Nota 1- confession of a dangerous mind (la mia): tutti i capitoli avrebbero dovuto essere come questo. O magari anche peggio. Spero di riuscire a compiere i miei propositi malvagi.
Nota 2- Ho scritto questo capitolo a metà ottobre...nel frattempo ne ho scritti altri...non sono riuscita minimamente a mantenere i miei malvagi propositi (cosa fai, degli spoiler? n.d.tutti è_é), mi sento molto Miranda Lotto (Time recovery!).
Fine sclero inutile.
Goccia di stella
Parte IV
di Hymeko
Corridoi bui, l’odore del metallo impolverato, narici irritate. Aria pesante, la gola secca. Ogni sospiro raspava contro il palato.
…Konoe…
Tenebre dense, luci fioche e sempre troppo distanti. Astri irraggiungibili a un comune mortale.
Rumori, scricchiolii, le ossa dell’astronave che gemevano. E il pianto dei motori.
…Julien…
Pareti di tormenti interminabili, le mani che le sfioravano, le braccia tese allo spasmo. Polpastrelli senza più il tatto, intorpidite da una droga sconosciuta.
…Comandante…
Curve verso il nulla, angoli a bui vicoli ciechi. La nave rollava, la materia sembrava contorcersi su se stessa. Porte chiuse, ove mai le aveva viste.
…Abilene…
Nuove aperture verso l’esterno, universo senza più stelle. Luce sfuggente, senza una fonte. Nero incomprensibile, pianeti cancellati, natura morta.
…Asha…
Nessuno più cui rivolgere la propria implorazione. Mente vuota, senza risorse. Sensazioni annullate, cuore intirizzito.
Lacrime che svanivano prima di cadere a terra.
Abbandono nelle viscere dell’astronave.
Solo.
Di nuovo solo. Dopo aver assaggiato la differenza.
Metallo freddo, niente sangue a scaldarlo.
Respiri sulla sua pelle, non suoi. Aliti della nave, inverno di morte. Niente dolore.
Fine del corridoio, in lontananza. Parete disadorna.
Pavimento lineare, tronco orfano di rami, nessuna via alternativa. Viale verso un muro d’acciaio.
Rapidi passi risoluti, dritti verso la fine, senza esitazioni. Certezza del dolore al violento contatto.
Unico modo per sentirsi vivo.
Luce abbagliante. Voci di festa. Persone risa cibo fiori profumo immagini ristoro.
Mensa nel momento di massima vita. Fulgore della semplicità.
Tavoli imbanditi, musica di sottofondo. Ognuno un vassoio, colmo delle proprie delizie.
Semplicità, istinti esauditi.
…ehi…
Pigolio misero, vano persino al suo udito.
Nessuno sguardo a salutarlo. Nessuna gioia nel vederlo.
Cerca affannosa, nella folla. Persone amiche, vicine al suo animo. Passare fra i tavoli senza un saluto. Dimenticato, pensiero obsoleto.
Fantasma di un ricordo sgradito.
…Julien!
Capigliatura conosciuta, gioia momentanea. Passi veloci attratti da lui. Pensiero martellante, presenza non permessa nella mensa. Stupore sfumato d’ansia.
…cosa sta succedendo?
Voce persa nel nulla, mai esistita. Nessuna reazione, nessuna attenzione. Amici invocati riuniti assieme, a lui vietati.
Caldo, nulla con cui dissetarsi. Bevande vicine ma sempre fuori dalla sua portata.
Rifiutato da tutto.
Nessuna risposta.
…per favore…
Preghiera patetica della solitudine. Debolezza d’animo.
…aiutatemi…
Incapacità.
…sono qui…
Invisibile ai loro occhi. O desiderio di una simile condizione. Non suo. D’altri, forzatamente.
Solo. Rombo del cuore, sudore freddo. Corpo squilibrato, tremiti d’angoscia.
…perché?
Nuova domanda senza risposta.
Mente concentrata sul nulla, nemmeno un’alternativa. Luce simile a fumo, persone distanti e confuse. Colori forti, aghi nei suoi occhi.
Pupille spalancate, immagini violentemente in lui.
Nausea e immobilità, incapacità di andare via. Desiderio di allontanarsi incompiuto e irraggiungibile.
Nullità della propria esistenza.
"Neven…"
Sussulto di gioia. Speranza. Riflusso di felicità. Di nuovo tutto come prima.
"…che ne pensate di lui?"
Fine dell’illusione.
"Non so…ancora non riesco a capire"
"Esteriormente è carino, ma…"
"…è uno scemotto, diciamocela tutta"
"Crudele. Io lo trovo solo un po’ tonto"
"Parecchio tonto"
Voci non più gentili, amicizia subdola.
"Credevo fosse importante, ma mi sbagliavo"
"Che errore mangiare quel budino!"
"Irrispettoso. Spocchioso. Non mi ha mai chiesto aiuto. Mai un grazie per averlo trovato. Non sono come i computer e i robot che lo servivano. Ho sentimenti"
"Al contrario di lui"
"Piattola, sanguisuga del mio tempo"
"Insicuro. Bisognoso di una balia a tempo pieno"
"Incapace"
"Lagnoso"
"Ipocrita. Non vuole che il suo passato sia oggetto di discussione, ma appena ne ha bisogno lo tira fuori"
Singhiozzi. Lacrime copiose e inesistenti.
"Narcisista, sempre al centro dell’attenzione"
"…praticamente inutile"
"Rimpiango di avervi mandati a cercarlo"
"Non potevamo saperlo, prima di conoscerlo"
"Sarebbe possibile abbandonarlo su un qualche asteroide?"
"…non so. Ormai il Controllo Galattico sa della sua esistenza"
"Potremmo far finta che sia morto"
"Troppo budino allo zenzero?"
Risa sguaiate di cinque voci umane, una aliena e una metallica. Frustate al suo animo, sempre più nausea.
Rimbombi forti, cannonate ed esplosioni. Vertigini. Vuoto. Caduta.
Nero luce colore caldo asfissia nerolucecolorecaldoasfissia nerolucecolorecaldoasfissianerolucecolorecaldoasfissia nerolucecolorecaldoasfissianerolucecolorecaldoasfissianerolucecolorecaldoasfissianerolucecolorecaldoasfissia.
Neven sussultò, scattando a sedere. Il buio della stanza si fece luce, quando la mano batté sull’interruttore.
Strinse fra le dita il tessuto del pigiama, all’altezza del cuore. Batteva incontrollato, rimbombava nella sua mente, sembrava volergli scappare fuori dal petto.
Scosso dai tremiti si piegò sul materasso, accasciandosi sotto le coltri. Ascoltando la preghiera che i suoi occhi gli rivolgevano sfiorò la piastra, e fu ancora oscurità.
Stava male da morire…a fatica si fasciò con la coperta, il freddo che gli storpiava i muscoli.
Affossò un singhiozzo mordendo il lenzuolo.
Un sogno, era semplicemente stato un sogno. Non doveva temere. Non era la realtà…
…forse.
Non lo sapeva. Non poteva essere al corrente di cosa i suoi amici pensassero effettivamente di lui.
E se quella fosse stata la verità, che per gentilezza gli tenevano celata?
Era davvero una simile insopportabile nullità?
Pianse, di dolore e umiliazione. Non si meritava neppure di sapere le reali opinioni su di lui?
Davvero il suo modo di essere li seccava a tal punto?
Strinse i denti, tentando di trovare una via di fuga a quei pensieri. Ma ogni situazione vissuta, e potenzialmente sgradevole, invadeva la sua immaginazione, spingendo via la precedente, a forza, per obbligare la sua attenzione a un vorticoso giro di ricordi, che generavano ondate di sprezzo verso se stesso.
Rivisse le parole di Abilene, come un fuoco. Comprese che con Julien si era comportato davvero male…che ne avesse parlato in qualche modo con le persone a lui più vicine? Era nato tutto da lì? Non voleva che lo emarginassero. Stava bene con loro, erano la sua prima vera famiglia da quasi venti anni…
Lui…dipendeva totalmente dal loro giudizio. E dalla loro benevolenza.
Singhiozzò. Si sentiva davvero male…allungò una mano e strinse forte la bottiglietta di acqua che aveva vicino.
Il freddo del contatto lo calmò…non doveva basarsi solo su quel sogno.
Bevve a lungo, grato al liquido che scorreva nelle profondità del suo corpo. Era ancora troppo scosso, non poteva saltare a delle conclusioni senza averci pensato bene.
E soprattutto, non senza aver realmente osservato il comportamento degli altri.
Anche se sarebbe potuta iniziare la sua caduta, lui doveva sapere.
Sbirciò l’orologio…era ancora presto. Poteva rimanere nel suo giaciglio a rimuginare un po’.
"…Capitano? La disturbo?"
Il comandante della nave lo osservò, indeciso sul modo migliore di parlargli. Neven non lo poteva immaginare, ma lui sapeva che era rimasto almeno quindici minuti fuori dalla sala comando, a fissare le proprie dita sospese a qualche millimetro dalla piastra d’accesso. Solo da pochi attimi aveva sospeso lo stato di interfaccia col sistema di controllo, la sua presenza in rete avrebbe rallentato troppo il lavoro di Daleth.
Purtroppo, lui non era un umanoide, e non era in grado di interagire egregiamente con loro, quando ve ne era la necessità.
"Certo che no. Ti sei riposato, Neven?"
"…non molto, a dire la verità. Ho dormito male, stanotte"
L’altro fluttuò accanto a lui, guardandolo da vicino. Il ragazzo era strano, sfuggiva i suoi occhi, non staccava lo sguardo da terra. Cosa poteva esser successo?
"Capisco. Certe volte succede. Non preoccuparti"
Un sospiro, e la sua bocca si dischiuse per una richiesta tremolante:
"Capitano…so bene che tutti gli intossicati sono di nuovo in forma, e quindi non ce ne sarebbe alcun motivo, ma…per favore, potrei continuare a lavorare?"
Deglutì, trovando il coraggio di sollevare il volto…mentre lo squadrava, gli occhi dell’alieno sembravano avere il potere di perforarlo…
"Uhm…in effetti stavo per chiederti se per caso volessi farlo. Penso sarebbe una buona occasione per tutti"
"D-Davvero?"
Era incredulo di aver avuto una risposta affermativa così facilmente.
"Già. All’equipaggio farà bene averti intorno"
"…ah"
Un’altra crepa si creò in lui. Il Capitano non desiderava il suo bene, ma quello dell’equipaggio…
’Già…in fondo è normale che sia così, perché dovrei stupirmene?’
"Neven? Tutto a posto?"
"Ah? Sì…mi perdoni"
Il Comandante studiò uno schermo, mentre Arkhie ronzava in sottofondo.
"La sala comunicazioni del ponte di seconda è attualmente scoperta. Non c’è nessuno che sorvegli i passeggeri…non si sa mai, che litighino fra loro o tentino di intascarsi un pezzo dei pc. Vuoi occupartene tu?"
"Con molto piacere"
Il Comandante lo guardò uscire in fretta, quasi scappare da lui.
"…è davvero strano, non trova, Capitano?"
Daleth gli si avvicinò, detergendosi la fronte dal sudore.
"Già…non si è accorto della tua presenza. Non ha staccato gli occhi da terra, altrimenti ti avrebbe sicuramente visto"
"Vuole che parli con lui?"
L’essere impalpabile soppesò quella possibilità, poi scosse la testa:
"Tu mi servi qui, devi analizzare quei filmati. Quando potrai iniziare?"
Daleth sbirciò uno schermo:
"Ancora almeno venti minuti, Arkhie sta finendo di elaborare il programma"
"Va bene. Chiama la dottoressa"
"Arkhie?"
"Eccomi, Neven"
Il ragazzo si sistemò le cuffie, tirando il microfono molto vicino alla bocca. Sebbene la sala fosse quasi piena, colma di confusione, non si sentiva sicuro. Era terrorizzato dall’idea di qualcuno che potesse ascoltare le sue parole.
"Io…volevo ringraziarti"
"Per cosa, Neven?"
"Per avermi ritrovato"
Attimi di silenzio. L’elaboratore doveva aver trovato strana, quell’affermazione.
"…è stato quello che voi viventi chiamate caso, sebbene aver reso tale servizio sia lode per i miei costruttori, e per me"
Neven studiò quella risposta: il computer, essendo una macchina, non poteva mentire. Aveva ricordato con gentilezza che il suo ritorno alla civiltà non era stato pianificato. Il resto era poco più di una frase di circostanza.
"Io…senza il tuo aiuto, sarei ancora laggiù"
Di nuovo momenti vuoti, poi la voce di Arkhie si fece più distante:
"Ti chiedo di scusarmi, Neven. Ho ordine di staccarmi da tutti i servizi non essenziali. Ma sarei lieto di riprendere la conversazione più tardi, nel caso anche tu lo volessi"
"Ah…sì. Certo"
Click.
Fece scivolare le cuffie sul collo, appoggiando la fronte sulle mani giunte.
Era stato liquidato in fretta, quasi con scherno. Sicuramente il computer era impegnato, ma mai aveva sentito dire da Daleth o Adei che Arkhie si fosse staccato dai servizi non essenziali. Non ce n’era mai stato motivo…perché mai avrebbe dovuto farlo in quel momento?
’…è possibile che abbia chiesto lui il permesso di staccarsi, per non dovermi più sopportare?’
L’incubo continuava a tormentarlo. Lì il cervello elettronico certo non lo apprezzava. Era possibile che, anche nella realtà, lo avesse in qualche modo offeso?
Si massaggiò le tempie. Iniziava a fargli male la testa.
Il suo sguardo scivolò per la sala, ricordandosi all’improvviso di non essere solo. Ma, come aveva sperato, nessuno badava a lui: era solo dell’equipaggio, e il cantuccio riparato che aveva scelto l’aiutava a rimanere in disparte. Era felice che Julien non gradisse quel ponte, almeno non se lo sarebbe trovato accanto. Non aveva voglia di vederlo. Non solo per via del sogno, ma con quello stato d’animo avrebbe trovato la sua spensierata allegria troppo difficile da sopportare.
’Scusami’
Non sapeva però se volesse davvero scusarsi con lui. Benché gli fosse chiaro che non potesse basare la propria vita sull’incubo, stava iniziando a farsi moltissime domande su Julien. Gli era entrato nella vita come un ciclone devastante, e lui ne era rimasto invischiato, quasi senza scelta. E le occhiate che Konoe gli aveva rivolto…
’Cielo, Konoe…’
Non aveva mai notato segni di insofferenza, in lui e Daleth. Anche la dottoressa e gli altri erano sempre sembrati felici di averlo attorno.
’Forse dovrei smetterla di avere la testa fra le nuvole, e osservare meglio chi è attorno a me’
"Ciao, Neven. Disturbo?"
"Dottoressa…no, certo che no"
La donna tirò una sedia accanto alla sua, e vi si rilassò sopra:
"Allora, come va?"
"Sono un po’ stanco"
Lei lo stava fissando, con l’occhio clinico della ricercatrice:
"Già…noto. Non dirmi che Daleth ti ha trascinato in qualcuna delle sue scorribande notturne"
Il tono basso ma feroce gli fece annullare l’idea di chiedere cosa fossero, quelle scorribande…
"Ah…è colpa solo di una notte passata male"
Lei batté le ciglia, forse spiaciuta per non potersela prendere col suo amico…Abilene sembrava divertirsi un mondo, a battibeccare con Daleth. E di certo, la cosa valeva anche per lui.
"Vuoi qualcosa che ti aiuti?"
"Ehm…cosa intendi?"
Certe volte faticava a dare del tu a persone tanto più importanti di lui…
"Niente medicine. Solo una tisana calmante. Una miscela completamente naturale, creata da me. Aggiunta alle combinazioni sonore appropriate, dovrebbe darti una mano a riposare"
"Cioè della musica?"
"Non esattamente…sono suoni di vario genere, ma non formano una melodia vera e propria. Colpiscono più a fondo, annullando le resistenze dell’animo. Se vuoi posso andare a prendertene qualche esempio, così potrai scegliere quale sia in grado di penetrare meglio in te"
Si alzò senza aspettare la risposta, come se fosse stata certa del suo sì.
"Aspetta!!! Non è necessario che tu vada ora…non è così importante"
Abilene lo guardò in modo strano:
"Ma certo che la tua salute è importante"
e si allontanò, leggera come una farfalla, e decisa come l’acciaio.
"Mi dispiace doverti caricare di tutto questo lavoro"
"Non preoccuparti, Daleth. Sono anzi lieto di poterti essere finalmente utile"
Il ragazzo accarezzò lo schermo attraverso cui dialogava con Arkhie:
"Ma che dici? Senza di te noi non siamo nulla"
"Ma non sono stato in grado di aiutarti con quel segnale"
"Sciocchezze. Solo grazie a te siamo arrivati a restringere il cerchio sui possibili bersagli"
Con un colpetto, la mano di Daleth gli mostrò tutta la sua gratitudine.
"Daleth…non voglio che accada qualcosa a Neven"
"Nemmeno noi…per questo dobbiamo impegnarci a scoprire chi sia stato ad avvelenare il budino"
"Come sta andando?"
Il Capitano della nave fluttuò fino a loro. Dopo un rapido saluto, il ragazzo mordicchiò un bastoncino di liquirizia, cercando fra i propri pensieri la risposta più adatta:
"Ho immesso i filmati. Appena Arkhie avrà trovato qualcosa, ve lo farò sapere"
"Quanto ci vorrà?"
L’altro scosse la testa:
"Non lo so. Non ho mai fatto nulla di simile. Se avessi potuto staccarlo del tutto dal resto della nave, sicuramente meno. Ma dato che dipendiamo completamente da Arkhie, ho le mani legate"
"Sai anche tu che non possiamo sganciare i passeggeri dalle comunicazioni con l’esterno"
Se il Comandante aveva colto la sottile critica, non lo dava a vedere.
"…certe volte mi chiedo se questa navigazione non sia maledetta"
"Non ti credevo avvezzo a simili pensieri"
Il ragazzo dai capelli color carota scosse la testa:
"…è che ne stanno succedendo troppe, in un colpo solo"
"Già. A proposito, meglio che vada a spaventare un po’ i passeggeri di prima classe"
Tutta la plancia salutò l’uscita del Capitano, mentre vari pensieri l’accompagnavano. Era la prima volta che lo vedevano tanto nervoso.
"Dunque il canto delle cascate di Setya non ti ha rilassato?"
Neven scosse la testa, evitando di aggiungere altro.
"Ecco, prova questo"
"Ehm…non sento nulla"
"No? Accidenti…perché non vai?"
Abilene si rivolse direttamente alla torretta del computer, mordicchiando una ciocca di capelli biondi.
"Se usassimo il metodo Asha?"
"Aspetta…forse ci sono!"
Le dita ben curate della donna picchiettarono sui comandi, e dopo qualche bip il cervello di Neven fu invaso da una serie di fischi e trilli, come un concerto di volatili in una foresta di qualche pianeta disabitato.
"Aaaahhh…"
Chiuse gli occhi, liberando la mente. Si sciolse nell’armonia dei suoni, abbandonandosi alle onde delle diverse altezze, scivolando sui toni delle note. Senza peso, si librava nella vita trasmessa da quel supporto, immagine dello scorrere dell’esistenza dei possessori di quelle voci.
Vento e sole, foglie verdi fra i refoli d’aria, rugiada di prima mattina…lì era racchiuso un mondo, era un distillato di profumi meravigliosi e di vitalità senza limiti.
Sussultò, mentre avvertiva Abilene alzarsi di scatto, e gli altri passeggeri rumoreggiare.
Riaprì gli occhi, che non s’era reso conto d’aver chiuso. Se li massaggiò un paio di volte, prima di rendersi conto che era davvero tutto spento. Nero.
"Signori, sono un’ufficiale della nave, responsabile del servizio medico. Vi prego di mantenere la calma"
La dottoressa vinse il rumoreggiare via via più nervoso dei passeggeri, e calamitò su di sé l’attenzione di tutti:
"Fra pochi attimi si accenderanno le luci di emergenza. Per favore, rimanete dove siete fin quando potremo di nuovo vedere"
"Che cosa è successo? C’è stato un guasto?"
chiese una voce da buio, da una posizione imprecisata.
’E come possiamo saperlo noi, che eravamo qui?’
si disse Neven, ammirando l’autocontrollo della donna, che stava gentilmente spiegando che non era in grado di dare risposte, aggiungendo che tutti i passeggeri sarebbero stati informati una volta avute maggiori delucidazioni.
Le luci d’emergenza si accesero, inondando di chiarore verde l’intera nave.
"Vi prego di tornare con calma alle vostre cabine. Vi assicuro che l’equipaggio si impegnerà al massimo per riportare la nave alla normalità"
Senza tante cerimonie racimolò tutte le suo cose, prese Neven per il braccio e lo trascinò fuori, lontano dai commenti scortesi dei passeggeri, che iniziavano a stancarsi di tutti quegli imprevisti…
………
La porta lo sostenne mentre scivolava in basso.
Non era vero, non poteva essere vero!
Morto…non poteva accettarlo. Non poteva essere stato…cancellato.
Fino a meno di due ore prima avevano parlato, anche se per breve tempo. E ora…non c’era più.
Singhiozzò, ringraziando il cielo di esser capitato in un corridoio vuoto.
Era colpa sua…era colpa sua. Lui non aveva controllato, benché fosse suo preciso dovere.
Aveva tradito la fiducia di tutti…come avrebbe potuto biasimarli, ora, se avessero parlato di lui come nel suo sogno?
"…perdonami…"
mormorò, benché non potesse più sentirlo.
Si nascose il viso fra le mani. Non voleva che qualcuno, passando per caso, lo sentisse singhiozzare.
La dottoressa aveva tentato di dirgli qualcosa, ma lui non aveva sentito, non aveva ascoltato nessuno, mentre correva via. Mentre scappava dalla verità, dalla sua colpa incancellabile.
Era morto a causa sua…Arkhie non c’era più.
Non si sarebbe dovuto lasciar trascinare da Abilene in sala comando. Almeno non avrebbe appreso da Daleth ciò che era successo.
Non avrebbe dovuto ascoltare del virus che aveva cancellato irrimediabilmente Arkhie. Almeno non avrebbe fatto quella stupida domanda…non gli avrebbe chiesto se non fosse semplicemente necessaria una nuova installazione.
’No che non lo è!’
Si prese a pugni, colpendosi violentemente la testa.
Lo sguardo di Daleth…mai avrebbe potuto dimenticarlo.
Il nulla nei suoi occhi, mentre gli spiegava che Arkhie era una ESAI, una forma evoluta di super intelligenza artificiale. Per molti avevano un’anima…e anche secondo lui era così.
Arkhie era considerato un essere vivente a tutti gli effetti…Abilene aveva dovuto sostenerlo, perché non stramazzasse a terra. Un po’ per la vergogna, ma soprattutto per il dolore.
Lo avevano perso per sempre…anche se lo conosceva da poco, non poteva che condividere la sofferenza del resto dell’equipaggio. Per loro, era stato come perdere un fratello.
Poi il peggio, quando non credeva potesse accadere.
Adei aveva sì installato un nuovo ESAI. Ce n’era uno di riserva per ogni nave.
Anchan era il suo nome. Stessa neutra voce, uguale disponibilità. Era lì per loro. Li avrebbe aiutati al meglio, nella loro traversata.
Il nuovo ESAI si era stupito della distruzione del suo predecessore, e dopo aver condiviso il suo dolore, si era messo al lavoro.
Con qualche difficoltà era stato individuato il luogo da cui era partito l’attacco. E allora Neven era crollato.
Perché chi aveva ucciso Arkhie aveva agito proprio dal ponte di seconda. Che lui avrebbe dovuto supervisionare.
Pianse senza paura. Nessuno sarebbe andato a cercarlo. Nessuno si sarebbe voluto avvicinare a lui. Era scappato da loro, dai loro occhi che non aveva avuto il coraggio di guardare, e dalle voci che tentavano di trattenerlo.
"Che cosa devo fare?"
si chiese, mordendosi un lembo di pelle.
"Devi accettare"
Neven sussultò, trovandosi accanto Konoe. Tentò d’arretrare, ma era in un angolo.
"…io…"
"Non è stata colpa tua"
Il ragazzo scosse la testa, sull’orlo di una crisi di nervi. Non voleva essere assolto.
"Daleth ha controllato: il virus killer si è installato in tutti i computer della sala di comunicazioni dove eravate: non c’è modo di sapere da quale sia partito"
"N-Non importa…toccava a"
"Non dire stronzate!"
L’altro sussultò: mai Konoe era stato tanto duro con lui.
"K-Konoe"
"Nessuno avrebbe potuto impedirlo, nemmeno Adei e Daleth, se fossero stati lì. Non si può controllare il contenuto di ogni memoria olografica portata sulla nave"
"Io…"
Ma il militare non gli permise di fiatare:
"Maledizione, non eri lì a fare il cane da guardia! Tu dovevi solo controllare che non sparisse niente, e che non si pestassero fra loro! Non si può ispezionare le memorie portate a bordo, è illegale! Te l’ho appena detto!"
Si fissarono un attimo in silenzio. Poi Neven riprese:
"Allora…la scomparsa di Arkhie…"
"La morte non sempre ha senso. È una cosa che un militare sa bene"
"Ma io non sono un militare"
singhiozzò il ragazzo vicino a lui, sempre più arrabbiato con se stesso. Se davvero nessuno avrebbe potuto far nulla, Arkhie era come una vittima condotta all’altare…da sacrificare e basta…poco più di carne da macello…
"Lo so. Per questo sono qui"
In silenzio, Konoe gli fece appoggiare la testa contro la sua spalla, e lo cullò dolcemente, mentre Neven piangeva tutto il suo dolore.
Fine parte IV
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