. Ho desiderato vederti e sapere come eri cresciuto, come avessi imparato ad usare i tuoi poteri, ma... non è stato facile, per secoli sei scappato da tutti noi. Durante i due secoli della tua follia hai compreso le mie ragioni? Hai riflettuto su ciò che ci eravamo detti?”
“Ogni giorno per millenni.”
Le sue ragioni? Sorrido con scherno e disprezzo: no, in quei due secoli io ho conosciuto solo una collera implacabile ed un odio bruciante. Non c’era ragione in quello che stavo facendo, anzi desideravo seppellirla, era solo il mio istinto, la parte più brutale di me ad agire.
Gli uomini trattati come carne da macello, ed io che decidevo chi era degno di vivere e morire.
No, non c’era ragione in tutto quello, né alcuna giustificazione.
“E dunque qual è ora la tua risposta?”
“Non esiste risposta alla
tua domanda. Non so perché gli uomini siano degni di vivere o sia sbagliato
uccidere, ma so che non sta a te arrogarti il diritto di decidere.” e la mia
voce è sicura e calma.
Per anni ho pensato a lui. Desiderava che gli umani
morissero perché, poi, non l’ho mai capito. Eppure un tempo li amava, li trovava
creature affascinanti e li invidiava, perché la loro breve vita permetteva loro
di provare passioni, desideri, sogni, come per molti di noi, per lui, non era
più possibile.
“Non hai compreso Hisashi? Non era gli uomini che volevo condannare, ma noi. Io sapevo ciò che sarebbe successo, l’ho sognato come sogna la nostra gente, ed ho visto un futuro lontano, sapevo che saremmo stati maledetti.” la sua voce calma sembra che stia spiegando la lezione ad un bambino capriccioso che non vuol capire.
“Perché?” ed è l’unica cosa che sono in grado di dirgli.
Perché ha permesso che tutto questo accadesse? Perché ha permesso che soffrissimo? Perché mi ha torturato e tradito!?
Non riesco ad intendere i motivi che lo hanno spinto ad agire in questo modo. Follia? Così ho creduto, eppure, sembra dannatamente lucido e convinto delle sue scelte.
“Il nostro tempo era concluso Hisashi. Eravamo solo pallide ombre incapaci di cambiare e di sopravvivere.
Noi che eravamo una popolazione pacifica, i nostri re custodi degli elementi che permettono la vita su questo mondo, eravamo indifferenti a tutto. E la vita delle altre creature non aveva più valore. Eravamo già morti, Hisashi, solo che non lo sapevamo, era sbagliato continuare a vivere così. Gli spiriti guardiani scelsero te e non me proprio per questo motivo, perché tu vivevi, io non più. Nulla aveva più importanza oramai.”
“Ma la tua gente voleva vivere, quegli uomini che hai ucciso lo volevano, tutto questo non ha importanza per te?” lo vedo scuotere la testa, sembra dispiaciuto.
“Tu non capisci”
“No, maledizione, con parole cerchi di giustificare il tuo insano desiderio di uccidere. Sei solo un assassino Gwydion… come me.”
Mi guarda comprensivo e per un istante mi sembra di nuovo l’uomo della mia infanzia.
“Non ti perdonerai mai, vero?”
Basta!!! Tutto questo non ha senso ed io non sono qui per parlare.
“Piantala” e la mia voce vibra di collera “se non vuoi combattere perché hai attirato qui me e Kitcho?”
“Unisciti a me”
“Unirmi a te? E per far cosa?”
Lo vedo sospirare deluso.
“Potremmo avere questo mondo per noi”
“Lo avevamo un mondo. Ed
abbiamo permesso che fosse distrutto!”
Sto urlando. Soffro a vederlo così! Non è
più lui! Tutte le mie illusioni sono definitivamente crollate, nulla potrà tornare
come un tempo, e l’uomo buono e giusto che era, non tornerà mai più.
Chiudo per un istante gli occhi e le colline di Gaidhealtchd compaiono alla mia vista, i suoi profumi inebriano i miei sensi, ma tutto è perduto, ed ora la vedo, riesco con la mente a superare le nebbie ed il mio mondo è in rovina. Il palazzo di mio padre, i nostri templi, dalle bianche colonne, non scintillano più sotto il sole del mezzogiorno, ma il buio divora ogni cosa.
Ha condiviso con me questa mia visione, lo so.
“Vedi ciò che ho visto io millenni fa.”
“Non sarebbe successo!” è sua la colpa… e mia. Le morti della mia gente ricadono su di me, avrei dovuto combatterlo, ribellarmi a lui, ma ero debole, non ne fui in grado.
“Sì. La mia era una premonizione, il futuro non sarebbe cambiato.” perché mi sembra addolorato?
“Non ostacolare i miei piani Hisashi, o ti ucciderò”
“Ci hai già provato, ma non ci sei riuscito!” lo schernisco.
“Allora Kitcho ti ha salvato, ma questo non accadrà più. Perché oggi anche Fukuda morirà.”
Lo osservo, e non mente. La preoccupazione attanaglia le mie membra, ancora una volta mi sento uno stupido, che agisce solo d’istinto. Ed ora mi chiedo dove sia brathair e perché ci stia mettendo così tanto tempo per prendere Jin ed andarsene.
“Forse liberare Jin non è facile come avete creduto”
Sollevo un sopraciglio e lo guardo interrogativo, che vuol dire?
“Hasegawa ha aspettato questo momento per millenni, non gli permetterà di sopravvivere. Amare è una debolezza, Hisashi, rende vulnerabili, l’hai sempre saputo, ed anche Kitcho. Ora ne pagherete il prezzo.”
“Hasegawa è un debole, non lo batterà mai!” affermo sprezzante, è assurdo che lui possa anche solo pensarlo.
“Non lo sconfiggerà se combatteranno secondo le regole, hai ragione, ma… Credevi che non mi fossi accorto di Talamh? Se dovrà scegliere tra proteggere te e Fukuda, sarà te che salverà e non può essere in due posti contemporaneamente. Sei stato uno sciocco, ed un irresponsabile. Ancora una volta”
Convoglia il suo potere nel palmo della mano. E' solo un istante, ma io, concentrato sulle sue parole, non riesco a schivare il suo colpo. Il suo potere brucia ed il dolore è quasi intollerabile, cado in ginocchio e non ho il tempo di reagire. Talamh, come lui aveva predetto, appare al mio fianco, pronta a proteggere il suo signore.
Mi rialzo in piedi a fatica e cerco di ordinarle di raggiungere brathair, ma la voce mi muore in gola, schivo un altro attacco di Gwydion, ma il successivo mi colpisce al ventre, ed ancora una volta io sono debole ed inerme di fronte a lui. La vista mi si annebbia per il sangue perso, eppure non posso ancora cedere, non così.
Una fuoco azzurro si sprigiona dalle mie dita e riesco a colpirlo. Ora siamo entrambi feriti.
Con uno sforzo immane mi rimetto in piedi e sono pronto a combattere nuovamente, Gwydion mi osserva ed entrambi percepiamo la reminiscenza: un immortale è morto.
“Fukuda è morto, Hasegawa ha vinto, ma non è ancora il nostro tempo.”
Mi volta le spalle ed io vorrei fermarlo, urlargli che si sbaglia, che brathair è ancora vivo, eppure non riesco a percepire la sua presenza, ma solo quella di Hasegawa e di Jin.
Jin… devo cercare di salvare almeno lui prima che lo uccidano, ma il sangue perso ha portato via con sé tutte le mie forze, scivolo a terra ed il mondo improvvisamente si oscura, l’ultime parole che ascolto sono la rassicurazione di Gwydion che Soichiro vivrà e non gli verrà fatto del male.
So che Talamh è al mio fianco, non osa lasciare indifeso il suo signore ed io……
Fukuda si allontanò, mentre osservava Hisashi concentrarsi e richiamare a sé tutto il suo potere. Doveva fare in fretta e trovare Jin il prima possibile, e poi velocemente cercare di sbarazzarsi di Hasegawa.
Aveva anch’egli percepito la presenza di Gwydion e sapeva che, in uno scontro diretto e senza l’uso dei poteri dei Guardiani, Hisashi nulla avrebbe potuto contro di lui.
Percorse rapidamente i corridoi della villa, lasciandosi guidare dalla traccia della mente di Soichiro che era spaventato e preoccupato, e pensava a lui, temeva per lui e per la sua incolumità, ed incolpava se stesso.
La sensazione di oppressione che Fukuda aveva provato durante la mattina non lo aveva ancora abbandonato. Paventava di dover vedere morire chi amava. Era come se la villa stessa fosse intrisa dell’odore della morte. Sapeva questa essere solo una sua sensazione, ma non riusciva a liberarsene.
In fretta, doveva fare in fretta, questo era l’imperativo che la sua mente continuamente pronunciava.
Giunse di fronte ad una porta e da essa la presenza di Soi proveniva più forte. Accanto alla sua mente ne riconobbe un’altra, quella di Hasagawa, sguainò la spada e si preparò al duello.
Entrò con circospezione nella stanza aspettandosi di essere colpito da Hasegawa, ma questo non avvenne. Era avvolto dal buio ed i suoi occhi impiegarono un po’ di tempo ad adattarsi. Alla fine, riuscì a vedere Soichiro incatenato al muro, ed Hasegawa era accanto a lui, la luce si accese ed il sorriso sul volto dell’altro immortale era trionfante. No, si disse Fukuda, Hasegawa per nulla al mondo avrebbe combattuto secondo le regole.
Così come aveva fatto poco prima Hisashi, si preparò a richiamare a sé tutto il suo potere, l’onore per una attimo dimenticato. Non poteva rischiare e perdere inutilmente tempo, sapeva ogni istante essere preziosissimo, voleva salvare il suo koibito e nello stesso tempo combattere, fosse anche per l’ultima volta, al fianco del suo signore.
Concentrò la sua forza sulla punta delle dita, Hasegawa non se lo aspettava e così poté colpirlo allontanandolo momentaneamente da Soichiro e stordendolo il tempo necessario per liberare il suo koibito. Con la spada spezzò le catene che tenevano imprigionato Soi, che lo osservò stupefatto e sorpreso, eppure infinitamente felice. Non ci fu bisogno di parole tra loro, Kitcho aiutò Jin ad alzarsi: i muscoli gli dolevano a causa della posizione in cui era stato costretto, erano indolenziti, ed ogni passo era penoso ma Soichiro si costrinse a camminare, affiancando Kitcho.
Si appoggiò a lui e le loro labbra si sfiorarono fuggevolmente; altro sarebbe stato il tempo dei baci e degli abbracci, ora dovevano scappare prima che Hasegawa riprendesse i sensi.
Percorsero a ritroso i corridoi. Il braccio di Kitcho non aveva mai abbandonato la vita di Soichiro. Lo stringeva a sé sorreggendolo, come temendo che potesse allontanarsi da lui. Fukuda si promise che non avrebbe mai più permesso che questo accadesse.
Sapeva fuori si era scatenata una lotta che faceva uso di poteri mentali. Per un attimo fu indeciso sul da farsi: non sapeva, infatti, se uscendo dalla villa avrebbe messo ancora più a repentaglio la vita di Jinjin. Eppure, sapeva anche che non potevano rimanere in casa. Hasegawa li avrebbe raggiunti entro breve e non voleva che, nel momento in cui si sarebbero scontrati, Soichiro fosse al suo fianco. Sarebbe stato troppo rischioso per entrambi.
Ancora pensoso sulla scelta da fare gli avvenimenti decisero per lui.
Sentì il rumore di un grilletto premuto ed istintivamente si mosse a proteggere il corpo del suo koi col proprio. Hasegawa era dunque arrivato.
Jin fu schiacciato a terra dal corpo di Kitcho. Sentì l’odore ferroso del sangue ed il liquido vischioso imbrattò i suoi vestiti, eppure, sapeva di non essere ferito; con orrore si accorse che era il sangue di Kitcho: era stato passato da parte a parte dal proiettile sulla spalla. Era pallidissimo ed il suo volto sofferente, lo vide osservarlo e cercare di sorridergli per rassicurarlo, ma una smorfia di dolore deformò il suo viso; vide la sua fronte corrugarsi come se stesse pensando intensamente a qualcosa e dopo un attimo la pistola di Hasegawa si liquefò tra le sue mani.
“Ad armi pari” fu il suo sibilo. “Va Soichiro, allontanati da qui”
“Kitcho……” non voleva allontanarsi da lui! Come poteva lasciarlo ora che era ferito? Il suo sangue ancora sporcava le sue mani e sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime, non voleva che affrontasse tutto questo da solo.
“E’ la mia battaglia, koi, tu non puoi farci niente. Va' ora, sarà meglio per entrambi. Allontanati il più velocemente possibile dalla villa”
“E tu credi che glielo permetterò?”
Un lampo azzurro sfiorò Hasegawa che riuscì a schivarlo appena in tempo.
“Tu ed io secondo le regole, non costringermi ad
agire diversamente.”
Il volto di Kitcho era duro, Jin non lo aveva mai visto
così. Riconobbe la sua determinazione e la sua forza ed a malincuore comprese di
essergli solo di intralcio.
Si allontanò da lui senza una parola, non avrebbe permesso a quel… non trovava termini abbastanza spregevoli per descrivere Hasegawa, di condividere quel momento di intimità tra loro, e poi… non voleva perché sarebbe tanto sembrato un addio, ed era un pensiero che non poteva tollerare.
Seppe di essere accompagnato, fin quando fu possibile, dallo sguardo di Kitcho e cercò di allontanarsi velocemente dal clamore della battaglia.
Un ghigno comparve sul volto di Hasegawa “Finalmente avrò la mia vendetta”
“Non credo proprio” ma a dispetto della sua apparente arroganza e sicurezza, Fukuda sapeva di essere in svantaggio. Aveva perso moltissimo sangue ed il braccio che solitamente utilizzava per combattere, era ora infungibile a causa della ferita alla spalla che propagava ondate di dolore a tutto il suo corpo.
Sapeva di non avere molto tempo, la morte immortale lo stava reclamando a sé, ed allora sarebbe rimasto indifeso. Doveva cercare di agire celermente.
Si fece forza, strinse maggiormente l’elsa e attaccò Hasegawa, che stava tergiversando cercando solamente di schivare i suoi colpi. Pensò se utilizzare il suo potere ma sapeva di averne fatto un uso, forse, eccessivo per le sue forze attuali e, forse, avrebbe solo peggiorato le cose, e poi… ad armi pari aveva detto ed Hasegawa non era certo in grado di usare i talenti mentali.
Ancora una volta l’onore del guerriero prese il sopravvento, non avrebbe disonorato il suo nome. Con un affondo riuscì a ferire il suo avversario, ma solo superficialmente. La sua vista iniziava ad annebbiarsi e le gambe erano diventate pesanti, sollevare la spada, anche solo per potersi difendere, gli parve uno sforzo oltre le sua possibilità. Scivolò a terra, la morte immortale pronta ad accoglierlo nel suo grembo e comprese che, l’opprimente sensazione che aveva provato, era stata la premonizione della sua morte stessa.
Il suo ultimo pensiero fu per Soichiro che gli sarebbe sopravvissuto e per brathair, e sperò, che oltre questa sofferenza, tutti loro potessero essere felici.
POV DI MITSUI
“Brathair, brathair”
“Non scuoterlo così Kitcho, peggiorerai le cose, non preoccuparti ha la testa dura.”
Cos… non riesco a capire, queste voci… sono di Kitcho e Gwydion, ma… Gwydion sono secoli che non si rivolge più a noi così: il suo tono è dolce ed affettuoso, e caldo, lo era sempre quando ci vedeva insieme: era come se ciò che osservava lo rendesse felice, e Kitcho… lui è morto.
Il dolore della sua morte mi colpisce lasciandomi stordito e senza fiato, apro gli occhi con un immenso sforzo e…
Mi tiro di scatto a sedere sul letto.
“Brathair, sei vivo?!” esclamo sorpreso ed incredulo, ma come è possibile? Mi guardo intorno ed io conosco questa stanza, la mia, di quando ero ragazzo e vivevamo ancora su Gaidhealtachd.
Vedo Kitcho guardare preoccupato Gwydion ed una risata divertita esce dalla sua gola.
“Sashi sei tu quello che è stato colpito alla testa, non lui. E comunque nessuno di voi due è il tipo da morire per così poco. Mi spieghi a cosa stavi pensando invece di concentrarti sull’addestramento?”
Come è dolce il suo sguardo, come è piena di affetto la sua voce, ci osserva divertito e scuote il capo “Ah gli adolescenti, non li capirò mai!” e sospira melodrammatico, prendendo noi due in giro, aspettandosi una nostra reazione, ripetendo un copione vissuto infinità di volte, ma cosa sta succedendo? E poi… adolescenti? Io sono un uomo, ormai, anche se… ha ragione lui, Kitcho sembra un ragazzino.
Vedono la confusione e la sorpresa nel mio sguardo, e brathair mi si avvicina ansioso.
“Sei sicuro di stare bene?”
“Lascia che lo controlli” e Gwydion si siede accanto a me, accarezza i miei capelli e bacia la mia fronte in un gesto dolcissimo, il suo modo di rassicurarmi quando ero bambino, ed i miei occhi si riempiono di lacrime.
Gwydion se ne accorge e mi abbraccia “Kitcho esci, ti chiamerò io, su va” è la sua gentile esortazione, io affondo il viso nel suo petto ed inizio a piangere come tante volte Akira in questi giorni ha fatto con me.
“Cosa c’è fratellino?” Il suo tono di voce è così tenero che mi spezza il cuore, anch’io mi rivolgo così ad Akira quando voglio consolarlo?
“Nulla” mi asciugo gli occhi con la manica della mia camicia e mi osservo la mano, come è piccola! Sembra davvero quella di un bambino!
Mi alzo dal letto e cerco uno specchio, vedo Gwydion seguire attento ogni mio movimento, ma non interviene e mi lascia fare.
Mi guardo e davvero vedo un ragazzino, me stesso, quando avevo pochi anni di vita. Avvicino una mano allo specchio come se volessi toccare la mia immagine riflessa, non riesco a capire, sono io, tutto è come dovrebbe essere ma……
“Cosa ti turba Hisashi?” la sua voce pacata cerca di tranquillizzarmi, probabilmente ha compreso la mia ansia ed agitazione.
“Io… quanto sono stato
incosciente?”
Possibile che tutto quello che ho creduto di vivere per millenni sia stato solo
un lunghissimo sogno, una premonizione di un futuro che potrebbe avverarsi? Sarà
così triste il mio destino? O tutto questo è già stato, ed è solo un’illusione,
il ricordo di un tempo passato?
“Quasi due giorni. Ci hai fatto prendere un bello spavento! Anche nostro padre è venuto a vedere come stavi. Kitcho era terrorizzato, era convinto di averti quasi ucciso e per un attimo anch’io ho temuto il peggio” si stiracchia esausto “non ho più il fisico per stare sveglio tutte queste ore, devi fare più attenzione, leanaban, chi si distrae in un duello od in un guerra è perduto, ricordalo.”
Annuisco, era tanto che qualcuno non mi si rivolgeva con un simile tono, dandomi consigli ed esortazioni.
“Io… vorrei rimanere solo”
“Va bene, ma se hai bisogno di qualcosa chiama.” e prima di uscire mi rivolge un sorriso affettuoso ed incoraggiante, e mi accarezza il capo.
“Ok”
Esploro questa stanza ed ogni cosa è come allora: i miei vestiti, le mie armi, le pergamene sulle quali studiavo.
Mi affaccio alla finestra ed osservo il mio mondo proprio come un tempo è stato.
La strada che dal palazzo porta alla città è affollata di gente, i giardini sono pieni di alberi da frutto e di persone che si affaccendano dietro alle varie occupazioni, ovunque si sente un lieve brusio, voci che si accavallano l’una all’altra: una vita dimenticata.
Chiudo gli occhi e li riapro ma tutto è ancora qui.
Eppure… può essere questa la realtà? E quelle persone che ho sognato, che ho amato, sono solo un’illusione?
Respiro a fondo e cerco di richiamare alla memorie tutto quello che penso di aver sognato.
Le immagini sono troppo vivide, le sensazioni troppo forti perché possa aver immaginato tutto, ed ora io sento una voce, giovane e spaventata:
“Papà, papà svegliati per favore!”
Ed un’altra gentile e paziente:
“Stai tranquillo, Akira, sta bene”
“Ma Kogure-san non apre gli occhi!”
Akira… Kogure…… ora lo so, il sogno è questo, perché il passato non può tornare ed i morti, per quanto amati, non possono rivivere.
Apro gli occhi ed immediatamente il dolore invade il mio corpo, le ferite al ventre ed alla spalla non sono ancora guarite, di fronte al potere anche la mia carne immortale è più vulnerabile.
Cerco di rialzarmi immediatamente, sorretto da Kimi.
“Va tutto bene, Akira, sto bene.” e lo abbraccio stringendolo a me. Lui ricambia il mio abbraccio.
“Cosa è successo Hisashi?”
“Jin è qui?”
“Sì, papà dov’è Kitcho?”
“Va giù Akira, io arriverò subito, ho bisogno di farmi una doccia.”
Annuisce e lascia me e Kimi da soli.
“Le tue ferite non guariscono”
Ed ora la sua maschera di calma è caduta, non deve più rassicurare Akira, ed è preoccupato per me.
“Guariranno, ma ci vuole più tempo, non abbiamo combattuto con la spada ma con i nostri talenti mentali. Jin era stato rapito da Hasegawa e da Gwydion, Kitcho è morto” e la mia voce trema di fronte a questa verità, so che il dolore traspare dal mio volto e dalla mia mente, ma non posso fare niente per impedirlo, né lo voglio. Non fingerò con Kimi.
“Mi dispiace, mi dispiace” e la sua voce è davvero triste mentre pronuncia queste parole e sento la sofferenza nella sua mente, patisce con me ed accoglie in sé il mio dolore.
“Vorrei poter fare qualcosa, Hisa, ma non è possibile.”
“Resta con me, Kimi.”
“Sempre, Hisashi, sempre” e mi abbraccia stringendosi a me.
Mi allontano da lui “Ho davvero bisogno di una doccia, mi sento addosso l’odore del sangue, e mi da la nausea.”
“Ci riesci, Hisa? Sei ancora debole. Lascia che ti aiuti!”
Lo guardo ed annuisco, se fosse stato un altro momento lo avrei preso in giro, ma ora… ed io sono davvero stremato, ho bisogno del suo appoggio.
Lo vedo preparare la vasca e venire verso di me, mi sorregge ed io giungo fino al bagno.
Mi immergo nell’acqua calda e lascio che lavi via tutto il sangue e la stanchezza, ma il dolore… quello non è possibile e forse neanche il tempo potrà.
Brathair è morto ed io non ho fatto nulla per impedirlo, non sono riuscito ancora una volta a salvare chi amavo, stringo convulsamente i pugni ed inizio a tremare.
“Hisashi?”
Kimi è spaventato da questa mia reazione, lui non conosce la mia collera.
“Voglio sapere dove si trova Hasegawa”
“Sì”
“Kiminobu… io… devo farlo, devo vendicare Kitcho! So che non servirà a nulla e che lui non potrà ritornare in vita, ma io ne ho bisogno.”
Lo vedo sospirare: “Non ti dirò che capisco Hisashi, perché non è così, non riesco a comprendere il bisogno di vendicarsi e di uccidere, ma… se tu lo desideri farò in modo che gli osservatori lo trovino per te.”
“Grazie” mi aiuta ad alzarmi, ad asciugarmi e vestirmi.
Respiro profondamente, ora sono pronto.
Jin ha diritto ad una spiegazione, il suo compagno è morto e non tornerà mai più. È stato ucciso per salvarlo e lui per sempre dovrà convivere con questo rimorso. Non è come un suo romanzo dove i cosiddetti buoni trionfano sempre, è la vita reale, dove l’unica cosa che conta è il potere e la capacità di usarlo.
Non riesco ancora a comprendere come Hasegawa possa aver vinto contro di lui, ma è successo, e Kitcho non è più.
Chiudo gli occhi e respiro in profondità, non credo di essere pronto per tutto questo, non penso di essere in grado di sopportare il dolore della sua morte. Di nuovo il desiderio di perdere me stesso diventa quasi una necessità imperante, ma non posso farlo e so che la sofferenza vera per la sua perdita non mi ha ancora colpito, ma ora non posso permettermi di piangere la sua scomparsa.
Kimi mi si affianca e stringe le mie dita tra le sue.
Al piano di sotto Akira, Hiro, Hana e Kaede stanno aspettandoci, loro sono la mia famiglia, io non sono più solo e devo lottare per loro, non posso arrendermi proprio ora, Kitcho non avrebbe voluto questo.
“Andiamo”
Kiminobu annuisce e stringe maggiormente le mie dita prima di lasciarle.
Le emozioni che provengono da lui sono contrastanti, e confuse.
Si sente in colpa nei confronti di Jin, perché io sono vivo ed al suo fianco, quando invece Soichiro non potrà mai più provare il calore dell’abbraccio di Fukuda, non potrà mai più sapere cosa vuol dire essere amati da lui.
“L’unico colpevole della sua morte è Hasegawa, nessun altro Kimi.”
“Lo so”
Eppure il disagio non lo abbandona, come il dolore e la paura di perdermi.
E di nuovo, come stamani, desidero rassicurarlo ma so che non posso farlo, perché ormai io non posso più tirarmi indietro e devo lottare perché tutto questo finisca il più velocemente possibile, troppo tempo ho indugiato ed a questo ha portato la mia indecisione.
Jin è pallidissimo, sembra sul punto di crollare, nei suoi occhi leggo la consapevolezza della realtà: lui sa già che brathair è morto.
“E’ morto vero?” e la sua è la richiesta disperata di una mia conferma.
“Sì”
Lo vedo accasciarsi privo di forze sulla poltrona, china il volto e lo nasconde tra le mani. Il suo dolore flagella me e Kimi, e noi non possiamo fare nulla per lenirlo.
La colpa ed il rimorso fanno molto male. Crede che sia per causa sua se Kitcho è stato ucciso, sa di aver perduto il suo amore, ed ora comprende la paura di Kimi. Non credeva che sarebbe successo questo; non aveva mai capito cosa realmente volessero dire i duelli. Fino ad ora aveva pensato che Kitcho fosse immune da tutto ciò, si era lasciato trascinare dall’aspetto romantico dell’immortalità: l’aveva considerata come una serie infinita di possibilità, di vite, non aveva mai voluto scorgere fino in fondo il suo orrore.
Ma ora lo sa, ora ha compreso.
Ed il disprezzo che prova per sé è intollerabile, non posso permettere che si punisca così, non voglio che sprechi nella sofferenza e nel rimpianto la vita che Kitcho gli ha donato.
Preferirei vedere le sue lacrime, non questo tormento muto, che non lascia possibilità di scampo.
Mi inginocchio di fronte a lui e prendo le sue mani tra le mie.
“Non è colpa tua. Non hai certo voluto tu essere rapito, non avresti potuto opporti ad Hasegawa, non perché tu sia debole, ma… nessuno di noi poteva prevedere che sarebbe successo questo.”
“Se non fosse stato ferito per salvarmi, lo avrebbe battuto”
“Non puoi saperlo, forse, o forse no. È inutile Jin, non serve a nulla che tu faccia così. Piangi, urla, disperati, ma non incolparti, perché il senso di colpa è solo sofferenza auto inflitta e sono già troppi i disperati che calcano questo mondo, ombre che non sono capaci più di vivere. Non permettere che questo accada anche a te! Se non per te, fallo per lui.”
“Tu sai di cosa stai parlando, vero?” ma non c’è cattiveria nella sua voce solo rassegnazione.
“Sì, lo so.” è inutile mentire, ma lui non dovrà mai diventare come me.
“Come farò senza di lui? Cosa farai?” la sua voce è tremula ed ora finalmente le lacrime bagnano le sue guance, si aggrappa a me, e cerca in me il riflesso dell’uomo che amava e del suo calore.
“Ucciderò Hasegawa”
“Voglio aiutarti, qualsiasi cosa per non pensare.”
È pericoloso, ma… è giusto così, non voglio che provi la sensazione di essere inutile, chiederò a Kimi di cercare Hasegawa con lui. Jin trema convulsamente tra le mie braccia, i singhiozzi squassano il suo corpo esile.
Volgo il mio sguardo verso ognuno di loro e vedo Kaede ed Hana deglutire convulsamente e sospirare; Hiro ed Akira, stanno mordicchiandosi le labbra per non piangere, ma lacrime traditrici accarezzano le loro gote; Jin ha bisogno di tutti noi.
Ed il suo dolore così grande è anche il mio.
Guardo Kimi e lui annuisce, muta risposta alla mia domanda inespressa, ora non possiamo lasciare Jin da solo.
Si abbandona tra le mie braccia ed io lo sollevo portandolo a letto, cercando di calmarlo con la mia mente.
“Kitcho… Kitcho… ” è lui che cerca, sarà sempre il suo volto che cercherà, ma ormai nulla potrà più essere come prima.
Kogure chiuse gli occhi e si abbandonò esausto contro lo schienale della sedia del suo ufficio.
Da quanto tempo non dormiva un’intera notte? Non lo ricordava più, ma era stanchissimo e per quella sera non sarebbe riuscito a concludere nulla.
Hasegawa era come scomparso. Pochi giorni dopo la morte di Kitcho il suo osservatore era stato trovato, morto.
Jin si era dimostrato di grande aiuto, e questa ricerca contribuiva a farlo sentire meno disperato, ma… quando Kogure era più stanco, proprio come adesso, e le sue barriere erano meno resistenti, poteva percepire tutto il suo dolore.
La sofferenza di Soichiro non si era lenita col tempo, tuttavia era ancora presto…
E poi era molto preoccupato per Hisashi, inutile negarlo.
Sembrava una belva in gabbia, più volte era venuto al quartier generale degli osservatori, per aiutarli, ma anche in quel caso era stato tutto un buco nell’acqua.
Maledizione! Non era possibile che quel bastardo si fosse volatilizzato nel nulla, da qualche parte doveva pur essere!
Hisashi aveva espresso la possibilità che Gwydion lo proteggesse con il suo potere e che per questo fosse introvabile.
Tutti gli osservatori, di cui sapeva potersi fidare, erano stati impiegati nella sua ricerca.
E lui… beh… era costretto a rimanere al QG a far le veci di Anzai sensei.
Erano mesi che il loro master non si sentiva bene, ma la notizia della morte di Kitcho era stato un duro colpo anche per lui, e così… aveva avuto un malore e aveva affidato la responsabilità di capo degli osservatori a lui.
Sospirò per l’ennesima volta in quella giornata. Si era reso conto che quello non era un compito che lo rendesse felice e che tutto quel potere, infondo, non gli interessava affatto.
Avrebbe preferito essere al fianco di Hisashi, e sostenerlo in un momento così difficile per lui, ma non poteva tradire la fiducia di Anzai-sensei nei suoi confronti, e così cercava di essere all’altezza dell’incarico che gli era stato affidato, anche se, gli sembrava, con scarsi risultati.
E poi… non era in ansia solo per Hisashi.
Hana, che era passato qualche volta per dargli alcune informazioni reperite dagli agenti della sua centrale, gli aveva riferito che Akira ed Hiro erano profondamente scossi.
Ed era facile comprenderli.
Avevano voluto bene a Kitcho e temevano che Hisashi potesse morire da un momento all’altro.
Poveri ragazzini! Affrontavano con coraggio e forza una situazione che per molti altri sarebbe risultata insostenibile.
Si scoprì a pensare a loro con tenerezza ed un profondo affetto, e sperò che Hisashi non fosse troppo preso dalla sua ‘caccia’ - e provò un moto di collera a quel pensiero - da non accorgersi di quanto Akira ed Hiroaki fossero turbati.
Sapeva che Kaede era sempre al loro fianco e parlava molto con loro, per rassicurarli e dar loro forza.
Ma Akira aveva bisogno di suo padre!
Si stupì del risentimento che provava nei confronti di Hisashi. Non aveva creduto possibile sperimentare un simile sentimento verso di lui.
Ma gli pareva che vendicare un morto fosse per lui più importante che preoccuparsi dei vivi.
Scosse la testa. Sapeva di essere ingiusto, almeno in parte, ma la stanchezza e la paura di perderlo, tendevano a fargli perdere il controllo, soprattutto con lui.
Ed era per questo che era ancora in ufficio.
“Kiminobu, va a casa. Sei sfinito, non otterrai
nulla così.” la voce musicale e preoccupata di Oiteag lo riscosse dai suoi
pensieri.
Alzò il volto per osservarlo e come sempre trasse conforto dalla sua
presenza.
“Lo so, ma ho paura…”
“Di cosa?”
“Di litigare un’altra volta con Hisashi. Ma cosa gli sta succedendo? Non mi sembra più lui, mi pare quasi ossessionato, ed ora… kami! Ho la sensazione di essere così lontani! Io… non so cosa sia meglio fare.”
“Non può darsi pace. Quando lui ha avuto bisogno di aiuto, Kitcho era sempre al suo fianco, e lui invece… Non lo ha salvato e non riesce neanche a trovare il suo assassino. Non è neanche in grado di vendicarlo. Cosa senti quando sei al suo fianco?” fu la triste domanda di Oiteag.
Era in ansia per il suo signore, temeva che potesse ripetersi ciò che era accaduto secoli prima. Eppure loro guardiani erano stati così stupidamente sicuri che, la disperazione, non avrebbe mai più soprafatto Hisashi, ora che aveva tutti loro al suo fianco! Ma avevano sottovalutato l’affetto che lo legava a Kitcho.
Brathair non era solo una sterile parola, ma davvero un legame profondo, che li avrebbe accompagnati per tutta la loro vita.
“Nulla! È questo che mi spaventa! Ho sempre percepito dolore, tristezza in lui. E la sua forza, ma ora… sembra un guscio vuoto. Anche con Akira…”
“Dategli del tempo. Passerà e se voi sarete al suo fianco tornerà la persona che avete conosciuto. Ha bisogno di voi, Kimi, ora più che mai. È vicinissimo a perdersi un’altra volta. Siete voi ed il suo amore per voi ad impedirglielo. Ma se voi lo abbandonate…”
“È lui che sta abbandonando noi! Sono due giorni che non abbiamo più notizie di lui!”
“Lo so, ma quando tornerà non permettergli di sentirsi solo, Kimi! Parlagli! Ed ora torniamo a casa.”
“Va bene”
Kogure decise di affidarsi ad Oiteag. Conosceva Hisashi da molto più tempo di lui, era stato al suo fianco da tutta l’eternità, forse, sapeva cosa era giusto per il suo koibito.
Lui, in verità, non riusciva più a capirlo, e sentirlo così distante, dopo aver condiviso, solo poco tempo addietro, ogni cosa di lui… era terribile.
Avrebbe desiderato che Hisashi si lasciasse andare con lui, sfogasse il suo dolore e la sua rabbia. Accettasse la morte di Kitcho e fosse pronto ad andare avanti.
Era profondamente addolorato, per Hisashi e per Jin, non faceva altro che chiedersi come avrebbe reagito lui ad una simile eventualità.
Come avrebbe reagito Akira.
Se non per lui, Hisashi doveva trovare la forza di continuare a lottare per suo figlio, perché Akira aveva bisogno di suo padre, e non di un surrogato quale ognuno di loro poteva essere.
L’inverno stava velocemente volgendo al termine, e le giornate iniziavano ad allungarsi.
La natura stessa sembra animarsi di vita nuova, ogni cosa la richiamava.
Presto i viali, attraversati per tornare a casa, con gli alberi spogli, avrebbero assistito ad una nuova fioritura dei ciliegi; i loro petali rosati ed il loro profumo avrebbero accompagnato gli innamorati ed i bambini, che finalmente potevano tornare a giocare sotto i tiepidi raggi del sole.
Ma in tutta questa vita loro respiravano solo la morte.
Indossò il giubbotto di pelle e sorrise triste.
Solo pochi giorni prima Hisashi lo aveva preso in giro, dicendogli che gli conferiva un incredibile fascino, un misto esplosivo di dolcezza ed eleganza che lo faceva impazzire.
E subito dopo avevano fatto l’amore, con intensità, con tristezza, perché entrambi temevano che ogni volta potesse essere l’ultima.
Ricacciò indietro le lacrime e con la vista offuscata dal dolore si avviò verso casa.
Oiteag aveva detto che Hisashi era vicino a perdersi e questa era la cosa che più temeva.
Si rimproverò, dicendosi che avrebbe dovuto comprenderlo da sé, ma era troppo spaventato da questa eventualità.
Varcò la porta della villetta, e come accadeva da due giorni, non percepì la presenza di Hisashi.
Vide Akira venirgli incontro con un sorriso che gli illuminava il volto, ma esso si spense nel momento in cui comprese che non era suo padre ad essere tornato a casa.
Kiminobu percepì tutta la sua delusione e tristezza, e le capiva perfettamente in quanto erano le stesse provate da lui, tuttavia si sforzò di mostrarsi sereno e gli sorrise di rimando.
“Credevo fosse papà!” esclamò deluso e preoccupato “sono due giorni che non lo vedo”
“Mi dispiace Akira” un sorriso tirato comparve sulle labbra di Kogure “sono solo io”
“Lo zio è tornato?” la voce ansiosa e speranzosa di Hiro attirò su di lui l’attenzione, e Kiminobu poté assistere anche al cambio repentino della sua espressione.
“Oh!” ed il dispiacere era palese “Ben tornato Kogure-san!”
“Grazie”
Dietro ai ragazzi comparvero anche Hanamichi e Kaede, e nelle loro menti poteva percepire la sua stessa preoccupazione, la sua stessa paura.
Come aveva detto Akira, erano due giorni che Hisashi non tornava e tutti loro temevano che potesse essergli successo qualcosa.
Certo se Hisashi si fosse scontrato con Hasegawa o, peggio, fosse morto, pensava, molto probabilmente lo avrebbe saputo. Hisashi gli aveva detto che essendo così fortemente legati, ora, se lui fosse morto, lui avrebbe percepito il suo decesso, ma questo non lo rassicurava di certo.
Era vivo, ma poteva essere ferito, poteva essere stato catturato da loro, poteva essere torturato e soffrire, o poteva aver perso se stesso.
E loro non lo avrebbero mai saputo.
Si fermò ancora una volta a scrutare i volti avviliti, preoccupati e stanchi di tutti loro, e provò di nuovo collera nei confronti di Hisashi.
Aveva cercato di comprendere la sua sete di vendetta, aveva creduto di comprendere il suo dolore, ma questo… era come se non gli importasse più nulla di loro ed era un pensiero intollerabile.
Era difficilissimo far finta di niente, cercare di rassicurare Akira, quando ormai anche lui aveva perso ogni speranza.
Non era un comportamento consono ad Hisashi questo, non aveva mai lasciato solo Akira per così tanto tempo, senza informarlo, senza rassicurarlo…
Era irrintracciabile anche per gli spiriti Guardiani.
Molto spesso in quei due giorni Aingeal, aveva lasciato Hiro ed Akira, certo che con loro fossero al sicuro ed aveva cercato il suo signore.
Poteva percepire l’angoscia degli spiriti guardiani, e questo fatto lo faceva ancor più agitare.
Ah!! Avesse potuto avere quel disgraziato immortale tra le mani!
Sorrise ironico di se stesso, perché la collera, pur non essendo un sentimento edificante, era l’unica cosa che gli permetteva di non cedere, e di ostinarsi a credere che Hisashi sarebbe tornato.
Pov di Akira
Kitcho è morto.
Papà è disperato.
Lo so, lo vedo da come si comporta, dall’espressione che scorgo nei suoi occhi.
Anch’io sono molto triste, avevo voluto bene a Fukuda-san, ma sono preoccupatissimo per papà.
In questi ultimi mesi mi sono dovuto ricredere su molte cose, ho scoperto aspetti della personalità di Hisashi che mi hanno stupito e sconvolto, eppure ho cercato di accettarli, perché, nonostante tutto, lui era sempre l’uomo che mi aveva cresciuto ed io ho sempre saputo che mi amava profondamente, sono sempre stato sicuro di ciò.
Questa è stata una delle poche certezze che mi ha sempre accompagnato in ogni attimo della mia esistenza.
Questo padre così diverso da tutti quelli dei miei amichetti, così antico e potente, che mi aveva mentito cercando di proteggermi da se stesso, mi aveva sempre voluto bene, così sarebbe stato per sempre.
Era questo uno dei pochi punti fermi della mai vita, come l’amore di Hiro, e l’affetto profondo che Kaede-san ed Hanamici-san provano per me.
Ed ora…
Dopo la morte di Kitcho è come se avessi assistito, ancora una volta, alla distruzione di tutte le mie certezze.
Mio padre è sparito, perso nella sua ‘caccia’, abbagliato dal suo desiderio di vendetta, e non ha pensato a me.
Forse è egoistico provare delusione per questo suo atteggiamento, forse dovrei cercare di capire cosa realmente Kitcho rappresentasse per lui, forse nessuno di noi lo ha mai realmente compreso, non so…
Però so questo: è stato molto più facile per me accettare che mio padre fosse un guerriero, una creatura antica, un assassino, che tollerare l’eventualità che mi abbia abbandonato, ed è proprio così che io mi sento.
Non ha tenuto conto dei sentimenti di nessuno di noi, non ha pensato ad avvisarci, ma se ne è andato… così, senza dire niente a nessuno.
E nonostante io provi molta tristezza per questa eventualità, e sia arrabbiato, preferisco che sia per questo motivo se non abbiamo più notizie di lui, e non invece per un’altra ragione.
Kogure dice che non è possibile che sia morto, lo avrebbe saputo ed anche Kaede è convito che avrebbe percepito la sua morte, eppure tutti loro, pur dicendo che riescono a sentire Hisashi, non hanno la più vaga idea di dove sia.
E tutto questo non può certo rassicurarmi.
Vorrei tanto chiedere gli occhi e risvegliarmi con Hiro al mio fianco e scoprire che tutto questo è solo stato un lungo, terribile, incubo, che la mia vita è la stessa di sempre, che si svolge tra la scuola e gli allenamenti, Hiro ed i miei amici.
Vorrei che ciò che scorgo negli occhi di Kaede sia solo la sua consueta ironia, il distacco apparente con cui affronta il mondo e non, invece, un dolore ed una tristezza che mai gli avevo visto e che non comprendo. In alcuni momenti i suoi occhi sembrano quelli di papà: occhi belli e tristi.
Vorrei che le rughe che a volte solcano il volto di Sakuragi–san fossero dovute alle troppe risate e non, invece, ad una grande preoccupazione che grava su di lui e lo angoscia.
Vorrei che tutto tornasse come un tempo è stato, prima di questa sofferenza.
Vorrei tanto potessimo essere di nuovo felici.
Ma… la mia vita passata è solo un lontano miraggio ormai, questa è la vita in cui devo vivere, un’esistenza in cui io sono solo un ragazzino, uno spettatore inutile, in cui non posso fare niente per aiutare papà.
Sempre più spesso, in questi giorni, mi chiedo perché abbia voluto prendermi con sé, se tutto questo non sia dovuto ad un suo strano senso del dovere, perché conosceva molto bene i miei genitori.
Ma… se lui non tornerà questa rimarrà solo una delle mie tante domande che non riescono a trovare risposta ed io…
Ho come l’impressione di essergli di impiccio, che si sia pentito di avermi con sé…
Ed è un pensiero insopportabile e che mi ferisce profondamente.
Sono così confuso e spaventato e desidererei tanto lui al mio fianco che mi dicesse che andrà tutto bene, che lui aggiusterà tutto.
Ma sempre più spesso in questi due giorni sono arrivato a pensare che sia solo una mia stupida speranza, nulla più.
“Akira?! Sei ancora in piedi? È tardissimo!” la voce preoccupata di Kogure mi distoglie dai miei pensieri.
Lui ama papà, ed è riamato da lui. Forse, se io gli confidassi le mie paure ed i miei dubbi potrebbe aiutarmi.
Mi piace come persona, mi sento a mio agio con lui e mi sembra che papà con, Kimi al suo fianco, sia più felice.
Un po’ sono stato geloso del loro rapporto, finora per papà ero sicuro di essere io la persona più importante, ma adesso…
Eppure Hisashi ha abbandonato anche Kimi senza fornire alcuna spiegazione.
“Speravo che tornasse, almeno questa notte. Invece…” dico avvilito, non riesco a mascherare le mie emozioni, la mia tristezza e la mia delusione, con nessuno di loro. E non è giusto perché non vorrei gravare su di loro, aggiungere un altro fardello a quello che ognuno di loro porta.
Kiminobu si siede accanto a me ed inizia a parlare con la sua voce gentile e calma.
“Lo so. Non c’è stato momento in questi due giorni in cui anche io non lo abbia sperato. So che sei preoccupato e spaventato Akira, e vorrei poter trovare le parole per tranquillizzarti, ma temo di non esserne in grado. So solo che Hisashi è vivo. Dove sia e perché si comporti così… beh sono domande alle quali non so dare risposta.” mi sorride quasi a volermi chiedere scusa.
“Tu credi che papà si sia pentito di avermi preso con sé?” alla fine ho confessato la mia paura più profonda, e devo dire che l’averla ammessa mi fa sentire meglio.
Kimi mi osserva sconvolto e sospira.
“Akira non permettere che l’atteggiamento di Hisashi di questi ultimi giorni offuschi ciò che lui è stato per te. Tu sai che io posso sentire le sue emozioni… ”
Annuisco. Lui e Kaede possono stabilire un rapporto più profondo con papà, ed un po’ io sono stato dispiaciuto di questo.
“…in ogni momento, quando io sento le sue emozioni, quando noi parliamo, percepisco sempre il suo amore per te. È la costante della sua esistenza, la ragione per cui lui vive e combatte. Lui morirebbe per te. Lui vive per te, Akira, ed è il dono più grande che possa farti. Sai…”mi sorride “…in un certo senso è a causa tua se mi sono innamorato di lui. Io ero il suo osservatore, vedervi vivere da lontano era il mio compito. E giorno dopo giorno io l’ho visto crescerti, amarti, ricevere il tuo affetto. Cercava di essere un buon padre per te, un buon maestro e amico per Kaede. Ho visto i suoi tentativi di difendervi, perché cresceste sereni, affinché le ombre che oscuravano la sua coscienza non gravassero mai su di voi. Ammiravo il suo modo di amarvi, provavo rispetto per una simile persona. Poi un giorno… Ti ricordi quando tu ed Hiro trovaste quello che poi sarebbe diventato il vostro gatto?”
Annuisco, anche se non capisco.
È un ricordo tenero. A me sono sempre piaciuti gli animali, ed anche ad Hiro, ma lui non ha mai potuto tenerli, perché i suoi genitori non volevano, essendo loro quasi sempre in giro per il mondo.
Così quando noi trovammo quel cuccioletto intirizzito decidemmo di prenderci cura di lui.
Lo avevamo nascosto in una casetta costruita da mio padre per noi in giardino, ed ogni giorno gli portavamo da mangiare e giocavamo con lui, ma il micino sembrava stare sempre peggio.
Ricordo la paura e l’angoscia di quei giorni, e la decisione di dirlo a papà per farmi aiutare, convinto che avrebbe saputo cosa fare.
“Quella” riprende il discorso Kimi “fu la prima volta in cui vidi tuo padre usare il suo potere per guarire. Io sono stato posto alla sua osservazione, perché sono un telepate, come lui, e sono in grado di percepire, se sono nelle sue vicinanze, quando usa il suo potere. Quel giorno lo usò per salvare quel gattino che era in fin di vita, ben sapendo che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Ti ricordi che stette male per alcuni giorni, dopo?”
“Sì. Fu perché aveva curato Attila?” papà ha voluto chiamarlo così, perché ha osservato che una volta guarito e rimesso in forze, si è rivelato essere una belva distruttiva con una predilezione per i suoi polpacci!
“Sì, ma naturalmente non te lo disse, anche perché avrebbe se no dovuto spiegarvi alcune cose. Ti ricordi? Quando lo guardaste stupiti lui vi fece l’occhiolino e vi disse che era una specie di magia, di tenere il segreto.”
Annuisco. “L’avevo dimenticato.”
Il viso di Kimi è assorto, ed il sorriso che illumina il suo volto dolcissimo.
“Da quel giorno pensai che se era stato disposto a sentirsi male per salvare una piccola vita innocente e per non vedere il tuo sorriso offuscato, doveva essere un uomo buono, e capace di amare. Ed iniziai a desiderare il sorriso che rivolgeva a voi, che eravate la sua famiglia, anche per me.”
Lo vedo sospirare pensieroso.
“Mi ha fatto bene parlare con te Akira, rivangare episodi del passato, ricordarmi perché mi sono innamorato di lui. Non ti nasconderò che in questi giorni ho avuto dei dubbi su di lui, sul suo comportamento, ed anch’io ho creduto che non pensasse più a noi. Ma se ha agito così, un motivo deve pur esserci, ed io ho deciso di fidarmi di lui anche questa volta. Tieni sempre a mente una cosa Akira. Tuo padre ti vuole bene, sei la persona più importante per lui, nessuno potrà intromettersi tra voi. Ricordalo sempre. Ed anche se questa attesa dovesse continuare… pensa che lui tornerà sempre da te.”
E lo vedo sorridermi, rassicurato e rassicurante. Ora dopo aver parlato con me deve sentirsi più sereno, e lo stesso anch’io.
Sono contento di averlo reso partecipe dei miei dubbi e delle mie paure e sono felice che lui abbia fatto lo stesso con me.
Mi ha trattato da adulto, e non come un ragazzino.
“Perché è quello che sei Akira. Siete maturati molto tu ed Hiro in questi ultimi mesi”
Ed accarezza il mio volto con affetto.
Ed ora sono rimasto ancora un po’ a pensare, per questa notte ormai dormire mi sarà impossibile, però mi sento più sereno.
Ricordare episodi della mia infanzia che, all’epoca, mi parvero insignificanti, ora mi permette di dargli un valore diverso, ed in ognuno di essi io posso scorgere l’affetto di Hisashi per me ed il desiderio di proteggermi.
Mio padre non è perfetto, ed a volte ha sbagliato, ma ora so che ha sempre cercato di agire per il meglio.
E forse è anche quello che pensa di fare questa volta.
Spero solo che torni prima possibile in modo da potermi liberare definitivamente di questa angoscia, da poter parlare con lui.
Per sentire da lui quello che mi ha detto Kogure.
Per sapere che sta bene.
POV DI MITSUI
Sono giorni che non torno più a casa.
So che il mio è un atteggiamento insensato ed egoista, ma non posso fermarmi.
Io devo trovare Hasagawa ed ammazzarlo.
Io devo vendicare Kitcho.
Il problema è che il bastardo è irreperibile.
Sono convinto che Gwydion lo stia celando con il suo potere e che trovi molto divertente questo mio brancolare nel buio.
Probabilmente spera, così facendo, di farmi saltare i nervi, in modo che io compia delle imprudenze.
Ancora una volta si diverte a manovrare chi gli sta accanto come se fossero dei burattini, ed io devo ammettere che trovo tutto questo molto scocciante.
Per questo ho deciso di non tornare a casa.
Non è più il momento degli indugi, ed è ora che anch’io usi le mie capacità.
Opporrò il mio potere al suo, penso oramai di essere abbastanza forte per poterlo fare.
Ma per poter realizzare il mio progetto ho bisogno di pace e quiete, ed in casa mia non sarebbe stato possibile, inoltre, nel momento in cui io troverò loro, sarò facilmente rintracciabile e voglio essere il più lontano possibile da Akira, Kimi, Hiro, Kaede ed Hana. Perché nonostante gli spiriti guardiani li proteggano sono abbastanza assennato da temere il potere di Gwydion.
Il primo luogo in cui li ho cercati è stata la villa dove Kitcho è morto, speravo così facendo di riuscire per lo meno a recuperare il suo cadavere, ed invece… la villa era sparita, probabilmente essa era il frutto di un’illusione, e né io né brathair ce ne eravamo resi conto.
Tutti i miei altri tentativi, così come quelli di Kimi, Jin e degli altri osservatori, si sono rivelati dei fallimenti completi.
Questa è l’ultima possibilità rimastami.
Mi concentro profondamente e cerco di rintracciare l’aura di Hasegawa ed il potere di mio fratello, così facendo dovrei scoprire dove sono nascosti.
Naturalmente non è così facile, dopo diverso tempo sono costretto ad alzarmi ed a sgranchirmi le gambe senza essere riuscito a concludere nulla.
Decido di riprovare, anche se la stanchezza che sento è spossante, ma so di essere vicino al mio obbiettivo e seguire le mie intuizioni si è sempre rivelato saggio da parte mia.
Finalmente riesco a ‘vedere’ dove si trovano e sorrido ironico: è così teatrale il luogo, sicuramente scelto da Gwydion, per il nostro scontro.
Non credevo neanche esistesse un posto simile a Kanagawa, ma potrebbe anche questo essere frutto del suo potere.
Ridicolo e farsesco.
Si comporta con me ed Hasagawa come se noi fossimo i protagonisti di una tragedia che ha inscenato per suo diletto personale.
La morte di Kitcho era l’atto principale, quello che avrebbe dato origine al tutto.
Il mio comportamento, il mio allontanarmi da loro per trovare Hasegawa ed avere la mia vendetta: il travaglio dell’eroe.
Troverei tutto questo molto divertente, se non fosse…
Che io mi sento in colpa perché continuo a vivere…
Che Jin ha pianto tutte le notti la morte di Kitcho, non riuscendo a darsi pace, non riuscendo a placare il suo dolore…
Che la paura e la sofferenza di Kimi ed Akira per me sono reali e terribilmente dolorose…
Che io vorrei tanto di nuovo annegare nell’oblio, ma non posso farlo.
La morte di Hasegawa non cambierà nulla e non placherà il mio dolore.
Niente potrà.
Ma oramai è tardi, è giusto che io reciti fino in fondo questa piccola commedia degli orrori, e che alla fine ottenga la mia ricompensa.
Indosso il giubbotto e salgo sulla moto, deciso a risparmiare la quantità maggiore di energie per il duello.
È spettrale e gotica la casa così come si presenta, degna di un film dell’orrore di infima categoria.
I miei occhi hanno bisogno di qualche secondo per adattarsi al buio, soprattutto dopo la luce accecante della strada.
Sembra di essere in un luogo fuori dal tempo: creature antiche che si combattono da tutta l’eternità, la cui lotta secolare avrà fine proprio in un secolo che non crede più agli dei ed al soprannaturale.
“Hasegawa vieni fuori e facciamola finita, non farmi perdere altro tempo.”
“E così mi hai trovato!” sebbene tenti di nasconderlo è stupito e spaventato, non si aspettava che Gwydion lo abbandonasse così.
Mio fratello, alla fine, deve essersi stufato di giocare con lui, e deve aver deciso di lasciarci da soli a risolvere la questione.
Anche Hasegawa è stato tradito da lui, ma non riesco a provare nessuna compassione.
“Forza facciamola finita” sarebbe così facile per me stroncare la sua vita usando solo il mio potere, impedirgli di difendersi: un attimo, un mio pensiero omicida e lui… non sarebbe più.
Perché combattere onorevolmente con un uomo indegno, che mi ha privato del mio affetto più antico, perché non giocare con lui e la sua sofferenza?
Un sorriso affilato e crudele compare sul mio volto, deve essere spaventoso perché lo vedo ritrarsi inorridito e mormorare: “Secondo le regole”
“Perché tu lo ha fatto? Hai usato una pistola per ferire ed indebolire Kitcho. Hai rapito il suo compagno solo per poterlo ricattare sperando di poterlo piegare ai tuoi voleri. Dimmi perché io dovrei rispettare regole che tu non riconosci?”
Mi sono avvicinato lentamente a lui, con calma, sto solo giocando per ora, non ho ancora iniziato a fare sul serio, e forse rimpiangerà di non essere stato ucciso da Fukuda.
Era questo che volevi, fratello, che la sua morte riportasse alla luce tutta la mia collera e ferocia, che credevo di essere riuscito ad imbrigliare?
Che il dolore cieco che mi domina mi rendesse di nuovo un essere crudele e disperato?
Sarebbe così facile ora…
Ma non posso.
Come potrei di nuovo fare l’amore con Kimi sapendo che lui leggerebbe in me l’orrore, come potrei di nuovo guardare Akira e desiderare il suo affetto?
Ironico non è vero, fratello? Proprio quell’amore che tu hai sempre ritenuto una debolezza mi ha salvato dal baratro… e da te.
Ucciderò Hasegawa, ma non così. Finalmente sono riuscito a liberarmi da te, e dalla tua influenza.
“Smettila di tremare Hasegawa, mi fai pena. Prendi la tua spada” ed ora io sguaino la mia. Non infierirò inutilmente, non mi pascerò della sua paura e del suo dolore come un mostro infernale.
Mi hai sentito fratello? Non perderò mai più me stesso!
Hasegawa mi guarda sorpreso e vedo che il suo volto riassume un po’ di colore: era già convinto di essere morto, ed adesso, invece, pensa di avere una piccola possibilità di vittoria.
Povero stupido!
Le nostre spade si scontrano ed io presto molta attenzione alla sua lama, molto probabilmente essa sarà avvelenata.
È lento ed incapace proprio come lo ricordavo.
Per ora sto solo difendendomi, ma… è inutile continuare ad indugiare.
I miei movimenti si fanno più veloci e precisi, mi sto avvicinando sempre più a lui, lo ferisco ad una mano ed è costretto a far cadere la spada.
Ora è qui disarmato di fronte a me.
“Alla fine ne rimarrà soltanto uno”
Non provo né pietà né rimorsi ad ucciderlo.
Non provo nulla in verità.
La sua testa rotola ai miei piedi e la sua reminiscenza si riversa in me.
Quante volte ho provato questa sensazione?
I volti delle persone uccise da lui scorrono davanti a me. Quante vite ha brutalmente stroncato!?
Era un vigliacco ed un traditore, avrei dovuto porre fine alla sua esistenza molto prima.
Forse se lo avessi fatto ora Kitcho sarebbe vivo…
No, non serve a nulla. Ma è il suo volto l’ultimo che ho visto, sono la sua reminiscenza ed il suo potere che in una carezza fraterna hanno sfiorato la mia mente.
Brathair…
Gli occhi mi si stanno riempiendo di lacrime, ma non qui.
In questo luogo impregnato del potere di Gwydion, sarebbe come consentirgli di ferirmi ancora, di avere ancore potere su di me.
Mi allontano velocemente da questa villa e l’ illusione svanisce poco a poco.
È notte, sono avvolto da essa, il buio mi circonda ed io mi nascondo tra le ombre.
Hasegawa è morto e Kitcho è stato vendicato, ma ora che l’adrenalina è scemata, rimane solo il dolore.
E non è finita.
Le stelle brillano nel cielo e da qui riesco a vedere la città illuminata dalle sue luci, la luna sembra giocare a nascondino con le nubi, eppure è luminosa e stranamente vicina.
In notti come queste non si dovrebbe morire.
Ma non è mai così.
La Natura mi accoglie con la sua bellezza, lascio che la mia mente vaghi alla ricerca della vita delle piccole creature che popolano la notte, sento la loro presenza e permetto a me stesso di percepire il palpito della terra ed il soffio del vento.
I suoni della notte sono una nenia funebre che intona la mia sofferenza ed è un canto antico, come me.
Kitcho è morto.
Mio fratello, mio amico, il mio primo amante, quando ancora non comprendevamo cosa fosse l’amore, ed eravamo incuriositi da ogni cosa: dalle nuove esperienze e da emozioni sconosciute.
Credevamo che mai nulla avrebbe potuto separarci, che ogni difficoltà l’avremmo affrontata insieme, che avremmo gioito dei nostri trionfi, che in ogni battaglia saremmo sempre stati l’uno al fianco dell’altro, difendendoci, come eroi d’altri tempi.
Credevamo che saremmo morti, dopo una lunga vita, con i nostri nipoti al fianco, dopo aver regnato saggiamente. O per la difesa della nostra patria, per amore suo.
Nessuno di noi pensava che il nostro sangue avrebbe abbeverato una terra straniera.
Esuli entrambi, ma per anni siamo stati l’uno la casa dell’altro, poi…
Non era più possibile continuare a vivere insieme, i nostri desideri, le nostre necessità erano differenti.
Tu avevi accettato la realtà, riuscendo ad adattarti a vivere in una terra aliena, ma che hai amato, come le creature che la popolavano, proprio come fece Karis.
Io… per secoli sono stato in lotta contro il mondo intero, desiderando la morte, odiando una terra non mia, odiando me stesso… ma sapevo che sarebbe per me esistito sempre un luogo in cui poter tornare. Quel luogo eri tu.
Tu e Karis, che nonostante tutto mi avete amato, per me stesso, solo per me, accettandomi per come ero, con la mia rabbia ed i miei rimorsi.
Ma la mia dolce ragazzina è morta dieci anni fa, ed ora anche tu…
Non ci sarà più nessuno che intonerà con me canzoni antiche o parlerà nella nostra lingua musicale.
Nessuno ricorderà episodi buffi della nostra infanzia, nessuno mi ricorderà che un tempo sono stato un mortale anch’io, un ragazzo.
Tu che mi ascoltavi sempre, mi provocavi e scherzavi con me, sorridendomi anche per lui, che mi aveva ferito così tanto da farmi cambiare radicalmente.
Tu che non mi hai permesso di dimenticare la mia vera essenza e che hai creduto in me, fino alla fine.
Non ti ho mai chiesto cosa hai provato durante i secoli della mia pazzia, quando per me null’altro contava se non distruggere ogni cosa. Hai mai dubitato? O hai sempre creduto che saresti riuscito a farmi tornare in me?
Tu che non ti sei mai arreso ed eri temprato dal fuoco di infinite battaglie, sconfitto da chi non è mai stato degno di te.
Cosa hai provato, brathair, qual è stato il tuo ultimo pensiero?
Ed ora di te mi rimangono solo infinti ricordi, nulla più.
E questa sofferenza che inghiotte ogni cosa, questo vuoto che mi impedisce di respirare.
Non avresti dovuto morire prima di me, fratello, non avresti dovuto…
Sto cercando di capire perché tutto questo sia accaduto, che senso abbia continuare a lottare, ma conosco già la risposta che si condensa in due soli nomi: Akira, Kiminobu.
Non credevo possibile per me amare qualcuno come ho amato te e Karis, ed invece…
Ma tu eri il mio passato, Kitcho, la parte migliore di me.
“Hisashi” la voce profonda di Aingeal mi richiama a me, impedendo alla mia mente di vagare ancora, in cerca di oblio.
“Ti stanno aspettando a casa, torna da loro.”
Lo osservo ed è luminoso
come il potere di cui è custode.
“Non sono ancora pronto”
Sospira ed i suoi capelli danzano alla luce della luna: “Nulla potrà cambiare se tu continui a pensare al passato, hai una solo strada da percorrere, solo una. Piangi per lui, Hisashi, e lascialo andare. Concedigli la pace”
“Non esiste un modo per riportalo indietro?”
“Non lo so, lo vorrei, ma non lo so” e per la prima volta da quando lo conosco sento dolore e rassegnazione nella sua voce.
“Io lo amavo” come sono naturali queste parole ora, che è troppo tardi, che lui non lo saprà mai.
Non avremmo mai potuto stare insieme, il nostro non era l’amore di due amanti, ma di fratelli che hanno condiviso le esperienze importanti della vita, quelle che ti fanno crescere e diventare uomo, e soffrire e gioire, che ti rendono uniti, legati per sempre.
Credevamo di avere il mondo ai nostri piedi, e negli anni della mia giovinezza spensierata, quando la guerra e la morte sembravano solo ombre lontane, prima del tradimento e del dolore, lui era con me.
Nulla contava se non le nostre avventure, i nostri colpi di testa; Gwydion ha faticato non poco a tenerci a bada da ragazzini, eppure eravamo felici, come non lo siamo mai più stati.
“Lui lo sapeva, lo ha sempre saputo, per questo ti ha perdonato.”
Annuisco ma un groppo in gola mi impedisce di parlare, le lacrime scorrono sul mio viso, è un pianto silenzioso, come muto e disperato è il mio tormento.
Ha ragione Aingeal devo lasciarlo andare, tornare a casa. Altri ora hanno bisogno di me, eppure vorrei che esistesse un modo per farlo tornare indietro, sarei disposto a tutto perché questo fosse possibile.
Ed ancora una volta mi ribello alla morte, proprio io che l’ho avuta per secoli come fedele compagna e di cui per due secoli sono stato il più solerte servitore, io che ho vissuto con la morte non riesco ad accettarla, non se riguarda lui.
Patetico.
“Io… non sono così forte, Aingeal, e sono stanco.”
E vorrei che lui mi dicesse che la morte di Kitcho non è stata inutile, che tutto questo ha un senso. Cerco facili rassicurazioni, ne ho bisogno, eppure so che lui non me le darà.
“Lo so, l’abbiamo sempre saputo.” mi guarda rivolgendomi un sorriso un po’ storto, mi sembra affaticato e triste.
“Perché allora ti fidi di me, perché lui si fidava di me?”
“La verità Hisashi?”
Annuisco ed attendo una sua risposta.
Se fossimo stati su Gaidhealtchd loro sarebbero stati costretti a servirmi, ma in questa terra straniera, perché continuare ad essere fedele ad un uomo che si è dimostrato più volte indegno del suo potere?
“Non lo so. Per secoli ti ho visto crescere, lottare con un potere che diventava sempre più forte. Ho visto entrambi soffrire e desiderare cambiare la realtà, e non ho potuto aiutarvi. Io non sono onnisciente, non so perché voi siate qui, perché la vostra esistenza serva, questa è una domanda alla quale devi rispondere tu.
Ma so una cosa. Sono stato onorato di servirti! Saresti stato un grande re, il più grande del tuo popolo! Anche Kitcho, sarebbe stato un grande generale! Tu dici di non essere forte, ed è vero, ma questo perché rechi in te la tenebra e la luce, in perenne lotta tra loro. Sei umano, Hisashi, come mai nessun’altro della tua gente è stato. Soffri, vorresti cedere. So quante volte lo hai desiderato, ma nonostante tutto continui a lottare, per chi ami, per quello che credi giusto. Non sei perfetto, anzi sei molto lontano dalla perfezione” mi sorride, come ad addolcire le sue parole “ma… sono stato molto orgoglioso di te, di voi, degli uomini che siete diventati. Tu ora ti senti in colpa, perché vivi ed adesso più che mai tu desideri vivere, per Kimi e per Akira, per il futuro che non hai mai conosciuto, per quella pace che hai sempre sognato, ma non a prezzo della sua vita. Ma la sua morte non è colpa tua.”
Mi osserva attento ed io posso solo assentire. Sì, voglio vivere, e so che non è morto a causa mia, ma... mi sento impotente ed è una sensazione che non sopporto.
“Da giovane, pur ribellandomi alla vita che altri avevano deciso per me, sapevo quale sarebbe stato il mio scopo, o per lo meno, credevo di saperlo. Ero il figlio del re e custode degli spiriti guardiani, avrei governato il mio popolo. Gwydion sarebbe stato il mio consigliere, mi avrebbe aiutato a regnare saggiamente, Kitcho sarebbe stato il mio generale, insieme avremmo saputo proteggere la nostra gente. Non era una strada facile la nostra. Il mio potere era terribile, cresceva a dismisura, ed a volte risultava quasi incontrollabile, tuttavia… sapevo di potercela fare, finché avessi avuto loro al mio fianco. Ma poi… Gwydion cambiò. Impazzì, lui per davvero, ed io fui costretto a scappare come un vigliacco. Ad abbandonare furtivo, come un ladruncolo, la mia terra. Kitcho venne con me. Lo fece perché sapeva che io avevo bisogno di lui, non so come facesse, era come se sentisse la mia necessità. Brathean, non credo di essermi meritato un simile titolo nel mio modo di comportarmi con lui. Non ho fatto niente per lui in tutto questo tempo, Aingeal, niente se paragonato a ciò che lui ha fatto per me. Ma ora voglio che le cose cambino. Non so se esista davvero un metodo per riportarlo in vita. Non mi interessa quali leggi o tabù dovranno essere infranti, ma voglio che troviate il modo. Ed è un ordine. Aingeal ti prego!”
Vede la determinazione nel mio sguardo, sa che ho deciso e finché non riuscirò a riportarlo in vita non avrò pace.
“Devo tentare”
“E sia” non è una promessa la sua. Forse non approva neanche il mio desiderio, ma mi aiuterà e se c’è anche una sola piccola possibilità lui la troverà.