PARTE: 2/9
RATING: NC-17
PAIRING: GregoryxRaphael
DISCLAIMERS: I personaggi sono miei e mi obbediscono
(quasi) sempre!!!
Gregory
di
Fiorediloto
CAPITOLO I: "Giro turistico"
Raphael scrutò con preoccupazione il volto di Gregory mentre
il giovane usciva dalla stanza. Quando era entrato nello studio,
l'espressione del giovane era stata tranquilla, forse appena
nervosa. Adesso il suo viso era pallido e sconfitto come se
avesse visto morire un uomo.
- Gregory? - mormorò Raphael. - Che ti è successo?
Il giovane camminò nella sua direzione, con lentezza. Quando
appuntò lo sguardo su di lui, parve riprendere un poco di colore
sulle guance. - Nulla - mormorò, portandosi una mano alla
fronte. - Non è stato
un colloquio facile. - Accennò alla
porta socchiusa. - Vuole parlarti.
Raphael fece un sorrisetto, ma poi incontrò gli occhi di Gregory
e si incupì anche lui. - Che ti ha fatto? - bisbigliò, serio. -
Ti ha
insultato?
- Raph?
- Che c'è?
- Hai origliato? - Gregory tornò pallido, anche più di prima. -
Hai ascoltato quello che dicevamo?
Raphael scosse la testa, freneticamente. - No, no, te lo giuro.
Non faccio di queste cose. Però parlavate a voce alta, e
- Che cosa hai sentito? - ansimò Gregory, stringendogli le
spalle con le mani. - Che cosa? Dimmelo!
Gli occhi azzurri di Raphael luccicarono di comprensione. - Non
lo dirò a nessuno - mormorò. - Lo giuro sulla Croce. Dalle mie
labbra non uscirà mai una parola sull'argomento. - Strinse i
denti. - Ma adesso lasciami, per favore, mi stai facendo male
- Giuralo di nuovo! - boccheggiò Gregory. - Di': lo giuro sulla
Santissima Trinità e sul sangue beato di Cristo!
- Lo giuro
sulla Santissima Trinità e sul sangue beato di
Cristo - ripeté Raphael, e dopo si divincolò dalla sua stretta,
tanto - troppo - poderosa per un monaco. Si massaggiò le spalle
con le mani. - Perché non cerchi di controllarti, ogni tanto? -
lo apostrofò, con stizza. - Stupido novizio
- Perdonami! - mormorò Gregory, avvilito. - Non dovevo, tu non
hai colpa
- Inaspettatamente, lo abbracciò. - Ti faccio
mille scuse - mormorò al suo orecchio. - Sono una bestia. Ma
se tu sapessi ciò che mi sono lasciato dietro
Non volevo
farti del male, credimi, te lo giuro.
Raphael sbatté le palpebre più volte, sorpreso e incredulo. -
Va bene, ma adesso lasciami. Se ci vedesse qualcuno
con la
fama che ti porti dietro
- Sì
certo. - Gregory lo lasciò. - Il priore ti aspetta.
Io ti attendo qui.
Un lieve sorriso increspò le labbra di Raph. - A più tardi,
allora.
Il fatto di aver già sconvolto e tormentato Gregory sembrò
spingere il priore a non essere da meno con lui. Lo rimproverò
aspramente per tutte le sue infrazioni: per aver contravvenuto
alla disposizione nei confronti del nuovo arrivato, per essersi
comportato in modo impudico - Raphael non riuscì a capire cosa
ci fosse di impudico in una stretta di mano -, per aver
abbandonato senza motivo le proprie incombenze. Raphael non
replicò nemmeno. D'altra parte non era particolarmente colpito,
perché già se l'aspettava. Si limitò a chinare il capo (- Sì,
padre Ferdinand
), e a contare i secondi che lo separavano
dalla libertà.
Si odiavano a vicenda, lui e il priore, e non solo per
l'irrequietezza che faceva spiccare Raph tra tutti gli altri
studenti e novizi. Si erano odiati da sempre, per quanto Raphael
potesse ricordare, anche quando il ragazzo era molto piccolo, in
un'infanzia che ricordava assolutamente innocente e priva di
mascalzonate. I suoi primi anni erano stati segnati dal terrore
per quell'uomo. Tuttavia aveva cominciato a comportarsi veramente
male solo quando questa paura era andata scemando, verso i nove o
dieci anni.
Raph pensava sempre, per quanto strano potesse sembrare, che da
allora le cose erano andate meglio. E se lo ripeteva sempre,
quando una punizione più dura delle altre gli strappava qualche
lacrima furiosa. Preferisco non aver paura e soffrire, si diceva,
martoriando di morsi rabbiosi le labbra spaccate, che vivere bene
e rannicchiarmi in un angolo per il terrore! Terrore di chi, poi?
Di un uomo come un altro?
- Cosa devo fare con te, Raphael? - sospirò il priore. - Non c'è
punizione che serva a farti mutare la tua condotta. Perché?
Oltretutto, non ti confessi da un mese intero
Raphael chiuse il suo volto a qualsiasi tipo di emozione. -
Lasciatemelo dire, padre Ferdinand. Questo riguarda soltanto Dio
e me. - Non poteva certo dirgli che, quando sentiva il bisogno di
confessarsi, sgattaiolava non visto a Widefield e andava dal
curato del paese, un confessore assai più comprensivo dei rigidi
monaci del convento.
Il priore non rispose. - Della tua punizione parleremo dopo
pranzo - stabilì. - Adesso mostrerai a Gregory la sua cella e il
resto del convento. Dopodiché lo accompagnerai dal maestro
bibliotecario e tornerai alle tue incombenze, che sarebbero
Raphael sospirò. - I composti medicinali di padre Roderick.
- Esattamente. Quelli che hai lasciato a metà per correre a
guardare un giovanotto a cavallo.
- Sono contento di averlo fatto - mormorò Raph, serio. - Si
sarebbe preso un malanno, sotto quella dannata pioggia.
Il priore si incupì. - La tua lingua si fa più lunga e più
sboccata ogni giorno che passa, Raphael. Credo di aver deciso la
tua punizione. Ti recherai anche tu in biblioteca, dopo il pasto,
e aiuterai padre Frederick a ricopiare i suoi preziosi
manoscritti.
Raphael gemette. Non c'era niente, niente che detestasse più di
quel lavoro noioso e ripetitivo, neppure gli unguenti medicinali
di padre Roderick o le terribili divagazioni di padre Samuel sui
benefici delle carote.
- Lo farai - disse il priore, in tono definitivo. - E se mi
giungerà notizia che hai scambiato una sola parola con il
giovane Gregory o con qualcun altro nella biblioteca a parte
padre Frederick
So che hai capito. Bene, Raphael, puoi
andare. - Detto questo, abbassò gli occhi sulle sue carte e non
li rialzò più.
Raphael uscì dallo studio del priore con un'evidente smorfia di
disgusto sulle labbra.
- Raph? Tutto bene? - chiese Gregory, con voce di nuovo calma e
controllata. Anche il suo colorito era quello di sempre.
Raphael annuì. - Vieni, ti mostro la tua stanza - borbottò,
posandogli distrattamente una mano sul braccio. La ritrasse
subito, non appena sentì il calore della stoffa sotto le dita. -
Scusa - mormorò, arrossendo un poco e iniziando a camminare per
nasconderlo. Si chiese vagamente perché un gesto così semplice
gli avesse procurato tanto imbarazzo.
Gregory scosse la testa, ma non fece commenti. Disse invece, in
tono cordiale: - Questo monastero ha l'aria di essere molto
antico, più di San Gloriano. E anche più grande. Dalle colline
pare immenso.
- Sei stato sulle colline?
- Le ho attraversate per raggiungere Serven. - Corrugò la
fronte. - Ma non è stato piacevole. Brulicano di banditi, ho
corso il rischio di farmi derubare.
Raphael gli gettò uno sguardo vagamente ansioso. - E forse
uccidere? - mormorò.
- Non so - disse Gregory, alzando le spalle. Abbozzò un sorriso.
- Dopotutto, perché avrebbero dovuto farlo? Sono soltanto un
novizio.
- Anni fa, due dei nostri che erano scesi giù a Widefield sono
stati massacrati dai gitani - disse Raphael, con voce lugubre. -
Derubati e poi uccisi. E sono stati fortunati che non li abbiano
catturati per venderli al mercato degli schiavi. I gitani fanno
cose orribili ai loro schiavi - sussurrò, con un brivido di
orrore.
Gregory non disse nulla, si limitò a svuotare i polmoni in
quello che poteva essere un sospiro come uno sbuffo. Raphael gli
gettò uno sguardo. - Che c'è?
Il viso di Gregory non gli comunicò niente. - Sono stanco.
Cavalco dall'alba.
- Non vuoi che ti mostri il monastero? - chiese Raphael,
leggermente deluso.
- Ma sì - rispose Gregory, con un lieve sorriso. - Visto che mi
sembri così ansioso di farlo.
Raphael sorrise a sua volta. - Oh, bene. Sono contento. Così
potrò restare ancora per un poco lontano dalla serra di padre
Roderick.
- Erboristeria?
- Già. - Raphael fece una smorfia. - Non lo sopporto, sai. Anche
se me la cavo bene a preparare i medicamenti
Voglio dire,
non ho ancora avvelenato nessuno. Ma padre Roderick dice che non
mi impegno abbastanza.
Gregory sorrise. - Ed è vero?
- Assolutamente sì. Ecco, da qui si va ai dormitori - disse
Raphael, indicando una ripida scalinata di pietra. - Sta' attento
mentre sali. Alcuni scalini sono sconnessi.
Il secondo piano era scarsamente illuminato come il sottostante,
anche se privo di quella lieve caligine grigiastra. Terminata la
salita, Raphael e Gregory si trovarono in un lungo corridoio
simile al precedente, ma più largo e con porte di legno su
entrambi i lati. Un silenzio profondo e denso come burro regnava
su tutto il piano.
- La tua cella è l'ultima a destra - spiegò Raphael,
incamminandosi. - Non avrai difficoltà a ritrovarla.
Gregory non parlò. Giunti di fronte alla porta, Raphael premette
la maniglia e dopo arretrò di un passo, dicendo con un leggero
sorriso: - Se vuoi prendere confidenza con la tua stanza, ti
aspetto qui.
La cella era piccola, dotata di una piccola finestra a una sola
anta e due brande coperte da lenzuola bianche e pulite, in un
angolo un vaso per i bisogni corporali e accostato al muro un
tavolino con una brocca e un catino per le abluzioni. Nel
complesso non aveva nulla di speciale, era semplicemente la
stanza di un novizio. Anzi, di due novizi.
- Chi altri dorme in questa stanza?
- Iolan. L'avrai notato, è l'unico con i capelli rossi.
Gregory scosse la testa. In quella confusione di occhi curiosi e
facce ostili non aveva fatto caso a niente e a nessuno, tantomeno
ai capelli dei novizi. - Che tipo è? - chiese, voltandosi per
sistemare la sua roba.
Raphael si girò a sua volta dall'altra parte. - Non andiamo
molto d'accordo.
- Colpa sua?
- Non lo so.
Con una scrollata di spalle, Gregory tirò fuori gli abiti e i
fogli dalla sacca e posò gli uni e gli altri sul tavolino. -
Credi che potrò avere dell'inchiostro, Raphael?
La risposta del ragazzo giunse prontamente. - Sì, credo di sì.
Più tardi andremo in biblioteca, quindi potrai chiederlo
direttamente al maestro bibliotecario, padre Frederick. -
Sbagliava, o c'era un po' di fastidio nella voce di Raphael?
- Mi dispiace di recarti tanto disturbo - disse Gregory,
cautamente.
- Nessun disturbo - rispose il ragazzo, ogni traccia di fastidio
scomparsa. - Non era per te. Pensavo al lavoro che ci aspetta.
Gregory fece capolino fuori dalla porta. - Ci aspetta?
- Sì. Non te l'ho detto? Dopo che avremo fatto il giro del
monastero ti accompagnerò in biblioteca, e
a proposito, ti
piace ricopiare manoscritti? - Raphael sfoderò l'ennesimo
sorrisetto.
- Sono queste le mie incombenze? - chiese Gregory, per nulla
preoccupato. Scrollò le spalle. - Il priore è stato gentile.
- Gentile? - ripeté Raphael. - A me ha affidato questo lavoro
come punizione
- mormorò, scuotendo la testa. - Lasciamo
stare. Se hai finito con le tue cose, andiamo avanti.
- Sì, andiamo. - Alleggerito del peso peraltro lieve della
sacca, Gregory si accostò a Raphael con le mani dietro la
schiena. - Sono solo queste le celle? - chiese, con curiosità. -
Mi sembrano poche, per un convento così grande.
- Infatti queste sono solo quelle dei novizi e dei monaci -
rispose Raphael, assumendo il tono placido della guida turistica.
- Il dormitorio degli studenti è al piano di sotto. - E poi
aggiunse, a beneficio del suo interlocutore: - Siamo in parecchi,
sai.
- Oh, me ne sono accorto - disse Gregory, facendo un sorriso. -
Forse mi ci vorrà un po' per abituarmi. A San Gloriano non sono
accettati ragazzi più giovani di quattordici anni.
- Io ne compio sedici tra qualche mese - si affrettò a dire
Raphael. Quando Gregory lo guardò, arrossì furiosamente. - Be',
ma
ma
niente orfani? - balbettò il ragazzo, cercando
goffamente di cambiare argomento. - Non ci sono bambini?
- Orfani? - ripeté Gregory, come se non capisse. - Perché, qui
a Serven raccogliete gli orfani? Da noi
voglio dire, a San
Gloriano vengono mandati all'orfanotrofio. Mi sembra la soluzione
più giusta, no?
Raphael non se la sentì di dirgli che sua madre, chiunque ella
fosse, l'aveva abbandonato ancora in fasce alle porte di Serven.
- Non so - borbottò. - Non me ne intendo di queste cose. Vieni,
ti mostro il dormitorio degli studenti.
Imboccarono di nuovo la scalinata ripida. Raphael scivolava sui
gradini con rapidità, ma Gregory lo seguiva più lentamente,
badando a dove metteva i piedi. Oltretutto, il più grande
invidiava con tutto il cuore i comodi calzoni del ragazzo, che
anch'egli, finché era stato un semplice studente, aveva potuto
indossare.
Tornati al primo piano, anziché proseguire verso lo studio del
priore, andarono in direzione opposta. Si fermarono dopo pochi
istanti, di fronte a una grande porta doppia di legno massiccio.
- Questo è il dormitorio - disse Raphael, parlando con lentezza.
- Vuoi entrare?
Gregory annuì. - Se non ti reca disturbo.
- Te l'ho già detto. Nessun disturbo. - Raphael spinse una delle
due porte, che doveva essere stata oliata bene, perché il
ragazzo non mostrò troppa fatica, e poi entrarono.
Era una camerata ampia e, a differenza del resto del monastero,
ricca di finestre. Una ventina di letti, accostati da una parte e
dall'altra dello stanzone, suggerivano a Gregory l'idea di un
dormitorio militare, anche se non aveva mai visto un esercito
ordinario e tantomeno il luogo in cui riposavano i soldati. Ma
chissà perché, qualcosa in quelle file di giacigli ordinati gli
comunicava un vago disagio infantile.
- Questo è il mio - mormorò Raphael, avanzando fino a un letto
come gli altri, prossimo alle porte, e sedendosi. Gregory lo
raggiunse dopo un attimo. - Raphael? Cos'hai?
Il ragazzo aveva appoggiato una mano sul muro appena sopra la
testiera del letto, ed era rimasto fermo a fissarla, pensieroso.
- Tu mi devi un favore, giusto? - mormorò.
Gregory impallidì. - Che vuoi dire?
- Se ti mostro una cosa, mi giuri che non ne parlerai con
nessuno? - Gli occhi azzurrissimi di Raphael scrutarono i suoi,
intenti e severi. Poi, prima che lui potesse rispondere, sorrise
dolcemente, ma senza fugare quel barlume cupo dagli occhi. - Hai
pensato che volessi ricattarti, vero? Invece voglio soltanto che
tu mi ricambi il favore. È una cosa che non ho mai mostrato a
nessuno prima d'ora.
Gregory si accoccolò sui talloni. - Ammetto di averlo pensato -
sussurrò, guardandolo con aria malinconica. - E mi dispiace. Tu
non mi hai dato motivo di dubitare di te.
- Non fa niente, davvero.
- Sì, invece. - Gregory gli sfiorò la mano con la sua. - Quando
avrai bisogno di me, non mancherò - promise. - Qualunque cosa tu
voglia mostrarmi, giuro che non ne parlerò con nessuno.
Il sorriso di Raphael si allargò. Quando sorride, pare ancora più
bello, pensò Gregory, con uno strano, sottile turbamento. Era la
prima volta che dava peso alla bellezza di qualcuno, compresa la
propria. Evan non era bello, e neanche lui credeva di esserlo,
anche se non poteva esserne certo, visto che a San Gloriano non
c'erano specchi. Del resto, perché avrebbe dovuto
preoccuparsene? Un novizio non bada a queste cose. Però, adesso
Quel ragazzetto biondo e magro, insignificante a suo modo, ma
bello come un fiore, gli procurava strani turbamenti. Quella
bellezza eterea e femminea avrebbe incantato un guerriero.
Osservò con curiosità Raphael alzarsi e scostare la branda dal
muro, con un leggero stridore del metallo sulla pietra. Poi il
ragazzo tuffò una mano nello spazio creato dietro il capezzale e
ne trasse fuori qualcosa, stretto nel pugno.
- Guarda - mormorò.
Era un medaglione molto bello, di madreperla. Al centro del disco
ovale, contornato da una piccola cornice sicuramente d'oro, un
simbolo arcano campeggiava nella sua incisione scura e
delicatamente rifinita.
Gregory si sentì stringere il cuore. - Come
come l'hai
avuto? L'hai trovato? - Che domanda sciocca. Non poteva averlo
trovato. Ma il cuore gli batteva nel petto così forte che tra
poco gli avrebbe sfondato la cassa toracica, e poi doveva pur
dirgli qualcosa.
- No - mormorò Raphael, carezzando la cornice con un dito senza
però sfiorare l'incisione. - No. Mi è stato donato.
Certo. Per forza. - Da chi? - chiese ancora Gregory, sempre più
emozionato.
Raphael lo guardò di nuovo negli occhi, con la medesima intensità,
ed emozioni sconosciute si sommarono all'agitazione già presente
nel cuore di Gregory. - L'anno scorso, io
ero a Widefield -
disse il ragazzo. - Una donna gitana mi si è avvicinata, mi ha
abbracciato e poi
e poi mi ha dato questo, dicendo che era
un dono per me da parte della sua padrona.
- Non era una gitana - disse automaticamente Gregory. Si morse la
lingua, ma ormai gli era sfuggito. Eppure era inconcepibile che
una gitana chiamasse qualcuno padrone, a meno che
a meno
che non si riferisse a se stessa, ovviamente. Gregory pensò a
questa possibilità solo dopo un istante. Uno scherzo, una presa
in giro?
- Era vestita come una gitana, e aveva l'orecchino - obiettò
Raphael, corrugando la fronte. - Perché dici che non lo era?
- Io
io non credevo che avessero simili gioielli - mormorò.
- Di solito i gitani non sono ricchi
- Forse questa lo era - obiettò Raphael. - Dopotutto sono tutti
ladri, si sa.
Gregory sospirò. - Be'
tu cosa hai fatto?
- Io le ho chiesto come faceva a conoscermi, e lei ha risposto:
"Ci siamo già incontrati. Questo è il nostro legame".
E non ha detto nient'altro, anche se io le ho fatto delle domande
Poi, quando le ho chiesto chi fosse la sua padrona, mi ha sorriso
ed è corsa via. - Sospirò, accarezzando ancora una volta il
medaglione. - A volte, ho l'impressione che questo disegno debba
significare qualcosa. - Alzò gli occhi. - Tu pensi che io
commetta peccato?
- Perché me lo chiedi? - mormorò Gregory.
Raphael sospirò di nuovo, profondamente. - Sono sicuro che
questo sia un amuleto maledetto dei gitani. Dovrei distruggerlo,
o gettarlo via, o consegnarlo al priore
ma non ce la
faccio. Questa
questa è la cosa più simile a un
un
ricordo di famiglia che abbia. Non possiedo altro.
Gregory si inginocchiò sul pavimento e prese le mani di Raphael
tra le sue, lasciando che il medaglione cadesse in grembo al
ragazzo. Ignorò l'impulso del ragazzo a divincolarsi. - Raphael,
- sussurrò - il male non è negli oggetti. È nelle persone.
Soltanto nelle persone. E, per quel che posso saperne, in te non
ce n'è neanche un poco.
Un timido sorriso affiorò alle labbra di Raph. - Grazie. -
Deglutì. - So che è stupido, che ci conosciamo solo da un'ora,
ma
tu mi fai sentire bene. Per questo, io
- Accennò
al medaglione posato sulle sue gambe.
- Ho capito. - Gregory lasciò le mani di Raphael, leggermente
inquieto. - Forse è meglio se andiamo. O si farà ora di pranzo
e non mi avrai ancora mostrato il monastero.
Raphael rimise a posto il medaglione e riaccostò la branda al
muro. - Hai ragione. Padre Roderick mi sgriderà fino a sgolarsi,
se non sarò lì almeno per fingere di seguire le sue lezioni. -
Si passò una mano tra i capelli. - La biblioteca è nell'ala
ovest, al primo piano. Da qui non la si può raggiungere.
Dobbiamo prima scendere nella sala comune
- Lo disse con
imbarazzo, quasi in tono di scusa.
Gregory annuì. - La cosa non mi crea nessun problema - disse con
calma.
- Bene. - Raphael sembrò sollevato.
Tornarono indietro fino alla scalinata che conduceva giù al
piano terra. Dopo pochi passi sui gradini di pietra, un calore
familiare e una lieve luce giallastra li avvolse, portando alle
loro narici l'odore intenso della legna bruciata che aveva già
invaso tutta la sala.
Stranamente, nella sala non c'era quasi nessuno: forse la
curiosità per il nuovo arrivato si era già esaurita, o, più
probabilmente, erano stati tutti richiamati ai propri doveri.
Quale che fosse la ragione, Gregory ne fu sollevato. Gli studenti
non lo disturbavano, ma gli sguardi torvi dei monaci anziani gli
riuscivano pressoché intollerabili.
E infatti l'unico sguardo accigliato gli fu rivolto da un uomo
sulla settantina almeno, seduto su una seggiola di legno poco
distante dalle scale. Si appoggiava al suo bastone con entrambe
le mani, e gli occhietti piccoli e neri scrutavano Raphael e
Gregory - ma in particolare Gregory - con un'intensità che non
lasciava dubbi sull'entità dei suoi pensieri.
- Possiamo avvicinarci al caminetto? - chiese Gregory, a bassa
voce. - Ho le mani congelate.
Raphael aprì la bocca per dire qualcosa, forse che le sue mani
erano state molto calde un minuto prima, poi la richiuse. Sembrò
capire. - Sì, certo.
Si avvicinarono al fuoco e Gregory si chinò per allungare le
mani verso il calore. Da quella posizione poteva scorgere il
vecchio con la coda dell'occhio. Gli parve che li stesse ancora
fissando. - Chi è quel monaco? - bisbigliò.
- Padre Joshua, il precettore dei novizi - mormorò Raphael, in
risposta. - Perché me lo chiedi?
- Ci sta fissando.
Raphael scrollò le spalle. - Lo fa sempre. Non preoccuparti.
- Odio essere fissato - mormorò Gregory.
- Vedrai che tra un poco nessuno farà più caso a te. - Raphael
sorrise, con gentilezza. - Hai finito di riscaldarti?
Gregory sospirò. - A volte penso che non basterebbe un incendio
a riscaldarmi. - Poi alzò gli occhi e guardò Raph con una certa
sorpresa, come se non avesse voluto parlare a voce alta. - Sì
sì, naturalmente. Cosa ci aspetta? La biblioteca?
Raphael gettò un'occhiata alle finestre. - Piove ancora. Non
posso mostrarti l'orto e la cappella. - Alzò le spalle. - Sì,
andiamo in biblioteca.
Attraversarono la sala, sempre sotto lo sguardo attento e
indiscreto di padre Joshua, fino ad una seconda scalinata posta
sul lato ovest. La imboccarono. Allora Gregory capì cos'era che
gli era parso strano quando aveva posto piede a Serven.
- La pianta di questo monastero mi sembra inusuale - disse,
parlando ancora a bassa voce malgrado padre Joshua non potesse più
sentirli. - Ad esempio, non pensavo che un convento dovesse avere
una sala comune. Non mi sembra che venga utilizzata molto.
Raphael annuì. - Molti anni fa era un castello. Apparteneva a un
cavaliere di nome Gilbert Trémont. Sai chi era?
Jehba Thjem'on. Il vero nome del guerriero gitano esplose nella
mente di Gregory come un lampo. - Un traditore, mi pare - disse
cautamente.
- Sì. Fu ucciso alla fine della guerra, e il padre del Re Vragus
donò il suo castello ai monaci di Widefield, perché ne
facessero un luogo sacro. Abbatterono le torri e il ponte
levatoio, riempirono il fossato e costruirono la cappella
- Il Re Kean non era il tipo più adatto a occuparsi di cose
sacre - disse Gregory, con freddezza.
Raphael lo guardò con curiosità. - Be', non era un santo, ma
sconfisse i gitani. Non è una cosa buona?
- Probabilmente - disse Gregory, e non aggiunse altro. Non aprì
più bocca finché non furono di fronte alle porte della
biblioteca.
- Eccoci arrivati - disse Raphael. - Sta' attento. Dentro la
biblioteca si può parlare soltanto sottovoce.
Entrarono. La biblioteca non era particolarmente affollata, ma più
della sala comune. Diversi monaci, tutti anziani, erano seduti di
fronte ai tavoli, chini a studiare volumi rilegati alla luce di
piccole lampade. La penombra diffusa in tutto il monastero, lì
era più densa e più caliginosa che in ogni altra stanza, e i
numerosi lumi che si vedevano ad ogni tavolo emanavano l'odore
stantio dell'olio bruciato.
Padre Frederick era seduto in fondo alla biblioteca, in direzione
delle porte, riconoscibilissimo per la lunga barba bianca e
l'aureola rada e canuta che circondava la tonsura - o forse
l'avanzata calvizie. Guardava nella loro direzione, ma non
sembrava che fosse stato il cigolio della porta a destarlo: i
suoi occhi erano pensosi e distanti, segno che probabilmente il
maestro bibliotecario era immerso in qualche sua riflessione
personale.
Raphael e Gregory avanzarono rapidamente, senza che i loro
calzari producessero più di un lieve scalpiccio sul pavimento di
pietra, e gli sguardi che si attirarono furono fugaci e
distratti. Giunti di fronte a padre Frederick, il maestro si
decise infine ad accorgersi di loro. I suoi occhi, verdognoli,
ebbero un guizzo di vivacità.
Si portò l'indice alle labbra, con lentezza, si sollevò un poco
dalla sedia e la spostò indietro senza produrre rumore. Poi si
raddrizzò. Fece loro cenno di seguirlo in una porticina posta
proprio dietro il suo tavolo, tra due librerie ingombre di
scansie e volumi polverosi.
Entrarono in una stanzetta spoglia, che sembrava avere come unica
funzione quella di permettere di conversare senza disturbare gli
altri monaci, e il maestro bibliotecario rivolse subito a Raphael
uno sguardo benevolo. - Allora, Raphael, cos'hai combinato oggi?
- chiese con voce ferma, sorprendentemente forte per la sua età.
- Non è ora di lezioni, quindi dev'essere una consegna del
priore, giusto?
Raphael arrossì fino alla radice dei capelli. Gregory se ne stupì
un poco; il ragazzo non gli era mai sembrato vergognoso della sua
disobbedienza, tutt'altro. - In verità, stavo accompagnando
Gregory da voi, padre. È
- Oh, sì, sì. Ricordo. - Il bibliotecario gettò un'occhiata a
Gregory, uno sguardo vivace e non scrutatore, che diede al
giovane un po' di conforto. Per la prima volta da quando aveva
messo piede a Serven, un monaco anziano lo guardava senza la
pretesa di giudicare tutto il suo operato in una sola occhiata. -
Tu sei il giovane di San Gloriano. Qualcosa mi dice che tu e
Raphael diventerete buoni amici, figliolo.
Poteva essere un buon augurio o un insulto molto ipocrita,
proferito con un lieve sorriso sulle labbra. Gregory preferì
considerarlo un augurio. - Ne sono convinto anch'io - disse
sinceramente, senza attardarsi a controllare se Raph stesse
sorridendo.
- Ora, per quanto riguarda i tuoi compiti
Raphael sospirò. - Io devo tornare da padre Roderick, maestro.
Sarò qui dopo pranzo per aiutarvi.
- Oh, bene. Vai pure, figliolo.
Raphael guardò Gregory, e Gregory lo ricambiò. Nessuno dei due
disse nulla. Raph fece un piccolo sorriso e uscì. |