PARTE: 3/9
RATING: NC-17
PAIRING: GregoryxRaphael
DISCLAIMERS: I personaggi sono miei e mi obbediscono
(quasi) sempre!!!
Gregory
di
Fiorediloto
CAPITOLO III: "Ora et labora"
Gregory trovò il lavoro in biblioteca placido e rilassante. A
lungo andare poteva riuscire noioso, e stancante per la mano che
scriveva, ma padre Frederick era un maestro paziente e non gli
metteva fretta, né diceva una parola quando Gregory posava la
penna per qualche istante e si massaggiava il polso e le dita
intorpidite.
Nelle brevi pause tra una pagina e l'altra, Gregory si soffermava
ad ammirare la ricchezza di volumi della biblioteca. Se c'era un
fascino a cui non sapeva resistere, era quello dei libri. Più
volte si ripromise di chiedere a padre Frederick di lasciargliene
consultare qualcuno. Nel frattempo, continuava a ricopiare con
metodo il prezioso manoscritto che aveva sotto gli occhi,
riempiendo fogli di pergamena con righe minute e ordinate. Era
talmente immerso nel proprio lavoro che quando sentì risuonare
lo scampanellio che indicava il pranzo sobbalzò violentemente,
lasciando cadere una grossa macchia d'inchiostro sul foglio
appena cominciato.
- Che maldestro che sono
- mormorò, imbarazzato. - Lo
pulisco subito
La voce di padre Frederick era calma come sempre. - Non
preoccuparti - bisbigliò. - Lo farai dopo. Adesso andiamo a
pranzo.
Il refettorio era già affollato quando lo raggiunsero, anche
perché Gregory, malgrado l'insistente gorgoglio del suo stomaco,
aveva offerto il braccio a padre Frederick e si era adeguato alla
sua andatura non proprio spedita. Comunque fu felice di averlo
fatto: il bibliotecario gli piaceva, aveva un sorriso caldo e
un'espressione rassicurante in volto, e inoltre non aveva ancora
fatto parola della colpa di Gregory. Era pur vero che non avevano
avuto modo di conversare, perché nella biblioteca regnava il
silenzio più totale, ma Gregory era certo che padre Frederick
fosse un tipo riservato e che non lo avrebbe afflitto con
l'ennesima predica.
- Padre - mormorò, chinandosi sul vecchio. - Dove devo sedermi?
Il tavolo era già occupato in gran parte, ma rimanevano molti
posti vuoti e Gregory non aveva idea di quale dovesse essere il
suo. - Devi accostarti agli altri novizi - rispose padre
Frederick, lasciando il suo braccio. - A metà del tavolo.
Gregory guardò e scorse diversi giovani della sua età,
abbigliati con un semplice saio come il suo. Ringraziò il
bibliotecario e poi prese posto in una sedia vuota, tra un
giovane biondo col viso devastato dai buchi del vaiolo e un altro
di venti o ventun'anni che non pareva molto avvezzo ai digiuni, a
giudicare dalla rotondità della sua faccia e di tutto il suo
corpo. Gregory alzò gli occhi. Le altre facce erano comuni e non
gli dicevano niente. Si guardò un po' intorno, per curiosità,
ma solo dopo vari istanti si rese conto che stava cercando
Raphael. Automaticamente fece per rimproverarsi, poi si disse che
era legittimo, che non conosceva nessun altro del monastero. Ma
questa giustificazione, sia pure legittima, non gli diede
sollievo. Mi sto legando a lui più del giusto?, si chiese,
turbato. Lo conosco da così poco, eppure
Ma non poté proseguire in queste riflessioni, perché il tavolo
ormai si era riempito e il priore aveva preso posto a capotavola,
non troppo lontano da dove si trovava lui. Lo fissava. Dall'altra
parte, anche lui poco distante, Raphael aveva posato i suoi occhi
cerulei sulla massa ricciuta e sorrideva appena. Del resto, non
erano i soli. Lo fissavano quasi tutti, compresi i due monaci
anziani seduti ai lati del priore, quasi calvo e dalla faccia
arcigna quello alla sua destra, magro come un chiodo e con
un'espressione un po' svampita l'altro.
- Fratello Gregory - scandì il priore, l'unico che aveva il
diritto di infrangere la regola del silenzio che vigeva durante i
pasti. - Vuoi, per favore, leggere il brano di quest'oggi?
Gregory posò le mani sul tavolo e si alzò, spingendo indietro
la sedia. Poi andò al pesante leggio su cui stava aperta la
Bibbia, e diede una rapida occhiata alla pagina. Era il brano
dell'adultera e della folla inferocita. Che l'avessero scelto in
suo "onore"? Si schiarì leggermente la voce, con
grazia, tirò un respiro e iniziò a leggere.
Aveva una voce forte, piena e mascolina, e il suo suono riempì
subito il refettorio. Man mano che leggeva, Gregory sentì la
consueta esaltazione invaderlo, la sensazione che le parole gli
passassero dentro ed uscissero dalle sue labbra rafforzate nel
loro significato, perché era questo il suo compito, esprimerle
al meglio. Si rese conto, marginalmente, che la sua lettura si
faceva appassionata, intensa, ma non aveva desiderio di moderarla
in una grigia monotonia. Le sue mani, posate sui bordi del
leggio, accarezzavano con i pollici la pergamena ruvida del
volume, ma era un movimento, questo, di cui non era del tutto
cosciente. Quando terminò, con voce profonda: - Va', e non
peccare più -, quasi gli dispiacque che fosse finita.
Poi alzò gli occhi e tutti lo fissavano. Deglutendo, Gregory
tornò al proprio posto.
- Molto bene - fu il commento del priore Ferdinand. - È bello
vedere tanta genuina passione per le Scritture. Che gli altri
novizi prendano esempio.
Gregory trasalì. Non era stato questo il suo intento. Sapeva
come funzionava con i ragazzi più giovani: adesso l'avrebbero
detestato. Un bell'inizio, senza dubbio. Si consolò pensando di
aver fatto una buona impressione almeno al priore. - E adesso,
fratelli, mangiamo pure il cibo che il Signore ci ha donato.
Prima di chinare gli occhi sulla sua scodella, Gregory intercettò
due o tre occhiate velenose. Non ci badò. Quando alzò di nuovo
gli occhi, fu soltanto per posarli su una persona, e quella
persona non lo guardava con invidia né malanimo. Anzi, gli
sorrideva ancora, con quegli occhi colore del cielo e i capelli
biondi a incorniciare un viso squisitamente modellato, delicato
come la porcellana che Gregory aveva visto solo una volta nella
vita. Senza volerlo, ripensò a quando gli aveva preso le mani e
le aveva sentite esili e tremanti, calde come il fuoco. Se le sue
labbra erano altrettanto morbide, chissà che piacere baciarle
Abbassò gli occhi di scatto. Li chiuse. Dio mio, perdonami, non
dovevo permettermelo! Che pensieri osceni
Giurò a se
stesso che quella sera, dopo compieta, sarebbe rimasto a pregare
per chiedere perdono di quel peccato, e dopo ch'ebbe fatto questo
voto si sentì meglio. Tuttavia, evitò di guardare Raphael una
seconda volta. Altrimenti
cosa? Avrebbe vacillato di nuovo?
Devo smetterla. Lui non è Evan.
Ma in cuor suo sapeva già che non c'era alcuna somiglianza tra
Raphael e il suo compagno, e che era proprio questo ad attrarlo.
Evan non l'aveva mai attirato fisicamente. Non aveva mai pensato
di fare ciò che poi aveva fatto: era successo e basta. Invece,
adesso
Si passò le dita sulle labbra umide e questo gesto
bastò a procurargli un brivido. Non riuscì a trattenersi. Lo
guardò. Raphael si portò il cucchiaio alle labbra con lentezza,
scoprendo in un sorriso i denti bianchi e diritti. Non staccò
gli occhi dai suoi finché non fu Gregory a farlo, e anche allora
il più grande fu certo che rimase a fissarlo per un lungo
istante prima di distogliere a sua volta lo sguardo.
Il pranzo fu semplice e abbondante, almeno secondo il giudizio di
Gregory. Quando tutti si alzarono, in silenzio, il giovane tornò
nella sala comune e si fermò, incerto. Numerosi fratelli
sostavano nella sala.
- Bentornato tra i vivi - disse Raphael alle sue spalle,
allegramente. - Come si ragiona a stomaco pieno?
Gregory sorrise, voltandosi. - Indubbiamente meglio - rispose.
Per la verità si sentiva un po' sonnolento, e a momenti si
chiedeva se non si sarebbe addormentato sull'ennesimo foglio di
pergamena, ma i suoi pensieri erano abbastanza lucidi e si
sentiva sereno. Non era ancora successo niente di grave che lo
riguardasse, ed era ottimista per il futuro. Vedere Raphael, poi,
gli donava un piacere tutto particolare, forse perché il ragazzo
aveva sempre tanta allegria e sembrava desideroso di
trasmettergliene un poco. - Stiamo andando nello stesso posto? -
chiese, con gentilezza.
- Abbiamo ancora un po' di tempo - disse Raph. - Dopo pranzo
abbiamo diritto a riposare. Vieni, sediamoci.
Lo guidò in direzione di due sgabelli lasciati vuoti in
prossimità della finestra. Li trascinarono un po' discosti, per
evitare gli spifferi gelidi che filtravano dagli infissi malconci
della vetrata, e si sedettero. - Continuano a fissarmi - commentò
Gregory, a bassa voce. - Mi chiedo se farti vedere con me non ti
procurerà dei fastidi, Raphael.
Il ragazzo sorrise. - Fastidi? Cosa potrebbero mai dirmi? Non sto
contravvenendo a nessuna regola.
- Però non mi guardano di buon occhio. Dopo la lettura, poi
- Ah, non so come fosse a San Gloriano, ma qui i grandi sono
sempre in competizione. Pensano che tu ne abbia scavalcati
parecchi, con quello scherzetto.
Gregory inarcò un sopracciglio. - Non avevo intenzione di
scavalcare proprio nessuno.
- Ma l'hai fatto. Vedi quelli? - Accennò, senza fare gesti, a un
gruppetto di novizi tra cui si trovavano il biondo dal viso
butterato e il grassone. - Il biondo si chiama Valerj, il
ciccione Kristen. E quell'altro, quello coi capelli rossi, è
Iolan, il tuo compagno di stanza. Kristen è il preferito di
padre Roderick, mentre padre Joshua stravede per Iolan. Quanto a
Valerj
be', lui è il segretario del priore Ferdinand.
- Ma che bel terzetto - mormorò Gregory. - Non mi fanno paura.
Io non voglio dare fastidio a nessuno.
- E credi che basti? - replicò Raphael. - Non importa che tu lo
voglia. Neppure oggi lo volevi, giusto? Però adesso parlano di
te. E se vogliono, possono metterti in guai perfino più grossi
di quelli che ti hanno portato qui.
- Ho già toccato il fondo, grazie - commentò Gregory, lugubre.
- Non lo so - mormorò Raphael, incrociando le braccia. - Non ne
sarei tanto sicuro. In ogni caso
sta' attento. Valerj e il
priore sono fatti della stessa pasta.
- Allora non credo che saremo mai amici - disse l'altro.
- Di certo non se continui a farti vedere con me.
Gregory alzò gli occhi.
- Cosa credi? - riprese Raph ironico. - Di essere l'unico ad
avere cattiva fama?
Gregory sorrise, moderatamente. - Non mi importa di cosa pensano
gli altri.
- Deve importarti - replicò il più giovane. - Devi prenderne
atto. - Abbassò la voce. - E dopo fa' ciò che vuoi.
Alzò gli occhi sul terzetto che li fissava ancora, non ostile,
ma come in attesa. - Si aspettano che tu vada lì e ti presenti.
- Non possono venire loro a presentarsi?
- Loro sono gli anziani.
Gregory scosse la testa. - Che cosa ridicola. Avranno vent'anni
al massimo.
- Ma fra i novizi sono gli anziani - disse Raphael, a voce ancora
più bassa. - Kristen e Iolan prenderanno i voti prima di Pasqua,
Valerj subito dopo Natale. Non so se sopravvivrò fino a quel
momento - sospirò.
- Ti dà noie?
Raphael sorrise, vagamente. - Diciamo che neanche noi saremo mai
amici.
- Dunque
tu ritieni che io dovrei andare da loro? - chiese
Gregory, corrugando la fronte. - Dopo ciò che mi hai detto,
l'idea non mi attira.
- Oh, no, ma io non volevo
non intendevo indisporti -
mormorò Raphael.
Senza rispondere, Gregory si alzò.
Diversi si voltarono dalla sua parte. Raphael, con un sospiro,
dovette constatare che il nuovo arrivato aveva proprio intenzione
di andare a rendere omaggio agli anziani. Era una mezza
delusione, ma forse era stato lui a malgiudicarlo. Forse non era
il tipo d'uomo che aveva pensato. Sospirò e rimase a guardare.
Gregory avanzò lentamente, tutti gli sguardi addosso,
insopportabili. Arrivò fino al gruppo di Valerj, fece un cenno
complessivo a tutti quanti, appena un lieve chinarsi del capo,
non di più, poi disse con uno sbiadito sorriso: - Gregory.
- Conosciamo il tuo nome, fratello - disse Kristen. - Ti precede
la tua fama.
- Non buona, immagino - replicò Gregory.
- Piuttosto inquieta - commentò Iolan, stringendo le labbra.
Valerj si intromise. - Perché infierire? La vita del nostro
nuovo fratello cambia da oggi. Non è così, fratello Gregory?
- Naturalmente
- Quando prenderai i voti?
Gregory scrollò le spalle. - A San Gloriano avevamo deciso dopo
la Pasqua.
- A San Gloriano.
- Sì. Presumo che la data rimarrà la stessa.
Valerj fece uno strano sorriso, come se non capisse. - Forse ti
ho fatto la domanda sbagliata, fratello. Tu prenderai i voti?
- Perché sarei qui, altrimenti?
- Ma fratello, in luce delle ultime circostanze
- Non dovrei prenderli, forse?
Valerj esitò, indispettito dall'incalzare offeso del suo
antagonista. - Di certo ammetterai che la situazione richiede una
riflessione molto lunga - replicò in tono piccato. - E adeguati
provvedimenti.
- Via, Valerj, non tormentarlo - interloquì Iolan, beccandosi
un'occhiataccia dal compagno. - Se dice che li prenderà, li
prenderà. - Scosse la testa. - O forse
- O forse non ha ancora capito come funziona qui a Serven -
sottolineò Valerj. - Ad ogni modo, i voti vanno presi al momento
giusto. Non sei d'accordo, fratello? Sarebbe terribile
pronunciarli senza avere la maturità necessaria.
Gregory si incupì. - Non ho mai pronunciato un giuramento senza
credervi fermamente - rispose.
- Che belle parole - cantilenò Kristen, beffardo.
- Ti fanno sorridere? - chiese Gregory.
- No, oh no. Ma raramente a professioni così ardenti segue
altrettanto ardore nei fatti - replicò il grassone.
Gregory strinse i denti quasi fino a farli stridere. Ma prima che
Kristen potesse introdurre altro veleno nella conversazione già
tossica, si affrettò a sibilare: - Con permesso, debbo
lasciarvi. Ho delle incombenze da sbrigare.
Tornò da Raphael, gli disse: - Andiamo? - e si allontanarono
insieme in direzione delle scale. Gregory era furente, e solo la
grande dose di autocontrollo che abitualmente esercitava su se
stesso gli permetteva di rimanere padrone di sé.
- Mi dispiace - provò Raphael, con discrezione.
- Per cosa? - Gli occhi di Gregory si schiarirono un poco quando
andarono a posarsi sul viso del ragazzo.
- Per la loro maleducazione. Non avrebbero dovuto.
Gregory fece un gesto con la mano, come a cancellare con un colpo
di spugna l'accaduto. - Tu non c'entri niente. E poi, ho
sopportato di peggio.
Raphael fece un sospiro. - D'accordo. - Esitò. - Quando saremo
entrati in biblioteca
non potrò parlare con te. Il priore
- Non ti disturberò - disse Gregory. - Così lavoreremo più
velocemente.
- Oh, certo. I manoscritti - disse Raphael, facendo una smorfia.
Erano arrivati. Entrarono, raggiunsero padre Frederick e il
bibliotecario diede loro di che lavorare per una settimana
almeno, senza fretta. Raphael emise uno sbuffo, ma non protestò
e si mise subito al lavoro con celerità.
Gregory sbirciò il foglio del ragazzo e vi trovò una bella
scrittura, chiara e ordinata. Poi anche lui si concentrò sul da
fare.
Le ore trascorsero lente, ovattate dal silenzio profondo e dalla
ripetitività del compito che svolgevano: una, due, tre, avevano
perso il conto. A Gregory piaceva: dopo un po' di tempo, quando
la sua mente e la sua mano assimilavano i movimenti da compiere,
poteva lasciar correre i pensieri, dando al lavoro un'attenzione
solo parziale. Quando riusciva a far questo, non si rendeva
neppure conto di cosa stava copiando, e non era disturbato dalla
curiosità di soffermarsi a leggere.
Raphael lavorava abbastanza tranquillo. Ogni tanto si muoveva
sulla sedia, o stendeva le braccia verso l'alto per sgranchirle,
o faceva crocchiare le dita intorpidite, ma a parte questo non
dava alcun fastidio, e riempiva con diligenza le proprie pagine.
Fugacemente, Gregory pensò che il priore non aveva azzeccato la
punizione più terribile, stavolta
o forse aveva voluto
impegnarlo in qualcosa di veramente utile. In questo secondo
caso, era riuscito nel suo intento.
Quando suonò la campanella della cena, erano tutti e due stanchi
e assonnati. Padre Frederick, che per tutto il pomeriggio era
stato impegnato nello studio di un grosso volume dalla copertina
sbiadita, invece sembrava perfettamente a suo agio, e si alzò
con la solita flemma mentre Gregory e Raphael si passavano le
mani sugli occhi per allontanare il torpore dalle palpebre
appesantite.
- Un altro pomeriggio così e la faccio finita - borbottò
Raphael quando furono fuori. - Mi arrampico sull'albero più alto
e mi butto giù.
Gregory gli gettò uno sguardo divertito. - Non era poi così
terribile.
- Mi prendi in giro? - replicò Raph, guardandolo in tralice. -
Era peggio di
- Poi si accorse di avere padre Frederick
alle spalle e rinunciò a qualsiasi cosa volesse dire. Si limitò
a scuotere la testa, lentamente, con stanchezza.
- Quando ero ragazzo, mi arrampicavo spesso sugli alberi - disse
Gregory, con un sorriso. - Prima di entrare in monastero,
intendo.
Raphael lo guardò. - Ci sono dei bellissimi meli, nell'orto -
mormorò in tono vago.
- Immagino che tu li conosca ramo per ramo.
- Quasi - rispose Raphael, con un'espressione da furbetto. - Il
più alto supera i quindici piedi d'altezza. Da là sopra si gode
una vista magnifica
ah, ma è inutile che te lo dica. Lo
vedrai tu stesso.
Gregory scostò un ricciolo ribelle dalla fronte. - Quando?
- Quando ci salirai, ovvio.
- Tra la copia di un manoscritto e l'altra?
Raphael sorrise. - Non passerai tutto il tempo a ricopiare
manoscritti. Anche in questo monastero ci prendiamo talvolta
qualche ora di riposo.
- Prendiamo? Credo che intendessi dire: ci concedono. Giusto?
- Sbagliato! - disse Raphael, e il suo sorriso si allargò. Ma
erano ormai in prossimità del refettorio e perciò non poterono
continuare il discorso.
La cena di svolse in silenzio come al solito. Sia Gregory che
Raphael mangiarono di buon appetito, stimolati dalla stanchezza.
Gregory poté notare le occhiate profonde lanciategli da Kristen
e Iolan, più ostili quelle del primo, neutre quelle del secondo.
Valerj, invece, non lo guardò neppure una volta. Poi tutti
quanti si alzarono per andare nella cappella e assistere a
compieta.
Fuori aveva smesso di piovere già da diverse ore, ma il cielo
era rimasto plumbeo, minaccioso, e per di più oscuro per via
dell'ora tarda. Il terriccio del chiostro era una mistura fangosa
e appiccicosa che rendeva difficoltosi i passi. Ciò nonostante,
i monaci si incamminarono di buona lena con i calzari che quasi
affondavano in quel pantano, perché la cappella aveva un solo
ingresso e poteva essere raggiunta unicamente dal cortile.
L'interno era illuminato dalle numerose candele, ma non era
riscaldato e perciò vi regnava un freddo pari a quello del
chiostro. Quando entrarono, Raphael e Gregory avevano entrambi le
braccia strette intorno al petto e le mani sprofondate nelle
ampie maniche della camicia l'uno e del saio l'altro.
Sedettero ai primi due posti liberi che trovarono, dal momento
che la funzione non richiedeva le rigide separazioni del pranzo,
e poi la seguirono con discreta attenzione, nonostante l'odore
dell'incenso rendesse l'atmosfera fumosa ancora più sonnolenta.
Al termine, Gregory si alzò con gli altri. Aveva incrociato lo
sguardo del priore mentre questi si dirigeva in sagrestia, dove
si sarebbe spogliato degli abiti della funzione, e intendeva
attenderlo in prossimità del confessionale per confessarsi come
aveva promesso.
Perciò salutò Raphael, dicendogli che si sarebbe coricato più
tardi. Come unico gesto di commiato gli sfiorò una mano con le
punte delle dita, anche se, dopo averlo fatto, sentì acuto il
senso di colpa. Ebbe anche la sgradevole sensazione che tutti li
stessero fissando. Poi si accostò al confessionale, volgendo le
spalle al resto della chiesa.
Il priore arrivò quasi subito, rigido come una statua marmorea
anche nell'incedere. Gli rivolse uno sguardo più benevolo di
quanto lui stesso o gli altri avessero fatto fino a quel momento,
poi senza una parola entrò nel confessionale e Gregory lo seguì.
La confessione fu lunga e penosa. Quando si rialzò, Gregory
sentiva uno spiacevole senso di inutilità premergli dentro il
petto, ma era anche in un certo modo sollevato, di quel sollievo
confortante che solo la riconciliazione con Dio può dare.
Inoltre, si era convinto che il priore fosse un uomo severo ma
giusto, forse troppo rigido nelle convinzioni, ma leale e degno
di rispetto.
- Va' a riposarti - gli disse padre Ferdinand, quando si
alzarono. - Hai avuto una giornata intensa.
Gregory scosse la testa, per schiarirsi le idee. - Mi ero
ripromesso di pregare un poco - mormorò. - Pensate che sia
possibile?
- Naturalmente. La cappella è sempre aperta. - Poi fece girare
lo sguardo per la chiesetta e si incupì. Gregory ne capì subito
il motivo: Raphael era lì, inginocchiato in uno dei primi
banconi, intento in preghiera.
- So cosa pensate - mormorò in fretta, con voce ansiosa. - Ma vi
giuro che non l'avevo scorto. E, in ogni caso, non intendo in
alcun modo
Il priore alzò una mano per farlo tacere. - Rimani pure. Raphael
si trattiene sempre nella cappella, a quest'ora.
- Una punizione vostra? - chiese Gregory, inesprimibilmente
sollevato.
- Figliolo, se tra gli abitanti di Serven ce ne fosse uno cui
dovessi imporre la preghiera come punizione, sta' pur certo che
l'avrei già allontanato da questo monastero. - Mosse un passo
verso l'uscita. - Buonanotte, Gregory.
Era la prima volta che lo chiamava per nome. Il giovane deglutì.
- Buonanotte, padre. - Esitò, aggiunse piano: - Grazie.
Quando il priore se ne fu andato, Gregory si cercò un posto
abbastanza lontano dal ragazzo e si raccolse in preghiera.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, quando si sentì
sfiorare la spalla. Trasalì violentemente.
- Scusami - mormorò Raphael, mentre il sussulto di Gregory
rimbalzava comico tra le volte della cappella, infinitamente
riflesso in un'eco monosillabica. - Non volevo spaventarti. Ho
atteso un poco, poi, vedendo che continuavi a pregare, ho pensato
di avvicinarmi
Volevo soltanto darti la buonanotte.
Gregory sospirò. - Non mi hai spaventato, solo
ero molto
concentrato. - Rivolse un ultimo sguardo all'altare, segnandosi,
poi si alzò. - Hai fatto bene. Adesso che mi hai distratto, mi
rendo conto di quanto sia stanco.
- Oh, bene. - Raphael sorrise, poi si rabbuiò. - Io non ti stavo
aspettando, sai. Intendo
prima, quando eri col priore.
Vengo sempre a pregare a quest'ora. È l'unico momento in cui
posso stare solo.
Gregory abbassò gli occhi, sentendosi vagamente colpevole, perché
in effetti aveva creduto che quella della preghiera fosse un
pretesto per rimanere solo con lui. Evidentemente si era dato
troppa importanza. Superbia, vecchia nemica. Si ripromise di
rifletterci sopra, prima di addormentarsi. - Capisco - disse in
tono neutro. - Andiamo?
L'esterno del monastero era precipitato in un'oscurità fitta e
caliginosa, appena rischiata da una luna smorta color avorio e
qualche puntino di stella sparso qua e là. - Attento a dove
metti i piedi - mormorò Raphael, e dopo un istante inciampò in
qualcosa e dovette aggrapparsi a Gregory per non cadere.
- Dicevi? - replicò il più grande, con un bel sorriso che la
penombra pudicamente nascose. Stese il braccio verso di lui. -
Tieniti a me.
- Non sono un vecchio - borbottò Raphael, però prese il suo
braccio e lo strinse forte, aderendo con il fianco al suo. A
Gregory parve che cercasse di stargli più vicino possibile. Il
pensiero gli diede un vago piacere carezzevole. - Così la
prossima volta cadiamo tutti e due
- mormorò il ragazzo,
allegro.
- Certo - sorrise Gregory. - Ho sempre amato rotolarmi nel fango,
tu no?
- Solo nei giorni di pioggia
Al primo piano si salutarono in silenzio, con una lieve stretta
di mano e uno sguardo. Gregory intuì che Raphael avrebbe voluto
fare di più, gli lesse una smania intensa negli occhi e nel modo
in cui esitava a lasciarlo, avrebbe voluto dire egli stesso
qualcosa, soltanto per rompere il silenzio gravido di premesse
che li attorniava, ma poi il ragazzo vi rinunciò, e di
conseguenza anche lui rimase zitto.
Grazie.
Esitò ancora. Doveva parlare? Meglio di no. Dalle labbra le
parole gli sarebbe uscite pesanti, grevi come macigni. Non aveva
mai saputo trovare un suono, una sillaba, una parola, che non
fosse un macigno.
So che diverremo amici. Grandi amici.
Sorrise delle parole che in segreto sentiva di aver pronunciato,
anche se non aveva aperto bocca, perché nella sua mente quelle
parole erano suonate leggere e dolci come aveva voluto che
fossero. Gli volse le spalle con quel sorriso ancora sulle
labbra, e silenzioso se ne andò per la sua strada.
Iolan era già nella stanza di entrambi, quando Gregory arrivò.
Il giovane ebbe un sussulto.
- Scusami - mormorò Gregory. - Avevo dimenticato
Credevo
di essere solo.
Il giovane dai capelli rossi scosse la testa. Mosse la destra in
un rapido segno della Croce, si alzò dal pavimento di pietra su
cui era inginocchiato e aprì a fazzoletto le lenzuola della sua
branda. Aveva indosso solo una tunica leggera. Il saio era
ripiegato in ordine sullo sgabello. - Eri con la peste, scommetto
- disse tetro.
Quella sera Gregory disse la sua prima bugia da quando aveva
messo piede a Serven. - Raphael? No. Mi sono trattenuto nella
cappella per pregare, ma non c'era più nessuno. - Sedette sulla
sua branda, guardandosi intorno.
- Cerchi qualcosa?
- Devo scrivere una lettera.
Iolan sorrise senza allegria, forse solo per mostrarsi
amichevole. - Devi già lamentarti della vita qui, eh?
Gregory scosse la testa. - La vita qui non è peggio di quella
che mi sono lasciato dietro - rispose, serio.
- Bene. Credevo che i fratelli avessero fatto di tutto per
renderti l'arrivo
quanto mai spiacevole - disse Iolan,
corrugando la fronte. - A volte tutti noi ci arroghiamo il
diritto di giudicare gli altri, senza prima guardarci dentro.
Gregory sorrise debolmente. - Diciamo che si sono impegnati. Ma
spero sempre che col tempo la smetteranno.
- Oh, sì. Sì, ne sono certo - disse Iolan, fiducioso.
Gregory si alzò, andò al tavolino su cui aveva lasciato i fogli
e la penna e posò la boccetta di inchiostro che padre Frederick
gli aveva dato. La fiammella della candela tremolava fiocamente.
- Se la luce ti infastidisce, posso
- No, fa' pure - rispose Iolan, infilandosi sotto le coperte. -
Io dormo.
Gregory andò allo sgabello, avendo bisogno di sedersi per
scrivere, prese il saio del compagno e lo depose sul proprio
letto. Solo allora notò il cilicio incrostato di sangue che
l'altro aveva lasciato. Alcune macchie parevano ancora fresche. -
Iolan? - mormorò, esitando. - Tu
tu porti il cilicio?
La voce dell'altro fu un sussurro ovattato. - Per mortificare la
carne.
Gregory si chiese che colpe potesse mai avere un novizio di
vent'anni tali da meritare una simile mortificazione.
- Dovresti portarlo anche tu - bisbigliò Iolan, abbracciando il
cuscino di rozza stoffa. - Non l'hai mai usato, vero?
- Io
no. Mai - rispose Gregory.
- Il dolore della carne è il primo passo per la purificazione -
snocciolò l'altro, con voce sempre più fioca. - Dopo quello che
ti è successo
sicuramente il tuo compagno lo porterà. Se
vuole prendere i voti
Gregory prese la cintura uncinata con le punte delle dita, come
si trattasse di una bestia pericolosa. - Non sono abituato a
questi metodi - mormorò. - A San Gloriano
sì, qualcuno lo
utilizzava, ma nessun novizio
Iolan si tirò a sedere, lentamente. - Ti fa paura? - chiese. -
Il dolore, ti fa paura?
- Non lo so. - Gregory posò lo strumento accanto al saio del
compagno di stanza. - Ma non credo nella flagellazione.
- È una prova. Una prova di umiltà - disse Iolan, con una
strana fierezza negli occhi.
Gregory scosse la testa. - Allora forse io sono un superbo. -
Avvicinò lo sgabello al tavolino, lentamente, si sedette e separò
un foglio dagli altri, ponendoselo di fronte. Evan che si
flagellava. Evan col cilicio stretto alla vita. Evan che
mischiava sangue e lacrime infliggendosi scudisciate. Si tirò i
capelli indietro, nervosamente.
- Perché non glielo domandi?
Si riscosse, attonito. - Domandaglielo - ripeté Iolan. - Se
mortifica la sua carne.
- Evan non hai mai fatto di queste cose - tagliò Gregory,
recisamente.
- Prima - replicò il novizio. - Non le ha mai fatte, prima.
Il nuovo arrivato di Serven impiegò un'ora circa a scrivere la
lettera, dopo avere a lungo tormentato la penna tra le mani e i
denti, esitante su ogni parola. Alla fine, quando gli sembrò che
andasse bene, lasciò il foglio ad asciugare e rimise tutto a
posto com'era. Andò a sdraiarsi sul letto, vestito. Il mozzicone
della candela ardeva ancora.
Iolan invece dormiva da tempo, accucciato contro il muro. Gregory
ripensò alle parole di Raphael: "padre Joshua stravede per
Iolan
". E come dubitarne? Quel vecchio monaco era
certamente la causa della vocazione al martirio del suo
prediletto. Si chiese se fosse giusto instillare in un ragazzo
così giovane una simile tensione autodistruttiva. Ma subito dopo
si chiese anche se fosse giusto, da parte sua, giudicare
altezzosamente una pratica antica e sentita con passione tanto
sincera.
Sono davvero tanto superbo da non saper vedere oltre il mio
naso?, pensò. Sono davvero tanto cieco?
Tornò al tavolino e aggiunse un post scriptum.
Non so, fratello mio, cosa dovrei fare per espiare a dovere la
mia colpa. Per quanto io abbia tentato - e nessuno l'ha fatto più
di me - non riesco ancora a provare rimorso o pentimento per ciò
che è accaduto.
Mi si suggerisce di mortificare la mia carne con la
flagellazione. Ma è questa la via? È davvero questa? Ho sempre
creduto, forse superbamente, forse per paura del dolore, che
queste pratiche non avrebbero conseguito alcun risultato su di
me. Dimmi, fratello adorato, che via hai seguito tu? Forse
questa? È nella flagellazione la salvezza? Dio mi aiuti, non oso
pensarlo.
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