Hawk & Dove
parte #2:
I will
survive
parte II
di Sergio
Calvaruso
San Francisco.
North Baker
Beach.
Il Sole è già alto nel
cielo, e illumina la spiaggia quasi perpendicolarmente. Ogni tanto l’ombra
di un gabbiano passa veloce sulla sabbia, per poi tornare a disegnare agili
traiettorie sull’acqua cristallina. Sebbene il freddo di Marzo sia ancora in
agguato, in lontananza si intravede già qualche bagnante, probabilmente un
turista, a tentare un tuffo nell’acqua gelida, ma per un raggio di almeno
cento metri sono soli. Dan si sveglia con il rumore ritmico delle onde nelle
orecchie, e con una sensazione confusa nella mente, come se si fosse appena
ripreso dopo una sbronza di quelle pesanti. Apre gli occhi una volta, ma i
raggi del Sole proprio sopra il viso glieli fanno chiudere di scatto. Di
nuovo, con cautela, riprova ad aprirli mentre si massaggia le labbra con una
mano, avvertendo la bocca impastata e pervasa da un vago sapore metallico.
E’ allora che si accorge del leggero peso sulla spalla e sul braccio
sinistri. Qualcosa di così lieve ed inconsistente da non poter essere stato
percepito subito. Cercando di non muoversi troppo, sposta la testa quel
tanto che basta per vedere cosa ha sulla spalla. Con gli occhi a mezz’asta e
con la bocca contratta per lo sforzo, senza contare gli aghi nella testa una
volta che ha provato ad alzarsi, lo vede. E’ un ragazzo, biondo, che riposa
placido con la testa poggiata sul suo petto. Una sensazione di familiarità
lo colpisce, mentre tenta di ricordare come è finito in quel posto. Si
ricorda i suoi amici giù al bar, un po’ di bisboccia attorno al biliardo e
poi quelle due checche là fuor...
“Ahhhh!!” esclama piano Dan mentre con un gesto brusco spinge via il ragazzo
dalla sua spalla, come se fosse un ragno velenoso. Il viso di Jude atterra
sulla sabbia soffice, e le sue sopracciglia si contraggono un minimo prima
di tornare rilassate. Chi non è rilassato per niente invece è adesso Dan, il
quale sta guardando il ragazzo con orrore, temendo di scoprire per quale
motivo si è risvegliato assieme a lui dopo una notte di cui non ha molta
memoria. Con uno sforzo incredibile la sua volontà ripercorre velocemente
gli eventi della sera prima. Ricorda i due ragazzi, e ricorda di aver
trovato le chiavi di uno dei due. Poi, non sa nemmeno lui perché, ricorda di
aver deciso di riportargliele e di averlo incontrato a metà strada. Quindi
era scoppiato l’inferno. Aveva visto il ragazzo trasformarsi in una specie
di supereroe che dopo aver sconfitto un po’ di quegli uomini dai
passamontagna neri si era fatto catturare e.... e poi tutto si era fatto
confuso. Ricorda perfettamente i mitra puntati su di lui, e poi aveva
pensato... aveva deciso... aveva fatto...
“No...” sussurra Dan mentre porta lo sguardo sulle proprie mani. Adesso
ricorda tutto. Una volta si trovava in montagna. Aveva appena finito di
aggiustare un enduro, ma prima di riconsegnarlo al proprietario voleva
provare quella bellezza con le sue mani. Era andato a fare del rally in una
foresta, su strade impervie addiritture per uomini a piedi. Per la prima
mezz’ora era riuscito a darci dentro come un matto senza mai scivolare, e
più andava avanti più si sentiva preso dall’euforia. Forse era stato per
questo che non si era accorto in tempo del piccolo strapiombo oltre quel
cespuglio, e forse era stato per questo che non era riuscito a girare in
tempo per evitarlo. Lui e l’enduro vi erano caduti assieme, e avevano
rotolato l’uno sull’altro per qualche secondo prima di rovinare sul terreno
coperto di foglie secche. Durante il volo, che a Dan era sembrato durare
un’eternità, nella sua mente erano comparse e sparite in nanosecondi una
serie infinita di emozioni contraddittorie. L’euforia del rally si era
mischiata al rammarico di non aver saputo evitare quel facile ostacolo,
l’eccitazione del rischio si stava confrontando con la paura di morire, la
sensazione di stare volando veniva combattuta dalla preoccupazione su quel
che avrebbe detto al suo cliente quando avrebbe dovuto restituirgli la moto.
Tutto questo in una massa indistinta di emozioni, pensieri, sensazioni, i
quali in seguito non sarebbe riuscito a ricordarsi distintamente ma a cui
globalmente ripenserà come ad una specie di uragano nella mente, sconnesso
ed allo stesso tempo, forse proprio per questo, euforico. Ecco. Se adesso
prendesse quell’evento e lo moltiplicasse almeno per mille, arriverebbe
vagamente a descrivere quello che è successo la sera prima nella sua testa.
Era come perdere completamente il controllo su sé stesso, come avere una
tale rabbia dentro da non poter essere tenuta a freno, come non averne mai
abbastanza di niente.
Si era gettato a capofitto, a testa bassa, contro quegli uomini e li aveva
semplicemente spazzati via. I pochi in grado di rialzarsi erano stati finiti
dai suoi artigli, dai suoi fendenti, dai suoi calci, fino a che... c’era
stato il rumore dello sparo, e poi quel bruciore improvviso alla spalla
sinistra. Era stato colpito ed era caduto in acqua, tra le mille sensazioni
che aveva percepito ricorda perfettamente la gelida morsa del mare. Poi...
qualcuno lo aveva preso, e lo aveva portato a riva. Lì, e non ricorda di
averlo visto, sebbene sappia istintivamente che è successo, quel qualcuno si
era calato sul suo volto e poi... la pace.
Automaticamente, Dan porta due dita della mano destra sulla spalla sinistra,
scostando quel tanto che basta il giubbotto di pelle nera da poter vedere
che la ferita che sa di avere riportato la sera prima è sparita. Poi guarda
Jude, e senza rendersi conto razionalmente di come faccia a saperlo
riconosce in lui il proprio salvatore. Ma non è a questo che sta pensando
mentre lo osserva. Ogni sensazione in questo momento gli dice il contrario,
ma lui ha bisogno di trovare un capro espiatorio per tutte le stranezze
accadute, e Jude è la scelta più ovvia.
Cosa mi hai fatto... , pensa Dan tornando a guardare il proprio corpo con la
stessa espressione di disgusto con cui prima guardava Jude.
In quel momento un rumore lo distoglie dai suoi pensieri. E’ solo un
fremito, ma basta a farlo scattare sull’attenti. Individua subito in Jude il
responsabile. Privato del calore del suo corpo, il ragazzo sta cominciando a
tremare per il freddo. Una parte di Dan vorrebbe andarsene subito da lì,
dimenticare tutta quella storia e tornare alla vita di sempre, ma un’altra
parte, una piccola parte, non riesce a vedere Jude così vulnerabile ed
indifeso. Il suo cervello raggiunge un compromesso. Dan si alza, e si toglie
il giubbotto di pelle, che poggia delicatamente sulle spalle di Jude.
Quindi, furtivo come un ladro, si allontana in fretta da lì, impegnandosi a
non pensare più a quanto successo.
Periferia di San Francisco.
Il clima che si respira oggi alla villa del miliardario Malcom Randall è di
pesante tensione. I suoi informatori alla polizia lo hanno avvisato durante
la mattinata che gli uomini che la sera prima aveva mandato a rubare i
manufatti greci destinati al Museo di Arte Moderna hanno fallito nel loro
compito e sono stati arrestati, e Malcom non riesce ancora a capacitarsi di
come i più navigati mercenari della scena criminale locale abbiano fatto un
tale buco nell’acqua. Ma più di questo, più della loro vita o del loro
destino, la sua preoccupazione è per quei reperti a cui tanto ha aspirato e
per possedere i quali per il momento dovrà aspettare.
“Signore...”
La voce del suo attendente personale Ewan Kheera, in piedi all’ingresso del
suo ufficio, lo distoglie dai suoi pensieri.
“Sì?”
“E’ appena arrivato uno dei mercenari che ha assoldato. E’ riuscito a
fuggire dal molo in tempo per non essere preso in custodia dai poliziotti.”
“Fallo entrare.”
Ewan annuisce, e scosta il pannello della porta che ha alle spalle. Un uomo
basso e tarchiato, dalla barba ispida e dall’aspetto malmesso, entra nella
stanza.
“Mr. Randall...” esordisce, un po’ intimidito dalla magnificenza
dell’ufficio “...mi... mi stanno cercando... deve farmi subito espatria-”
“Parlami di cosa è successo ieri notte.” afferma autoritario Malcom, con una
voce che non ammette repliche. L’uomo invece, prendendo tutto il coraggio di
cui è dotato, ispira profondamente e ribatte:
“Prima dobbiamo parlare del mio espatrio!”
Malcom alza un sopracciglio, quindi si avvicina all’uomo e, calandosi sul
suo viso storcendo il naso per il forte odore di sudore che emana, gli alza
il mento con pollice ed indice e gli risponde guardandolo fisso negli occhi:
“Avrai quello che ti spetta, ma ora ho bisogno di sapere cosa è accaduto
ieri notte.”
L’uomo, un rude mercenario indurito da anni e anni di missioni nei fronti
più disparati, si sente rimpicciolito davanti al suo sguardo penetrante.
“Ieri notte...” comincia a raccontare “...abbiamo attaccato appena quelli
hanno finito di sbarcare la roba, come da piano, e c’è voluto poco per
sistemare i poliziotti. Solo che dopo... dal nulla è comparso questo
ragazzo. Ha presente uno di quei supereroi? Ecco, qualcosa del genere. Era
bianco e azzurro, e si muoveva come un lampo tanto che non si riusciva
nemmeno a prendere la mira. E poi è sbucato fuori quell’altro. Un tipo
grande e grosso con un costume rosso e bianco che ha caricato sui ragazzi
abbattendone almeno quattro in un solo colpo, una vera furia! Sono stati
loro a farci tutti fuori.”
“E il carico?” chiede Malcom con un po’ di apprensione “Ha subito danni?”
L’uomo guarda in alto, come a volersi ricordare qualcosa di cui non è molto
sicuro:
“Non... non credo... Quelli sono comparsi sul molo, ci hanno attaccato prima
di raggiungere le casse...”
“Bene...” il viso di Malcom adesso sembra più rilassato. Voltandosi verso
Ewan, aggiunge: “Occupati di quest’uomo.”
Ewan annuisce, quindi si avvicina al mercenario e fa per prenderlo per un
braccio con una mano, mentre con l’altra sta estraendo qualcosa dalla tasca
interna della giacca. Prima che il criminale possa accorgersi di qualcosa l’elettrostimolatore
tocca la sua schiena, liberando nel suo corpo una scarica di circa 200 Volt.
L’uomo non urla nemmeno. La sua bocca si spalanca nell’aria, più per la
sorpresa che per il dolore, e un odore di carne bruciata si diffonde tutt’attorno,
finché il suo corpo non cade sul pavimento semicarbonizzato. Ewan risistema
l’elettrostimolatore in tasca, quindi da un’altra estrae un cellulare e dopo
aver premuto un paio di pulsanti dice:
“C’è della spazzatura da far scomparire. Nell’ufficio di Mr. Randall. Sì,
grazie.” e richiude con uno scatto il flip del cellulare.
“Supereroi...” sta dicendo intanto Malcom con un leggero tono di
disapprovazione “Qui, a San Francisco. Si stanno diffondendo sempre di più,
deve essere la moda del nuovo millennio...” abbassa lo sguardo ed espira una
volta, quindi rialzandolo su Ewan, un tono più deciso nella voce adesso:
“Ben venga, combatteremo il fuoco con il fuoco. Ci servono dei
professionisti di questo campo.”
“Credo di sapere chi fa al caso nostro.” risponde Ewan “Mi lasci solo
chiamare Los Angeles, se tutto va bene a fine giornata potranno già
occuparsi del problema.”
Malcom Randall si avvicina al suo attendente, quindi gli porta una mano
dietro la nuca e, delicatamente ma anche con decisione, lo avvicina al suo
viso fino a baciarlo in bocca. Quando lo rilascia lo fissa negli occhi e:
“Professionale come sempre Ewan, cosa farei senza di te...”
Porto di San Francisco.
Casa Bouvier.
Il membro più piccolo della famiglia, il sedicenne - quasi diciassettenne,
ci tiene a sottolineare lui - Arnold “Arnie” Bouvier, ha i suoi bei problemi
a cui pensare. Non solo oggi il suo amico Jude Stevens si è assentato da
scuola senza alcun preavviso, ma ha anche da ideare qualcosa di geniale per
sabato sera. E’ sì un ragazzo giovane, ma frequenta locali e discoteche da
quasi tre anni e conosce più gente lui che uomini con il doppio della sua
età. Per questo ha cominciato a lavorare come PR per la discoteca Metropolis
e per questo, finalmente, gli è stata data l’occasione di dimostrare
veramente quel che vale quando gli è hanno affidato l’organizzazione della
serata del sabato successivo. Solo che, come succede a tutte menti in
continuo fermento creativo, una volta che si presenta la possibilità pratica
di realizzare qualcosa ogni idea non sembra abbastanza bella o originale.
Per questo motivo lo squillo del citofono è quasi una liberazione per lui.
“Rispondo iooooooo!!!” grida oltre la porta della sua camera ai suoi
genitori, per poi afferrare l’apparecchio e chiedere “Chi è?”
“Sono io... Jude.” risponde la voce del suo migliore amico dal pianterreno.
“Sali!” esclama Arnie e riattacca il citofono aprendo il portone di giù.
Dopo una manciata di secondi sente il suono del campanello
dell’appartamento. Corre ad afferrare la maniglia e ne apre la porta, mentre
sta dicendo:
“Dov’è che sei stata a battere stamattina brutta zoc-” ma l’espressione
esausta di Jude lo blocca subito. Subito dopo, arriva il fetore “Ehy hai
mica fatto giochi strani con dei merluzzi? Puzzi di pesce...”
“Arnie, non è il momento. Sto ancora cercando di capire se ricoverarmi in un
istituto per malattie mentali o fare un colpo di telefono alla JLA...”
risponde Jude un po’ infastidito, per poi stropicciarsi gli occhi e chidere
a sua volta “Posso usare la tua doccia?”
“Sì certo fa pure...” risponde Arnie lasciandolo entrare e rimanenendo a
guardarlo mentre si avvia verso il bagno “Ma non esibirti in nessun numero
alla Psycho! Mia madre ha pulito stamattina e il sangue va via
difficilmente!”
Una doccia rinfrescante dopo le idee di Jude si schiariscono. Sì, la sera
prima si è imbattuto in un gruppo di criminali che stavano assaltando il
molo e sì, una strana voce lo ha dotato di poteri con cui li ha sconfitti.
E’ tutto vero. Il dramma era ora spiegarlo ad Arnie...
...
“Fammi capire bene... Sei finito in mezzo ad una sparatoria, e fin qui ci
sono, e poi non solo hai cominciato a sentire le voci... ma hai anche dato
di matto contro quei tipi buttandone a culo per aria una mezza dozzina
grazie ad un’agilità e ad un senso radar che Ben Affleck si può solo
sognare?!”
L’espressione sul viso di Arnie dice chiaramente quanto poco lui creda a
questa storia.
“Sì... più o meno è andata così. Solo che poi al posto di Jennifer Garner è
comparso questo altro tipo in costume grosso ed incazzato che ha decimato il
resto dei criminali in più o meno mezzo millisecondo, per poi finire in
acqua dopo essere stato colpito da un cecchino alla spalla che lo avrebbe
ucciso se non gli avessi spostato il fucile all’ultimo secondo.”
“Altro?”
“Bhe... ah sì poi alla fine il tipo col costume bianco e rosso si è rivelato
essere il capo di quegli idioti giù al bar del porto ieri sera...”
“Chiamo la Neuro?”
“Preferirei aspettare, in fondo non credo per me sia ancora il momento di
lasciare il meraviglioso mondo della sanità mentale...”
“Non l’avrei mai immaginato a giudicare da cosa racconti....”
“Senti. So che quanto ti sto dicendo può risultare incredibile ma io c’ero,
io so che è andata in questo modo, e...” una lampadina si accende nella
mente di Jude “...e posso provartelo!”
“Bene... allora avanti.”
“Ok...” Jude respira un attimo, poi “Dove!”
Nulla succede nella stanza. Arnie lo guarda come se fosse un comico che
finora non ha tirato fuori una barzelletta divertente.
“Sto aspettando...”
“Sì sì ok fammi concentrare! Ok, allora... Dove!”
Nuovamente, non accade nulla. Arnie sbuffa e guardando Jude gli dice:
“Serve a niente ribadirti che ti stai riempiendo di ridicolo?”
“Uh no... non credo... me ne rendo conto benissimo anche da solo...”
“E’ già qualcosa... Mi sa che ti sei fatto troppi flash su qualche
sceneggiato televisivo nostalgico sui supereroi...”
“Che vuoi dire?”
“Come se tu non lo sapessi... Va bene lavorare d’immaginazione, ma sognare
di essere uno degli eroi più sfigati mai apparsi è malato!”
“Vuoi dire che Dove esisteva già?!”
“Certo... Dove, di Hawk & Dove. Agivano a Washington, se non sbaglio, e per
un po’ hanno anche fatto parte dei Titani. Pensavo che lo sapessi.”
“No no è la prima volta che ne sento parlare... e tu invece come mai ne sai
così tanto?”
“Ehy un ragazzo deve pur tenersi informato! Non viviamo tutti chiusi nelle
nostre Dove-caverne come te!”
“Pensavano non ti interessassero i supereroi...”
“Scherzi?! Sono una delle cose più gaie sulla faccia della terra! Cioè hai
mai visto il costumino che portava Aqualad?! E i pettorali di Hawkman?!”
“Sì sì ok capito ma restiamo su quei due, eh? Che altro mi sai dire di
loro?”
“Non molto, comunque adesso chiedo info in un forum, ok? Così ti
tranquillizzi e torni il piccolo tenero ragazzino di sempre. Anzi...” ed
Arnie si sposta davanti al PC, già collegato ad internet “siccome ti voglio
bene ed ho paura che mi distruggi la stanza mando anche un’email a Dora
chiedendo se può scoprire qualcosa dai terminali della polizia riguardo un
attentato al porto ieri notte. Contento?”
“Sì... sì grazie.”
“E tutto questo nonostante il fatto che evidentemente mi stai nascondendo
qualcosa...”
“Cosa?”
“Andiamo, lo sai che a me lo puoi dire... chi hai incontrato ieri sera?”
“Eh?”
“Mi credi davvero così idiota? Guarda che l’ho visto il chiodo che portavi
quando sei entrato!”
“Il chiodo che...” ed in quel momento a Jude torna alla mente come una
diapositiva Dan e il suo abbigliamento “E’ suo! Quello è suo!! Allora non
sono pazzo!”
“Questo è un punto di vista...”
“Ascolta quando sono uscito da casa non avevo nessun... ommioddio!”
“Che c’è ancora?”
“I miei genitori! Mi sono completamente dimenticato dei miei genitori!!”
Sobborghi di San Francisco.
Entra piano, cercando di fare meno rumore possibile. Il che è molto
difficile, quando ti muovi in una roulotte comprata di seconda mano tredici
anni fa e le cui giunture saranno state oliate in tutto circa cinque volte.
Dan avrebbe sicuramente preferito evitarlo. Avrebbe lavorato anche una
settimana di seguito per evitare di tornare lì, ma quella maledetta chiave
del 12 sembrava essersi volatilizzata dall’officina e l’unico altro posto in
cui avrebbe potuto trovarla era...
“...allora ce l’hai una casa, bastardo!!”
Due mani cadono sopra la testa di Dan, cominciandolo a picchiare
pesantemente.
“Ouch... ehy... no asp...!” fa per dire lui alzando le proprie mani a
difesa, ma quegli schiaffi non si interrompono.
“Ti sei divertito ieri sera, eh?! Sei andato a fare casino con quegli altri
coglioni del porto vero?!?!”
“No...! No posso spieg...!!”
“Non osare trattarmi come quelle troiette che frequenti, Danny!!! Guardati!!
Chissà dove sei stato a sbronzarti! Sei tutto sporco e puzzi più di un cesso
intasato!!”
“Ma io... io non...!”
“Tanto qui c’è l’hai la stupida che ti sfama e che ti lava le robe, che ti
frega se sta in pensiero perché tu la notte devi andare a fare il teppista,
eh?!”
“Lascia.... lasciami!” e le mani di Dan finalmente riescono a liberarsi
delle altre. La sua proprietaria, una donna bassa e tarchiata, ma dalle
braccia rese forti da anni e anni di duro lavoro, lo guarda come se fosse il
suo più grande errore.
“Sei proprio come quel fallito di tuo padre...” dichiara sconsolata “Dovevo
abortire quando ne avevo la possibilità.” ed esce dalla roulotte sbattendo
la porta.
Grazie mamma... , pensa Dan osservandola uscire.
Casa Stevens.
Jude ed Arnie sono fuori dal portone di casa del primo, a ripassare la
versione della serata precedente che hanno concordato prima di entrare.
“Allora ricapitoliamo... ieri sera siamo tornati dalla pizzeria e ti ho
riaccompagnato a casa, ma c’erano dei brutti tipi per strada e allora ho
deciso di passare la notte da te... Fila?”
“E perché non hai avvertito i tuoi?”
“Perché... perché era tardi, ecco perché! Non volevo svegliare nessuno.”
“Se vuoi farti rinchiudere in casa per aver violato il coprifuoco...”
“Bisogna sempre ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato per far
funzionare una balla. Impara...”
“Sarà... ma allora perché non li hai richiamati nemmeno stamattina?”
“L’ho... l’ho... dimenticato?”
“Pfff...”
“Senti entriamo e fiondiamoci nella mia stanza, come va va. Ok?”
“Sono ai suoi ordini, mon capitan.”
Jude prende una bella boccata d’aria, quindi infila la chiave nella toppa e
gira la maniglia. Guarda Arnie una volta e spalanca il portone.
“Mamma sono a casa!” grida imboccando il corridoio per la sua stanza, con
Arnie al suo seguito. Arrivato a pochi metri dalla porta però qualcuno gli
si para innanzi, sbarrandogli la strada.
“Ah sei qui finalmente!”
E’ una donna. Alta, capelli biondo cenere raccolti in una crocchia sulla
nuca, espressione pratica e professionale sul volto sotto il quale si
intravede un corpo atletico rivestito da un sobrio tailleur grigio.
“Mamma.... io...” fa per dire Jude, prontamente interrotto da lei:
“Oh figurati, capisco bene di cosa si tratta.” Jude lancia una fugace
occhiata interrogativa ad Arnie, mentre sua madre, non notandola, tira
avanti “Anche io quando uscivo da scuola mi fermavo un po’ con le amiche,
solo che così il tuo pranzo si è freddato. Lo trovi nel microonde. E mangia
tutto, che stamattina non hai nemmeno toccato la colazione che ti ho
preparato prima di andare allo studio. E a proposito di lavoro vado di
fretta, oggi c’è consiglio d’amministrazione e se non presento a quegli
squali il mio piano d’azione mi si mangiano vivi e poi sì che possiamo dire
ciao alla macchina nuova! Oh, ciao Arnie!” il ragazzo ricambia il saluto un
po’ perplesso, ma la donna sta già frugando qualcosa nella sua borsa mentre
si avvicina al portone. Con una mano afferra la maniglia e la abbassa,
mentre con l’altra estrae le chiavi dell’auto. Quindi, prima di uscire, si
volta di nuovo verso i due ragazzi e “A proposito, papà è stato chiamato
ieri d’urgenza, c’è stata una brutta epidemia di influenza tra i piloti di
linea ed è dovuto andare subito all’aeroporto. Se tutto va bene torna
stasera. A dopo Jude e... ti voglio bene!” e dopo essersi concessa mezzo
secondo per fargli un sorriso rilassato imbocca le scale chiudendo la porta
dietro di sé.
Mentre ancora sente risuonare i tacchi che macinano nervosamente il marmo
degli scalini, Arnie si volta verso Jude e:
“C’è ancora un posto disponibile come figlio da queste parti?”
Sobborghi di San Francisco.
Picchiarla, avrebbe dovuto picchiarla! Avrebbe voluto picchiarla! Avrebbe...
oh andiamo, quella è sua madre! E’ la donna che lo ha tirato su praticamente
da sola da quando quel pezzo di merda di suo padre li aveva abbandonati!
Certo, ha un carattere difficile, ma in fondo Dan sa che fa tutto questo
perché gli vuole bene, è solo che ha uno strano modo di dimostrarlo. Certo
però che a volte... a volte...
Mentre pulisce le candele di una Subaru, Dan si convince che non l’aveva
toccata solo perché era sua madre, perché se solo qualcun altro avesse
provato a trattarlo così avrebbe fatto meglio a piantarsi un colpo in testa
da solo. Nessuno può permettersi di mancare di rispetto a Dan Pearson...
“Oh cazzo...!” Dan alza d’improvviso lo sguardo, una rivelazione improvvisa
nella mente. Il portafogli, quel cazzo di portafogli con tutti i documenti e
i soldi dentro, era rimasto nelle tasche del suo giubbotto di pelle! Quello
che aveva lasciato stupidamente al ragazzo!! Con tutto quello che era
successo, con tutti i casini a cui stava pensando, non ci aveva fatto caso
fino ad ora. E adesso stava davvero cominciando a credere di essere un
idiota come sua madre gli ripeteva da una vita.
“Ohi grand’uomo tutto bene?”
Quella voce riporta la mente di Dan nella sua officina. Sull’ingresso, il
suo amico Rico.
“Una bellezza...” commenta a bassa voce, quindi: “Te come butta?”
“Sai... la solita vita...” e in quel momento un urlo si sente provenire da
un punto indefinito nel raggio di una cinquantina di metri. Rico si volta di
scatto, poi sorride e torna a guardare nell’officina aggiungendo “... il
solito schifo...” ma si accorge di stare parlando al vuoto. Dan non c’è più.
Sui tetti.
Non sa perché lo sta facendo. Non è la prima volta che qualcuno viene
aggredito nel suo quartiere e non è la prima volta che ignora grida anche
più forti. Adesso però qualcosa è cambiato. Non ha nemmeno avuto bisogno di
pensarci, è scattato da solo, come se fosse un meccanismo automatico. E’
bastato quell’urlo, quella sensazione di pericolo mista ad una specie di
senso del dovere che aveva sempre soffocato, a farlo correre fuori
dall’officina e a fargli pronunciare la parola.
Aveva detto ‘Hawk’, e il mondo era diventato un turbine. Quel che aveva
provato la sera prima, le stesse sensazioni che aveva bollato come sogni
solo quella mattina, adesso tornano a vorticare nella sua mente senza
direzione. Quasi non sente i suoi artigli, ora lunghi almeno tre centimetri,
affondare nei mattoni del palazzo sul quale si sta arrampicando, né si rende
conto pienamente di atterrarvi sopra con una doppia piroetta. La ricerca del
crimine dura quei pochi attimi che gli permettono di focalizzare tre tipi
che hanno sbattuto un ragazzo contro un muro e lo minacciano con dei
coltelli. Si trovano circa una dozzina di metri sotto di lui, ma riesce a
sentire ugualmente bene i loro discorsi.
“Volevi fare il furbo, eh cazzone?!” sta imprecando il primo poggiando il
serramanico accanto all’occhio della vittima.
“Cos’è... la roba non ti bastava e hai voluto fare la cresta su quella che
dovevi vendere?!” gli sta urlando un altro dritto nell’orecchio, mentre
tiene i suoi capelli contro il muro così forte da strapparli.
“No io... io posso ripaga...”
“Tossico di merda!!!” scatta il terzo piazzando un ginocchio tra le costole
del ragazzo, che urla dal dolore e crolla a terra stringendosi l’addome con
le mani mentre le sue lacrime raggiungono il sangue e il fango sull’asfalto.
Gli altri tre però non vengono impietositi da questa visione, e facendoglisi
intorno cominciano a prenderlo a pedate gridando:
“Ecco cosa succede a chi tradisce Big One!!!”
“Lasciatelo”
La voce è calma, rilassata, ma il tono sembra richiamare alla mente una
bomba in procinto di esplodere. I tre teppisti si voltano verso il punto da
cui è arrivata la voce. C’è un uomo, parzialmente coperto dalle ombre del
vicolo, di statura imponente e dai muscoli pronunciati e risaltati da un
costume bianco e rosso. In qualunque altra occasione, al vedere un simile
vestito addosso ad un uomo, i tre ragazzi avrebbero cominciato ad esibirsi
in battute e scherzi pesanti, ma ora non riescono a spiccicare parola.
Saranno i bicipiti tremanti, sarà la sagoma di grosse vene che percorrono il
suo corpo, sarà lo sguardo minaccioso sopra occhi grandi e turbinanti di
furia cieca, ma l’unica reazione che uno di loro riesce ad avere, il più
coraggioso probabilmente, è avanzare di mezzo passo e gridargli contro con
tutta la presunzione e la sfacciataggine che riesce a racimolare:
“E tu chi sei buffone?!”
Il suo sguardo si sposta di scatto verso di lui, un uragano nelle sue
pupille. Con la stessa voce di prima, l’uomo risponde:
“Hawk”
E poi esplode.
Un artiglio affonda nell’addome del primo ragazzo, che non fa nemmeno in
tempo a capire cosa è stato ad ucciderlo prima di accasciarsi a terra. La
vista del loro compagno esanime scuote gli altri due, riportandoli
violentemente alla realtà. Il primo, spinto da uno strano e alquanto oscuro
senso dell’onore, si getta sull’assassino del suo compare, le mani unite a
formare un unico pugno. Prima che possano calare sul loro obiettivo però
vengono bloccate a mezz’aria da quella di Dan, che con un colpo secco ruota
le dita spezzando entrambi i polsi del ragazzo. Noncurante del suo grido di
dolore lo alza per aria sempre tenendolo per le braccia e lo scaraventa
contro un cassonetto della spazzatura poggiato contro il muro, contro il
quale il teppista collide brutalmente. L’altro intanto ha già cambiato
direzione e sta correndo con tutte le forze per scappare dal vicolo, ma Dan,
con velocità e precisione insospettabili per un uomo delle sue dimensioni,
afferra il coperchio di un secchio della spazzatura e lo scaglia
energicamente contro la sua nuca, la quale viene colpita in pieno. Il
ragazzo si accascia a terra, e nei dieci secondi successivi l’unico rumore
che si sente nel vicolo è il respiro pesante di Dan. L’ha fatto. L’ha fatto
davvero. Ed è stato lui, nessun altro. Allora è tutto vero quello che
ricorda della sera precedente, allora non era stato solo uno strano sogno.
In qualche modo può fare cose a cui non riesce nemmeno a credere, e non può
impedirsi in nessun modo di comportarsi così. Mentre si arrampicava sul
palazzo, mentre guardava giù in cerca del crimine a cui fare giustizia, si
rendeva conto di agire in un modo che gli era sempre stato estraneo, ma
quella consapevolezza era stata sepolta dalla miriade di sensazioni e
pensieri che si accavallavano nella sua psiche. Pensava a tutto, e non
pensava a niente. E poi... ha perso completamente il controllo. Gli è
piaciuto, anche se non ne è perfettamente conscio ad una parte non troppo
remota del suo essere è piaciuto scatenarsi così, ma la sensazione
principale che attraversa la sua mente in questo momento è paura. Una paura
cieca, priva di motivi validi e dettata unicamente dall’istinto. Cosa è
diventato? E chi... o cosa lo ha reso così? Poi, tra l’infinità di risposte
che come un lampo si presentano al suo cospetto in quel momento, una diventa
più solida, più nitida. E’ tutto cominciato quando ha deciso di riportare le
chiavi a quel ragazzo, e quel ragazzo si è trasformato esattamente come ha
fatto lui. Deve entrarci in qualche modo, deve essere colpa sua, deve...
Un fruscio alle sue spalle lo fa girare di scatto. Il ragazzo che i tre
stavano pestando, lo spacciatore che aveva tradito la fiducia del proprio
capo per spararsi una dose in vena, si sta rialzando lentamente, sempre
spostando nervosamente gli occhi dai corpi esanimi dei teppisti a Dan.
“I-Io...” tenta di dire timidamente mentre si tiene le costole con un
braccio “...volevo... volevo ringraziarti per...”
Ma non finisce la frase, dal momento che le nocche di Dan lo colpiscono
violentemente al naso, rimandandolo al tappeto sull’asfalto sudicio. E’ in
quel momento che arriva un ragazzino all’ingresso del vicolo, che, una volta
visto cosa è successo, comincia ad osservare Dan con un’espressione
terrorizzata. Come guidato da qualcun altro, lui si scopre a dirgli l’ultima
cosa che credeva avrebbe mai potuto dire:
“Chiama la polizia”
Casa Stevens.
“Allora signor supereroe non esce a fare la sua ronda quotidiana oggi?”
Jude, seduto sul letto, guarda con odio Arnie che sta giocherellando con la
sedia girevole del PC.
“Non mi hai già fatto sentire abbastanza stupido per questa storia...?”
“Sinceramente? No. Fra cinquant’anni ti additeranno ancora come quello che
combatteva il crimine in tuta di lycra fucsia...”
“Azzurra...”
“Come?”
“Era azzurra... non fucsia. Bianca e azzurra.”
Arnie guarda di nuovo il suo amico, cominciando a pensare per la prima volta
che sia davvero impazzito. Poi si volta verso lo schermo del PC ed inizia ad
aprire pagine di internet dicendo:
“Mi controllo l’email, ok? Tu vedi se riesci a tirar fuori qualche camicia
di forza dalle tue Calvin Klein...”
“Simpatico...”
“Lo stile prima di tutto, anche al manicomio... Ehy Dora mi ha risposto!”
Jude scatta verso Arnie, e in un attimo è accanto a lui.
“Che dice?”
“Leggi qua...”
Arnie apre l’email, e il messaggio compare sullo schermo:
>
>Sei fortunato che il nostro gruppo abbia crackato i terminali del PD*
qualche giorno fa, dolcezza.
>Cmq sì, in effetti risulta che ci sia stato movimento ieri notte al porto.
I primi rapporti parlano di un tentativo di rapina non riuscito e di una
sparatoria. Alcuni agenti ci >hanno rimesso le penne :\ E’ sottolineato il
fatto che i criminali fossero più dei poliziotti, e che li avessero
sopraffatti, ma qui la cosa diventa più oscura. Non si capisce >bene cosa
abbia fermato i criminali, alcuni agenti sostengono essere stati i loro
colleghi, ma tutti affermano di non entrarci niente. Uno solo ha parlato di
un paio di figure >che da sole, senza far uso di armi, hanno sconfitto tutti
i criminali armati, ma mi puzza di shock post traumatico, anche perché li
descriveva praticamente come >l’incrocio tra Bruce Lee e Green Arrow...
>Te piuttosto perché volevi sapere cosa è successo? Hai sentito i botti ieri
sera e non sei riuscito a dormire?
>
>Fammi sapere
,
>Dora
“Allora è successo!! E’ successo davvero!!!” esclama Jude all’orecchio di
Arnie, il quale si scosta per il tono della sua voce ma allo stesso tempo
non riesce a distogliere lo sguardo dall’email.
“Fly down bello... Va bene, c’è stata una sparatoria al porto ma da qui a
dire che ti sei trasformato in un supereroe e hai fatto il culo a tutti…”
“Ok... ok... hai ragione...” risponde Jude tornando con i piedi per terra
“Ma non potresti dare un’occhiata a quel forum sui supereroi? Vedi se
qualcuno ti ha risposto...”
Arnie fa finta di sbuffare, quindi apre la pagina e la scorre fino a trovare
effettivamente una risposta.
“Qua un certo Delphi ha risposto che c’erano davvero due eroi che si
facevano chiamare Hawk e Dove. A Washington, mi ricordavo bene.” gli occhi
di Arnie scorrono velocemente il messaggio di risposta, pronunciando a voce
alta le cose essenziali “Erano due ragazzi... sono stati tra i Titani per un
po’ ma poi sono scomparsi dalla circolazione... Hawk si è rifatto vedere
dopo un po’... ma - agh - il suo partner era stato sostituito da una
ragazza... - non li capirò mai questi che vanno in giro in calzamaglia e
vogliono spacciarsi per etero -. Comunque poi sono spariti nuovamente
entrambi... Ah, qui Delphi ha anche postato l’URL di alcune loro foto.” il
dito di Arnie clicca sull’indirizzo e una nuova pagina si apre davanti ai
due ragazzi, mostrando un ragazzone muscoloso in un costume bianco e rosso
ed una ragazza in un costume simile ma colorato di azzurro dove l’altro lo
era di rosso.
“Erano questi!! Erano questi i costumi!! I dettagli sono un po’ sbagliati ma
supergiù sono identici!! Quello aveva il costume rosso e io...”
“...e tu hai cominciato la cura ormonale per farti crescere le tette.”
conclude Arnie.
“No no il mio era un costume maschile, ma era davvero simile a quello lì! Lo
sapevo che... !”
Le sirene di un’autoambulanza e di qualche volante della polizia lo
bloccano. Jude, come posseduto, si volta e va alla finestra, rimanendo
immobile lì come se stesse cercando di captare qualcosa nella città.
“Ancora un meraviglioso giorno nella tranquilla cittadina di San
Francisco...” dice Arnie commentando le sirene, poi, quando si accorge che
il suo amico sta guardando da tutt’altra parte rispetto a quella da cui
proveniva il loro suono, gli si avvicina e: “Guarda che se non vuoi perderti
tutti quegli uomini in divisa mi sa che devi guardare dall’altro lato, verso
i sobborghi, anche se dubito che da casa tua riuscirai a vedere qualcosa...”
“Shhhhh!” lo zittisce Jude poggiandogli una mano sulle labbra. Arnie rimane
qualche millisecondo indeciso se protestare per quel comportamento brusco o
fare come gli sta suggerendo il suo amico, poi è la seconda opzione a
prevalere. Rimane a guardare Jude ancora davanti alla finestra, in ascolto
di qualcosa che alla fine riesce a captare, visto che si volta verso Arnie e
gli dice, con tutta la naturalezza del mondo: “Il Museo di Arte Moderna, sta
per succedere qualcosa lì.”
“Eh?! Guarda che le volanti non stavano mica andando in quella direzione!!”
“Perché ancora non è successo niente, ma manca poco...”
Arnie guarda l’espressione estremamente seria sul volto del suo amico, poi,
adesso davvero preoccupato per la sua sanità mentale, gli risponde:
“Senti forse non stai bene, è meglio che ti siedi e...”
“Non sono mai stato meglio.” lo interrompe Jude, e poi, fissandolo negli
occhi, pronuncia: “Dove”
Improvvisamente i suoi vestiti cambiano, prendendo la forma di un costume
attillato bianco e azzurro simile a quello che avevano visto nella foto in
internet, sotto al quale compaiono dei muscoli che Arnie non si ricordava di
aver notato tutte le volte che aveva visto Jude cambiarsi.
“Mi credi ora?”
“Ma che... ma che... FIGATA! Devi assolutamente dirmi come hai fatto a far
comparire tutto quel ben di Dio là sotto!!” ed indica i suoi pettorali. Jude
abbozza un sorriso, poi:
“Dopo, ora ho qualcosa da fare.” e si avvicina alla finestra,
oltrepassandola prima che Arnie abbia il tempo di dire qualcosa. Con il
cuore a tremila sia per la trasformazione a cui ha appena assistito sia per
aver visto il proprio migliore amico buttarsi da una finestra del quinto
piano, si affaccia al cornicione e guarda fuori. Jude è già una macchiolina
bianca e azzurra sul tetto di un palazzo due strade più avanti.
“Wow....” sussurra mentre lo osserva allontanarsi saltando da terrazza a
terrazza. Quindi, dopo averlo perso, rientra nella sua camera con uno
sguardo sognante negli occhi e il rumore del lavoro delle rotelle nel suo
cervello quasi percettibile nel silenzio della stanza. Tira fuori il suo
cellulare e, dopo aver trovato un nome nella rubrica, lo chiama. Il
cellulare squilla a vuoto un paio di volte, poi la voce di un uomo risponde
alla chiamata.
“Davy!” esclama Arnie sovraeccitato “Ho trovato finalmente il tema per la
serata al Metropolis sabato sera!!”
Nello stesso momento.
In un furgoncino nero poco lontano dal Museo di Arte Moderna.
“...una serata dedicata ai supereroi?! Davy... tesoro... questa è l’idea più
intelligente che sia mai passata per il tuo cervellino!” l’uomo che ha in
mano il cellulare, sui quaranta circa ma portati bene e con una fascia con
uno smile giallo sotto dei capelli lunghi mossi e ogni tanto grigi, resta in
ascolto per qualche altro secondo la risposta del suo interlocutore prima di
ribattere: “Ah, volevo ben dire, mi sembrava strano che fossi stato tu a
pensarci...” poi, dopo qualche altro secondo: “Comunque non me la voglio
perdere per niente al mondo, così finalmente ti faccio conoscere il mio
uomo.” e sorridendo ad un ragazzo di colore accanto a lui gli poggia la mano
sulla coscia. Il ragazzo ricambia il sorriso calorosamente “E mi
raccomando... sarà il grande ritorno della stella delle Killer Queen sui
palchi di San Francisco, voglio almeno quattro ballerini palestrati per me!
A presto caro!” e riattacca.
“Cos’è questa storia dei ballerini, Nick...?” chiede scherzosamente il
ragazzo di colore piazzandogli un pizzicotto sul fianco.
“Ehy ehy sta’ calmo Raul, mi servono solo per esibirmi! Una diva vuole il
meglio...”
“Voglio sperare...”
“Stupido lo sai che ormai mi sono dato alla monogamia...” e carezzandogli i
capelli gli dà un bacio sulle labbra, prima di staccarsi ed aggiungere “E
poi non ho più l’età per fare certe cose...”
“Vuoi scherzare? Te li porti benissimo i tuoi quarantaquattro ann...”
“Piccioncini quando avete finito di tubare qui ci sarebbe un lavoro da
portare a termine!” esclama la voce di una ragazza da degli altoparlanti su
una consolle ipertecnologica davanti ai due. Loro si staccano subito e
prendono posto ai comandi indossando entrambi delle cuffie provviste di
microfono.
“Scusa tesorino ma a volte il richiamo della natura è più forte...” risponde
Nick con un sorrisone.
“Pensa piuttosto al richiamo dei soldi che quel signorone di Malcom Randall
verserà sul nostro conto in Svizzera a missione finita, zio Nick.”
interviene la voce di un’altra ragazza sempre dagli altoparlanti.
“Pratiche e dai sani principi... le ho tirate su bene vero?” dice lui
rivolto al ragazzo di colore, che gli sorride e poi risponde al microfono.
“Carmen, Bonny, la vostra posizione?”
“Bello sentire che uno di voi due ha ancora un po’ di professionalità,
Raul!”
“Dovresti fare un corso approfondito a zio Nick, tu che puoi!”
“Ehm... sì Carmen, prometto che lo farò. Ma ora... siete entrate nel museo?”
“Oui, monsieur. Siamo nell’atrio.” risponde la prima ragazza.
“Oh Bonny, come sei colta!” le fa eco la voce dell’altra.
“Ho seguito un corso di giardinaggio! Ehy l’hai capita, Carmen? ‘Colta’ ...
‘giardinaggio’ ...”
“Risparmiale per i camionisti queste... vanno pazzi per le tettone
decerebrate.”
“Ragazze posso richiamarvi alla realtà?” le interrompe Raul attraverso i
microtrasmettitori.
“Oh scuuuuuuusa...” dicono le due all’unisono. Si sente uno sbuffo
attraverso gli altoparlanti impiantati nei loro orecchini, quindi arriva
loro la voce di zio Nick.
“Bhe allora che ne dite di procedere con il piano?”
“Piano?” dice la prima.
“Quale piano?” ribatte la seconda.
“Tu avevi pensato ad un piano, Bonny?”
“Io no, e tu Carmen?”
“No no... proprio no...”
“Allora cos’è che volevate fare, ragazze?”
Bonny Hoffman, top attillato bianco con un mirino disegnato dentro e jeans a
zampa con delle margherite stampate alla base su stivali da cowboy marroni,
il tutto coperto da un impermeabile di jeans i cui bordi sono rivestiti da
un folto pellicciotto castano che circonda anche il cappuccio attorno ai
lunghi capelli biondi modulati a formare due code sopra la testa, lancia
un’occhiata d’intesa alla sua compagna Carmen Leno, i capelli ricci neri
annodati dietro la nuca da uno spesso elastico rosso, in maglietta da
marinaio attillata a strisce colorate su fuseaux rossi terminanti dentro due
stivali dal tacco a spillo neri che quasi raggiungono il ginocchio, tutto
completato dall’impermeabile bianco dalle rifiniture rosse e dal lecca lecca
alla fragola che le spunta dalla bocca. Capendosi al volo, entrambe
estraggono delle grosse armi futuristiche dagli impermeabili.
“Si pensava di fare un po’ di casino, prendere quello che siamo venute a
prendere e tagliare la corda, zio Nick! Tutto in pieno stile Body Doubles!!!”
continua... - fine seconda parte -
inserti speciali:
Chi sono le Body Doubles: molte di
voi, quasi tutte credo, non avranno la minima idea di chi siano le Body
Doubles. Compaiono per la prima volta su Resurrection Man #1 (un supereroe
non molto famoso della DC che per un po’ ebbe una serie regolare, con il
potere di rinascere, ogni volta che moriva, con lo stesso corpo e con un
potere sempre diverso -!!!- e che ha rivestito una parte piuttosto
importante nel crossover DC ‘One million’) e continuano ad imperversare in
quella serie fino alla sua chiusura. Quindi si sono viste un po’ in giro,
dalla serie di Superman (compaiono nel TP #7 della Play) a Young Justice,
fino ad ottenere una miniserie propria edita dalla Play in cui hanno il
compito di catturare alcune delle più famose eroine del DC Universe (Wonder
Woman compresa). La mini è molto divertente, e ha il pregio di essere
disegnata da quel grande di Joe Phillips (www.joephillips.com). Finita la
pubblicità, passiamo alle ragazze. Bonny Hoffman è la figlia di un sicario
che desiderava un erede maschio ma che ha avuto solo lei. Per ottenere il
rispetto del padre quindi Bonny si è data al crimine, facendosi aiutare
dallo zio Nick, un tempo membro della banda criminale di Miami chiamata
Killer Queen, all’interno della quale militava come drag queen. Carmen Leno
invece era una spogliarellista che aveva imparato a combattere dagli
svariati ragazzi di sua madre, che perdeva la testa davanti ai militari. Il
suo sogno era di fare un remake porno de ‘Il mago di Oz’ (!!!), ma le
mancavano i soldi necessari, e per questo si è unita a Bonny con cui ha
formato le Body Doubles. Nel gruppo c’è anche Raul, un alieno nel corpo di
un ragazzo di colore che si è innamorato di Nick durante la miniserie delle
due ragazze e a cui ha fornito uno sproposito di armi e materiale
ipertecnologici.
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