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TITOLO Grosso guaio all’iguana club
PARTE 4\4
AUTORE Niane
SERIE slam dunk
RATING r\s
Il battito del suo cuore accelerò la corsa, il sangue che sobbalzava
piano sotto le dita curiose che lo sfioravano appena. Stava perdendo
consistenza, dissolvendosi nei gemiti che non riusciva più a soffocare.
Le mani gli accarezzarono i fianchi, sfregando la stoffa ruvida della
polo contro la pelle morbida, facendolo rabbrividire mentre il cotone
risaliva sul suo corpo, rivelando poco a poco.La bocca umida e maliziosa
saliva piano, inseguendo le mani, baciandogli lo stomaco, proprio sopra
il bordo dei pantaloni, l’ombelico che tremò divertito, il torace, il
collo, la punta del naso, l’incavo morbido dei gomiti allungati sopra la
testa. Con un flop la maglia azzurrina cadde sul ricco tappeto finto
persiano e le “Akira” sussurrò, sentendo la propria anima condensarsi in
una nuvoletta bianca e lasciare il corpo al suo piacere.
Akira non rispose, limitandosi a ripercorrere la strada a ritroso, dai
palmi al polso, attardandosi a lambire la piccola vena che pulsava, la
pelle morbida delle braccia, su cui lasciò piccoli timbri rossi, la
spalla e la base saporita del collo.
Hiroaki chiuse gli occhi inarcandosi con forza sotto di lui, facendo
baciare i loro bacini tesi, mentre le labbra gli mordicchiavano i
muscoli sensibili della gola, rubandogli gemiti indistinti.
Quanto poteva essere lunga mezz’ora?
Dopo qualche anno Akira si decise a proseguire la scalata, raggiungendo
la bocca morbida di baci che si aprì affamata sotto la sua.
Un incontro languido, lento, frustrante che fece gemere il piccolo
playmaker di disappunto.
“Hai fretta?” ridacchiò Akira nella sua bocca sentendo le mani del
ragazzo, piccole ma forti scivolargli leggere sui glutei disegnandone le
colline tornite.
Hiroaki chiuse gli occhi con un sospiro. Fretta? Come poteva avere
fretta dopo quattro mesi passati a guardarlo di nascosto? Dopo mesi di
sogni bagnati che lo lasciavano demoralizzato per tutta la giornata?
Dopo quel breve assaggio di amore che Akira gli aveva dato poco tempo
prima e che aveva piantato nella sua mente il seme di un pensiero
irremovibile ed infestante?
Fretta?
Akira lasciò scivolare le mani verso le cosce, insinuandogli le dita tra
le gambe che si allargarono obbedienti.
“Hiro” sussurrò iniziando a sfregare il proprio sesso contro il suo,
spingendo il bacino all’indietro, verso le mani che lo stuzzicavano
dispettose.
“Akira…spogliati” supplicò imponendosi di non guardare l’orologio, non
voleva sapere quanto poco tempo avevano prima dello scadere della
mezz’ora.
Con un balzo Akira si mise a gambe divaricate sul letto sovrastando
Koshino “Ai tuoi ordini” rispose sfilandosi la maglietta in un solo
colpo.
Con lentezza si passò la lingua sulle labbra, infilando due dita sotto
il bordo dei pantaloni, accarezzandosi piano lo stomaco. Un ciuffo
ribelle si era piegato su se stesso formando un piccolo riccio sulla sua
fronte. Le dita slacciarono il primo bottone, giocandoci piano.
Hiroaki sospirò. Fretta? Lui non aveva fretta. Con una mossa decisa
copiò i movimenti del compagno, sbottonandosi i jeans e giocherellando
con la zip.
Akira deglutì mordendosi il labbro,incapace di distogliere lo sguardo
dalle mani.
Hiroaki abbassò un poco la cerniera, lasciando che le dita sfiorassero
il duro rigonfiamento sotto la stoffa spessa.
Akira sospirò abbassandosi pantaloni e boxer in un solo colpo,
saltandone fuori, facendo dondolare il letto e costringendo Hiro ad
aprire gli occhi per non soffrire di mal di mare.
“Cosa stai…” iniziò a chiedere, ma il suo capitano era già ridisceso su
di lui, occupandogli la bocca con la propria lingua.
Pelle nuda su pelle nuda, il sesso bruciante di Akira che sfiorava la
telina umida degli slip neri di Hiroaki, incendiandoli.
Senza allontanarsi dalle sue labbra, succhiando la sua saliva come un
assetato, gli sfilò gli indumenti di dosso, accarezzando la pelle
morbida delle cosce.
“Akira” gemette sentendo le punte dei loro sessi scontrarsi ed Akira
trattenne il fiato spalancando gli occhi.
“Oh si” sussurrò affondando il viso contro il suo collo, tornando a
mordicchiare il muscolo morbido.
I loro bacini tornarono a strusciarsi, cercandosi ed allontanandosi,
lanciando brividi sempre più profondi che rimestavano il sangue
facendolo bollire.
Con un gemito Hiroaki s’inarcò sotto di lui, spingendosi con forza verso
l’alto ed Akira gli morse il collo sussultando con forza, mentre il
piacere esplodeva violento.
L’orologio sul polso di Koshino scattò ancora una volta in avanti,
segnando la mezz’ora per la terza volta da quando Kia aveva telefonato.
Strade di luce sfrecciavano sul soffitto scuro, intersecandosi in
un’intraducibile mappa scomposta.
Linee gialle, le statali disegnate dal fascio che filtrava da sotto la
porta, linee rosse, piccole frammentate strade comunali imposte dal neon
dell’insegna violenta subito sotto la finestra.
Una mano gli sfiorò piano la tempia, accarezzandola con due nocche,
sfiorando i capelli corti, piumosi come la testolina di un pulcino.
C’era qualcosa di morbido e caldo che gli sosteneva la nuca.
“Ti sei svegliato?” sussurrò piano la voce roca, incerta, come se
temesse di svegliarlo per davvero.
Con un grugnito Hana cercò di alzarsi e lo stomaco si ribellò
stringendosi su se stesso con un sibilo furioso, strappandogli il fiato.
“Piano” sussurrò Junda posandogli il palmo sul torace, costringendolo a
rimanere sdraiato “Ti hanno dato un bel colpo, è possibile che ci sia
qualcosa di rotto”
“E’ stato solo un pugno” biascicò chiudendo gli occhi un istante prima
di riaprirli nuovamente. Immagini di ombre popolavano la stanza. Le
ombre scure delle grate che tinteggiavano una scacchiera rossa e nera
sul pavimento, ombre informi e terribili: alcune sedie dallo schienale
allungato come visi di mostri, ammassi deformi e lontani, forme
oblunghe, incomprensibili e minacciose. Un viso pallido subito sopra il
suo, occhi scuri e lucenti, preoccupati.
“Dove siamo?” sussurrò, la voce gli usciva roca dalla gola secca.
Un bordo freddo e bagnato gli sfiorò le labbra facendolo sussultare.
“Bevi, fa un po’ schifo, ma almeno è acqua” lo incoraggiò Junda
sollevandogli la testa.
Hana socchiuse le labbra sentendo la roba tiepidina e stranamente
saporita sfiorargli subdola le papille gustative; chiuse la bocca di
scatto, girando il viso.
Le nocche di Junda gli sfiorarono il collo, scendendo dall’orecchio alla
spalla.
“Speravo lo facessi Hanachan” sussurrò il moretto all’orecchio, il tono
basso, sensuale, insinuante, “ così ora per farti bere qualcosa dovrò
farlo io, prenderò un bel sorso di acqua e lo passerò alla tua bocca
direttamente dalla mia in un bacio salvifico”
Nel buio Hana sgranò gli occhi, affrettandosi a stringere le dita sul
suo polso e a condurre nuovamente la tazza laccata alle labbra, traendo
una lunga, orribile, sorsata d’acqua.
“Dove siamo?” richiese, sentendo che, nonostante il saporaccio, gli
aveva ammorbidito la gola.
“Credo sia un magazzino, ci sono sacchi, scatoloni e cianfrusaglie
varie” lo informò sottovoce, continuando ad accarezzargli la fronte:
aveva dite leggere e fresche, piacevoli ed Hana richiuse gli occhi
abbandonandosi con un sospiro.
Nonostante il neon rosso, dalla strada sottostante non proveniva alcun
rumore, eccetto il miagolio furioso di un gatto ubriaco.
Hana scosse il capo, “Junda, mi spieghi che cazzo è successo?” domandò
scivolando con la testa sulla sua coscia, per cercare di vederlo meglio
in faccia. Le dita si bloccarono sulla sua fronte mentre il moro
s’irrigidiva con un gemito malcelato.
Senza riflettere, senza pensare al fuoco che gli stava arrostendo lo
stomaco e il petto, Hana si tirò a sedere di scatto, ignorando il
doloroso contrarsi, come spugne strizzate, dei polmoni.
“Che hai?”
Junda scosse la testa con un sorrisetto tirato, ma la luce rossa creava
sui suoi lineamenti contratti dal dolore, una maschera grottesca ed
insanguinata “La gamba, brucia un po’” confessò.
Come al rallentatore la sua mete gli fece rivedere il braccio che si
alzava, dritto e teso, il dito che premeva il grilletto di una pistolina
grande quanto il palmo della mano dell’uomo. Un piccolo flop silenzioso
ed un fiore scarlatto si era aperto sulla coscia del ragazzo che era
caduto a terra. Poi tutto era stato buio. “Ti hanno ferito”, non una
domanda, ma una semplice constatazione.
“Di striscio, è tutto a posto, ha anche smesso di sanguinare” minimizzò
Junda.
“Riesci a muoverti?”
“Per andare dove scusa?”
Hanamichi aprì la bocca e la richiuse, sedendoglisi accanto, la schiena
appoggiata al muro umido.
Con un sospiro Junda fissò la luce lontana del neon: tingeva l’interno
di un rosso sbiadito, come se stesse fissando il mondo attraverso un
bicchiere di vino di pessima qualità.
La ragnatela del silenzio li avvolse in un bozzolo vischioso e
soffocante, anche il gatto aveva smesso di miagolare, cacciandoli soli
in quel limbo di respiri appena accennati.
“Siamo prigionieri, vero?” chiese sottovoce Hanamichi; una domanda
sciocca, ma andava bene se riusciva a spezzare quella calma assordante.
Junda annuì appena.
“Io..io non…non ho capito cosa è accaduto. Stavo aspettando Kaede per
andare all’Iguana, volevamo trovare Hojio ed avere un resoconto di
quello che ti era accaduto quando l’auto si è fermata. Li stavo
stendendo poi sei arrivato tu e…mi sono svegliato qui”
“Li stavi stendendo?”
“Ci stavo provando” grugnì Hanamichi.
Junda sorrise allungando il braccio attorno alle spalle del ragazzo e
lasciando cadere la mano a peso morto sulla sua spalla; Hanamichi
s’irrigidì appena.
“Hanachan” sussurrò, ma un cigolio sordo di chiavi che girano in una
serratura che ha visto ere migliori gli bloccò le parole in gola
“Qualsiasi cosa accada stai calmo” sibilò allontanando il braccio.
La luce si accese violenta, illuminando lo squallore polveroso del
magazzino.
“Bene bene bene” sussurrò divertito l’uomo entrando.
Aveva dei pantaloni eleganti, tagliati su misura di seta bianca in tinta
con la giacca e portava una camicia scarlatta su cui risaltava una
gravata color perla con piccole stelle nere ricamate in rilievo.
La gamba di Junda pulsò, riconoscendo l’uomo che l’aveva ferita.
“Bene bene bene, come state?” chiese cordialmente posandosi le mani sui
fianchi; la giacca si aprì rivelando la fondina di una pistola.
“Bastardo” sibilò Hanamichi scattando in piedi, sentendo la rabbia
pizzicargli le nocche strette del pugno.
“Hanamichi tesoro” mormorò l’uomo ridacchiando, sistemandosi gli
occhiali da sole con le lenti gialline sui capelli “non te la devi
prendere con me. Io quella sera ti avevo offerto conforto, ricordi, sei
tu che poi hai fatto la spia dicendo tutto allo sbirro qui.”
Junda aprì la bocca e la richiuse.
“Non è vero Rei-san?” chiese l’uomo avvicinandosi. La sua voce era
gentile e divertita, simile a quella di un perfetto padrone di casa, ma
i suoi occhi erano fermi, immobili, sottilmente crudeli.
Con un sorriso si fermò davanti a Sakuragi, il piede accanto alla coscia
ferita di Junda.
“Che cazzo vuoi vecchio” sibilò Hanamichi facendo un passo indietro.
L’uomo sollevò un sopracciglio risucchiando piano le labbra, piccoli
schiocchi umidi e violenti. “Che linguaggio colorito. E io che ero
venuto a darti una possibilità, bello. Lo sbirro schiatta, e farà
compagnia al suo collega biondo, ma tu…tu sei un ragazzino promettente”
sussurrò fissandolo negli occhi, così vicino che Hanamichi riusciva a
sentire la puzza di sigarette già digerite impestargli l’alito “così
giovane e già frequenti simili posti…”
“Ho diciotto anni” mentì istintivamente e l’uomo sorrise accarezzandogli
una guancia.
“Ne hai solo sedici Hanamichi Sakuragi” lo smascherò facendo cadere a
terra i loro portafogli; “diventa uno dei miei uomini, ci potremo
divertire assieme”.
Hanamichi strinse i pugni, le nocche bianche che risaltavano come
piccole uova sode sul suo dorso.
“Brutto bastardo” sibilò
Con un gemito Junda si alzò, appoggiandosi col gomito al muro umido per
non gravare sulla coscia lesa. “Hanachan stai buono” sussurrò, la voce
rotta dalla fatica di rimanere in piedi “E tu lascialo stare. Lui è mio,
solo io me lo spupazzo chiaro? Al massimo se vuoi” sussurrò guardando il
loro carceriere negli occhi, avanzando di un passo in modo da sfiorargli
la gamba con la propria “possiamo giocare in tre”.
L’uomo s’irrigidì mentre Junda sorrideva abbassando volgarmente lo
sguardo sulla patta dell’uomo, messa in risalto dalla stoffa morbida
“Non ho voglia di crepare, sono certo di poterti dare qualcosa
d’interessante” mormorò sensuale allungando le dita per sfiorargli il
mento.
L’uomo fece un balzo all’indietro, pallido.
“Allora, non vuoi giocare con me?”
“Io ti ammazzo, ti ammazzo chiaro?” sibilò perdendo la sua maschera di
calma. “Non so come hai fatto a sopravvivere all’esplosione, ma non ti
permetterò di andartene via vivo.”
“Vuol dire che non vuoi giocare con me?” chiese con aria davvero stupita
Junda.
L’uomo arretrò di un passo, mentre Junda gli si faceva sempre più vicino
“Avanti” sussurrò leccandosi le labbra “lo so che lo vuoi”.
Con un gesto improvviso l’uomo gli diede un calcio alla gamba ferita,
facendolo cadere malamente a terra “Brutto frocio figlio di merda, non
pensare di poter mettere le tue mani schifose su di me. Se non foste
così pervertiti e fonte di guadagno vi avrei già uccisi tutti” sibilò
sputandogli sulla mano “ma domani..domani ti faccio saltare bello mio.
Domani buttiamo le fondamenta di un centro commerciale, c’è bisogno di
qualcuno che funga da colonna” sussurrò ridacchiando, prima di lasciare
la stanza.
Con un gemito Junda si rotolò supino, le mani strette attorno alla gamba
che pulsava: la ferita si era riaperta e il sangue stava già iniziando
ad incollarsi alla stoffa.
“Che genio che sei” sibilò Hanamichi allontanandosi verso la porta, il
pulsante si abbassò e la luce si riaccese con un clong lugubre “fa
vedere” sussurrò raccogliendo un grosso rasoio a scatto da terra ed
inginocchiandoglisi accanto.
“Volevo evitare che facessi qualche scemenza ed ero davvero convinto che
fosse gay..se si fosse fatto abbordare avremmo potuto prendergli la
pistola e usarlo come scudo per uscire da qui” sospirò guardando con
apprensione la lama arrugginita lacerare a fatica i pantaloni.
“Gli davo una bella testata….”
“E ti trovavi con un buco in pancia. Ti ho detto di stare calmo, Kia ci
tirerà fuori.”
”Quanta fiducia in uno che non sa nemmeno che cosa ci è capitato.”
“Lo sa. Kaede ha visto tutto”
La mano di Hana tremò ed il ragazzo preferì appoggiare il rasoio e
continuare a strappare la stoffa con le mani, più sicuro e, soprattutto,
più rilassante. C’era un ché di catartico nel vedere lo strappo
crescere, i fili separarsi sotto le sue mani forti.
“Quando tu sei svenuto lui stava arrivando…gli ho urlato di cercare Kia,
per un attimo ho avuto il terrore che mi avrebbe ignorato, ma poi mi ha
ascoltato ed è riuscito a nascondersi senza che lo vedessero.”
Le mani di Hanamichi tremavano con violenza e Junda gli posò la propria
sul dorso sinistro “ Ti dico che non l’hanno visto. Lui è al sicuro e
grazie a lui Kia ci tirerà fuori di qui”sussurrò.
Hanamichi annuì afferrando tra i denti la manica della camicia sporca e
tirandola malamente nel tentativo di strapparla.”Come cazzo fanno quegli
imbecilli dei film?” brontolò prima di arrendersi. Con un sospiro si
tolse la camicia e tagliuzzò la manica.
Junda osservava il magazzino con aria sperduta, gli occhi socchiusi.
Delicatamente Hana bagnò un lembo di stoffa con l’acqua della tazza e,
attento a non sfiorare la sottile crosticina di sangue, ripulì
leggermente la gamba, passando il panno umido sulla sua coscia, con
movimenti leggeri e brevi.
Junda abbassò gli occhi: i capelli rossi di Hanamichi gli solleticavano
il mento e le dita fresche del ragazzo gli accarezzavano incerte e
tremanti la gamba.
La stanza era silenziosa. Li avevano abbandonati lì a morire, non c’era
nessuno di guardia, nessuno li poteva sentire.
Erano soli. Completamente.
Il suo sguardo scivolò sulla piega morbida e dorata delle spalle nude,
attardandosi sulla linea dolce dei pettorali scolpiti. Il pollice di
Hana gli sfiorò l’interno coscia, facendogli rabbrividire la leggera
peluria della gamba.
“Kami sama che sfiga” ridacchiò Junda gettando la testa contro il muro.
Con una mano appoggiata alla sua coscia Hanamichi alzò gli occhi “Che ti
piglia, ora mi impazzisci anche?”
Junda si passò la lingua sulle labbra: erano secche e la pelle
minacciava di rompersi in alcuni punti al centro del labbro.
“Stavo solo pensando che sono sfigato Hanachan” sussurrò posandogli la
mano su quella che il ragazzo teneva ancora sulla sua coscia “Siamo qui
soli. Tu ed io. Non c’è nessuno che ci ascolta. Nessuno che ci può
disturbare. Tu sei seminudo inginocchiato al mio fianco e mi stai pure
accarezzando la gamba…”
Hanamichi arrossì ritirando velocemente la mano e Junda sorrise
incrociando il suo sguardo “e l’unica cosa che io riesco a pensare è che
vorrei che tu fossi un altro” sussurrò accarezzandogli una guancia, con
un fare così malizioso che per un minuto buono Hanamichi credette di
aver capito male.
“Un altro chi?” chiese infine, passando una striscia di stoffa attorno
alla gamba, sperando di prendere bene le misure e fasciare il buco
lasciato dal proiettile: c’era sangue incrostato ovunque, ma non aveva
avuto il coraggio di sfregarlo via per paura di togliere l’unica
protezione alla ferita.
“Uno qualsiasi” sbottò Junda “non sono così pedofilo da farmi te”
“Ah no? Però Kaede te lo sei fatto vero?” chiese gentilmente, stringendo
la fasciatura con tanta forza da far gemere il moretto.
“Ahia e che c’entra Kacchan adesso” sibilò.
“Kacchan” sibilò stringendo ancora un po’ la benda “Ha solo pochi mesi
più di me”
“Ahia, va bene, basta, così me la tagli direttamente” si lamentò
allentando la stretta “se vuoi che venga a letto anche con te basta solo
dirlo tesoro, lo sai no?”
Hanamichi si allontanò di colpo, cadendo seduto, il viso rosso per
l’imbarazzo che, sotto quella luce violentemente innaturale, aveva
assunto una sfumatura quasi fluorescente “Non…non…non…”
Junda ridacchiò appoggiandosi di nuovo al muro.
“Ma perché faccio certi discorsi con te che poi che te li rigiri sempre
come ti pare”
“Hana” sussurrò dolcemente “Sai ho cambiato idea, non aspettiamo che ci
vengano a prendere: ora ce ne usciamo noi”
“Come?”
“Basta che mi recuperi un po’ di farina da quei sacchi ed un altro paio
di ingredienti”
“Vuoi fare una torta?”
Junda sorrise: “Mh una torta col botto direi” sussurrò strizzandogli un
occhio.
Con uno sbuffo Hanamichi si portò il braccio al viso, cercando di
allontanare i resti di farina e limatura che gli sporcavano il viso,
riuscendo però solo ad incrostarli per bene.
“Ma sei sicuro che questa cosa funzioni?” chiese perplesso osservando
l’intricato sistema di carrucole che Junda gli aveva fatto creare:
davanti a loro si stendeva una stoffetta sottile, imbevuta con gli
avanzi di una bottiglia semivuota di whisky. La stoffa si allungava fino
alla parete del magazzino, proprio sotto la finestrella, dove era stato
piazzato uno scatolone spezzettato e avanzi di carta e una quantità di
strani prodotti, tracci farina e la calce grattata dal muro.
“Ovvio. E farà un bel botto, per cui dobbiamo starcene nascosti e,
soprattutto essere pronti a scappare non appena le fiamme si saranno
calmate, non mi va che vengano a tirarci fuori rovinando il mio
genialissimo piano.”
“Junda…come ci passiamo attraverso il fuoco? Tu zoppichi.”
Junda si morse il labbro, quello era l’unico neo del suo piano. “Per il
fuoco basterà versarci un po’ di aranciata sui vestiti e non respirare,
non dovremmo bruciarci. Per me…Hana corri più che puoi, appena fuori io
mi nasconderò.”
Hanamichi lo fissò torvo, gli occhi nocciola seri come Junda non li
aveva mai visti “No. Non mi va è troppo pericoloso. Non posso lasciarti
fuori.”
“Hanachan” mormorò Junda sedendoglisi a fatica accanto, la gamba tenuta
ferma e dritta da un pezzo di cassetta, la marca verde della lattuga
ancora ben visibile “Non correrò dei rischi. Kia è già qua fuori,
uscendo renderemo loro più facile il prelievo”
“Com’è che ne sei tanto sicuro?”
Junda sorrise guardando il soffitto “Lo so e basta. E poi nessuno può
resistere al mio fascino”
“A me pareva che lui ci riuscisse bene..Jundaro”.
Improvvisamente il viso del moretto fu sul suo, le labbra separate da un
minuscolo frammento d’aria
“Sei sicuro di quello che dici Hana?” sussurrò, il fiato che gli
solleticava le labbra “Proprio sicuro?” chiese, sfiorandogli con le
nocche il collo. Hanamichi deglutì, cercando di farsi inglobare dal muro
“Junda…” supplicò.
Gli occhi scuri del ragazzo s’incatenarono ai suoi mentre lui inalava i
respiri leggermente affrettati di Hanamichi. L’indice gli sfiorò piano
le labbra, fino a costringerle a schiudersi appena sotto il suo tocco
“Dammi l’accendino Hanachan” mormorò. Hanamichi chiuse gli occhi con un
sospiro porgendogli il piccolo accendino nero.
“Merda! Ma spiegami perché non posso andare anche io” sibilò sbattendo
le mani sul tavolo facendo sobbalzare impaurite le matite spuntate che
scapparono per tutta la scrivania.
“Hai una faccia troppo nota. Ricordi sei tu che hai detto che hanno
sentito quel Rei chiamarti ispettore, se non ti hanno già fatto la festa
è solo perché forse sono convinti che tu viva con lui.”
“Io” sibilò, incapace di distogliere lo sguardo dalla schiena esile del
suo superiore. Sembrava così piccolo in confronto a lui, più basso di
una buona manciata di centimetri, molto più esile eppure letale. Avevano
chiamato i corpi migliori per l’operazione di recupero, gente molto più
preparata di lui, che dopo anni passati a lavorare nella sezione
antidroga aveva perso la fluidità dei movimenti tipica dei corpi
speciali, eppure non si sentiva sicuro. Voleva esserci. Voleva andare là
fuori e recuperarli con le sue mani, non dover essere costretto
all’interno di quel camion nero ad interpretare e azioni dai grafici dei
monitor.
“Strega. Gatto uno in posizione”
“Gatto uno. Strega. Avvicinamento”
“Keichi!” gridò Kia.
“Ho detto di no”
Il cielo si tinse di rosso e giallo, mentre il tuono dell’esplosione
assordava l’aria.
“Junda!” sibilò Hanamichi trattenendo il fiato, l’aria calda che lo
avvolgeva costringendolo ad inginocchiarsi.
“Devo aver sbagliato qualcosa” ridacchiò Junda proteggendosi la testa
con le mani “O forse quegli imbecilli non si sono accorti della prima
esplosione e il fuoco ha bruciato qualcosa che non doveva. Andiamo via”
ordinò, procedendo alla cieca nel giardino.
Quella era una cosa a cui non aveva pensato: erano riusciti a far
crollare il piccolo muro del magazzino e a scappare prima che le guardie
arrivassero, ma non erano riusciti a fare molta strada.
Quel luogo era immenso. Ovunque si girassero vedevano solo erba e alcuni
sporadici alberi rinsecchiti che non offrivano alcuna copertura. Erano
prede fin troppo facili.
“E dove vorresti andare?” sibilò la voce alle loro spalle “dove,
fottutissimo sbirro dinamitardo?”
Un clic leggero e metallico li convinse ad alzare le braccia,
lentamente, ben in alto sopra la testa.
“Scusa, ma sai forse è ora che ti spieghi che io non sono un poliziotto,
sono solo un barista” confessò Junda girandosi lentamente verso il loro
aguzzino.
“Ma davvero? Allora vorrà dire che ti avrò fatto saltare casa e cervella
per sbaglio fottutissimo barista dinamitardo”
“Ehmm se è per la casa mi dispiace, in tv certe cose non capitano mai,
ma se vuoi posso pagarti i danni…”
“Certo che pagherete i danni, in natura: con il vostro lurido sangue”
sibilò sollevando il braccio, la piccola pistola argentata riluceva
scarlatta dalle fiamme che si alzavano alle loro spalle.
“Hana” sussurrò Junda “corri più veloce che puoi.” Hanamichi sgranò gli
occhi, incapace di muoversi mentre Junda gli si parava davanti a
proteggerlo.
Gli spari fendettero l’aria, rumorosi come Mig troppo bassi, facendoli
cadere a terra entrambi.
“Junda!” gridò Hanamichi sentendo il sangue dell’amico scaldargli la
gola. Vide l’assassino davanti a loro spalancare gli occhi mentre l’aria
attorno a loro si riempiva di sibili ovattati.
Improvvisamente le stelle si spensero, il fuoco sbiadì fino a diventare
un invitante puntino luminoso, poco più della fiammella tremula di un
fiammifero, poi qualcuno soffiò anche su quella e tutto fu nero.
Baci.
Baci leggerei, asciutti, semplici carezze a fior di labbra. Sulle
guance. Sul mento, sulle palpebre abbassate. La carezza tenue di un
respiro trattenuto. Lo sfregamento casuale del naso che gli danza sulla
pelle, inseguendo la bocca.
Un bacio leggero sulle labbra chiuse.
Una mano tra i capelli.
Di nuovo un bacio sulle palpebre.
Era bello. Sapeva di amore. Sapeva di dolcezza.
E la pelle sulla sua aveva un profumo buono, vivo in mezzo all’odore
pungente di disinfettante.
“Ciao” sussurrò senza aprire gli occhi.
Le labbra si fermarono ed il letto accanto a lui si abbassò un po’, la
mano non l’aveva abbandonato e lo accarezzava piano, la guancia, il
collo. Non era mai stato così dolce.
Lentamente aprì gli occhi, il neon sul soffitto lo abbagliò con la sua
lucetta implacabile.
“Ciao”, rispose Kaede sottovoce, poco più di un sussurro. La sua mano
continuava ad accarezzargli il viso, spostandosi lungo lo zigomo, lenta,
riverente, timorosa.
Con un sospiro Hanamichi girò la faccia, premendo le labbra contro quel
palmo morbido e candido e Kaede chiuse gli occhi con forza, mordendosi
il labbro inferiore “Hana” mormorò tra i denti, piegandosi sul rosso,
incuneando il viso contro la sua spalla, attento a non pesargli addosso.
“E dai volpaccia, che ti piglia?” mormorò inspirando il familiare
profumo dei suoi capelli, facendo scivolare le braccia sulla sua
schiena, le dita che l’accarezzavano piano da sopra la stoffa della
camicia.
“Do’aho” ribatté piano contro il suo orecchio, artigliandogli le spalle,
tremando di sollievo in quell’abbraccio, “credevo che non ti avrei più
rivisto”
“Pfff dovresti avere più fiducia nel tensai sai? Io non ho avuto dubbi,
quando Junda mi ha detto che ti aveva visto, ho saputo che, in qualche
modo, mi avresti tirato fuori di lì”
“Non sono stato io” confessò, la voce sempre più bassa, tremava in
sintonia con il suo corpo.
“Ci mancava solo che tu venissi a prendermi personalmente, se ti fossi
cacciato in un simile pericolo per me, non te l’avrei mai perdonato” lo
rassicurò leccandogli leggermente il palmo.
“Hana!” sibilò al suo orecchio il moretto, un rimprovero divertito,
consenziente.
“Stare tutto quel tempo con Junda mi ha fatto male”
si scusò, mordicchiandogli la pelle che aveva appena lambito.
Tra e sue braccia Kaede s’irrigidì appena, con un sospiro triste. “Hana,
non voglio sapere nulla di quello che c’è stato tra voi, ma sappi che
qualsiasi cosa ci sia stata io…posso comprendere. Immagino che non debba
essere facile rimanere calmi in quelle situazioni….e so anche che se non
foste stati prigionieri non sarebbe mai accaduto”
“Che stai dicendo?” chiese perplesso girando il viso verso di lui. Era
così vicino, separato dalle sue labbra da un semplice velo di aria. Era
sempre stato tanto bello? Con quegli occhi caldi e limpidi, il viso
perfetto?
Kaede chiuse gli occhi e sospirò: “Hana…tu e Junda….insomma, suppongo
che quando la morte sia l’unica prospettiva che ti resta sia facile
perdere il controllo e cercare un modo per dimenticare e Junda non ha
mai fatto mistero di essere attratto da te e io so che sa
essere…persuasivo.”
Hana lo strinse con più forza sfiorandogli le labbra “Non c’è stato
nulla tra noi, te l’ho detto: io sapevo che avresti fatto di tutto per
tirarmi fuori di lì” sussurrò baciandolo di nuovo leggermente.
Uno sfiorarsi appena accennato, impalpabile. Le mani di Hana salirono
lungo la schiena del moretto, infilandosi tra i capelli soffici,
sfiorandogli la testa con carezze leggere dei polpastrelli. Kaede
sospirò vinto, socchiudendo le labbra e lasciandolo entrare nella sua
bocca, a giocare piano, le lingue timide come non erano mai state
nemmeno la prima volta.
“Ehm, ragazzi” sussurrò una voce leggermente divertita
“Ma taci ebete, che sennò si staccano” ribattè altrettanto piano Junda.
Lentamente Kaede si allontanò dal viso di Hana, soffermandosi a
guardarlo un istante negli occhi prima di girarsi verso i due
rompiscatole.
Junda era semisdraiato sul letto, la schiena appoggiata contro tre
grossi cuscini, la gamba sinistra leggermente sollevata da un intricato
sistema di bende e carrucole.
Un piccolo tubicino gli usciva dall’incavo del gomito, salendo verso un
sacchettino morbido di plasma. Seduto sul letto accanto a lui, i
pantaloni scuri che sparivano negli anfibi, il gilé antiproiettile che
copriva una maglietta grigio stinto con una sola manica e il braccio
sinistro appeso al collo, sedeva un bel giovane dai capelli castano
scuro.
Hanamichi strizzò gli occhi: l’aveva già visto.
“Non saluti anche me con un bacio Kacchan?” pigolò strizzando un occhio
al moretto che scosse la testa in silenzio “Mi merito un premio anche io
no tesoruccio?”
Hanamichi trattenne il respiro, passando la mano attorno alla vita del
proprio ragazzo “Keichi” sussurrò tra i denti.
L’uomo annuì vigorosamente “In carne ossa ed ingessatura.” Declamò
inchinandosi scherzosamente.
“Cosa ci fai qui?” chiese Hana, senza togliere la mano dalla vita di
Kaede, la sua volpe gli aveva spiegato che tra loro non c’era mai stato
nulla e che il poliziotto era felicemente sposato con il suo compagno,
ma non riusciva a dimenticare che, la prima volta che aveva messo piede
all’Iguana, quel pulcino era appiccicato a Kaede.
“Oh bhè….voi due vi siete fatti imprigionare come due fessi, qualcuno
doveva tirarvi fuori no? Non ho potuto partecipare all’assalto” e la sua
voce risuonò imbronciata, come quella di un bambino che non abbia potuto
partecipare ad una festa a cui teneva, “però ho coordinato l’operazione
da fuori. Abbiamo dovuto prendere il meglio dei corpi speciali per
tirarvi fuori da lì….la prossima volta che vi sequestrano, per favore,
rimante fermi e lasciate fare a noi….”
””Ma stai scherzando? Sono il figlio illegittimo di MacGyver!” sbottò
falsamente offeso Junda.
“Sì ed hai fatto esplodere tutta la casa, a momenti ci restavamo secchi
tutti”
Junda lo guardò un istante negli occhi prima di abbassare la testa,
c’era una domanda che gli pungeva le labbra, ma non aveva la forza di
farla.
“Comunque, anche se ho partecipato all’azione sono sempre un povero
invalido” sorrise alzando il braccio fasciato “E mentre la feccia si
occupava di redigere i rapporti, io sono venuto a vedere come state. I
dottori dicono che ve ne potrete andare già stasera…solo che…Hana hai
una costola lussata…credo che prima di poter continuare quello che
stavate facendo dovrete aspettare che guarisca” lo provocò sorridendo
nel vedere il viso del ragazzo tingersi di rosso.
Kaede sollevò il viso verso il soffitto, scuotendo piano la testa,
tornando ad accarezzare con le nocche la guancia di Hana.
Il rosso chiuse gli occhi sospirando, poi li riaprì posando un bacio
leggero su quella mano errabonda.
Keichi si alzò con un sorriso “Ragazzi vi lascio, domani un’auto vi
passerà a prendere per accompagnarvi in commissariato, ci sono alcune
cose da sistemare ed un paio di persone che vi vogliono salut….”
La porta si aprì con un tonfo violento, sbattendo tre volte contro il
muro.
Con soli tre passi, senza che nessuno potesse reagire, Kia raggiunse il
letto di Junda, piantando con violenza le mani sul materasso, che
sobbalzò, imprigionandolo tra le sue braccia.
Junda accennò un sorriso forzato: sentiva il calore del corpo di Kia
superare i pochi centimetri che li dividevano e scaldarlo, ma gli occhi
neri del poliziotto ardevano cattivi e minacciosi.
“Ciao Kia” sussurrò deglutendo e i pozzi di petrolio ardente si
socchiusero diventando sottili e pericolosi come le pupille di un gatto.
“Ciao Kia un cazzo” sibilò afferrandogli una spalla e spingendola con
forza contro i cuscini, immobilizzandolo, calando sulla sua bocca come
un falco su un cucciolo indifeso.
Junda chiuse gli occhi mugolando di piacere: le labbra succhiavano piano
le sue, dolcemente, mentre le loro lingue si incontrarono intrecciandosi
in un bacio sempre più profondo.
Con un gemito sollevò le braccia improvvisamente pesantissime, riuscendo
a gettarle sulla schiena muscolosa di Kia, premendolo piano verso di sé,
supplicando un contatto maggiore.
Con un sospiro Kia si allontanò un poco “Quando io dico che tu devi
rimanere in casa, vuol dire che devi rimanerci!” sibilò.
Keichi sorrise scuotendo la testa divertito “Questa poi” mormorò
ridacchiando “Hojio non mi maltrattare i malati” lo rimproverò
trattenendo un sorriso nel vedere la schiena del suo sottoposto
irrigidirsi improvvisamente.
“Signore” lo salutò Kia scendendo dal letto, “Non l’avevo vista”
“E me ne sono accorto…”
“L’orario di visite è finito” grugnì una colossale infermiera
scrutandoli in cagnesco. Gli occhi piccoli e scuri erano leggermente
rincagnati nel viso, dandole l’aspetto assassino di un pitbull.
“Oh, ci scusi, stavamo solo attendendo che i due piccioncini si
salutassero….”
”L’orario di visite è finito” ripeté tuonando, sposandosi dalla porta
per lasciarli passare.
“Sissignora!” esclamò Keichi sbattendo i tacchi “Uomini l’avete sentita?
Uno due fuori! Vi rivedrete domani”
Senza una parola Kia superò il suo capitano e la pitbull, sparendo nel
corridoio.
Keichi sollevò un sopracciglio girandosi a fissare Junda che, immobile
nel letto, si accarezzava le labbra con un dito “Non so chi sia il più
sfigato tra voi due” mormorò afferrando Kaede per un braccio e
trascinandolo fuori.
Con un sospiro stanco Junda guardò il dito di Keichi premere il piccolo
bottone di spegnimento del registratore: con la sua deposizione era
finita.
La porta alle sue spalle si riaprì riversando all’interno, in un
silenzio quasi innaturale, un uomo gigantesco. Alto quando Junda stesso,
era però largo il doppio: una pancetta tonda da bevitore si allargava
sopra la cintura di pelle dei pantaloni, tendendo la stoffa bianca della
camicia.
I capelli ancora neri e leggermente arricciati, gli adornavano la testa
come un nido.
“Abbiamo finito commissario” salutò Keichi alzandosi, ma l’uomo lo
bloccò con un cenno della mano, preferendo avvicinarsi alla sedia su cui
sedeva Koshino, appoggiando la mano immensa sulla spalla del nipote.
“Mi dispiace” si scusò, la voce gentile e gioviale che contrastava un
poco col suo aspetto da Barbablù, “Come alcuni dei miei collaboratori” e
i suoi occhi castani si posarono per un attimo sulla figura silenziosa
di Kia, appoggiato al muro dietro Keichi, le braccia incrociate sul
petto, “mi hanno fatto notare più volte, non avremmo mai dovuto
invischiarvi in questa faccenda. Vi abbiamo fatto correre dei rischi
troppo grandi. Provare emozioni che forse avreste preferito non scoprire
mai. E io non posso dirvi altro che: mi dispiace. L’uomo che vi ha
rapito, Somaro Toshi,
è morto nell’assalto. Grazie all’esplosione ehm…fortuita della villa,
siamo riusciti a insabbiare i media e a farlo passare come un incidente;
il che significa che per voi è finita. Nessuno vi farà domande, vi
torturerà o” per un istante sfiorò il viso basso di Junda “Vi farà del
male. Non possiamo darvi una medaglia o un pubblico encomio e dovrete
perciò accontentarvi dei premi di consolazione”
Hanamichi sorrise apertamente: preferiva di gran lunga il premio di
consolazione: una vacanza di 10 giorni a Tokyo con Kaede….Koshino e
Sendo.
“Tutto quello che io vi posso dire è: grazie e….se dovessi avere
un’altra volta un’idea così folle imbavagliatemi.”
Koshino sorrise stringendo la mano dello zio “Contaci”
Keichi si alzò stiracchiandosi “Bene ragazzi, abbiamo finito, non vi
romperemo più le scatole. Domande?”
“Sì” disse Akira prima ancora di rendersi conto di aver parlato “Le
tessere dell’Iguana possiamo tenerle?”
Koshino arrossì violentemente dandogli una gomitata nei fianchi.
“Siete minorenni” protestò il commissario.
“Hanno visto di peggio di un locale hard capo” pigolò Keichi sbattendo
languidamente le palpebre.
“Se tua madre lo scopre mi squama”
“Hai ragione…vorrò dire che se entra in camera mia e ci sorprende in
atteggiamenti intimi dirò che chieda spiegazioni a te, che ne dici zio?”
Il pomo d’Adamo dell’uomo dondolò leggero nella gola, ballando al ritmo
del suo sospiro “Potete tenerle” si arrese lasciando la stanza con
borbottii indistinti riguardanti ammutinamenti e rivolte.
“Bel colpo Koshino” si complimentò Junda strizzandogli un occhio.
“Hojo, vai da Sasari e chiedile di accompagnare a casa questi quattro.
Poi torna, vorrei che portassi a casa Rei”
Kia si fermò con la mano sulla porta “Io?” chiese.
“ Sì, tu”
Kia lasciò correre lo sguardo sull’appartamento che era grande il doppio
del suo: aveva un salotto enorme, in cui faceva bella mostra di sé un
infinito divano ad angolo color panna, dai cuscino morbidi e spumosi. Un
muretto basso, sormontato da un arco, divideva il soggiorno dalla
cucina, spaziosa e tecnologica. Zoppicando avanti a lui Junda lo
condusse lungo un breve corridoio spazioso “Bagno” spiegò aprendo la
(porta) e rivelando una stanza da bagno piccola, con solo la doccia,
rivestita da piastrelle color champagne, “Ribagno” disse aprendo la
seconda e mostrando questa volta una stanza spaziosissima con una vasca
immensa. In silenzio saltellò più avanti, ignorando la porta più vicina
per aprire l’ultima “Cameretta” esordì con un sorriso gigantesco.
Kia inarcò un sopracciglio perplesso. “Cameretta?” ripeté facendogli il
verso.
La stanza era grande come il soggiorno, dominata da un larghissimo letto
all’occidentale di legno chiaro. Un comò lungo e basso occupava il muro
accanto alla porta, mentre una poltrona era stata posta sotto la
finestra coperta da leggerissime tendine azzurrate.
Un alto armadio dalle imposte di specchio occupava tutta la parete est,
rendendola ancora più grande.
“Sembra una di quelle dell’Iguana”
“Oh bhè, da qualche parte uno dovrà pur prendere l’ispirazione”
“E tutto questo al posto dell’appartamento di prima? Secondo me deve
costare un capitale”
“Bhè, ecco, in effetti. Per questo te l'ho mostrata....ho dato fondo ai
miei risparmi per prenderla e ho bisogno di un coinquilino" disse con
calma, un sorriso appena accennato sul viso e il cuore che batteva così
forte che di sicuro lo poteva sentire anche Kia."Se non mi sbaglio
dicevi che tra un po' ti sbattono fuori vero? Se vuoi puoi venire a
stare qui” buttò giù tutto in un colpo, incapace di capire se l’aveva
davvero detto o no.
“Qui?” ripeté Kia in un soffio.
“Sì, tanto spazio ce n’è, guarda” disse aprendo la porta che aveva
evitato: una stanza ampia, con un’unica grande vetrata."Questa può
essere la tua camera, devi solo recuperare i mobili oppure...se
preferisci"deglutì: un macigno gli stava occludendo la gola, " possiamo
tirar su un muro di cartongesso e dividerla in due: io mi tengo la parte
con la finestra e tu trasformi l'altra in una camera oscura."
"E io dove dormo?"
"Di_Là_con_me" sussurrò piano.
Kia si girò a fissarlo, sollevando un sopracciglio "Cos'è? Un tentativo
di corruzione perché non indaghi? Guarda che, date le circostanze, tutto
ciò che è accaduto tra te ed Hana può essere scusato" spiegò. Aveva un
tono duro, elaboratamente freddo.
Junda spalancò gli occhi esasperato" Ancora? Ma cosa vi siete messi in
testa tutti? Tra noi non c'è stato proprio nulla"
Kia alzò gli occhi, che, senza rendersene conto aveva abbassato verso il
pavimento ed incrociò quelli di Junda, sinceri ed un po' irritati. Aprì
le labbra e le richiuse in un sorriso dolce. "Quando posso trasferirmi?"
chiese con non chalance .
Junda abbassò il viso, le dita che giocherellavano nervose con
l'orecchino "Qui" chiese arrossendo "O di là?"
In silenzio Kia si appoggiò allo stipite della porta "Di là, ovvio. Non
posso perdermi l'occasione di avere una camera oscurata tutta per me e
non dovermi più arrabattare nel bagno. E poi" aggiunse abbassando la
voce, con un tono malizioso "finché ci sono io nel tuo letto sono sicuro
che non ti metterai a rimorchiare ragazzini"
Junda scosse la testa divertito "Hai un'idea strana di me ispettore, io
sono un'ottima persona ed un esempio vivente di onestà. Così onesto che
prima di farti firmare il contratto ti faccio provare il letto" mormorò
lentamente arretrando nella camera da letto, la voce bassa leggermente
roca, che attraversò il sangue del poliziotto come un brivido serpentino
"Non ho bisogno di provarlo, lo so già che è comodo" biascicò a fatica,
la saliva ridotta ad un semplice ricordo.
Poi lo seguì.
!
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