PARTE: 5/9
RATING: NC-17
PAIRING: GregoryxRaphael
DISCLAIMERS: I personaggi sono miei e mi obbediscono
(quasi) sempre!!!
Gregory
di
Fiorediloto
CAPITOLO V: "Malato nel corpo, malato nell'anima"
Serven. Mezzo inverno. Fu verso Natale che Iolan si ammalò. La Notte Santa era passata da pochi giorni e già ci si preparava alla nuova celebrazione che attendeva il monastero, l’ordinazione di Valerj, quando Iolan cominciò a manifestare i primi segni di un male ancora indefinito. Dapprima soltanto Gregory ne ebbe il sospetto. Si destò una notte per averlo sentito tossire a lungo, fino agli spasmi, e sul colpo più violento, temendo che si potesse strozzare, balzò giù dal letto e si affrettò a metterlo seduto. – Tutto bene? – mormorò, spiandolo con aria preoccupata. Iolan sorrise, affaticato, e annuì. Poi, dopo averlo rassicurato che gli era soltanto andata di traverso un po’ di saliva, si rimisero a dormire. Ma nei giorni seguenti i sintomi perdurarono e, parve a Gregory, andarono a peggiorare. Iolan cercava di nascondere la sua malattia, portava una sciarpa di lana
al collo e, quando un attacco di tosse lo coglieva, se la tirava sul naso e curvava le spalle, la mano premuta sul viso, per soffocare il rumore dei colpi. Era sempre più pallido in viso, le forze iniziavano a mancargli e faceva fatica ad alzarsi dal letto. Nella notte, Gregory lo vedeva rannicchiarsi sotto le coperte con la testa sotto il cuscino e la sciarpa, che portava anche lì, premuta sulla bocca quasi fino a soffocarsi. La sera in cui Valerj prese i voti, Gregory aveva tentato di dissuaderlo in tutti i modi dal proposito di andare. – Tu stai male, Iolan, e fuori piove così tanto da inzupparti fin dentro le ossa! Resta qui, ti terrò compagnia io. Iolan aveva scosso la testa. – L’ho promesso a Valerj, io devo essere presente – aveva mormorato, con voce rauca. – Mi coprirò bene. Non posso mancare, il mio fratello se ne risentirebbe troppo… – E giù a tossire, ancora una
volta. Ma almeno non era una tosse sanguigna. Gregory controllava tutti i suoi fazzoletti, lo osservava bene quando aveva le sue crisi, e non una goccia rossa sprizzava dalle sue labbra: questo lo faceva sentir meglio. Non se ne intendeva di medicina, ma sapeva che l’assenza di sangue escludeva il sospetto della tisi, la sua prima e più orribile paura. Iolan era l’unico di Serven che accettasse di prestar soccorso ai tisici di Widefield, quei pochi che vivevano relegati lontano, nella boscaglia, temuti peggio dei lebbrosi, e che di certo senza una minima assistenza sarebbero morti assai prima di quelli. Se non avesse fatto attenzione, prima o poi il morbo avrebbe colpito anche lui. Quale che fosse il suo male, Iolan si recò alla celebrazione. Gregory gli stava vicino, non lo lasciava un attimo, lo guardava con l’ansia di una madre premurosa. In quel mese aveva imparato ad
affezionarsi a lui e alle sue fissazioni, e come compagno di stanza non avrebbe voluto cambiarlo con nessun altro a Serven (con una sola eccezione). – Come ti senti? – gli chiese, per la quinta o sesta volta, all’ingresso della cappella. Iolan lo guardò con gli occhi ricolmi di affetto. – Come prima, fratello. – Forse, se ne parlassi con padre Nathaniel… – Ne abbiamo già discusso, io… – tossì brevemente – io non ho bisogno di un medico. È solo un po’ di tosse… passerà presto. – Le ultime parole si spensero in un sussurro fioco, e Gregory le udì appena. Seguì la celebrazione senza trasporto: ne aveva viste tante, da quando era entrato a San Gloriano, da non contarle più. Ma si sentì felice per Valerj, anche se per lui non aveva molta simpatia. Vedeva nei suoi occhi celesti una soddisfazione pura e una gioia sincera. Il suo sguardo pareva andare oltre l’altare, a congiungersi
direttamente con il Dio al quale adesso, finalmente, poteva consacrarsi. Guardò Iolan, aspettandosi di vederlo altrettanto felice, sia per Valerj, sia per la sua prossima ordinazione. Il suo compagno di stanza sorrideva, proteso in avanti, ma aveva il viso tirato e le labbra più pallide del solito. – Iolan? – bisbigliò. – È… bellissimo, non credi? – mormorò lui. In quel momento dovettero alzarsi. Iolan si tirò su, lentamente, appoggiò i palmi sull’inginocchiatoio e prese un respiro, a fatica. Poi, senza preavviso e senza una parola, crollò svenuto. – Iolan! – gridò Gregory, e la sua voce rimbalzò e rimbombò infinitamente per la cappella. Lo portò in infermeria di peso, lui stesso, tanto poco Iolan gli gravava tra le braccia. Lì padre Nathaniel, il medico, scoprì che non solo il poverino era affetto da una forma particolarmente violenta di tosse maligna, ma la lunga
trascuratezza e la salute di per sé cagionevole avevano facilitato il sopraggiungere della febbre. Spiegò tutte queste cose a Gregory solo e a padre Joshua, perché tutti gli altri erano dovuti tornare in cappella per la cerimonia. – Gregory, tu lo sapevi? – gli chiese poi, togliendosi gli occhialetti dal naso. – Sapevi che stava così male? Il novizio annuì. – Gli ho detto tante volte di venire da voi, padre, ma si è rifiutato. Diceva che preferiva così. – Preferiva star male? – chiese padre Nathaniel, sollevando le sopracciglia. – Una mortificazione – interloquì padre Joshua, seccamente. – È lodevole che abbia preferito sopportare in silenzio il suo male, invece di cercare subito un facile ristoro. – Fratello, non venite a dirmi che è lodevole rischiare così la vita – ribatté il medico. – È da incoscienti, quantomeno… – La vita? – sussurrò Gregory. – Rischia la
vita? – … gli sarebbe bastato venire da me e farsi controllare. Sulle cure si sarebbe potuto discutere… – Vedo che tu non capisci, Nathaniel – replicò padre Joshua, usando il tono pacato e freddo che Gregory aveva imparato a temere sopra ogni cosa. – Il mio allievo ha inteso questo male come una prova del cielo e l’ha affrontato da solo, senza disturbare nessuno. È il compito di ogni buon cristiano e buon monaco accettare ciò che il Signore manda, in male e in bene. O non è forse così? Il medico inspirò ed espirò, dominandosi: su questo punto dovevano essersi confrontati molte altre volte, non senza aspra collera. – Sia quello sia – disse, – adesso dobbiamo pensare a questo ragazzo. – Padre, vi prego – interloquì Gregory, ancora una volta, – poco fa avete parlato di rischiare la vita. È così? C’è pericolo? – Non è così grave – rispose padre Nathaniel, – ma a trascurarla
ancora sarebbe diventata una cosa seria. Già adesso non è da sottovalutare. Ora, quando si sarà ripreso, chiederò a padre Roderick di procurarmi uno dei suoi decotti fluidificanti e per prima cosa glielo daremo. Poi lo metteremo a letto. Occorrerà un adeguato riscaldamento. Per l’occasione sarà necessario procurare una piccola stufa: dobbiamo averne ancora qualcuna, se ricordo bene. E soprattutto… – E soprattutto, non devi azzardarti a uscire dalla porta di questa cella – disse Gregory, in tono minaccioso. – Se solo ci provi, giuro che… – Che? – sorrise Iolan, tirandosi le coperte fin sopra il naso. – Che prendo quella tua sciarpa e ti ci impicco – concluse il compagno. – Bene – mormorò il malato, – allora quando avrò voglia di morire saprò cosa fare. – Mi chiedo se non ti fosse venuta davvero, la voglia – disse Gregory, corrucciato. – Questa testardaggine di non farti
curare da dov’è t’è nata? – M’è nata, m’è nata… non lo so da dove… è che non mi piace fare il malato… – Bene, adesso lo farai per forza – replicò Gregory. Iolan chiuse gli occhi, li riaprì. – Mi sono rassegnato. Ma tu non stare qui, va’ a vedere la fine della celebrazione, tu che puoi… – Non se ne parla neanche – ribatté Gregory. – Padre Nathaniel mi ha eletto tuo infermiere personale, e in quanto tale veglio su di te. – Io non ti voglio dare questo disturbo – disse Iolan, debolmente. – Non è un disturbo, io sono contento. – Davvero? – Davvero. Iolan si tappò la mano con forza per soffocare un nuovo accesso di tosse, ma quello fu più violento del previsto e lo squassò così forte da sembrare che dovesse farlo saltare dal letto. Subito Gregory gli porse un bicchiere d’acqua per calmare il bruciore alla gola. – Va meglio? – gli chiese, preoccupato. Quello
mosse il capo su e giù, appena appena, e tornò sotto le coperte. – Allora… – sussurrò, schiarendosi dolorosamente la voce, – se non ti secca, mi prenderesti un’altra coperta? Mi sembra di congelare, qua sotto. E dopo che Gregory gliel’ebbe sistemata per bene, fissandone un lato nella fessura con il muro e rimboccandone l’orlo appena sotto la sua gola, mandò un sospiro e disse di sentirsi già meglio. – C’è almeno una cosa buona in questa mia malattia – soggiunse poi, socchiudendo le palpebre stanche. – Anche tu puoi godere di questo riscaldamento supplementare. – E perché credi che abbia accettato di assisterti? – replicò Gregory, stendendo una mano verso la piccola stufetta a legna che ardeva lì accanto. Iolan lo guardò da sotto in su, accigliato. – Scherzavo – lo rassicurò l’amico, con un sorriso. Nel tempo in cui Iolan rimase a letto malato, Gregory scomparve per il
monastero e per Raphael, completamente assorbito dal suo impegno di infermiere. E se per il primo non si dispiaceva più di tanto, per il secondo si doleva molto. Non poteva vederlo, né parlare con lui, perché passava in cella tutta la giornata, tranne le volte in cui andava in cucina a prendere da mangiare per sé e per il compagno: alla lunga Raphael fece in modo di farsi trovare sulla strada, per poterlo salutare. Ma erano incontri rapidi e quasi furtivi, resi ancora più frettolosi dal pensiero di chi attendeva, sopra, al secondo piano, e non davano piacere a nessuno dei due. In quel periodo, che durò all’incirca due settimane, Gregory si ripromise di dedicargli in futuro tutto il tempo che gli aveva negato. – Come sta? – gli chiedeva il ragazzo ogni volta, e forse non tanto per conoscere le condizioni di Iolan, quanto perché da queste dipendeva la “liberazione” di Gregory. –
Meglio – rispondeva lui, o – Come al solito – a seconda dei casi. Una volta, vedendolo particolarmente sconfortato, aggiunse a bassa voce: – Presto tornerò sui meli con te – e riuscì a farlo sorridere. – Presto, dici? – replicò Raphael. – Presto – confermò lui. Ci fu solo un’eccezione alla stretta assistenza che Gregory prodigava al malato. Una sera, poco prima di cena, padre Nathaniel salì a controllare le condizioni di Iolan come faceva ogni giorno, e gli disse che non aveva altri pazienti, perciò poteva rimanere a tenergli compagnia. – Vai pure a mangiare con gli altri, Gregory – concluse il giovane medico. – Farai la muffa, se resti sempre qui. Gregory annuì, contento di lasciare la cella per un’oretta, e soprattutto reso allegro dal pensiero che avrebbe di nuovo conversato con Raphael. Lo intercettò in sala da pranzo, prima di sedersi. Il saluto del ragazzo gli
parve un po’ sbiadito. – Vai in cucina a prendere la cena? – No. – Sorrise. – Mangio con voi. Gli occhi di Raphael si rianimarono. – Santa Brigida, un miracolo! – sussurrò. – Stupido, non bestemmiare. – Alzò la mano per fargli una carezza – quanto gli era mancato il morbido dei suoi capelli sotto le mani! – ma la ritirò in tempo. Non erano soli. – Dopo cena siamo insieme, d’accordo? – Sarò tutto tuo – promise Raphael. Un’altra di queste espressioni, e il povero cuore di Gregory si sarebbe logorato dal troppo battere. A cena, Kristen sedette accanto a lui. – Come sta Iolan? – gli domandò in un soffio. – Così così – mormorò in risposta. – Stabile. Padre Nathaniel è ottimista. – Dagli questo, intesi? – Gli passò un involto sotto il tavolo. – Da parte mia e di Valerj. Dopo, quando tutti si furono avviati verso la cappella per la compieta, Gregory si staccò dal
gruppo e sgattaiolò verso la serra. La porticina non era mai chiusa a chiave. Entrò trattenendo fino allo spasimo il cigolio dei cardini poco oliati. – Non sai fare meno rumore, vero? – bisbigliò Raph alle sue spalle. – Richiudila tu, se sei tanto bravo! – sibilò. Da uno dei cassettoni dell’armadio trassero fuori due coperte. Una la stesero sul pavimento, vicino al muro della serra, ci si sedettero sopra, e l’altra se la drappeggiarono addosso per ripararsi dal freddo. L’inverno era impietoso, quell’anno. – Un giorno o l’altro ci scopriranno – mormorò Gregory. Era inquieto, ma non per la preoccupazione, piuttosto per l’euforia di riavere Raph accanto dopo tanto tempo. Si voltò, non lo vedeva. Era buio pesto. – Gregory, che fai? – gli giunse la voce di Raphael, agitatissima. – Che faccio? – mormorò, senza capire. Alzò una mano, sfiorandogli il viso. – Non mi toccare!
– ansimò Raphael. – Dio mio, che disgusto! – e si tirò via dalla coperta, saltando in piedi. Gregory ristette. – Non so di cosa parli. È uno scherzo? – Uno scherzo! – ansimò Raph. – Lo so io di cosa parlo! Che schifo! Sei… sei uguale a lui… Dio mio… – La sua voce prese a tremare. – Io… io vado via! – Aspetta! – Lo afferrò per una caviglia, disperatamente. – Ti giuro che non so di cosa parli, Raph, ti prego! – Ah, non lo sai? Non ti accorgi neppure di aver il… il coso, sì, l’uccello in tiro! Mollami! Gregory spalancò gli occhi. Tuffò la mano libera sotto la coperta e tastò, attonito: subito si rasserenò, e gli scappò genuina una grossa risata. – Ma che uccello e uccello! – rise. – Vieni qui, vieni a vedere che cosa hai sentito! Raphael deglutì. – Giura che non mi tocchi. – Tieni. Te lo sto tendendo. Allunga una mano e prendilo. Era il pacchetto di Kristen. – Ma… ma
cos’è? – mormorò Raphael. – Non lo so, me l’ha dato Kristen. Vieni a sederti, dai. Il ragazzo tornò giù, lentamente. Anche nel buio Gregory capì che era tremendamente imbarazzato. – Mi… mi dispiace – bofonchiò. – Che stupido sei – disse Gregory, con tenerezza. – Mi perdoni? – Certo. – Lo attirò più vicino e gli depose un bacio in fronte. Per tutta risposta, Raphael emise un sospiro e lo abbracciò. – Scusami, scusami, scusami – mormorò. – Ho pensato a Vicent… – L’avevo capito. Non ti imbarazzare. – Prese il pacchetto. – Piuttosto vediamo com’è fatto questo… uhm… uccello… – Vediamo, è una parola. Non si vede nulla. – Sembra… mah… – lo scartò pensosamente, – vetro… una bottiglietta… – C’è un tappo… – sussurrò Raphael, tastandolo a sua volta. – Perché te l’ha dato? – È un regalo per Iolan. – Gregory esitò. – Forse non dovremmo curiosare. È roba sua. – Be’…
non lo stiamo mica rompendo. Poi rimettiamo tutto a posto. – Cosa sarà? – Conoscendo Iolan, scommetterei qualche reliquia strana. Magari sangue di qualche santo… – No, – replicò Gregory, agitando la bottiglietta, – è liquido, senti? – Appunto: se non coagula, significa che è sangue di un santo. – Ma chi te le mette in testa, queste idiozie? – Ah! Chi è adesso il bestemmiatore? – Secondo te se quei due avessero reliquie sante se le passerebbero di nascosto? Iolan la consegnerebbe subito al priore. Un attimo di silenzio. – Tu lo conosci bene, vero? – Abbastanza – rispose Gregory. – Già – disse Raphael, secco. Ancora silenzio. – Ti infastidisce? – Chi ti ha detto niente. – Non mi rispondi? – Non ce n’è bisogno. – Se ti infastidisce, puoi dirmelo. – Che differenza farebbe? – Lo saprei. E ne sarei felice. – La risposta è no. Rimasero
abbracciati, in silenzio. Inquieti. Gregory carezzava i capelli di Raphael, un gesto rilassante per entrambi. – So che non andate d’accordo, ma con me è sempre stato gentile – provò, senza troppe speranze. – È una serpe – tagliò Raphael. – Non con me. – Serpe è e serpe rimane. Un rettile non può diventare un uomo. – Non essere offensivo. – Accostò le labbra ai suoi capelli. – Gli voglio bene, ma è la tua compagnia che preferisco. E lo sai. Tu sei l’unico che mi fa stare tranquillo… che non mi mette a disagio. Tu sei il mio angelo. Troppo tardi si rese conto di ciò che aveva detto. Raphael lo lasciò, agitato, e si allontanò da lui. – Perdonami, ti prego – mormorò Gregory. – Perdonami, e fa’ conto che io non l’abbia mai detto. Mai detto. Sono stato uno stupido. Raphael non parlò. – Ti prego, Raphael, non fare così… – Cosa dovrei fare? – ansimò il ragazzo, con
voce strozzata. – Oggi è la seconda volta che mi ricordi lui! – Ma non per mia colpa! – ribatté Gregory. – Lo sai che prima di farti del male mi taglierei un braccio! Raph? Lo sai o no? – Io so solo che a volte mi fai paura. Gregory strinse i denti: sentirgli dire quelle parole era penoso. – Perché? – riuscì soltanto a mormorare. – Non lo so, non lo so… – Raphael, io non sono lui… Io non faccio del male a chi amo! – E adesso mi dirai che mi ami! – replicò Raphael, rabbioso. – Sì, te lo dico: ti amo. Come un fratello. – Anche Evan amavi come un fratello! E te lo sei portato a letto! Silenzio. – Scusami. – Me ne vado a letto. – No, no, ti prego… ti prego, Gregory, resta qui. – Si aggrappò alla sua mano, poi, vedendo che non faceva una piega, gli cinse le gambe con le braccia e gli impedì di muoversi. – Ti prego – ripeté, con voce disperata. –
Parliamone! Gregory sospirò, ma sapeva già che avrebbe acconsentito. Non poteva negargli nulla. Tornò a sedersi, e Raphael gli sistemò sulle gambe la coperta, rannicchiandosi al suo fianco, scoperto. L’aveva fatto apposta. Gregory se lo tirò più vicino e allungò la coperta sul suo corpo, avvolgendolo con le braccia. – Hai paura che io ti voglia portare a letto? – mormorò, pacato. La risposta di Raphael fu strana. – Ho paura che tu non voglia altro da me. – Così mi giudichi? – No. No, e non lo penso mai. Ma a volte… a volte mi fai pensare a Vicent. Non ti adirare! – Non sono adirato. Ma se non ti fidi di me, forse è meglio… – esitò – è meglio se smettiamo di vederci di nascosto. Qui non ti potrebbe difendere nessuno. – Difendere… da te? – bisbigliò Raph. – Già. – Io non voglio che qualcuno mi difenda da te! – Hai o non hai paura di me? – Non ho paura che
tu mi violenti – mormorò Raphael, con decisione. – Solo prima, quando ho sentito… quella cosa… ma chiunque avrebbe avuto paura al mio posto! Io non ho paura che tu mi violenti – ripeté. – Ho paura che tu mi… mi sia diventato amico solo per portarmi a letto e poi… e poi, quando mi avrai avuto, mi butterai via. Solo di questo ho paura. – E poi, a voler fugare qualsiasi dubbio sulla ragione di questi timori, chiarì: – Non voglio perdere il mio amico. Non voglio che tu mi faccia schifo come gli altri. Poi… sarei di nuovo solo. Gregory lo abbracciò, forte, sentendosi pervadere d’affetto per quella creatura così tenera, insicura, che riversava su di lui il suo amore tremante. – No. Non voglio questo, non l’ho mai voluto. Ti voglio come amico, solo come amico, ma se ti volessi per amante… non mi accontenterei del tuo corpo, Raphael. Mi prenderei tutto, anche il tuo cuore. Non dubitare di
questo. – Mi ami? – Come un fratello. Raphael si accucciò contro il suo petto e tacque, rasserenato. – Mi perdoni? – Certo – rispose Gregory, stancamente. E in silenzio riprese ad accarezzargli il capo.
Il pacchetto di Kristen era, semplicemente, una bottiglietta di vino rosso. Lui e Valerj – Valerj più riluttante, visto che la sua recente ordinazione lo gonfiava di scrupoli per le regole – ne avevano rubato un po’ dalle cantine del monastero, quanto poteva essere nascosto dentro il saio. Era di un’annata particolare, una rarità che il monastero serbava per gli ospiti importanti. Al rifiuto di Gregory di prenderne un po’, Iolan si portò la bottiglia alle labbra con un sorriso. – I miei fratelli, – sussurrò, raggiante, – sanno che questa è la cosa che mi piace di più. Pensando a cosa Raphael aveva creduto che fosse, gli riuscì naturale scoppiare in una grassa,
genuina risata.
Quella notte, come altre notti, lo svegliò il tossire di Iolan. Il giovane tentava di soffocarlo in tutti i modi, per tema di disturbarlo, ma Gregory aveva il sonno leggero e si destò comunque. Si alzò e gli andò vicino. – Vuoi un po’ d’acqua? – sussurrò. Iolan annuì, si tirò su appena per bere e subito sprofondò tra le lenzuola, tremando forte. – Hai freddo? – mormorò Gregory. Andò nell’armadio, non c’erano più coperte. Tolse quella del suo letto e gliela drappeggiò sul corpo. – No… – bisbigliò il malato. – Morirai di freddo così… – Mi rivestirò – rispose Gregory, tranquillo. – Dormi, non ti preoccupare. – No, Gregory, non voglio… – insistette Iolan. – Riprenditela… – E si tirò a sedere, tentando di spostare la coperta che altrimenti, ne era certo, il compagno non si sarebbe mai ripresa. Ma Gregory non solo rifiutò, gli disse anche che se avesse
buttato giù quella coperta lui l’avrebbe lasciata lì, e non ne avrebbe beneficiato nessuno dei due. E allora Iolan gli disse: – Vieni nel mio letto… così non soffrirai il freddo. Gregory esitò, spiazzato. – Sei sicuro? Iolan lo guardò con aria stanca. – Sì. L’ex di San Gloriano, spinto forse dal freddo che aveva iniziato a far sentire i primi morsi, rassicurato dall’amicizia che avevano conservato cristallina fino a quel momento, mai turbata da pensieri meno che limpidi, gli disse di farsi un po’ in là ed entrò con cautela sotto le lenzuola. Dentro era un fuoco, un po’ per le numerose coperte ammonticchiate l’una sull’altra, un po’ per la febbre di Iolan; calore che gli riusciva piacevolissimo, dopo il gelo della cella. – Senti ancora freddo? – gli chiese. La brandina era stretta e non potevano fare a meno di stare uno addosso all’altro: una novità, rispetto alle
consuetudini del monastero, ma Iolan pareva troppo stanco per imbarazzarsi. – No – rispose, accucciandosi contro il suo petto. Gregory, che non sapeva dove mettere le braccia né poteva voltarsi supino, gli passò il braccio destro sulla vita e lo lasciò lì, delicatamente. – Scusami – mormorò, – non so dove… – Lascialo – disse Iolan, con voce assonnata, e si fece, se possibile, ancora più vicino. Fece come aveva fatto lui, gli passò il braccio intorno alla vita, e così abbracciato a Gregory emise un lieve sospiro. – Si sta bene, qui, così bene… La notte seguente, prima di addormentarsi, Iolan gli disse: – Non vuoi dormire qui? – Stavolta c’era dell’imbarazzo nella sua voce, ma la premura era sincera. – È più caldo. Ripensando alla sera prima, e alla serenità con la quale avevano affrontato la stretta vicinanza, Gregory si disse che non c’era nulla di male. Assentì e si
infilò nel suo letto. Il sonno tardò a venire. – Devi annoiarti parecchio, sempre in questa cella – mormorò Iolan, senza farsi avanti ad abbracciarlo. Gregory gli posò il braccio sulla vita come la sera prima, tranquillo. – Non ti preoccupare. Leggo molto, mi aiuta a pensare. E poi mi dispensa dallo spaccar legna, non è un bel guadagno questo? Iolan rise appena, lievemente. Mise il braccio dove l’aveva messo lui e alzò gli occhi. – Sei molto caro – bisbigliò. – Non è facile starmi accanto, io lo so bene… – Non è facile neppure stare accanto a me – replicò Gregory, – ma mi sembra che noi due ci sopportiamo bene a vicenda, no? – Sì, molto bene – sorrise Iolan. – Oh, Gregory, sono felice che il tempo mi abbia dato modo di conoscerti. Sei così diverso da come ti avevano descritto… Gregory sorrise: ormai la confidenza permetteva loro anche di scherzare su quell’argomento
doloroso. – Un giovane pervertito privo di pudore e di morale… – Ma tu non sei così, grazie a Dio – bisbigliò il malato. – Grazie a Dio – gli fece eco Gregory. – Sai, io… io all’inizio temevo che tu fossi davvero come ti avevano dipinto. Mi inquietavi, eri sempre così agitato e nervoso… – I primi tempi non sono stati facili per me, Iolan. – Lo so, lo so… ma poi, in questo mese, il tempo mi ha permesso di vedere come sei davvero, quale meravigliosa creatura di Dio mi sia stata posta sulla strada… Ringrazio ogni notte per questo magnifico dono, lo sai? Per averti conosciuto… Sorrise, imbarazzato. – Non esagerare, ti prego. – No… non dico mai nulla che non pensi… E se ti dico che ti amo… io… – Sollevò il mento e lo baciò sulla bocca. Solo un istante, bastò che le loro labbra premessero così brevemente e Gregory poté intuire perché il suo compagno avesse tanto timore a
toccarlo, e perché insistesse tanto sulle mortificazioni corporali. Usa il dolore come distrazione, si disse, spalancando gli occhi. – Iolan – bisbigliò, chiudendogli la bocca con il palmo della mano. – Che… che fai? Il novizio si scostò, ma non del tutto, abbassando gli occhi. – Scusami, io… io… – È la febbre – mormorò Gregory. – Non sei lucido. – Come posso esserlo, se la tua vicinanza mi procura queste… queste… – E si voltò verso il muro, perché il contatto non potesse più mostrare al compagno l’evidenza del suo desiderio. – Perdonami, ti prego. Gregory rimase a lungo in silenzio, confuso. Non aveva mai pensato di poter divenire l’oggetto dei desideri di Iolan. Sì, aveva intuito che il passato del suo compagno di stanza recava di queste macchie, che più d’una volta v’era caduto e se ne tormentava ancora, ma rimanervi impigliato proprio lui…! Gregory non si
riteneva bello né desiderabile, né per uomini né per donne, si considerava fondamentalmente una bellezza mediocre e come tale si reputava al sicuro da infatuazioni moleste. Ma forse, si disse, qui la bellezza non c’entra molto. – Non ti preoccupare – mormorò, tranquillo. – Non è niente. Iolan si voltò, tenendosi il più possibile vicino al muro. – Mi dispiace – sussurrò, con voce prossima alle lacrime. – Io… io non… – Lo so, Iolan. Lo so bene, credimi. – Doveva esser lui, adesso, a fare da guida spirituale al suo amico? Gregory non ne sarebbe mai stato capace, perché non ne aveva l’addestramento e perché non si sentiva abbastanza forte da guidare se stesso, figurarsi un altro. E in fondo, molto in fondo al suo animo, dove a malapena sarebbe riuscito a leggere, e non subito, sentiva del disgusto per ciò che aveva provocato nell’amico, per il suo desiderio che
aveva sentito premere proprio lì, dove una volta, molto più piacevolmente, aveva accolto quello di Evan. – È meglio che dorma nel mio letto, adesso. – Non succederà più, te lo giuro – mormorò Iolan, con voce implorante. – Puoi restare, io non… – Credimi, è meglio così. Quella notte non chiuse occhio. Fu quell’episodio a decretare l’incrinatura della loro amicizia? Gregory non lo sapeva. Sapeva soltanto che adesso il turbamento di quella notte gli si ripresentava immutato ogni volta che guardava Iolan, ogni volta che si parlavano. Non voleva essere l’oggetto del suo desiderio. Ne aveva… sì, ne aveva ribrezzo. Non osò confessarselo mai, ma era così. Ma d’altro canto fu un bene, perché gli permise di dedicare finalmente il suo tempo libero all’unica altra persona che avesse cara a Serven. Malamente nascosti tra i rami spogli di un melo, diceva a Raphael proprio
questo. – Ti ho dedicato troppo poco tempo, lo so, me ne rendo conto e me ne accorgevo anche prima, ma non potevo fare altrimenti. Iolan aveva bisogno di me. – È giusto, lo capisco. – Un ciuffo adorabile gli cadde sul naso. Inutilmente Raphael cercò di allontanarlo con uno sbuffo. Voleva toccarlo. Voleva scostargli quel filo d’oro soffice dal viso. Alzò la mano… e la posò sul ramo lì accanto, rassegnato. – Che cos’hai fatto in questo tempo senza di me? Raphael sorrise. – Ti ho aspettato. Come dirgli quella cosa bellissima e terribile che il gesto di Iolan gli aveva fatto maturare e capire, che gli aveva reso finalmente chiara? Come dirgli che in quel letto, nel caldo della lenzuola, lui avrebbe voluto… oh, soltanto poterlo fare… Il prezzo era troppo alto, e il suo povero cuore non poteva permettersi di pagarlo. – L’attesa è finita – mormorò, con un sorriso
rassegnato.
– Permettimi di spiegarti, ti supplico. Gregory scosse la testa. – Ne abbiamo già parlato. – Non abbastanza. Non… lucidamente. Ti prego, solo una parola e ti lascerò andare. Le mani ficcate nella sua sacca, Gregory si profuse in un lento sospiro. – Dimmi – mormorò, ma senza voltarsi. – Non ti tratterrò se vuoi cambiare camera, io… io lo capisco. Non posso volertene. Ma ti prego… Gregory, per il bene che mi vuoi, se me ne vuoi un po’, almeno non uscire da quella porta senza guardarmi in faccia. – Silenzio. – Voltati, ti prego. Gregory obbedì. – Iolan… – No. Ascoltami. Tutto il disgusto e il ribrezzo che provi per me, credimi, non è neanche un decimo di quello che io provo per me stesso. Per ciò che ti ho fatto… per l’orrore che ti ho fatto vivere. Mi dispiace, io non ho parole, non so come sia potuto accadere. Non… non è stato premeditato. Quando ti ho
proposto di dormire nel mio letto, l’ho fatto con i migliori intenti, e mai… mai, giuro, con il proposito di indurti in tentazione. Puoi credermi almeno in questo? – Iolan – mormorò Gregory. – Io ti voglio bene e tu lo sai. Ti credo. Ma proprio perché ti voglio bene e ti credo, so anche meglio di te che se resto tutto andrà peggio. Perché la questione è una sola. – Si avvicinò, sino a inginocchiarsi sul pavimento, di fronte a lui seduto sul letto. – Tu mi desideri? Iolan deglutì. Chinò il capo e annuì, tra i singhiozzi. – E allora lo vedi, non posso restare. – Gli posò le mani sulle spalle. – Tu non mi provochi disgusto né ribrezzo. Ci sono passato anch’io, lo sai, ho amato un mio coetaneo e non mi sovviene mai disgusto al pensiero. Ma tu questo non lo accetterai mai. Che il desiderio sia umano. Non lo accetti. E se resto qui ti farò impazzire. – Ritirò le mani. – È colpa mia,
perché se l’avessi capito prima ti avrei risparmiato tanta sofferenza. Mi dispiace, Iolan. Raccolse la sacca dal letto pulito e in ordine, vi ficcò dentro gli ultimi fogli e poi andò alla porta. – Mi dispiace – sussurrò un’ultima volta, prima di uscire. |