Guilty Heart

 

parte III

 

di Jivri'l

 


Anastasius si fermò ansimante lungo la strada di campagna. Si guardò indietro per vedere se Hais lo aveva seguito, ma di lui non c’era traccia, quindi sospirò e sedette su un masso di roccia.
Non sarebbe dovuto scappare a quel modo, tuttavia nel momento in cui aveva sentito l’uomo dire quella cosa, aveva avuto paura. Ed era fuggito.
Non doveva assolutamente farlo, forse neanche si riferiva a lui.
Perché ti amo”, ripeté piano. Lo aveva detto con voce dolce, accarezzandolo lentamente sui capelli.
Nascose il viso fra le mani rendendosi conto di quanto fosse stato sciocco, Hais non avrebbe mai potuto fargli del male. Lui aveva rischiato la propria vita per aiutarlo quando era al campo ben sapendo che le SS potevano chiedergli spiegazioni sul perché si ostinasse a tenerlo nella sua personale camera, perché lo aiutasse sempre; e in fin dei conti era stato lui a portarlo via dal campo facendo in modo che non rischiasse di essere ucciso o di fare chissà quale altra fine. Lo aveva condotto in quella casa dove si era preso cura di lui.
E neanche gli aveva dato la propria fiducia. Era terribilmente in torto.
Tuttavia quello era una novità, l’essere amato da qualcuno. Solo Bjorn gli aveva detto di amarlo, e lo aveva pienamente dimostrato, ma egli non aveva potuto fare nulla per lui. Non voleva che con Hais andasse allo stesso modo. Voleva dimostrargli la propria riconoscenza e anche, beh, forse il proprio affetto.
Si alzò tremante. Ancora non se la sentiva di tornare da lui, perciò decise di camminare un po’.
Quella notte c’era luna piena, pertanto c’era abbastanza luce che gli permetteva di distinguere il paesaggio e non aver paura. Inspirò l’aria frizzante che si mescolava all’odore dell’erba fresca, mentre si levavano i suoni delle cicale.
Era proprio una notte come quella quando sua madre morì, era piccolo, dodici o tredici anni forse; lui stava guardando le stelle con suo padre nel momento in cui giunse la notizia che la madre e il fratello erano morti in un incidente di quegli aggeggi mortali che erano le macchine. Una lamiera le aveva tagliato il collo di netto. E suo fratello era morto dissanguato.
Suo padre era totalmente cambiato, non gli dedicava più attenzioni, in un primo momento si rinchiudeva in una stanza, stava al buio e non voleva avere nessuno intorno, si ricordava che una volta gli aveva chiesto qualche cosa e lo aveva schiaffeggiato dicendogli di lasciarlo in pace, poi aveva preso a tornare raramente a casa e spesso si portava dietro donne sempre diverse, forse prostitute, ma lui aveva preferito non dire nulla. Ormai erano come due estranei.
Non si poteva scordare il suo sguardo quando lo portarono via.
Disprezzo.
Non aveva neanche allungato una mano per aiutarlo. Non aveva detto nulla. Era restato a guardarlo mentre veniva portato via.
Lo odiava per questo.
Si passò una mano sulla fronte. Non doveva importargli. Non più almeno, ormai lui ce l’aveva fatta a uscire da lì e anche se gli incubi lo perseguitavano voleva davvero costruirsi un futuro. Magari accanto ad Hais, in fondo lui… cosa stava pensando?
Perché aveva pensato che lui fosse la sua famiglia? No, il dottore sicuramente aveva una propria vita, non poteva essergli di peso. Improvvisamente si trovò in un posto che conosceva. Si fermò come impietrito dal pensiero che, come un fulmine, gli passò nella mente; spinto da una forza sconosciuta ricominciò a camminare inoltrandosi in un bosco. Pochi passi e si trovò sulla sponda di un lago.
Bjorn aveva capito.
Il modo più facile per non soffrire era semplicemente chiudere gli occhi per sempre.
Entrò con un piede nell’acqua gelida. Poi vi immerse l’altro piede.
Un passo. Un altro. Un altro ancora.
Tutto sarebbe sparito presto, non avrebbe sofferto. Sapeva che Hais lo avrebbe accusato di essere stato un vigliacco, era molto più facile morire che affrontare la vita.
Sospirò sentendo le lacrime salate sulle labbra. Era facile, maledettamente facile.
Passo dopo passo, affondava, si inabissava nelle acque del lago e nell’oblio eterno.
L’acqua era arrivata fino a sfiorargli il mento.
Bisognava fare altri due o tre passi, stare fermo e finalmente si sarebbe liberato di tutto.
E quei due o tre passi li fece.

Hais non si mise neanche a letto, tanto non sarebbe riuscito a dormire. Si sedette su una sedia della cucina e provò a mandare giù una tazza di the. Avrebbe dovuto seguirlo, non avrebbe dovuto lasciarlo andare via cosi, chissà dove si trovava in quel momento.
Sospirò pesantemente appoggiando il capo sul tavolo.
Gli tornò in mente la prima volta che lo aveva visto.
Anastasius era appena arrivato al campo, era nudo con i suoi bellissimi capelli scuri che gli incorniciavano il nobile viso. I suoi occhi lo colpirono nel profondo. La sua pelle. Le sue labbra. Il suo corpo.
Lui era andato dal capo delle SS che esaminava i nuovi arrivati per portargli dei documenti e allora lo aveva visto.
Forse fin da quel attimo se n’era innamorato. Lui sapeva da sempre che gli piacevano anche gli uomini, ma quel ragazzo lo colpì cosi tanto che aveva passato parecchie notti pensandolo.
Poi lo aveva visto con la tenuta del campo, con la testa rasata, l’odiato tatuaggio e il braccialetto giallo che lo accusava di essere omosessuale.
Lui sapeva che non era cosi; dopo poco tempo lo portarono in infermeria, era ridotto molto male. Si era preso cura di lui, e aveva odiato ancora di più quelle merde dei soldati.
Già, li odiava e l’ultima cosa che avrebbe voluto era stata lavorare con loro, per loro, tuttavia era stato obbligato a farlo altrimenti lo avrebbero freddato senza tanti complimenti.
In un certo senso, però, si era reso utile per quelle povere persone.
Almeno in vita sua aveva fatto qualcosa di buono. Proveniva da una famiglia borghese, era figlio unico e viziato. I suoi genitori non si amavano come si sarebbero dovuti amare moglie e marito, ma erano amici e lo amavano. E lui aveva cercato di ricambiarli eccellendo in ogni materia e in ogni sport. Era diventato un medico. Ma era sempre stato un superbo, un borioso con la puzza sotto il naso, si considerava sempre un gradino al di sopra degli altri.
La vita del campo lo aveva completamente cambiato. A ciò aveva contribuito anche Anastasius. L’attrazione che provava per lui lo agitava la notte e gli provocava strani sussulti allo stomaco quando gli era accanto. Il dolore, però, di vederlo spesso violentato e umiliato gli rodeva il fegato, avrebbe voluto portarlo via da lì subito, ma sapeva di non poterlo fare, quindi aveva pazientato sapendo che in ogni modo presto sarebbero stati liberi.
Lo aveva portato con sé, aveva meditato la fuga da tanto tempo e ci era riuscito. Da lì lo voleva portare in un’altra parte, però anche dove si trovavano erano ormai in sicurezza. A volte pensava se non stessero cercando anche lui per sottoporlo ad un tribunale, in effetti potevano giustamente sospettare che si fosse occupato di esperimenti poco ortodossi. Lui quello non lo aveva fatto, ciononostante due volte aveva assistito alla scena. E due volte, dopo che si era ritrovato da solo, aveva vomitato anche l’anima.
Improvvisamente si alzò dalla sedia con una tale foga che la stava per far cadere, doveva trovare Anastasius! Non importava cosa ne pensasse, doveva prendersi cura di lui, farlo uscire da quello stato di depressione, dargli una speranza per il futuro, un futuro accanto a lui o a qualcun altro, ma importante era che vivesse e superasse i traumi. Era ancora giovane con tutta la vita avanti, doveva vivere!
Con passo svelto si avvicinò alla porta e quando l’aprì gli si fermò il fiato nel petto.

Anastasius bagnato come un pulcino stava per bussare e si era arrestato con una mano a mezz’aria.
I capelli resi più scuri dall’acqua gli ricadevano sulla fronte in ricci morbidi, sulle guance formavano adorabili arabeschi; i suoi occhi lo osservavano con meraviglia, erano spalancati e un po’ rossi, come se avesse pianto; la pelle perlacea era ancora più pallida, forse fredda; le labbra erano rosse come le ciliegie.
Sembrava quasi febbricitante.
Hais era come paralizzato. Non riusciva a fare nulla.
A dire tutte le parole che avrebbe voluto dirgli. Fare tutte quelle cose come abbracciarlo, rassicurarlo.
Fare o dire una qualunque cosa.
Semplicemente non riusciva a muoversi.
Neanche Anastasius era in condizioni migliori.
Dopo un po’ abbassò la mano lungo il fianco e spostò lo sguardo. Mormorò piano un “Mi dispiace”.
Hais non poté più controllarsi.
Fanculo tutti i buoni propositi, pensò.
Lo prese per un polso e lo attirò a sé. Lo serrò con le sue braccia immergendo il volto nei suoi capelli. Il ragazzo gli aveva poggiato le mani sul petto, come per fare resistenza.
“Hais, ti bagnerai…” sussurrò quasi senza voce.
“Non importa! Voglio solo che tu stia bene” rispose baciandogli la fronte, poi lo riabbracciò e fu ricambiato.
Anastasius si strinse forte a lui, chiudendo gli occhi e ricominciando a piangere.
Non c’era bisogno di parole, Hais lo fece spogliare e mettere nella vasca che aveva riempito con acqua calda.
Il ragazzo si passò il sapone sul collo, ma subito smise e guardò Hais negli occhi.
“Non mi chiedi perché ero bagnato?” domandò spostando lo sguardo in quanto non poteva sostenere quello del dottore.
“Lo posso immaginare” rispose semplicemente.
“Si, ma non mi rimproveri, non mi dici nulla, non…?”.
“Non posso decidere delle vite degli altri Anastasius, ti posso soltanto assicurare che sarei morto di dolore a mia volta se ti avessi ritrovato senza vita” lo informò con un sorriso amaro sulle labbra.
“Ma tu…” il ragazzo arrossì leggermente.
“Mi scuso per quello che ti ho detto, pensavo che stessi dormendo, non volevo spaventarti” sospirò osservandolo.
“Non volevo reagire cosi, avevo dimenticato che tu… sei cosi buono, mi dispiace, davvero…” disse con voce quasi rotta, stava nuovamente per piangere, quindi Hais ritenne più opportuno farlo uscire dalla vasca accogliendolo in un grande asciugamano. Gli diede un pigiama e lo mise sotto le coperte. Se ne volle andare, tuttavia il ragazzo gli chiese perché non dormiva con lui.
“Non penso sia il caso” rispose semplicemente.
“Non ho paura, ti prego vieni accanto a me” lo aveva supplicato e gli aveva fatto spazio nel letto. Hais sospirò pesantemente.
Come non voler abbracciarlo al petto? Aveva anche lui paura, il ricordo del crudele passato era ancora ben impresso pure nella sua mente, ma lui voleva superare quel momento e voleva che Anastasius facesse la stessa cosa.
Obbedì dunque al desiderio del giovane, si mise sotto la coperta e rimase sorpreso quando Anastasius gli si accoccolò al petto.
“Pensavo che fossi spaventato da ogni contatto con un uomo” mormorò a occhi chiusi.
“No, non più, non con te”.
Quella notte sembrava non passare, erano successe cosi tante cose, eppure ancora il sole non si decideva a sorgere.
“Hais?” chiese Anastasius con voce flebile.
“Mmh?”.
“Dormi?”.
“Evidentemente no”.
Silenzio.
Anastasius si districò dall’abbraccio e posò la testa sul cuscino vicinissimo al volto di Hais.
“Volevo farla finita, non sto scherzando. Mi ero immerso nell’acqua, era cosi fredda… ma in fondo non mi importava, era come se gli angeli mi avessero improvvisamente spalancato le porte del paradiso, potevo restare ancora lì sotto per un po’, soltanto un attimo e avrei chiuso gli occhi per sempre. Ma il paradiso non mi si addice, non ancora. E’ troppo facile morire cosi, liberarsi di tutto, non credi?- piangeva, la mano di Hais gli carezzava piano la guancia- Tutto quello che ho sopportato, che ho subito è stato orribile, ho sofferto tanto e nell’animo ne porterò le cicatrici per sempre, ma devo vivere Hais, tu mi capisci vero? Devo vivere per tutti quelli che sono morti, devo vivere per Bjorn, in fondo è ciò che voleva e non si nega mai l’ultimo desiderio ad un moribondo e infine ti giuro, ti giuro su tutto quello che ho più caro al mondo, che io troverò quei bastardi che mi hanno fatto tutte quelle cose, oh si, e li manderò a scontare il resto delle loro vite in prigione. Sarà la vendetta che mi sosterrà” affermò rabbioso, tremante, piangente.
Hais lo strinse a sé ancora più forte.
“E quando ti sarai vendicato?”.
“Sarà il mio amore per te a farmi andare avanti” rispose arrossendo. Non gli era mai capitato di arrossire cosi da tantissimo tempo, da quando una sua amichetta di giochi non lo aveva baciato sulla guancia.
Il cuore di Hais perse un colpo.
“Amare me? Vuoi sostenere che mi ami?”.
“Non lo so, ma potrò imparare a farlo, stammi vicino Hais” pareva quasi un implorazione.
L’uomo annuì piano.
La notte proprio non volgeva a termine.
Non riuscendo a dormire, decisero di uscire fuori.
Andarono nel prato vicino all’orticello che Anastasius si era messo a coltivare, si stesero fra l’erba umida, mano nella mano.
Entrambi si sentivano in pace.
“Grazie” sussurrò Hais osservando le stelle.
“Per cosa?”.
“Per questo, siamo qui ancora vivi, con una speranza nel futuro, se invece tu fossi morto a quest’ora saremmo distesi sulla sponda del fiume a guardare le stelle per sempre”.
“Lo avresti fatto davvero?” non riusciva a credere alle proprie orecchie, Hais si sarebbe ucciso se lui fosse morto?
“Si”.
“Ma non è successo”.
“Ne sono felice”.
Improvvisamente, mentre la luna stava lentamente e inesorabilmente calando, i gelsomini si schiusero emanando il loro forte profumo e lucciole apparse da chissà dove cominciarono ad innalzarsi verso il cielo creando una confusione con le stelle.
Era strano di come una notte potesse cambiare definitivamente le vite delle persone. Quella notte Hais aveva rischiato di perdere o di avere tutto. Non aveva perso tutto, tuttavia non aveva neanche ottenuto tutto. Ma il tempo a loro disposizione non mancava di certo. Finalmente Anastasius era mosso da una speranza verso il futuro, e non era la vendetta, era l’amore perché in quel momento era la sola causa che dava la vita.
“Hais…” lo chiamò piano.
“Dimmi”.
“Io vivrò con te” affermò sorridendo pigramente.
“Si, vivremo insieme”.
Quello che seguì fu un bacio tenero, affettuoso, quasi gentile, ma impregnato di amore.
L’alba gli trovò abbracciati a guardarla e regalò loro il suo primo raggio di luce.
Un raggio caldo e pieno di speranza, un raggio di vita.


 

Fine.
 
 
 
 
Ed ecco concluso questo brevissimo racconto, in realtà ci dovevano essere più capitoli, ma la sostanza rimaneva la stessa; e poi, nel racconto "originale", entrambi morivano suicidi, ma poi ho pensato "cavolo! Hanno già sofferto abbastanza poverini, facciamoli vivere sperando di riuscire un giorno ad essere felici!" e quindi li ho lasciati vivere^^
Grazie a tutti quelli che hanno avuto la superpazienza di leggere questa storia.