Entrò in casa sbattendo la porta con aria di sfida; completamente noncurante di tutte le ore di ritardo, diviso tra la gioia di aver imposto la propria volontà, l’ansia per quello che lo attendeva e un vago senso di nausea per quello che aveva appena fatto. Al diavolo non significava nulla, era sempre stato così; certo non si aspettava il suono delle campane, e che importava se non ci era più abituato? L’unica cosa fondamentale era l’aver dimostrato chiaramente che poteva ancora riuscirci, che avrebbe sempre potuto tornare alla sua vecchia vita, alla faccia di tutto il resto.
Sobbalzò lievemente alla vista di Lucien, bello più che mai con l’aspetto inusualmente scarmigliato, seduto mollemente sul divano.
"Sei tornato presto dalle tue riunioni, oggi…" sbottò in tono acido, ma gli ripose solo il silenzio.
All’improvviso, non si sentiva più molto fiero della sua bravata, tutta quell’indolenza era il preludio di qualcosa di oscuro che lo turbava in modo strisciante. Sposto il peso da un piede all’altro a disagio, intimamente spaventato, il fiato leggermente affannoso.
"Vieni qui e spogliati."
Un tono secco, monocorde, troppo calmo e vuoto, così diverso da quello tenero e scherzoso a cui l’aveva abituato.
Joy istintivamente indietreggiò spalancando gli occhioni blu.
"Sbrigati ho detto! Non costringermi a ripeterlo." Le iridi argentee dei pozzi ghiacciati incorniciati da un volto duro e forzatamente inespressivo.
"Lucien…"
L’uomo si alzo con uno scatto felino, e in un balzo gli fu addosso.
Il ceffone inaspettato che lo colpì gli fece battere i denti e girare la testa di lato, come ad un fantoccio; ciocche bionde e setose gli ricaddero disordinate sul volto. Il dolore gli esplose violento dalla guancia per espandersi ovunque.
Sotto shock fissò quell’impensato aggressore totalmente paralizzato, il labbro tremante, le palpebre umide. Vulnerabile come un bambino, nudo e totalmente esposto sebbene fosse ancora vestito.
Lucien mi ha colpito…L’ha fatto davvero…
Lucien lo afferrò alla nuca strattonandolo, trascinandoselo dietro fino alla camera da letto, incurante dei gemiti di quel suo irresistibile e traditore ragazzino.
Richiuse la porta con un calcio che fece rimbombare tutto, prima di scaraventarlo sul letto, insensibile allo sguardo attonito e confuso, poi senza dargli tempo di reagire gli strappò letteralmente gli abiti di dosso, esponendo quel corpo longilineo ed aggraziato in tutto il suo dorato candore. Una rabbia intossicante gli corrodeva le vene e il cuore. Desiderava solo sbranarlo, fotterlo fino ad imprimergli addosso il suo marchio, era suo! Solo suo! E gliel’avrebbe insegnato a costo di romperlo nell’impresa. Tutta la sua razionalità mandata in frantumi da un emozione sorda che lo squarciava da dentro.
"Lucien… Per favore…"
Un secondo manrovescio tacitò definitivamente Joy, bloccando sul nascere qualunque protesta, mentre una sottile linea rossa gli colava dal labbro spaccato sul mento.
Il ragazzo abbandonò il suo corpo, lasciando che subisse quell’aggressione come un guscio vuoto. Sapeva farlo benissimo, da tempo; l’aveva fatto anche quel pomeriggio, stretto tra le braccia sudate di quell’uomo rozzo e arrogante che gli aveva dato mille dollari per l’indubbio privilegio, di spogliarlo e toccarlo; già, perché alla fine non l’aveva nemmeno scopato impotente com’era: tutta da ridere. Ma non rideva, perché lui gliel’avrebbe certo lasciato fare per qualche centinaio di dollari in più. Quello però si era accontentato di spararsi una mezza sega mentre gli faceva un bocchino ansimandogli cose sconce e banali all’orecchio tra una succhiata e l’altra: un cliente facile, viscido e facile, uno che non avrebbe parlato, uno dei tanti volti anonimi da cancellare senza sforzo…
Eppure in quel momento non poteva dimenticare lo sguardo indecifrabile di Lucien, che sentiva posato su di sé come l’aculeo di uno scorpione. Lui no, non poteva dimenticarlo perché lui era oltre a quella barriera sicura dell’interruttore nel suo cervello.
Lucien dopo un attimo di contemplazione si avventò sulla sua pelle come un rapace, pronto a dilaniare e a distruggere, preda di quel dolore che vuole cancellare l’oggetto del proprio amore e della propria pena. Lo baciò furiosamente sul collo esile, lasciandogli subitanei lividi violacei a deturparne il biancore, ghermendo le spalle per costringerlo ad inarcarsi di più e ad esporre al meglio la sua carne vellutata.
Ansimando gli afferrò il volto con una mano.
"Apri gli occhi."
Joy si morse le labbra rifiutandosi di ubbidire a quell’ordine perentorio. Lucien sfiorò un capezzolo rosa con il pollice, un gesto di accattivante lentezza che fece tremare il corpo del ragazzo nonostante tutto. L’uomo fece una risata amara, e poi con decisione lo strinse strappando un lamento alla sua vittima che sbarrò gli occhi angosciata.
"Non ti azzardare a richiuderli, voglio essere ben sicuro che tu sappia chi ti sta scopando, non posso certo affidarmi al tuo affetto, o alla tua lealtà, vero?"
Joy continuava ad osservarlo immobile, con un’espressione apatica di chi non reagirà qualunque cosa gli venga imposta. Lucien esplose con rabbia, voleva riuscire a toccarlo non si poteva accontentare di avere una bambola sotto di lui.
"Non mi chiedi nemmeno il perché? Lo sia già, vero? Lo sai perché sei solo una puttana! E chiedimelo perdio! Chiedimelo!!"
Joy scosse la testa con un segno di diniego, non sapeva nemmeno se stava dicendo di no, che non lo sapeva, o no, non lo voleva sapere…
Lo sguardo folle di Lucien gli faceva paura e dopo essersi inumidito le labbra martoriate si risolse a domandare quella spiegazione non voluta.
"Perché?" balbettò. Ma nel momento stesso in cui lo chiese Joy seppe la risposta, l’aveva avuta da subito, era il suo senso di colpa ad avergliela fornita ecco perché non si era sottratto.
"Ti ho visto! Ti ho visto oggi pomeriggio in quel dannato ristorante!"
Uno strattone violento.
"Ho visto come ti toccava quell’uomo! Ti ho visto andare a rinchiuderti nel cesso con lui e ti ho visto uscirne!"
Un altro strattone.
"La sua faccia disgustosa era piena di soddisfazione e di borioso compiacimento per averti scopato, ma eri tu quello più squallido, con l’espressione tranquilla mentre ti controllavi la tasca dei pantaloni. Cosa facevi ripensavi ai soldi guadagnati?"
Immobilità: totale e distruttiva.
"Quanto ti ha dato, eh? Su dimmi per quanto mi hai venduto? Perché non hai venduto solo quel tuo culo, ma hai venduto anche me!"
Mani lente e striscianti giù lungo i fianchi.
"Quanto? Tremila dollari? Duemila? Mille? Oh suvvia avresti potuto chiedere ben di più, come bestiola da letto vali ben di più…"
Un tocco insistente, insinuante sotto le sue reni fino ai glutei morbidi.
"Ah già, ma eravate talmente in fregola tutti e due da non poter aspettare di trovare un letto. Ora invece io in un letto ci sono e ho intenzione di godermelo…"
Sesso premuto contro sesso, eccitazione premuta contro paura.
"Tu forse un po’ meno, vero? Ma per te è solo lavoro, e si sa il lavoro non sempre è piacevole…"
Due dita dure e crudeli gli entrarono dentro senza pietà e tenerezza alcuna.
Joy urlò, per la sorpresa quasi più che per il dolore, ma la sofferenza c’era mentre quella mano implacabile lo tastava e non era fisica, era tutta interiore: si sentiva violato ed era ancora più triste di tutte le volte che gli era successo in passato perché a farlo sentire così era l’unica persona che gli aveva offerto rispetto fino a quel mattino.
Se lo era meritato, lo sapeva, oh se ne era consapevole… ma nonostante tutto non riusciva a credere che stesse succedendo, e non avrebbe mai immaginato che facesse così male.
Lucien lo scrutava in volto, cercando qualcosa in quel viso che gli desse la misura di quell’orrore, ed invece non riusciva a vederci altro che la meraviglia di una creatura bellissima coi lineamenti di un angelo e lo sguardo limpido anche se spento. Non poteva, non poteva vedere quel volto che amava così tanto e che sapeva ricostruire in tutti i momenti del piacere come in un filmato al rallenty… guardarlo così, con odio gli faceva male, non sopportava l’idea di osservarlo mentre lo prendeva senza che nessuna emozione vi si leggesse, perché stavolta non ci sarebbero state estasi e passione ad accenderlo, non ci sarebbero state illusioni a coprire l’inganno. Niente menzogne d’amore: voleva fottere quel corpo tentatore, conchiglia di un anima che non poteva toccare e l’avrebbe fatto. Ma senza guardarlo.
Silenzioso e brutale prese Joy e lo rivoltò sul letto, costringendolo a sollevare il bacino dal materasso e a divaricare le gambe, si sbottonò appena i calzoni, e poi completamente vestito, una mano ad aprirgli le natiche e l’altra a tenerlo fermo affondò in lui, penetrando con prepotenza fino a che le sue ossa non si scontrarono con la pelle umida e tremante di Joy.
Joy strinse le labbra per non urlare, cercando di resistere a quell’assalto brutale, Lucien aveva sempre fatto l’amore con lui e in quel momento invece infilato a forza nelle sue viscere lo stava usando. Ogni spinta rabbiosa era il suo urlo di odio e disprezzo. Lo sporcava più di quanto chiunque altro fosse riuscito a fare, perché per lui era diventato solo Joy la puttana, e la cosa più triste era che poteva incolpare solo se stesso.
Per dimostrare chissà che aveva espressamente contravvenuto al loro accordo, violandone la clausola fondamentale: l’assoluta fedeltà, o meglio l’espresso ordine di non avere altri clienti oltre a lui per tutto il periodo in cui sarebbero stati insieme. Perché l’aveva fatto se sapeva che non gli sarebbe stato perdonato?
Il suo era un atto di ribellione per cui, si rese conto in quel momento, non pensava di dover pagare delle conseguenze: semplicemente non aveva mai considerato l’ipotesi di venire scoperto. Nonostante tutta la baldanza, nemmeno per un istante aveva pensato veramente che Lucien l’avrebbe saputo, era stato un modo vigliacco di tacitare il suo orgoglio ferito; e ora che pagava lo scotto capiva quanto fosse importante quello che rischiava di perdere. Solamente in quei minuti lunghissimi mentre Lucien lo stava trattando per il giocattolo a pagamento che era, percepì chiara la differenza: niente più calore, rispetto e amicizia, non più quell’affetto tenero ed incredibile, protettivo, a volte anche paterno che l’aveva circondato fino a quel momento.
Era stato uno stupido, e aveva mentito a se stesso perché la verità per quanto l’avesse soffocata era che lui amava Lucien come non aveva creduto fosse possibile; e non per i suoi soldi, che se li riprendesse pure tutti se quello gli avesse dimostrato che lui era pentito, e che rivoleva il loro legame a qualunque prezzo; no lo amava per quello che era: intelligente, sensibile, equilibrato, un uomo forte e leale, che non si rimangiava le promesse, che sosteneva i pochi amici senza esitare, ricco di fascino e di positività, ma anche un uomo che sapeva essere duro ed inflessibile all’occorrenza, pronto a tutto per proteggere una persona amata anche ad essere spietato. Lucien era tutto quello che avrebbe voluto essere lui senza mai riuscirci, e questo senso di inferiorità l’aveva spinto ad essere meschino verso l’altro.
Il desiderio vano di essere alla sua altezza, "buono" per lui, sogno irrealizzabile, gli aveva consentito di negare la realtà, e ora si trovava con un amore che aveva calpestato e che non aveva più nessuna speranza di rimettere insieme… ghignò amaro tra sé, e se mai ne avesse avute, con quell’idiozia aveva dato il colpo di grazia ad ogni fragile parvenza di possibilità: Lucien ormai lo odiava, a buon motivo, molto probabilmente non solo non gli avrebbe più concesso la sua fiducia, ma l’avrebbe anche cacciato dalla sua casa e dalla sua vita.
Era l’essere più idiota e meschino sulla faccia della terra.
Così com’era iniziato tutto bruscamente finì, mentre Lucien crollava su di lui schiacciandolo contro il materasso, il calore del suo sperma a lenire leggermente il bruciore di quell’atto forzato.
Il silenzio li avvolse, turbato solo dai respiri che si regolarizzavano piano. Lucien rotolò di lato, liberandolo dal suo peso, e portandosi automaticamente un braccio a coprire il volto. Di solito dopo l’amore gli piaceva coccolare Joy, tenerselo vicino finché non si addormentava con un sorriso inconsapevole sulla morbida bocca gonfia di baci, adorava sfiorargli i capelli pettinandoglieli con le dita mentre lui gli si rannicchiava sempre più vicino e respirava piano sulla sua spalla: stava per ore incantato a guardarlo, un essere perfetto e delicato da proteggere… ed invece stavolta non poteva fare niente di tutto ciò, stavolta era lui ad aver posto un muro tra di loro. Ora che la rabbia era scemata uscendo da lui insieme a quell’amaro orgasmo, lasciando detriti di sale sul suo cuore si rendeva conto perfettamente di quale mostruosità avesse compiuto. Aveva ceduto agli istinti più violenti, svelando lati della sua personalità che non pensava nemmeno di avere dentro di sé, mai prima di allora aveva perso così la sua tanto famosa freddezza o la sua insuperabile lucidità. Non poteva restare lì un attimo di più perché avrebbe finito per fare qualcosa di ancora più stupido e ridicolo, come prenderlo tra le braccia e consolarlo, come se fosse possibile per il carnefice consolare la vittima, o mettersi a piangere cercando di cancellare il ricordo dei lamenti di lui con i suoi singhiozzi, ma nulla di tutto quello aveva senso, e per quel giorno aveva già dimostrato abbastanza quanto l’irrazionalità cieca non portasse altro che danni e amarezza ad entrambe le parti. Deciso si tirò su a sedere e si accorse che Joy lo stava guardando in modo imperscrutabile.
"Spero tu sia felice dei risultati ottenuti, sei la prima persona che riesce a farmi perdere il rispetto di me stesso." Detto questo con voce sottile, Lucien si alzò dal letto e riabbottonatosi i calzoni uscì con passo stanco dalla stanza senza voltarsi indietro.
Joy cercò di mettersi seduto a sua volta, ignorando lo spasmo costante del suo corpo indolenzito e ammaccato, ancora incapace di focalizzare chiaramente le parole di Lucien, l’unica cosa certa per lui era quel tremito nella voce, e quel luccicore anomalo negli occhi, un qualcosa che lo ferì più ancora di tutto il resto, simbolo di una vulnerabilità che non aveva mia contemplato… ma forse anche segno che Luce non aveva agito mosso solo dalla rabbia e dall’orgoglio. Se la sua non fosse stata una vendetta?
Accovacciato nel mezzo del letto, ricoperto da un velo di sudore, che gli si stava lentamente asciugando addosso facendolo rabbrividire, Joy si mise a riflettere con attenzione, come non faceva da tempo, forse come non aveva mai fatto, ma era ora di crescere davvero diventando quell’adulto che fingeva di essere e capire quali fossero realmente le priorità nella sua vita, era venuto il momento di smetterla di raccontarsi delle bugie per tranquillizzare il suo amor proprio. Prima di decidere qualunque cosa doveva guardare bene in faccia la verità per quanto potesse fargli paura.
La sua infanzia violata e sofferta, la solitudine, il dolore e l’umiliazione del periodo di semi schiavitù, poi la ribellione e la fuga, la miseria più dura, la paura, il desiderio di rivincita e di riscatto, tutto era sfocato nella sua mente eppure le sensazioni provate erano ancora fortissime e ben incise dentro di lui, i bordi netti di una ferita mai rimarginata, e al centro di tutto Lucien, sbucato dal nulla come un uragano per prenderlo e portarlo via da tutto. Lucien che con i suoi occhi gelidi e il sorriso sarcastico gli aveva offerto più calore e affetto in un solo istante di quanto gliene avessero dato tutte insieme le persone che aveva conosciuto nella sua disgraziata esistenza.
Lucien, era lui la chiave di tutto, per quanto avesse voluto negarlo da quando si era introdotto a forza nella sua vita e nei suoi pensieri aveva volontariamente smesso di analizzare quello che gli succedeva. Si era aggrappato agli avvenimenti concentrandosi solo sulla concretezza delle azioni per soffocare l’intricato garbuglio delle emozioni che si nascondevano dietro ogni gesto.
Rapidamente ripercorse con la mente quell’ultimo anno trascorso con lui, e gli ritornarono alla mente tante scene allegre e piene di calore. La festa a sorpresa per il suo diciassettesimo compleanno, le giornate trascorse insieme in giro per i musei, le risate condivise senza farci caso. Ricordava vagamente il momento in cui l’aveva visto per la prima volta, era stato troppo stordito e spaventato per prestare molta attenzione all’uomo elegante che si era presentato nel vicolo, aveva pensato solo che era un idiota a mettersi in mezzo e che sarebbe finito male anche lui. Quel damerino avrebbe pagato caro il suo gesto eroico: carne da macello, quella certezza l’aveva accompagnato durante nello svenimento.
Ed invece si era risvegliato ancora, sano e salvo proprio grazie a quel tipo strano, e quel momento se lo ricordava eccome! Gli era impresso nella mente a fuoco. Aveva riaperto gli occhi confuso e si era trovato in una stanza più grande di una reggia e più lussuosa anche, o almeno lo era per come l’aveva sempre immaginata lui, con due occhi d’argento che lo fissavano ironici e in qualche modo caldi. Lucien, perfettamente tranquillo ed impeccabile con i modi più raffinati che avesse mai visto, attraente e sicuro di sé che se ne stava immobile e rilassato a guardarlo aspettando che si decidesse a parlare.
"Che vuoi da me? Perché mi hai portato qui?" era esploso, provocando una risata divertita.
"Bel modo di ringraziare chi ti ha tirato fuori dai pasticci." Lo aveva preso in giro, anche se un lampo indecifrabile gli era passato sul volto a quelle parole.
Joy era arrossito per l’imbarazzo prontamente soffocato con sfrontatezza da un’aria di sfida: non aveva nessuna intenzione di ringraziarlo e riconoscere di dovergli qualcosa, non aveva chiesto niente lui, anche se ammetteva che senza il suo intervento non se la sarebbe certo cavata e sicuramente non così a buon mercato.
"Allora?"
Lucien aveva scrollato le spalle.
"Quanto al perché ti ho portato qui, be’, è semplice, al momento io ci vivo, anche se non per molto ancora, tra un paio di giorni torno nel New Jersey, a New York per la precisione. Per il resto, tu cosa pensi che io possa volere da te?"
Lo sguardo malizioso e sensuale di quello sconosciuto gli era arrivato dritto allo stomaco suscitando uno strano languore e un desiderio di abbandono totalmente sconosciuto che l’aveva mandato in bestia. Quel tizio non era diverso dagli altri, voleva solo fotterselo, e la cosa lo mandava in stranamente in bestia.
Si era scoperto restando nudo davanti a lui.
"Se è questo che vuoi sono pronto, ma dovrai pagarmi bene perché questo non è orario di lavoro…"
Lucien aveva riso ancora come divertito per uno scherzo di cui solo lui era a conoscenza, poi gli si era avvicinato, si era seduto sul letto sfiorandogli il volto con una mano e alla fine l’aveva baciato. Un bacio strano che non aveva nulla della brama animalesca e predatoria così comune negli approcci dei clienti, un bacio intenso senza esitazioni o timidezze. Un bacio che non chiedeva niente, dato per il semplice gusto di farlo.
"Se sei così impaziente io non ho problemi ad accontentarti, anche se in linea di massima avrei aspettato che ti fossi ripreso del tutto." Gli aveva sussurrato sulle labbra mentre riprendevano il respiro, lui si era irrigidito, indignato e furente per quella battuta, ma non aveva saputo tirarsi indietro. Le mani di Luce erano forti e lo tenevano con fermezza mentre si sdraiava su di lui, tirandoselo vicino e continuando a baciarlo a sfiorarlo, per farlo impazzire. Lucien l’aveva sedotto, costringendolo a reagire spontaneamente ai suoi movimenti, a lasciarsi completamente andare godendo pienamente per la prima volta in vita sua. Quella era stato l’inizio di tutto: la prima di molte volte in cui avrebbero fatto sesso in quel modo assoluto e travolgente, per lui era stata una rivelazione sorprendente. Aveva scoperto un mondo sensuale che non credeva esistesse, per questo nonostante qualche dubbio aveva accettato subito la surreale proposta di Lucien: essere comprato a tempo pieno per tre anni con uno stipendio mensile da capogiro e l’accordo per una liquidazione miliardaria. Per tre anni sarebbe stato soggetto all’esclusiva volontà di Lucien, sempre a sua disposizione, avrebbe fatto sesso quando l’altro l’avesse voluto, l’avrebbe accompagnato dove l’altro avesse chiesto, avrebbe imparato quello che l’altro avesse deciso, sarebbe rimasto in casa ad aspettarlo quando l’altro l’avesse ordinato. Sarebbe dovuto essere non solo un perfetto mantenuto, ma anche un perfetto pupillo questa era la controparte richiesta per tutto quel denaro che in vita sua lui non aveva nemmeno immaginato di poter avere in anni e anni di lavoro. Era una situazione potenzialmente molto pericolosa, ma era stato certo di riuscire a gestirla ed in effetti era andato tutto bene fino a quel giorno. Lucien si era sempre dimostrato comprensivo e gentile verso di lui, non gli aveva mai imposto decisione assurde, nemmeno il sesso a dire il vero aveva mai preteso, tanto che era stato lui a cercarlo con la scusa di voler mantenere la sua parte di accordo, l’unica cosa che gli aveva ingiunto era stato lo studio. All’inizio era scocciato all’idea di avere sempre alle costole degli insegnanti privati pronti a controllare ogni suo passo, lui era abituato ad essere solo, e non ad avere delle spie che riferivano tutto al suo padrone, ma in breve era rimasto affascinato dalle mille cose interessanti che imparava ogni giorno e si era concentrato solo su quello. Era emozionante specie quando a fargli da maestro era Lucien che sapeva catturare l’attenzione come nessuno. Sorrise, mentre rivedeva le volte in cui Lucien per congratularsi dei risultati ottenuti gli aveva fatto regali a sorpresa, o l’aveva portato in giro e trattandolo come un principe, sembrava sinceramente orgoglioso di lui, e per quanto non se ne fosse reso conto gli aveva fatto un immenso piacere… troppo… aveva desiderato la sua stima, il suo rispetto e la sua attenzione e forse la stupidaggine che aveva commesso era dovuta all’ultimo periodo in cui era stato preda di un vago malessere senza nome che ora riconosceva come senso di vuoto: si era sentito trascurato da Luce e per ripicca aveva voluto provare a se stesso di poter stare solo senza sentirsi abbandonato, di non aver bisogno del suo compiacimento. Che cretino.
Certo che se aveva cercato l’attenzione di Lucien ora non si poteva proprio lamentare, l’aveva avuta eccome! Peccato che non fosse quello sguardo fiero e amorevole, ma deluso e con un’espressione terribile, rabbiosa, ferita… Implacabile.
Dietro tutta quella crudeltà però doveva esserci del dolore e dietro al dolore potevano esserci altre emozioni. Solo avendolo amato davvero poteva ora stare male, e se l’aveva amato, forse avrebbe potuto riuscire a farsi perdonare.
Si alzò lentamente e un po’ malfermo si tenne dritto in piedi poi lo seguì, deciso a trovarlo e a rimettere le cose almeno come prima.
Vagando per l’appartamento vuoto, Luce ripensò alla prima volta un cui aveva visto Joy, fermo all’angolo della strada sotto la luce rossa del semaforo. L’aveva notato per caso e non aveva saputo staccarne gli occhi fino a quando la limousine aveva ripreso a muoversi. Aveva resistito a stento all’impulso di voltarsi indietro attirato dal canto di sirena che quell’espressione intensa aveva esercitato su di lui di lui. Una figuretta evanescente messa in mostra nell’atteggiamento provocante eppure stranamente composto ed elegante contro i neon iridescenti che schizzavano impazziti nel buio della notte calda ed aspra di odori forti. Un ragazzo poco più che adolescente spavaldo e fragile, bloccato in una posa perfetta per esaltare la linea sottile del collo, la rotondità morbida delle spalle esili e femmine, lasciate scoperte dalla stoffa luccicante e grossolana di quell’improbabile gilet; le braccia tornite mollemente appoggiate sulle anche magre, e le mani infilate a metà nella cintura dei jeans svaccati e consunti.
Un’altra disgraziata creatura che si vendeva per qualche attimo di sogno in bianco e nero, eppure lui aveva qualcosa di diverso, di unico, stonato in quell’ambiente. Gli era sembrato quasi di riconoscerlo, nonostante fosse solo uno sconosciuto. Il suo sesto senso lo aveva riconosciuto, l’aveva percepito nel più profondo del suo corpo percorso da quella tensione che sempre gli nasceva dentro nei momenti cruciali della sua vita.
Aveva pensato a lui durante tutta la festa, immaginando la notte fatta di clienti senza volto che si sarebbero susseguiti tra le braccia di quel gattino che giocava a fare il leone. Tornando alla villa aveva espressamente richiesto all’autista di ripercorrere lo stesso tragitto, ed aveva provato una strana impressione di rabbia, ansia e delusione quando non l’aveva scorto, punzecchiato dal tarlo del dubbio.
Contro ogni razionalità e contro ogni logica era tornato a cercarlo ossessionato da quella visione, ogni sera in quelle due settimane, fermandosi sotto quel semaforo come un assetato, bevendo ogni istante della sua presenza: lui che aveva sempre mantenuto un equilibrio perfetto anche nelle situazioni più critiche, in quel caso si stava comportando come un pazzo. Riducendosi a percorrere più e più volte il giro dell’isolato, se non riusciva a vederlo al primo colpo, sentendosi un ragazzino stupido ma al contempo incapace di smettere. E quando la visione dalla macchina non gli era più bastata si era appostato nell’ombra abile, come un tempo a dissimulare la sua presenza, per studiarlo con più attenzione. Ogni sera si diceva che sarebbe stata l’ultima, ma il giorno dopo immancabilmente ci ricadeva, stupendo se stesso per quella totale mancanza di controllo e volontà.
Eppure in tutto quello non era mai stato tentato dal desiderio di avvicinarlo, o caricarlo in macchina e possederlo fino a strapparselo dal cervello e dalle terminazioni nervose dove vibrava feroce. No, nemmeno per un istante aveva pensato di comprarlo, di comprare il suo corpo perché quello che voleva era molto più oscuro e complesso. C’era qualcosa di primordiale ed istintivo a spingerlo verso di lui, solo l’irrazionalità e il magnetismo insano di quella situazione lo portavano a tenersene in qualche modo lontano. Quel ragazzo dalla bellezza aggressiva e dolce ad un tempo risvegliava in lui emozioni strane e contorte, violente, che non era sicuro di voler capire davvero, emozioni che non sapeva se sarebbe riuscito a dominare.
Poi era successo: dopo due settimane passate a guardarlo si era trovato costretto a rivelare la sua presenza. Una furia omicida gli si risvegliò dentro al solo ricordo della scena che si era trovato davanti quella sera. Il suo ragazzino colpito, afferrato, trascinato e spintonato in un vicolo buio da tre bestie umane. Aveva sentito il suo singulto di terrore, non con le orecchie ma con l’istinto, e senza esitare era corso da lui, ma non era arrivato in tempo per impedire che venisse picchiato, raggiunto da alcuni colpi in rapida successione.
L’aria confusa e stordita per la botta alla testa, i vestiti strappati, il bel labbro carnoso spaccato, il naso sanguinate, la guancia tumefatta e un occhio che sicuramente sarebbe illividito presto. Il bastardo che gli aveva fatto del male gli stava puntando un serramanico alla gola, un ghigno feroce a deformargli la faccia mentre sputava le sue minacce di torture e morte lenta con evidente godimento; ma quello che lo aveva fatto impazzire era stata visione di Joy che pareva totalmente sconfitto, assente ed abbattuto quasi fosse già sgozzato come un agnello sacrificale. Lucien era intervenuto proprio l’istante prima che il rasoio sfregiasse quella pelle candida affondandovi come nel burro.
Il corpo, ancora perfettamente addestrato dopo gli anni di lavoro alla CIA, aveva reagito come una perfetta macchina da guerra spezzando il collo di quel bastardo con una facilità estrema; mentre gli altri due erano stati raggiunti dalla lama dei loro stessi coltelli sfoderati nel tentativo di aggredirlo. Non si era mai abituato ad uccidere anche se gli era stato necessario per la sua sopravvivenza, ma in quel caso aveva provato un’eccitazione folle nel farlo, nel leggere la paura negli occhi di quei delinquenti, la stessa che avevano causato al suo ragazzino. Nel rendersi conto che Joy era a terra svenuto e sicuramente sotto shock, tra il sangue di quei cadaveri, aveva desiderato poterli riportare in vita per trasformare la loro esistenza in un inferno: la morte era stata una troppo caritatevole liberazione. Con l’abilità derivante dalla pratica aveva risistemato la scena rapidamente, poi si era preso in braccio il suo dolce fagotto e se l’era portato via, silenzioso e impercettibile come era arrivato.
Joy si era risvegliato nel suo letto alla villa, tra lenzuola di seta e deliziosa aria condizionata, lavato e medicato, avvolto in un’atmosfera ovattata di calma e serenità, i suoi occhi per un attimo spauriti prima di ritornare guardinghi e duri. Joy aveva l’espressione tipica che si leggeva in quei cani randagi abituati a ricevere sempre e solo calci, un’aria rabbiosa e combattiva, che non poteva celare la sofferenza dell’abbandono, e visto da vicino era ancora più giovane di quanto avesse immaginato, non aveva nemmeno diciotto anni questo era certo. E lui in tutto quello aveva desiderato solo prenderlo tra le braccia e stringerlo fino a fargli dimenticare tutto quello che gli era successo di doloroso, lo guardava e in un certo senso gli sembrava di rivedere se stesso, la stessa rabbia, le stesse ferite, la stessa paura…
L’aveva amato in quel letto dandogli quella tenerezza e quella passione che immaginava non avesse mai conosciuto ed era stata un’esperienza unica per entrambi, di questo era assolutamente certo, lo aveva letto nello sguardo stupito ed estatico di Joy. Così si era convinto che tutto avrebbe funzionato come desiderava lui, ben gli stava ora pagare l’arroganza della sua proposta, forse avrebbe dovuto essere più onesto e offrirgli aiuto e amore senza trucchi in mezzo; invece aveva preferito mantenere un certo potere su di lui e non esporsi direttamente. L’aveva circuito, ammaliato ed manipolato, o aveva provato. Quando l’aveva portato con se a New York insieme ai nuovi vestiti gli aveva dato una nuova esistenza e gli effetti erano stati sorprendenti anche per lui.
Joy era così diverso in un semplice paio di calzoncini e maglietta bianca, con l’aria da ragazzino di buona famiglia, quasi timido, nella sua riservatezza, ritroso ed innocente, finché non si annegava nei suoi occhi volubili ricchi di sfumature, antichi ed ingenui ad un tempo, maliziosi o tristi ma sempre incredibilmente mobili ed acuti. Lucien era ammagliato da quegli occhi: ora che gli si era avvicinato tanto, buttando all’aria tutte le considerazioni razionali per tirarlo fuori dai guai, non aveva più nessuna intenzione di lasciarlo andare, con il rischio tra l’altro che gli succedesse di nuovo. Era suo e d’ora innanzi ci avrebbe pensato lui a far si che non gli succedesse più nulla di pericoloso. Quel ragazzino aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui, che lo volesse o no, e quella persona sarebbe stato lui… ora che ce l’aveva vicino avrebbe sicuramente trovato il modo per convincerlo a restarci.
E così era stato infatti, pensò dirigendosi vago verso il suo studio. Allora aveva analizzato la situazione e scoperto la strada più facile per riuscire nell’intento: gli era bastato comprarlo con tanto di contratto e clausole da rispettare, e poi ovviamente uno stipendio da capogiro per tenerlo legato, che non era nemmeno un centesimo di quello che avrebbe voluto dargli, anche se ovviamente il suo ragazzino non l’immaginava nemmeno. Per Joy era stato lavoro, per lui il primo passo per poter costruire un legame tra loro, anche se all’epoca non sapeva bene nemmeno lui di che natura l’avrebbe voluto. Aveva desiderato Joy e lo desiderava ancora era innegabile, ma non lo aveva voluto nel ruolo di amante che altri avevano ricoperto prima di lui, aveva desiderato dargli tutto quello che il mondo offriva di meglio, tutte le opportunità, le conoscenze, la cultura e la ricchezza spropositata che aveva a disposizione: voleva vederlo sbocciare sotto i suoi occhi e per merito suo… e fino a quel giorno aveva creduto di essere riuscito nell’intento abbastanza bene.
Joy in tutti quei mesi aveva imparato milioni di cose sconosciute, aveva scoperto di possedere qualità inaspettate, si era messo alla prova con nuove esperienze vivendo ora come un adulto ora come il ragazzino che anagraficamente parlando ancora era. Dal suo volto era sparita quell’aria cupa e diffidente, nonostante se ne stesse ancora sulle sue i lineamenti erano più sereni e dolci, sorrideva spesso anche senza rendersene conto, scherzava, giocava, faceva sport e studiava, insomma conduceva una vita il più normale possibile date le circostanze, ma non era stato sufficiente. Nel momento in cui si era illuso che tutto procedesse nel verso giusto si era ritrovato a mani vuote, con Joy che aveva chiaramente dimostrato di non dare nessun valore a quello che si era sforzato di offrirgli. Joy quel giorno aveva ribadito a chiare lettere di stare lì con lui solo per quell’accordo che gli procurava denaro. Si lasciò andare sui cuscini in pelle abbandonandosi ad occhi chiusi. Joy, si era sbagliato davvero nel giudicarlo? No, anzi Joy era tutto quello che aveva immaginato e anche di più, era intelligente, sensibile, spiritoso, con uno charme innato e una grazia incredibile, capace di andare dritto al cuore di chi gli stava di fronte o almeno con lui ci riusciva perfettamente… Semplicemente Joy non sentiva nessun legame con lui, e non poteva obbligarlo. Poteva comprarlo, ma non poteva imporgli di provare affetto. Cosa gli restava ora da fare?
Lucien si era seduto sul comodo divano del suo studio privato, lì nel suo santuario in cui riusciva sempre a rimettere tutti i problemi nella giusta prospettiva, aspettando invano di sentir crescere in lui il solito senso di tranquillità per mettersi a valutare a freddo la situazione attuale, ma stavolta pareva proprio che non ci fossero speranze in quel senso. Il divano di pelle gli pareva imbottito di sassi, l’atmosfera ovattata gli sembrava quella di una gabbia per canarini, il fresco dell’aria condizionata gli dava i brividi, e l’odore intenso dei fiori gli ricordava una chiesa, già una chiesa dai muri spessi durante un funerale, preparata per le esequie di un amore calpestato da tutti. Quel posto tanto accogliente era macabro come una bara ai suoi occhi perché era lui a non sentirsi più in sintonia con quello che lo circondava, era un estraneo tra i suoi stessi oggetti. Non si riconosceva più, fino al giorno prima… fino a qualche ora prima non avrebbe creduto possibile comportarsi così verso Joy. Il suo amato, piccolo e fragile Joy. Ma non avrebbe mai nemmeno immaginato di poter provare un’emozione così forte, prima pensava di essere innamorato di lui, ma di aver in mano la situazione, di essere padrone di se stesso, bene ora sapeva di essersi completamente sbagliato perché altrimenti non si sarebbe mai rivoltato con tale furore. Nulla, nessuna delle sue mille esperienze l’aveva preparato per quel sentimento totalizzante e irrazionale che sentiva ora. Non c’era niente di equilibrato, di dolce o altruistico in quello che provava, solo passione cieca, istinto di possesso, desiderio folle di prendere Joy e rinchiuderlo dove nessuno tranne lui potesse avvicinarlo, vederlo, toccarlo, e dove lui non potesse sorridere a nessun altro mostrando il paradiso per poi negarlo. Era malato… era innamorato! Trattenne il respiro perché solo in quel momento la consapevolezza dell’infinito di quel sentimento lo colpì in pieno lasciandolo stordito. Lo amava nel modo più passionale e folle possibile ed invece aveva voluto cullarsi nella stupida illusione di essere in grado un giorno di vederlo innamorarsi di un altro, e peggio di essere disposto a lasciarlo libero ed essere felice per lui. Che idiota! Quella era solo una piccola patetica fandonia destinata a proteggerlo, volta a farlo sempre sentire superiore, la realtà era ben diversa, perché lui non sopportava nemmeno l’idea di stare senza Joy, lo voleva: desiderava vederlo, accarezzarlo, parlargli, ascoltarlo ridere e consolarlo, voleva amarlo se proprio non poteva esserne amato. Ma era amore quello o un’ossessione malata? Sospirò sconsolato. Per la prima volta in vita sua aveva mentito a se stesso prima ancora che agli altri: tutto il suo atteggiamento da grand’uomo aveva avuto lo scopo di legare di più a sé Joy, non di renderlo indipendente, dietro tutta la sua paternalistica bontà c’era solo marciume ed egoismo. Perdio non era meglio di quei porci che lo avevano sfruttato e venduto, anche lui lo aveva rinchiuso in una prigione, e per quanto dorata anche la sua era una gabbia. Ora che il velo si era strappato cosa doveva fare? Come doveva comportarsi con Joy? Che ne sarebbe stato di tutti i progetti fatti per legare a sé Joy lentamente, per dargli il tempo e lo spazio per fidarsi di lui e per superare il passato, cosa avrebbe fatto ora che aveva rovinato tutto per un impulso di gelosia omicida? Dio ma cosa aveva fatto?
Quello che gli bruciava di più di tutta quella grottesca questione alla fin fine però era aver fatto del male a Joy perché sapere che lui ora stava soffrendo gli torceva lo stomaco, non importava quanto diritto avesse di sentirsi ferito o arrabbiato, i suoi sentimenti erano solo affar suo, Joy non ne era responsabile; e lui… si era comportato come aveva giurato di non fare mai. Era stato una bestia sul piano fisico quando Joy era indifeso davanti a lui, e su quello emotivo ancora peggio, perché lo sapeva che lì il suo ragazzino era ancora più fragile e vulnerabile.
Per la prima volta in tutta la sua vita aveva perso totalmente il controllo, ogni traccia di lucidità bruciata da una rabbia talmente grande che il suo corpo non aveva avuto speranze di contenere, e da un dolore ancora più immenso che l’avrebbe ucciso se non avesse avuto quello sfogo. Non si era mai comportato così, come un pazzo, uno squilibrato, uno di quelli che aveva sempre guardato con sufficienza e aria di superiorità, ora invece sapeva cosa significasse, e gli piaceva ancor meno. Odiava quella sensazione, era terrorizzato da se stesso perché sapeva di essere spietato oltre la norma: avrebbe potuto uccidere Joy se non fosse stato perché casualmente le sue azioni si erano spinte in un'altra direzione. Aveva ucciso per lui e ora avrebbe potuto uccidere lui!
"Non è vero! Non mi avresti mai veramente fatto del male!!!"
Solo sentendo la voce di Joy, in piedi aggrappato allo stipite della porta, si rese conto di aver espresso ad alta voce il suo tormento.
Joy mosse qualche passo incerto verso di lui, fissandolo stralunato e più sconvolto di quanto l’avesse creduto.
"Luce… non piangere, per favore."
Joy non riusciva a concepire che Lucien potesse starsene rinchiuso lì a piangere da solo per quello che lui, un banale ragazzino che fino a qualche mese prima si prostituiva per le strade, gli aveva fatto: aveva davvero un tale potere su di lui? No, si rese conto che era ancora più incredibile anzi, Luce piangeva per quello che aveva fatto a lui, piangeva per lui! Nessuno l’aveva mai fatto prima. Il suo cuore mancò un paio di battiti e all’improvviso in mezzo al dolore, alla paura e alla disperazione iniziò a danzare la gioia. Lui era davvero importante per Luce, altrimenti era sicuro che non avrebbe pianto, lo aveva reso fragile, lui a Luce! Fino al punto di poterlo ridurre così… ma allora poteva anche riuscire a farlo sorridere e a renderlo felice… nessuno si era mai aspettato tanto da lui, nessuno lo aveva mai voluto così… era inebriante e spaventoso. In quel momento non desiderava più farsi perdonare, ma semplicemente riuscire a lenire il dolore che leggeva nell’altro. Consolarlo ed essere forte per lui non per se stesso.
Lucien alzò la mano, e se la passò sulle guance, fissando stupito le strisce umide rimaste sui polpastrelli, non si era accorto nemmeno di piangere, inebetito rialzò lo sguardo su Joy.
"… In fin dei conti cosa hai fatto?" riprese a parlare sommessamente il ragazzo, "Hai voluto fare del sesso, quello per cui mi hai preso fin dall’inizio in fondo. Forse sei stato più rude del solito, ma lo sai che in tutta la mia vita tu sei stato l’unico a preoccuparsi di me e di farmi godere mentre stavamo a letto insieme? Se per una volta non ci hai pensato non mi sono di certo spezzato, ho sopportato di peggio puoi starne certo, da gente a cui di me non importava nulla e ne sono uscito indenne…"
"Smettila! Lo sai benissimo che non stiamo parlando di sesso più o meno rude, io ti ho stuprato, questa è la realtà, e l’ho fatto perché volevo umiliarti e ferirti. Desideravo spaventarti… io che pensavo di amarti…"
Adesso anche Joy piangeva, tremando e singhiozzando sommessamente.
"Be’ non ci sei riuscito… anzi no ci sei riuscito benissimo, ma non in quella camera da letto! Ci sei riuscito ora… perché… perché… tu non mi vuoi più! È questa la realtà, vero? E io non voglio… non voglio che tu mi mandi via... Io… io devo stare con te!"
"Stai tranquillo Joy, anche se il nostro accordo non è più valido non ti dovrai preoccupare di nulla, in banca a tuo nome c’è già un deposito con parecchi soldi in più rispetto alla cifra pattuita, il denaro non sarà mai più un problema per te, potrai scegliere di fare tutto quello che vorrai, hai la mia parola, almeno in questo sono sempre stato sincero." Già aveva mentito sulle intenzioni ma almeno sui fatti era sempre stato onesto all’idea originale.
"…e dove andrò a vivere…" balbettò Joy, con gli occhi enormi nel visetto pallido.
"L’attico per gli ospiti che ti era così tanto piaciuto il giorno della festa è già intestato a te e i domestici hanno l’ordine di rimanere in servizio fino a tue esplicite indicazioni contrarie, quindi non sarà un problema, non sarai solo, se vorrai ci sarà sempre qualcuno…"
"Non sarò solo!!! Mi cacci via e mi dici che non sarò solo? Non me ne frega niente né dei soldi né di quel fottutissimo appartamento miliardario: non li voglio! Hai capito? Io voglio restare qui. Voglio solo stare con te!"
Era la prima volta che si lasciava andare così in vita sua, ed era spaventato e arrabbiato. Lucien era più importante di tutto il resto in quel momento: avrebbe fatto e detto qualunque cosa perché l’altro non lo allontanasse. Senza pensarci gli si buttò addosso stringendolo, abbracciandolo con una disperazione che credeva impossibile rapportata ad un altro essere umano.
Quando sentì le braccia esitanti dell’altro muoversi, e temette che volesse allontanarlo, gli si pressò ancor più contro se possibile, invece gli si strinsero attorno e lui si lascio totalmente andare assaporando quel calore e quel senso di meraviglia per quegli attimi fuori dal tempo e dallo spazio.
È Lucien quello che mi sta abbracciando. Lucien… Lucien…quelle parole che si ripetevano come un litania nella sua testa erano tutto quello a cui riusciva a pensare.
Non gli avrebbe mai consentito di mandarlo via, lui voleva restare e perdio quella volta non avrebbe permesso a niente e nessuno di decidere per lui, avrebbe usato tutti i mezzi necessari...
Lucien era allibito, confuso, possibile che tutta quella incredibile distruzione li avesse portati vicini invece di separarli come aveva temuto? Joy avrebbe dovuto odiarlo, lui al suo posto l’avrebbe fatto, ed invece era lì a supplicarlo di tenerlo con sé… supplicarlo come non aveva mai fatto! Ora che avrebbe dovuto essere lui a scusarsi per aver reagito come un pazzo. Joy che fino a quel momento avrebbe venduto pure sua madre per un cent era pronto a rinunciare ad una fortuna pur di stare con lui. Joy, duro ed orgoglioso, che mai una sola volta in tutti quei mesi aveva chiesto affetto o tenerezza, lo stava implorando di tenerlo con sé. Ora che lui aveva deciso di lasciarlo veramente libero, nonostante la sola idea gli facesse esplodere il cervello e il petto, e gli offriva la vita che aveva sempre desiderato senza condizioni di sorta, ora Joy sceglieva l’esatto contrario, sceglieva lui, quando per tutto quel tempo aveva cercato inutilmente di legarlo a sé…
Se era un sogno sperava di non svegliarsi ancora, già lui che detestava crogiolarsi nelle illusioni in quel caso si augurava di poter sognare per sempre, sarebbe stato felice così. Non era un vigliacco però, e non poteva negare a lungo la realtà, così si risolse a sottoporre apertamente quell’infido quesito a Joy che se ne stava ancora in braccio a lui sul divano.
"Non mi odi per quello che ti ho appena fatto? Pensi davvero di riuscire a dimenticarlo e a perdonarmi?"
"Odiarti? Io? Non ci sono riuscito nemmeno quando avrei voluto, ora perché dovrei? E perdonarti? Cosa? Non capisco cosa mi stai chiedendo?" improvvisamente di nuovo preda del panico Joy si agitò, "Vuoi ancora mandarmi via? È questo che vuoi ti perdoni? Io… io… no… no non puoi farlo, non… credevo…"
"Sssh no, amore no, non ti mando via." Joy lo fissava ancora con sospetto e paura, le labbra tese e tremanti. Tutto il loro orgoglio quel giorno era stato buttato via, non c’erano maschere e finzioni, erano totalmente e semplicemente se stessi, ed entrami molto delicati. Si muovevano trai loro sentimenti come tra una preziosa ragnatela di pizzo antico che avrebbe potuto polverizzarsi tra le loro dita se solo avessero sbagliato un gesto.
"Non ti mando via, se tu vuoi restare, la scelta è solo tua. Ma veramente non hai mai creduto nemmeno un momento di essere tu ad aver diritto a delle scuse per il mio comportamento? Nemmeno per un attimo hai pensato di dover essere tu a perdonare me?"
Luce era esterrefatto, ma non più di quanto lo fu Joy nel sentirsi rivolgere quella domanda.
"No." Rispose deciso scuotendo la testa. "Tutto è cominciato per colpa mia, se non… se non mi… fossi comportato così oggi tu non avresti reagito in questo modo…"
Luce non lo lasciò finire e stringendolo delicatamente a sé lo baciò sulle labbra, sul viso, cullandoselo pervaso da un’incredibile senso di felicità mentre Joy si aggrappava a lui accarezzandogli i morbidi capelli scuri che si arricciavano ribelli sulla nuca.
"No, definitivamente non ti avrei lasciato andare nemmeno se lo avessi voluto, ti avrei cercato e alla fine ti saresti impietosito di un povero vecchietto come me e mi avresti consolato." Gli mormorò nell’orecchio tra un morsetto e l’altro. Joy sorrise tra sé, proprio non ce lo vedeva Lucien vecchio, con il suo fisico elegante e potente sarebbe stato uno schianto anche a ottant’anni, e nemmeno lo poteva immaginare nelle vesti di chi avrebbe suscitato pietà. Non era più un eroe irraggiungibile, quel confronto tra loro gli aveva svelato una parte molto più vulnerabile di Luce, ma forse proprio grazie a quella scoperta si sentiva più sicuro di quello che provava. Sapere che anche il suo impeccabile amante era un essere umano con delle insicurezze che lui poteva lenire gli offriva l’opportunità di combattere l’atavico senso di inadeguatezza, lo portava un pochino più al suo livello anche se le sue di insicurezze erano ben più gravi e radicate.
"Smettila di prendermi in giro, poi hai solo una decina d’anni più di me."
Luce sorrise scompigliandogli i capelli.
"Veramente sono tredici, ma ho come l’impressione che occuparmi a tempo pieno di te mi farà invecchiare rapidamente… E adesso cosa c’è? Cosa gira in quel tuo imprevedibile cervellino? Mi sembra di poter vedere tutti gli ingranaggi muoversi a pieno ritmo."
"Niente, mi chiedevo come mai ci sono già un deposito bancario, e un appartamento intestati a me…"
Lucien lo fissò qualche instante poi si decise a spiegarglielo. "Vedi qualunque cosa fosse successa tra noi, o a me, volevo essere certo che tu riuscissi cavartela e avessi tutto quello che potevi desiderare. La verità è che dal momento in cui ti ho portato qui a casa mia tu non sei mai stato il mio giocattolo, sei sempre stato il mio preziosissimo amante. Quando ti ho proposto il contratto, l’idea principale non era quella di poterti avere nel mio letto, quello avrei potuto averlo molto prima, il tutto era solo un espediente per tenerti con me e provare a costruire un qualsiasi tipo di rapporto basato almeno sulla stima e sulla fiducia."
Gli occhi di Joy brillavano come due stelle mentre si agitava nel suo abbraccio per poterlo stringere meglio.
"Ti voglio bene Lucien."
"Anche io ti voglio bene, scricciolo." Rispose ricambiando la stretta con passione.
Una smorfia di dolore sfuggi a Joy, e non passò inosservata a Lucien, che contrito si affrettò a sollevarlo delicatamente per risistemarselo meglio addosso la schiena contro il suo petto, le teste, una bionda e l’altra bruna, vicine in dolce intimità.
"Ti fa male, vero? Mi spiace terribilmente…" mormorò mortificato guardandolo.
Joy sorrise rassicurante.
"Un pochino, ma non è niente di grave, se mi abbracci non lo sento nemmeno." Arrossì leggermente imbarazzato, non avrebbe mai creduto di poter dire una simile frase melensa eppure gli era venuta totalmente spontanea, aveva un assurdo desiderio di coccole e romanticherie, di tutte quelle smancerie tipiche degli adolescenti innamorati, quelle che non aveva mai avuto. Voleva tornare a casa con stupidi regalini per Luce e buttarsi tra le sue braccia, voleva essere corteggiato e sedotto, e anche sedurre, c’erano tante nuove possibilità per loro, e non voleva farsene sfuggire nessuna per timidezza o vergogna, non avrebbe più permesso al suo stupido orgoglio e ai luoghi comuni di impedirgli qualsiasi slancio, d’ora innanzi si sarebbe concesso tutto quello che poteva renderlo felice, si trattasse di un bacio, di un abbraccio o di un pianto. Con Lucien non avrebbe più finto di essere indistruttibile e invulnerabile con lui sarebbe semplicemente stato se stesso, sincero…
Presa quella decisione Joy decise di metterla in atto da subito, spezzando il silenzio complice dell’intesa appena nata.
"Lucien…" iniziò esitante, "non arrabbiarti, però volevo dirtelo… no no, non cerco di giustificarmi, solo di spiegare," aggiunse precipitosamente, "con quel tipo oggi…" deglutì sentendo l’uomo che amava irrigidirsi sotto di lui, ma doveva parlare, spiegargli, "non sono andato fino infondo." Sospirò desolato. "Mi dicevo che l’avrei potuto fare, ma la verità è che mi ha fatto schifo ogni singolo istante. Ogni volta che mi si avvicinava dovevo trattenermi dal non scansarmi, mi faceva orrore e ribrezzo, l’idea che potesse toccarmi mi rivoltava lo stomaco, ma avevo ancora più paura di quello che significava, perché solo con te era bello fare l’amore, solo con te lo desideravo e solo tu mi avevi fatto provare il vero piacere, e allora quando tu ti fossi stancato di me io non avrei avuto più nulla… volevo convincermi che niente fosse cambiato per me, che potessi fare a meno del tuo calore, perché era finto ed ero solo io a vedercelo, non mi ci dovevo abituare, perché il sesso sarebbe sempre dovuto essere solo lavoro. Non qualcosa di bello, no doveva essere qualcosa di sporco come la prima volta quando mi avevano stuprato… Ma mentivo sai, mentivo! Perché con te non è mai stato un obbligo. Ti ho desiderato tanto, ti ho desiderato al punto di cercarti, e di fare in modo che tu mi volessi, o cercato di sedurti… all’inizio pensavo semplicemente si essere inebriato dal piacere che tu mi davi, ma ogni volta che tu non mi dedicavi attenzione io stavo male, ogni volta che rientravi tardi mi chiedevo con chi fossi stato, perché il nostro contratto prevedeva solo che io non avessi altri clienti, non che tu fossi fedele a me. Ogni volta che ti vedevo in compagnia avrei voluto far sparire tutti, perché quella gente sapeva di cosa parlare con te, come attirare la tua attenzione e tenere desto il tuo interesse, io sono talmente stupido e ignorante invece che con me non puoi discutere di niente…"
A quel punto Lucien non ce la fece più e lo interruppe, zittendolo con un bacio dolce e intenso.
"Non lo dire mai più Joy, primo tu non sei affatto stupido, tu sei intelligente e sensibile, e molto dolce, stare con te non è mai noioso. Tu sei la creatura più deliziosa che io conosca, anche quando mi fai ammattire con le tue bravate e disperare con i tuoi capricci. Non hai nulla a che vedere con la gente che frequento è vero, ma solo perché tu sei qualcosa di unico e molto più importante, non hai mai avuto motivo di sentirti geloso, o inferiore. Non lo dire mai più. Ora baciami in modo che io possa ricordarmi quanto sono fortunato ad averti qui con me, io invece ti bacerò per ricordarti che ormai sei mio e per nessuna ragione al mondo ti permetterò di scappare da qui."
Joy rise felice per la prima volta dopo tanto tempo; nessuna nuvola offuscava più il suo sguardo e con gioia assecondò la richiesta del suo unico amante.