Gioco d'azzardo parte IV - Domande di Xetide
Un flebile, delizioso sospiro colorava di vapore perlaceo l’aria, saturandola di un voluttuoso calore assieme a quei gentili fruscii nascenti da invisibili lenzuola scivolose... un’indefinibile fragranza succosa agitava le proprie nebulose ali violacee sorvolando, indagatrice, la piccola stanzetta sfocata.
Con le palpebre socchiuse e il brillante capo gettato all’indietro, il ragazzo lasciò fuoriuscire dalle morbide labbra gonfie di passione un fioco, languido gemito di piacere e le sue lunghe dita bianche e affusolate diedero vita ad un sinuoso disegno illusorio, tracciato su un’imperlata superficie brunita, fluendo verso due braccia scolpite e mollemente affondate nel materasso cigolante. I tiepidi polpastrelli andarono a sfiorare, leggeri come le piume di un angelo, i sodi bicipiti percependo piacevolmente la statuaria solidità di ogni plastico rilievo sino ad insinuarsi, stuzzichevoli, entro i palmi rugosi di quelle grandi mani e invitare quest’ultime a seguirli nel loro trepidante viaggio a ritroso. Il giovane condusse quelle lusinghiere dita scure, incatenate dalle sue, ad accarezzare i propri fianchi nudi per far sì che ne accompagnassero la sensuale, ritmica danza imprimendo maggior forza al loro bagnato e ondulatorio movimento, su e giù, su e giù…ed ecco un ansito più intenso della sua bocca rosata mentre le possenti braccia spingevano il suo corpo diafano ad accogliere più in profondità quello tremante che gli giaceva sotto.
L’inquietante tenebra che avvolgeva l’ambiente era soltanto attenuata da pochi e pallidi spiragli di luce lunare, i quali proiettavano il loro stanco riverbero penetrando le rigate fessure di una floscia persiana, per poi andare a posarsi sulla stoffa spiegazzata _ squisito ornamento candido che adombrava il letto al pari di frastagliata spuma bianca increspata sul velo del mare_ e infine deformarsi eccezionalmente in tanti volumi lucenti al momento in cui, ogni sottile raggio, cercava di trapassare la dura superficie di un torace ansimante, di uno stravolto viso accasciato sul gualcito cuscino e di due lunghe gambe che si flettevano sulle ginocchia maculate di sfrangiate ombre…la luna tentava, probabilmente, di ritagliarsi un piccolo e tacito spazio dal quale poter ammirare maliziosamente le membra fuse dei due esseri soffocati da una polposa estasi afosa. Un’impazzita automobile che sfrecciava a tutta velocità oltre la cupola fumosa di quel protetto luogo peccaminoso e la stanzetta fu squarciata dalla corsa frenetica di un lampo fluorescente il quale andò, per una frazione di secondo, ad illuminare i contorni spettrali di un volto affannato…quello del giovane ragazzo ammiccante che si dondolava, con estrema lussuria, a cavalcioni sul basso ventre umido di sudore e sperma di un altro uomo fluttuante sul soffice letto dilaniato. Splendidi capelli corvini rilucenti dell’impalpabile consistenza dell’eros, i quali gocciolavano infinite perle salate lungo l’eburnea gota ora lievemente arrossata; una vellutata pelle di madreperla che diveniva quasi livida nell’esser schiaffeggiata da quel fascio improvviso; due profonde iridi azzurre screziate dal blu notte figlio dell’esplosione di un piacere assoluto…
Un urlo, a malapena strozzato, e la penombra padroneggiava in tutto l’ambiente ora svelato. Il ragazzo lanciò una rapida, confusa occhiata a ciò che lo circondava silenziosamente…ora era in grado di distinguere lucidamente le sagome degli oggetti, a lui cari, che occupavano solennemente posto nella piccola e ordinata camera da letto…la pulita scrivania sgombra, sopra la quale spuntava _ solitario e imbronciato_ lo snello profilo ricurvo di una lampada da ufficio, baciava con il proprio fianco arrotondato la granulosa parete decorata da una liscia mensolina in legno bianco, squisitamente colmata da chiazze multicolori di libri scolastici, che osservava compiacente la faccia bruna di un imponente armadio scorrevole il quale, a sua volta, spiava da uno spiraglio buio ogni più piccolo aggeggio che arredava i lati di quel chiuso locale sornione…ecco che l’immensa, annoiata creatura legnosa scrutava di scorcio un piccolo e ammaccato canestro il quale tentava tristemente di rimanere incollato al muro opponendosi ai lamenti della retina ciondolante che spingeva verso il basso mentre, affianco al tremulo anello, una serie di patinati posters ancora dormienti opprimeva un vasto lembo di parete, soffocandolo con la sudaticcia lucentezza del nastro adesivo. In ultimo, l’arida finestra sbarrata, la quale fino ad ora aveva traspirato la lattiginosa malizia di una invisibile luna, inumidiva sgraziatamente di un riverbero giallo-verdognolo una pelosa moquette e lo stinto letto con sopra l’ancor più stinto viso di un giovane ansante.
Akagi inzuppò gli occhi nella massa liquida tra quelle candide lenzuola imbevute dello struggente ricordo di un miraggio peccaminoso…era successo di nuovo: aveva sognato di far l’amore con Rukawa.
Eppure si stava sforzando con tutto se stesso per togliersi dalla mente quelle sublimi immagini che gli infettavano l’inconscio notturno, ormai, da tantissimo tempo…ma la sua ferrea, buona volontà non era mai bastata a scacciare i mostri lucenti che tornavano ogni notte a tormentare l’agitato sonno dell’ex capitano…ed in particolare proprio quel sogno che lo aveva appena derubato del proprio angelo voluttuoso era lo stesso che aveva sventrato la quiete di Takenori la prima volta in cui il ragazzo, frustrato e sull’orlo della pazzia, si era reso conto di amare un certo Kaede Rukawa, fredda e scostante matricola d’oro del liceo Shohoku.
Che perfido, malsano stupore lo aveva sconvolto alla nascita di quella prima deforme notte portatrice di un effimero e demoniaco fantasma il quale aveva steso il suo pallido manto velato sul sonnolento sguardo di Akagi per poi andarsi ad incamerare, per sempre, entro il suo disarmato cervello al fine di averne l’eterno dominio… Uno squallido, vergognoso stupore quando il ragazzo si era ritrovato magicamente a violare, così esplicitamente, un lascivo corpo maschile che per tante, tante serate tenebrose non aveva avuto nemmeno un volto…
Aveva posseduto un uomo…un uomo… Quante lacrime versate segretamente quando, il febbricitante capitano singhiozzante, si rinchiudeva nel solitario bagno di casa sua per guardarsi allo specchio e scovare quell’ignota e introvabile spiegazione logica che si celava, sicuramente, all’ombra fosca delle sue dannate estasi illusorie…e, con un moto stizzito della forte mascella, troppe volte aveva ruggito contro la propria immagine riflessa per poi sputarvi sopra la propria acida saliva in segno di disprezzo_ maledetto mostro deviato!…troppe volte aveva osservato disgustato il proprio corpo fuorviato che in qualsiasi momento pareva reagire all’abietto incantesimo aleggiante fra quei dolci, squallidi ricordi…mille e mille vuoti pomeriggi grumosi si era sporto dal mesto balcone assolato per adocchiare la morbida forma di un succulento décolleté femminile, per fingere di ammirare rapito il curvo disegno di un polpaccio tornito svelato da una sbarazzina minigonna, per farsi stregare da una svolazzante chioma ricciuta ornata da lucidi nastrini in velluto, ma a nulla servivano le tiepide reazioni del suo prestante fisico: quelle sbiadite eccitazioni da banale routine maschile non significavano proprio niente…l’estasi vera e propria _ quella straziante, avvolgente e turbinante danza dei sensi che distrugge ogni briciola di umanità in chi viene travolto, suo malgrado, dalla sua violenza _ trasudava solo ed esclusivamente da quel delizioso essere che popolava i suoi bramosi sogni…non da altri uomini, non dalle donne.
Tsk! Takenori Akagi, affidabile, maturo, promettente atleta dalle notevoli doti, era innamorato di un sogno…ah ah!...complimenti, sei proprio un pazzo Take!
Purtroppo aveva dovuto accettare quell’insistente capriccio del suo cuore burlone ma, finora, non aveva ancora permesso a questo di intaccare con la sua sporca perversione la stucchevole immagine che egli sfoggiava da sempre dinnanzi agli altri …la stessa che il povero ragazzo aveva creduto ingenuamente essere la sincera retina di cellophane, totalmente trasparente, che rivestiva la sua anima ancor più limpida e priva di anomale macchie…ora però, quel suo onesto ‘io’ equilibrato, retto ed eternamente baciato da un vivido sole, si era sporcato di una fuligginosa ombra nerognola entro la cui nebbiosa, dubbia presenza erano germogliati depravati fantasmi i quali, ora usciti allo scoperto, facevano di tutto pur di distruggere quei solidi e genuini principi in cui il disperato giovane aveva sempre confidato…e cosa c’è di peggio che vedere frantumarsi sotto i piedi lo spesso suolo di quel roseo mondo in cui credevamo di vivere felicemente integrati? E’ difficile trovare il coraggio di osservare cosa si nasconda, veramente, entro l’artificiosa maschera che ci siamo costruiti sul viso per essere accettati dagli altri e da noi stessi… …Ma Takenori Akagi, per tutti, era ancora il grande e grosso ragazzone dal pugno di ferro e dall’animo generoso, giusto e candidamente impeccabile…per ora andava bene così!
Chi mai poteva sospettare che dentro quell’indistruttibile corazza d’acciaio _plasmata pian piano negli anni dalla fusione di sacrifici, dolori, rinunce e vittorie meravigliosamente sudate_ gorgogliasse una sozza gelatina appiccicosa la quale invischiava nelle sue spire velenose infinite e orripilanti paure, desideri inconfessati e peccaminosi, nonché abominevoli brame tutte tese a gingillarsi meschinamente con l’animo e il buon senso, ormai scoppiati, del povero gorilla austero e virile? Nemmeno il delicato e liquido Kiminobu era ancora al corrente di quali acide turbe corrodessero, da tanto tempo, il cuoricino spompato del suo migliore amico…e Akagi non aveva alcuna intenzione di rivelargli quale fosse l’identità segreta di quella ‘ragazza’ la quale, morbosa e innocente come l’Amore stesso, lo destava ogni mattina tramite una vile e insistente eccitazione umidiccia… Oh, il tenero Kogure era sinceramente convinto che il fantomatico spettro, il quale volteggiava scherzosamente attorno al morbido guanciale su cui riposava la testa bruna dello ‘stressato dal troppo studio e dalle infinite responsabilità’ Take-chan, non fosse altri che l’ombra sbiadita di una certa giovinetta _dalla dinoccolata andatura scimmiesca, due screpolate gambette color miele e un paio di insondabili fondi di bottiglia, naviganti in castane pupille molli, semi oscurati da una nerissima chioma eternamente trattenuta da un crocchio dorato_ la quale, sino ad un anno prima, scaldava timidamente un banco da matricola al liceo Shohoku e che in varie occasioni aveva dato prova di fiero coraggio nell’avventurarsi, tutta sola e insignificante, entro gli impervi nebbiosi spazi _aule e corridoi_ occupati dai torvi studenti del terzo anno per scovare la rassicurante e tanto sospirata presenza di quel forzuto omaccione capitanate il team di basket…una scialba mocciosa con l’uniforme eternamente in disordine che alla rosea e zuccherosa luce di un San Valentino gemente aveva schiuso, imbarazzata, le sue grondanti manine a coppa porgendo ad un felice e disperato Akagi un delizioso cuore di cioccolato fondente, il quale si era rivelato essere uno squisito spettacolo per il palato…beh, almeno un qualche essere umano aveva dimostrato un briciolo di passione nei confronti del rozzo, gigante Takenori!
Quanto gli sarebbe piaciuto sentire l’impellente desiderio di abbracciare le fragili e melliflue membra di quella piccola bambinetta e apprezzare, come lei faceva probabilmente nei suoi riguardi, anche solo quella cosa da tutti chiamata ‘aspetto interiore’ e non la brutale bellezza fisica…ma il fantasma di Kaede non gli dava tregua…quella ragazzina non avrebbe mai avuto modo di esistere nella mente di Akagi. E Kiminobu continuava fiabescamente a riferirsi a ‘lei’ come alla perfetta dolce metà lanciata miracolosamente, giù da una nuvola, da un bonario Fato il quale era tutto impegnato a colmare quel microscopico, nostalgico vuoto che strideva nell’essere stesso dell’amico insoddisfatto, incastrandovi dentro uno scivoloso e placido amore femminile atto a ridonare sicurezza, quiete e una maggiore stabilità alla giovane esistenza di Akagi…oh, ma cos’erano quei ghigni schifati sulle labbra dell’ex capitano?…non era forse quella piccola fanciulla l’isterica abitante dei suoi sogni?…eppure, in un intero anno, la sudicia e zoppicante ranocchia si era trasformata in un florido e ammiccante, anche se tuttora acerbo, fiore seducente!…le languide membra, eroticamente danzanti nelle notti più cupe, appartenevano di sicuro alla stessa limpida adolescente che tempo prima si schiacciava i mille foruncoletti gialli nel gabinetto della scuola…e allora perché il timido Take-chan non si faceva avanti? L’unica cosa saggia che poteva fare era precipitarsi, dritto e spavaldo, su per la turbinante scalinata dell’ex liceo per poi intrufolarsi nella tanto agognata aula di seconda e, infine, inginocchiarsi ai piedi della candida principessa per sciorinarle una romantica poesia ispirata ad una di quelle lussuriose visioni notturne…certo, certo Kimi-chan… Peccato che la sola cosa che Akagi notò con interesse, scorrendo gli allucinati occhi_ offuscati dall’odore stomachevole del cioccolato che si sbrodolava sul consumistico giorno degli innamorati_ sull’arruffata figurina dall’unta pelle rancida, la quale si arrovellava in lusinghieri piegamenti al suo poderoso cospetto di senpai, fu la minuscola targhetta in brillante metallo che decorava, un po’ storta e insudiciata d’impronte, la camicetta bianca della divisa femminile riflettendo di striscio una finissima scritta a rilievo…classe 1L…toh, così quella fiduciosa scimmietta, che gli aveva pure avviluppato il muscoloso bicipite con l’esile stretta bagnata delle sue braccia, era una compagna di classe di Kaede Rukawa…dello stesso, irraggiungibile Kaede Rukawa che, già da allora, aveva dato uno scandaloso significato ai neri miraggi del talentuoso centro…già da allora, caro e altruista Kimi-chan…già da allora!
Fai veramente pena, sai?...grezzo primate al quale solo per sbaglio ti è stato assegnato un nome da essere umano…takenori Akagi…fai pena, pena, ribrezzo!
Che disgustoso, squallido bugiardo era diventato!...Un infido e viscido ipocrita che congetturava all’ombra dei propri loschi segreti, storpiandone la reale natura persino di fronte al suo preziosissimo migliore amico_ il quale, solidale come un santo, era disposto a porgere la sua calda stretta di mano a chiunque_ per poi contraddirsi crogiolandosi di beato orgoglio nelle confessioni private dello stesso, e storcere il naso in segno di disprezzo nel non sentirsi del tutto partecipe della sua vaporosa intimità (quando lui, a Kiminobu, cosa mai era riuscito realmente a sconsacrare?)…ma, del resto, come avrebbe fatto a svelare ai limpidi occhi del delizioso Kogure quali tristi mostri si agitassero, con tanto sofferente fervore, entro l’impolverato armadio della sua eccitata camera da letto? E la sua più folle paura non risiedeva, tanto, nell’ovvia vergogna la quale gli avrebbe dipinto il volto di porpora al momento della scioccante rivelazione…e neanche in una improbabile risata derisoria da parte di un ‘troppo magnanimo’ Kogure, il quale non avrebbe mai e poi mai osato schernire quella sua celatissima, superficiale ‘diversità’…il terrore stava proprio nel sentirsi rivolgere calorose parole d’incoraggiamento balbettate dall’amico che, totalmente spiazzato e colto da un incontenibile sentimento di caritatevole pietà nei confronti di Akagi-innamorato, non sarebbe stato in grado di sputargli in faccia quella crudele verità che, comunque, svolazzava lucente sotto gli occhi di tutti: il goffo e rude gorilla non avrebbe mai fatto breccia nel cuoricino ghiacciato del bellissimo, frigido e privo di anima Kaede Rukawa.
Oh… chissà che artificiose e contorsionistiche favole sarebbero state sbrodolate dalle labbra ristrette di Kiminobu…quante patinate illusioni, plasmate dalla pacata voce del giovane occhialuto, avrebbero punzecchiato il delirante buon senso dell’ex capitano per farlo capitolare definitivamente e indurre il ragazzo a gettarsi in una guerra suicida tesa alla conquista di una preda irraggiungibile…già… …Del tutto assuefatto nella propria stucchevole immagine permeata d’immacolata bontà d’animo, Kogure, conteso tra la violenza distruttrice della sincerità più schietta e la delicata, leccata generosità di una ingenua bugia da dirsi sulla punta della lingua, avrebbe solamente contribuito a dilaniare ancor di più la già lacerata scorza dolente di Takenori il quale, dopo essersi sinceramente convinto di poter in un qualche modo ottenere l’amore della sua dolce chimera, sarebbe morto di delusione, rabbia e amarezza nel constatare quale effettivamente fosse l’orribile verità… Tsk, e magari il ragazzo, spinto da una qualche morbida sviolinata dell’amico, si sarebbe pure presentato, con la sua miglior faccia tosta e le labbra impastate di patetiche frasi imparate a memoria, al cospetto della statuaria figura di un Kaede (sopracciglio arcuato ad indicare un lieve stupore) il quale con la sua sarcastica, sordida e oscena consuetudine non avrebbe fatto altro che squadrare di scorcio l’impazzito senpai farneticante per poi sibilare un atono “ ma sei scemo” _ ovviamente privo di punti interrogativi ed esclamativi!_ e infine girare tranquillamente i tacchi e ritornarsene da dove era venuto per approfondire un ammiccante incontro proibito con Morfeo…
Guarda, “niente paura” avrebbe tartagliato un ‘finalmente sollevato dal peso di una coscienza imbrattata’ Kogure, “il mare è pieno di pesci, Take…vedrai che troverai presto un’altra persona per la quale assillarti!…dai, in fondo non hai proprio perso niente: un tizio indisponente come Rukawa non è sicuramente degno di farsi amare da un bravo ragazzo come te…eh eh..” _
Menzogne tessute su altre menzogne…chi non era realmente ‘degno di esser amato’: la volpe polare o lo sgraziato scimmione passionale e insipido?… e l’ormai svuotato Akagi avrebbe pure dovuto far credere, al proprio bugiardo coinquilino, che le belle scuse di consolazione da questo rivoltegli bastassero a dare un calcio alle proprie infrante illusioni e a sgretolare, con un colpo di spugna, ogni piccolo miraggio splendete raffigurante un incantato futuro, costruito intorno alla coppia Kaede-Takenori, il quale aveva da sempre saltellato brioso lungo la fitta ragnatela di deliranti congetture che opprimeva il suo cuore speranzoso e schifosamente ingannato. No, non doveva andare così…e poi, come avrebbe mai potuto rendere partecipe un altro essere umano dell’incandescente girotondo di sensazioni entro cui, il ragazzo, vorticava tutto intontito e stracolmo di amore per quella squisita ala piccola che giocava felice e vogliosa sul suo corpo estasiato nelle sue brumose notti contorte?
Chi mai avrebbe compreso quale impaziente, epilettica aspettativa avesse covato in seno l’ex capitano al momento in cui si era coricato nel suo caldo letto, galleggiante su una rossa melma peccaminosa, per starsene zitto e allerta al fine di riuscire a sbirciare, almeno una volta, l’accaldato volto del suo ricorrente sogno gemente? Ah, che abominevole strazio lo aveva pugnalato per mesi e mesi nel non poter scorgere a chi appartenessero quelle stuzzichevoli dita chiare le quali esortavano il corpo del dormiente Akagi a danzare più veloce e con maggior vigore…quale tanto atteso, piacevole shock quando quel flash abbagliante aveva finalmente svelato chi fosse realmente quel sinuoso serpente che si divertiva a procurare insalubri e conturbanti orgasmi al suo sciolto sonno violato… Rukawa…Kaede Rukawa…
Il suo tenero amante notturno non era altri che quell’antipatico e indolente marmocchio verso il quale l’ex numero 4 aveva, da sempre ed inspiegabilmente_ da sempre ed inspiegabilmente_, provato una cieca e incondizionata ammirazione…lo stesso ghiacciolo indisponente che con la sola bellezza dei suoi preziosi occhi era riuscito a calamitare sulla propria elegantissima persona gli sguardi invidiosi e innamorati di tutti…soprattutto lo sguardo infuocato da frustrata lussuria di un certo ‘capitano Akagi’… …ah, quella nostra prima sfida…tu così maledettamente conturbante mentre saltavi per sottrarmi la palla dimostrando a tutti _ e anche a me, lo so!...anzi, forse più a me che agli altri…al tuo capitano_ che d’ora in avanti saresti stato tu colui al quale portare maggior rispetto…saresti stato tu l’infallibile asso dinanzi al quale tutti avrebbero dovuto inchinarsi come schiavi…tu!...una matricolina!...un bamboccio di sedici anni!tsk… Tu…tu che sei l’unico il quale può permettersi di dettar legge, poiché nessuno ancora è riuscito nell’impresa di sconfiggerti…neanche quel dannato infortunio! Tu…tu che ci hai stregati tutti… Tu che sei il mio segreto più intimo che io tengo rinchiuso entro quella parola che non ho il coraggio di pronunciare… Amore.
Kaede, Kaede…chissà quale occulta stregoneria aveva sapientemente esercitato, su di lui, quel demonio dalle iridescenti ali piumate e con una scura corona di spine sospesa sul capo corvino? Come diamine aveva fatto quell’assurda creatura distorta a manipolare, in maniera così oltraggiosa e irreversibile, ‘l’un tempo’ retta e rosea vita di Takenori andando persino a profanare il suo inconscio più remoto? Per quale ragione il razionale autocontrollo dell’imponente senpai sfrigolava e si corrodeva, così impietosamente, al sol sentir pronunciare dalla voce polifonica del vento quello squisito nome ambiguo?… quell’adorabile, odioso volpacchiotto era indefinibile e vago pure nella sua più superficiale apparenza: aveva un candido nome femminile, il capriccioso tesoro!
Perché l’eccitazione era così forte e dolorosa?…e per quale assurdo motivo la sua grande mano bronzea si stava già spianando la strada, vergognosa e tremante come una foglia secca, all’interno dei grigi boxer madidi di sudore? La sensazione asfissiante che Akagi avvertiva nel non percepire accanto al proprio corpo il calore profumato di colui il quale era divenuto ‘la sua ossessione’ era troppo, troppo violenta…i minuti volavano, impazienti di dissolversi nella rarefatta mattina, e portavano via con sé gli ansiti spezzati del folle ragazzo rannicchiato sotto le lenzuola appiccicose…e gli afosi lamenti si tramutavano in disperate grida sorde trattenute, il più possibile, in un torbido nodo stretto in gola, e poi lo sperma sofferente cominciò a colare miseramente tra le dita strette a pugno andando a sconsacrare, ancora una ripugnante volta, la triste stoffa malconcia…
Dopo un intero anno trascorso distante da casa _in cui il ragazzo aveva naufragato, continuamente, fra la felicità miracolosamente ottenuta nella nuova squadra di basket e l’insonnia più dilaniante sul suo letto impregnato di languidi incubi_ Takenori aveva ormai chiaro il fatto che dimenticare Rukawa sarebbe stato impossibile…ed era stata vana la fresca, ingannevole speranza la quale lo aveva convinto che quei dannati sogni potessero, col tempo e grazie ad una provvidenziale lontananza dall’oggetto dello sporco piacere, placare la loro tediosa irruenza ed assopirsi pian piano, donando un po’ di rassegnata ma placida pace alla mente dell’ex capitano…invece, purtroppo, la fanatica attrazione verso l’ignaro kohai bruciava ogni giorno di più…
Attrazione…attrazione…
“_E’ inutile che ti affanni in questo modo…quella che senti per LUI è solo ‘attrazione fisica’…_” le parole sputate il pomeriggio precedente negli spogliatoi da un ironico Mitsui, tutto intento ad infilarsi sul torace un’attillata maglietta che gli conferiva un tipico aspetto da ‘duro’, erano arrivate come uno schiaffo.
Akagi stava mestamente seduto sulla dura panca in legno chiaro, immerso con l’ampia schiena ricurva entro la soffice fragranza della sua stessa giacca appesa al muro; il suo stanco sguardo stava viaggiando per conto proprio_ totalmente scollegato dall’asimmetrico e isterico gesticolare delle mani impegnate a sfilare un calzino sudato_ nel delicato passato appena trascorso, andando a rivivere con voluttà strascicata quello sfuggevole attimo in cui le sue dita si erano impossessate della tiepida anca di Kaede…ed ecco la tagliente voce di Hisashi, imbevuta di un sottile e sgradevole cinismo, che gli penetrava il cervello.
“_Che diavolo intendi insinuare, Mitsui?!…di che cosa stai parlando?!_” Non era nemmeno riuscito ad affrontare il suo interlocutore guardandolo in volto.
“_…andiamo, Akagi!Non fingere di non capire!…sai benissimo a cosa mi riferisco…credo che abbiano notato tutti quell’insistente carezza da parte tua!Non sei riuscito a resistere alla tentazione, vero?_”
Un imbarazzato silenzio dalle labbra dell’ex capitano.
“_…oh, guarda che non ti biasimo mica: anzi, ti capisco perfettamente!…chi non vorrebbe, come te, una deliziosa creaturina con cui gingillarsi comodamente per sfogare i propri animaleschi istinti?!…una fredda bambola che si lasci tranquillamente toccare senza batter ciglio, poiché totalmente indifferente a ciò che le accade intorno…ah ah ah…sì, Rukawa è proprio un bel soprammobile da tenere sempre, a portata di mano, sul comodino accanto al letto!…sai, non ti ritenevo così furbo e perspicace nelle questioni riguardanti il sesso…complimenti…ah ah ah!!_”
Takenori non ci aveva visto più: il suo poderoso pugno si era abbattuto, furioso e gemente, sulla mascella sfregiata di quel viscido serpente il quale aveva osato coprire d’infamia la persona che amava _ che ringoiasse le sue velenose accuse, il dannato teppista redento! “_Brutto stronzo…con quale diritto ti permetti di giudicare i miei sentimenti?! Che cavolo ne sai, tu, di quello che realmente provo per Kaede?!…te lo dico io: un bel niente!...Che… Cosa ti dà il coraggio di affermare che il MIO AMORE si risolve tutto in una sozza attrazione fisica?!…Credi che tutti siano uguali a te, Mitsui?…che TUTTI riescano a trovare soddisfazione solo nell’usare un qualche bel corpo disponibile per poi gettarlo gioiosamente nella spazzatura, come sei solito fare tu con le tue povere vittime?…ti sbagli, mio caro… non comprendi un accidente di me…non sai del totale desiderio, sia fisico che spirituale, che mi soffoca quando sono accanto al mio angelo!…io lo amo, capisci? LO AMO!...Amo tutto di lui: da…dai suoi spregevoli atteggiamenti boriosi ai suoi glaciali sguardi indagatori…quella lieve sfumatura che colora la sua voce profonda mentre prorompe con un ’ deficiente’ rivolto a Sakuragi…a…adoro la maniera con…con cui muove i polpastrelli per scostarsi una ciocca impertinente dai suoi limpidi occhi blu…io…venero il contrasto impressionante fra la divina nobiltà dei suoi gesti e la grezza volgarità delle sue parole…e, e, non ti permetterò mai di sottovalutare Kaede…tu non sai niente di lui!!…NON LO CONOSCI!_”
Uno scatto improvviso e furente da parte di Hisashi e Akagi finì per ritrovarsi, stupito e deluso, sbattuto malamente al muro e artigliato al collo della maglietta da due mani palpitanti.
“_PERCHé TU Sì, FORSE?!…dimmi, hai mai parlato al tuo fantomatico amore per più di qualche minuto, e di argomenti diversi da formali strategie da adottare sul campo di basket?!…se sei convinto di leggere così bene entro la scorza ghiacciata che quell’orso scorbutico sfoggia gloriosamente, allora saprai sicuramente illuminare anche me _ dato che Rukawa non mi è mai parso molto trasparente_ su cosa accidenti ci sia, di tanto sublime, in lui…forza, spiegamelo! Tu e lui siete talmente intimi da comprendervi soltanto tramite gli sguardi, per caso?…scusa tanto, ma a me non è mai sembrato che in lui ci fosse anche un minimo interesse ad interagire con te!...a lui non frega niente di te!..._”
Akagi strabuzzò le pupille in un tenebroso moto di disorientamento, sconforto e terrore…violenti, crudi ma veritieri mostri trasudavano dalle stridule ammonizioni del suo amico il quale, come al solito, era stato in grado di pizzicare proprio quel tasto dolente che l’allucinato Takenori non aveva più sfiorato, già da tempo, seppellendolo sotto la pesante coltre spumosa di quel sentimento che si era egli stesso pian piano costruito nel cuore.
“_…mi spiace dirtelo ma, credimi: l’unico desiderio che una persona normale potrebbe provare nei confronti di Kaede Rukawa è quello di sbatterselo brutalmente sino a farlo piangere dal dolore…per capire se, almeno sotto la pressione della sofferenza fisica, quel frigido ragazzo sia capace di versare una qualche lacrima variando finalmente quell’antipatica espressione che gli sta sempre incollata al viso! Lui è solo una bella statuina di terracotta completamente vuota!...te ne rendi conto?...Take-chan, penso che tu ti sia impegolato in illusioni fin troppo rosee…e, se riuscissi a farti un serio esame di coscienza, probabilmente ti accorgeresti di aver idealizzato esageratamente sia l’apparenza che di lui percepisci sia quel tuo indescrivibile moto d’affetto che ora pensi sia vero amore…Tu NON AMI Rukawa…ami solo l’idea che ti sei fatto di lui!_”
Akagi aveva fissato, per un lungo attimo, le stizzite mani che gli costringevano il collo…nel silenzio più spettrale… …poi, dopo aver posato le dita, ancora inumidite dalla tremula rabbia appena consumatasi, su quelle rattrappite del suo interlocutore, dalla fronte grinzosa e accesa da una profonda ruga isterica, applicò sulla loro ruvida superficie una lieve carezza la quale indusse l’affannato Mitsui a mollare la poderosa presa.
“_…Fiu…ora basta, Hisa!…siamo veramente ridicoli a litigare come due stupidi bambini capricciosi!…e nessuno di noi ha il diritto di sentenziare, così spudoratamente, su una persona con la quale non abbiamo che un freddo rapporto formale… Però voglio solo metter bene in chiaro una cosa: purtroppo, invece, so cosa sta succedendo dentro il mio cuore, e sono paurosamente consapevole di quale incasinato sentimento percepisco proprio per quel ragazzo con il quale, effettivamente, non ho mai nemmeno avuto una banale conversazione… ma ti assicuro che non sono innamorato, come tu affermi, di un Kaede idealizzato nella mia mente…perché, io…io sono certo che il vero Rukawa sia proprio come quell’essere per il quale sarei disposto ad uccidere…lo sento fin dentro al midollo: LUI è l’immagine deliziosa che affolla continuamente i miei sogni disperati…non può essere altrimenti!! LUI è COSì!!…lo capisci, questo?!…vorrei che tu avessi fiducia nell’onestà del mio interessamento…_” Takenori puntò gli occhi, ormai liquidi, in quelli bassi e offuscati dell’amico silente, il quale scosse piano la testa con fare rassegnato.
“_…allora, caro il mio ‘Gori’, preparati a soffrire dei tuoi stessi miraggi infranti…perché, purtroppo, avrai parecchie lacrime da versare…_”
Dopo quelle profetiche parole, Hisashi donò un caldo abbraccio fraterno al proprio coetaneo, stringendolo per qualche rapido istante come a volerlo confortare dall’inevitabilità di un Destino ingrato, per poi sparire oltre l’assolata soglia dello spogliatoio con tanto di occhiolino strizzato.
“_…sto già malissimo, Hisa…_” Un flebile soffio dissoltosi nel corallino tramonto.
Così, Mitsui si era accorto del suo patetico turbamento… All’ex capitano sfuggì un affettato ed esasperato sorriso…in effetti, chiunque avrebbe potuto avvedersi di quale vorticosa eccitazione si animasse intorno all’essenza stessa del malinconico ‘gorilla’ voglioso, ma quell’asociale creatura evanescente dalla levigata pelle d’avorio non avrebbe mai notato nulla…dannatissima fortuna nella sfortuna!!
Il ragazzo lottò, per qualche minuto, con le spiritose lenzuola viscose_ le quali parevano non volersi più sciogliere dallo stravagante groviglio con cui erano riuscite ad avvinghiare il corpo bruno_; si drizzò lentamente in piedi e scagliò un’altra imbarazzata occhiata al vaporoso giaciglio appena abbandonato…un vero disastro!…uno svolazzante amplesso di assatanati fantasmi i quali giocavano a nascondino uno sotto il vestito bianco dell’altro e flirtavano maliziosamente, come bambinetti curiosi di sperimentare un primo piacere, riversando la loro sozza passione insudiciando il lindo materasso di sospette macchie perlacee, che già si stavano incrostando miseramente…
Una macchiolina incrostata sull’animo di Kaede…tsk, probabilmente il traballante Taenori Akagi non era altro che quello!
Con malcelato disgusto, raccolse quei pacchiani mostri chiari per gettarli nel cesto dei panni sporchi e, per un secondo ancora, gli parve di udire le loro stridenti vocine che seguitavano a burlarsi della sua impacciata persona …”Santo cielo, Take-chan…guarda cos’hai fatto…vecchio, illuso e solitario sporcaccione!!”
L’alta specchiera dagli spartani bordi rettangolari _ la quale era tacitamente rimasta nella dormiente ombra sino a venire scovata dal sole avanzante, che ora prorompeva spavaldo quasi trapassando le persiane_ osservava ammutolita la scena, riflettendo tramite la sua scivolosa superficie argentea la massiccia nudità del ragazzo che, al momento, cercava goffamente di raccattare un calzino dispersosi sotto il letto all’occidentale.
Akagi fissò il piatto sé stesso tutto incorniciato da quello svergognato mobilio, come si sentisse grossolanamente divorato dalle venose iridi a ‘palla’ di un voyeur felicemente intento a masturbarsi nel buio… Beh, in fin dei conti, l’imponente immagine specchiata poteva dirsi quella di un uomo prestante…icona non tanto di un modello fisico finemente e poeticamente ricercato ma, piuttosto, raffigurante un insieme di forme le quali armonizzavano fra loro grazie a tutta una serie di pregi e difetti che conferivano, effettivamente, una nota di rude fascino all’austero giovane riflesso… Due nervose spalle ampie, ora stancamente ricurve, sulle quali guizzavano robusti e sodi rilievi marmorei; un torace largo e caldo, decorato da durissimi pettorali che parevano scolpire, di continuo, il vibrante andamento del profondo respiro polmonare e i quali andavano gloriosamente a sormontare un compatto addome fortemente maculato di solide cellette create da una sofferta perseveranza nell’esercizio corporeo…un piccolo bottoncino all’altezza del ventre scrutava, con gli occhi bassi, l’incavo inguinale teneramente ornato da lucenti peli neri dalla cui chioma ricciuta spuntava, riposata e inconsistente, una virilità che vantava proporzioni tutt’altro che minute. Le lunghe gambe more_ le quali, come in ogni ‘macho’ che si rispetti, erano lievemente arcuate_ brillavano dell’intenso vigore di un paio di cosce d’acciaio e del disegno forte e squadrato dei polpacci velati da una castana lanugine tutta impregnata di sole…e debolmente abbandonate lungo gli stretti fianchi saldi figuravano le braccia, così ben modellate da un’incredibile possanza alla quale sarebbe bastato fluire verso le due enormi mani, ora ai lati delle cosce, per sprigionarsi completamente e strangolare l’eburneo collo sottile del tenero amante che ogni notte soffiava sui sogni di Akagi per poi svanire, sadicamente, col sorgere dell’alba rosata…oh… quante volte quelle stesse, grandi dita erano state colte da un lurido istinto omicida nei confronti della sgualdrinella notturna dal bel corpo maschile e con il candido volto di Kaede!…e quante altre, invece, avevano osato spingersi oltre, sino a convincersi di carezzare realmente quella stessa, tenera carne con infinita dolcezza e premura…tsk, le molteplici facce di uno stesso desiderio amoroso e morboso…amorboso!
Takenori scorse, infine, lo sguardo critico sul proprio viso riflesso e leggermente storpiato da un’ombra birichina che sonnecchiava sull’angolo superiore della specchiera. Forti mascelle sagomate, tempestate da incolti e irsuti puntini neri i quali andavano a sfumarsi sulle spigolose colline degli zigomi sporgenti; carnose labbra rosse, che si beavano ancora del succulento sapore del Kaede appena sognato. Una fronte ariosa e sopracciglia folte, lievemente aggrottate, che tracciavano ampi archi sotto i quali riposavano_ protetti dalla tiepida discrezione di sottili palpebre umide_ due liquidi occhi dipinti da un’indefinibile tonalità mista tra un freddo grigio e un caldo marrone-caffè, dai quali trasparivano una triste malinconia rassegnata e una dolcezza, quasi fanciullesca, in netto contrasto con la fermezza e mascolinità virile che permeava la figura del ragazzo stesso…
Un corpo solido e importante intagliato nel lucido e prezioso ebano dalle magiche mani di uno scultore indigeno, il quale era stato in grado di donare al grezzo e selvaggio legno sacro le alchemiche fattezze stilizzate che avrebbero ingraziato i piccoli, insignificanti uomini dinnanzi alla forza di una Natura dittatrice e materna…oppure, corpo imprigionato dalla dura pietra fine dell’opera di un Modigliani il quale avesse deciso di marchiare la sintesi apparentemente povera e primitiva delle forme, figlie del suo scalpellino, con la lussuosa nobiltà estetica e mistica del suo artificioso tempo moderno…il senso classico ed equilibrato dell’arte contenuto in un involucro dai più puliti, quasi rudi e in un primo impatto brutti, lineamenti geometrici…un’architettura divinamente pura e scarna dalla quale trasudava un’elegante e misurata spiritualità madreperlacea… questo era Takenori Akagi.
Il ragazzo possedeva quella strana, insondabile avvenenza che non era, solitamente, riconosciuta da alcuno…se non da una qualche insalubre donna, infatuata dell’antico modello maschile dal vigore fisico rozzamente accentuato e dalla gentilezza da cucciolo nei modi di fare, o da rare, rarissime compagne di classe dell’ex capitano le quali, a volte, avevano aperto le loro adorabili e fresche labbra per tessere pallide lodi sul lucido velo di una vittoria ottenuta dal team di basket, per merito dell’impavido leader dalla statura impressionante…ovviamente, mai un complimento dalla bocca squamosa del muto, sgusciante pesce Rukawa, tzè!
Ah…e poi, c’erano le ispide e fumose amiche di ‘mamma ’…come poteva dimenticarle?! Tutte signore sulla quarantina dalla grossolana avvenenza appassita _ grasse gatte morte, anneganti nella gelatina polverosa di unti e granulosi cosmetici e nella volgarità stomachevole delle scarlatte tinte sulle loro labbra gonfie ( e sui denti orribilmente macchiati), che sventolavano depravate il puzzo osceno delle loro parrucche colorate e degli opulenti, pomposi e cadenti décolleté proprio sotto l’asmatico naso del povero Takenori_ le quali, nelle frequenti visite all’ospitale massaia _ la delicata Signora Akagi, una donna fin troppo generosa e disponibile a lasciarsi tediare da un’orda immane di conoscenti assatanate_ non disdegnavano mai d’intraprendere una petulante, gracchiante e maliziosa conversazione con il giovane ‘rampollo’ di casa, tentando in tutte le più impensabili maniere, lecite e illecite, di ingraziarsi la compagnia di quest’ultimo in una qualche piccante ‘uscita a due’…una ‘lei’ tutta intenta a sperperare il denaro del caro maritino_ sulla soglia della ‘terza età’_ in negozi per liceali e ‘lui’, giovane e atletico amante diciannovenne, in vece di cavalleresco accompagnatore…che pittoresca scenetta da film comico!…
Take-chan, tesoruccio...ti spiacerebbe scortarmi personalmente a visitare la tua bella città?…sai, le strade, oggigiorno, sono così pericolose!…non posso andare da sola…Vai, figliolo, la signora ha ragione…Certo, mamma…
Ricordava un opaco e schiumoso pomeriggio in cui la sua disperata persona sfortunata, tacitamente imprecante contro il mondo intero, si era ritrovata a condividere il proprio peloso braccio di gorilla esasperato con la mano, fresca di lampada e dalle unghie laccate di porpora, di una fra quelle trotterellanti luride invasate…e la ridicola coppia, dopo aver passeggiato felicemente entro le romantiche atmosfere scintillanti di decine e decine di boutiques affollate, si era concessa un breve attimo di ristoro _ o meglio, la vagabonda dama aveva consentito allo zoppicante Takenori, con tanto di pacchi e sporte stracolme di chincaglierie femminili nuove di zecca pesantemente grondanti dalle sue distrutte mani infiammate, di riposare i suoi piedi lessati_ sedendosi sulla marcita panchina in un parco pubblico alla vibrante ombra di un unico alberello smorto dal quale pendevano i corpicini scimmieschi di scalmanati bambini che, saltellando da un ramo all’altro, si divertivano a prendere di mira i due sdolcinati ‘piccioncini’ assediandoli con tanto di cerbottane e palline di chewing-gum … Nel calore di un placido tramonto aranciato, che fungeva da squisito scenario per la nauseante ‘vicenda d’amore’ tra Akagi, con gli occhi costantemente puntati sull’orologio, e la bella ‘Signora topo morto’, che continuava imperterrita ad alitare nelle orecchie del suo compagno (Takenori, naturalmente, non ricordava il suo vero nome ma solo il puzzo assurdo che le usciva assieme alle parole!), una di quelle dannate gomme appiccicose si era schifosamente incollata ai capelli cotonati della donna la quale, piagnucolando come una mocciosa e prorompendo in tutta una serie di allucinanti acrobazie isteriche attorno alla ridente panchina, aveva ordinato al giovane di strapparle la ciocca deturpata con la forza bruta delle sue maschie braccia…_ dai bel manzo, strappami tutta!_... e quando lui, servile come un cagnolino, aveva agito di conseguenza, la mostruosa femmina urlante e contraddittoria gli si era scagliata addosso sfrecciando pugni, schiaffi e calci… In quell’occasione, l’ex capitano se l’era cavata con un violaceo occhio gonfio, uno zigomo decorato da tre artistici graffi e l’inguine dolorante grazie ad una gentilissima pedata.
La provocante ‘Signorina sadomaso’, invece, lo aveva lasciato per più di un’ora a rigirarsi le dita fuori da un grazioso camerino, frattanto che lei ammirava le sue carni appassite tutte avvolte in succinti completini intimi _ in un negozio per ‘sole signore’…la strega!_... …Poi, in tutta tranquillità, la grassa indossatrice aveva trascinato colui che l’attendeva all’interno del ristretto loculo _ ormai asfissiato dall’acre odore di fondotinta pastoso_ per farsi comodamente tastare i propri penduli e rimbalzanti seni ficcandovi sopra di forza l’ampia mano maschile, mentre il paonazzo ragazzo tentava, sotto sua esplicita richiesta, di allacciarle un reggiseno impossibile. L’imbarazzatissimo Takenori aveva goffamente ritirato le dita disgustate e, pur non essendosi macchiato volontariamente del disastroso accaduto, si era incespicato in una buffa brodaglia di scuse…il risultato delle quali fu un inebetito Akagi schiacciato contro il frollo muro di quella camera a gas dalla doviziosa massa di forme gelatinose della magnanima signorina la quale, piuttosto che accettare le meste giustificazioni balbettate dal suo accompagnatore, preferì di gran lunga strusciarsi arrapata addosso a lui e sussurrargli sozze frasi da ninfomane all’orecchio scandalizzato per poi incominciare a perlustrare il tremante petto che già, l’ansimante babbuina, stava liberando dall’ingombro della maglietta sudata…Dai bisteccone mio, non essere timido!... montami come farebbe un toro selvaggio!! L’unica cosa similmente lucida che la vittima, braccata dalle insistenti molestie sessuali della ‘tardona’ indemoniata, riuscì a combinare nel bel mezzo di quella grottesca commedia fu quella di darsela letteralmente a gambe, proprio mentre la rozza predatrice uggiolava giulivamente nel mostrare al suo amante le spettacolari doti contorsionistiche che possedeva nel leccarsi il suo stesso, enorme capezzolo…e il tutto terminò con un gran finale in cui si vedeva la corsa furiosa di un gigante, dal viso color aragosta, il quale mimava il gesto esagerato di una spassosa fuga oltre la tendina fucsia del camerino _ che pareva, più che altro, il cilindro magico di un illusionista da cui spuntavano gli animali più strani_ spintonando fuori anche una donna sguazzante, la quale finì lunga distesa sul pavimento inghiottendo gli occhi strabici di tutti i clienti che le si puntavano sul nudo seno, umido di saliva. Resoconto di quell’immonda, folle giornata: un Takenori Akagi mortificato implorava perdono ad una sogghignante cornetta del telefono, la quale sussultava bestialmente ululando, con una ‘candida’ voce femminile, tutta una sfilza di fantasiose bestemmie finemente dedicate a ‘quel dannato impotente che a forza di masturbarsi in solitudine non sapeva più apprezzare un bel paio di cosce aperte’…già, proprio un ‘bel’ paio di gambe, quelle della zitellona quarantacinquenne stupratrice!…miseriaccia nera!
C’era stata, un tempo, una fantomatica signora dai languidi occhi da cerbiatta: una donna che non dimostrava più di trent’anni, maritata con un lurido e pustoloso vecchio danaroso, la quale si materializzava a casa di Akagi ogni qual volta avesse il bisogno di lamentarsi in merito alla propria mistificante condizione di ragazza frustrata dai troppi agi economici non coronati da un disperato e intenso amore nei confronti del noioso consorte…si chiamava Himeko, quella bellissima creatura dalla fragile corporatura longilinea; Takenori ricordava solo quel nome fra tutta la lista di nomignoli bizzarri attribuiti, da lui stesso, alle altre mille donnacce affamate! Con la luminosa pelle chiara _ che rievocava, vagamente, il velluto spudoratamente esibito da Kaede_ i folti capelli castani cullati da deliziosi boccoli che le baciavano morbidamente le spalle, le forme non troppo accentuate e fasciate da un arioso vestitino a ‘charleston’ di una sbarazzina tonalità pastello, e con le lunghe gambe sostenute da nerissime scarpette a décolleté, la calda e voluttuosa Himeko si era trattenuta in un’uggiosa domenica di maggio a gustare un tradizionale tea verde con la mamma dell’ex capitano…e, al momento di congedarsi educatamente, aveva bloccato il ragazzo che l’accompagnava alla soglia posando la propria mano ingioiellata sul bronzeo braccio di lui, poi, radiosa come una turchina mattina di primavera, si era alzata teneramente sulle punte dei suoi piedi di cuoio per donargli un lascivo bacio sulla gota infiammata…dopodiché erano giunte, alle ovattate orecchie del giovane molliccio, allusive frasi appena sussurrate con contraddittorio fare innocente…l’esile fanciulla era molto sola e triste, la sua grande casa lussuosa era sempre vuota e disponibile ad occultare, da sguardi indiscreti, i perversi sollazzi amorosi di due ragazzi con il desiderio di ‘staccare la spina’ anche solo per un momento…non era necessario che i due amanti provassero un effettivo sentimento l’uno nei confronti dell’altro: ciò che contava era spingersi agli estremi limiti di un peccaminoso, abominevole gioco il quale sarebbe servito a cancellare, o anche solo a nascondere per una frazione di secondo, la cocente delusione di un vero amore tanto agognato ma mai ottenuto _ ecco il caso della fiduciosa, dolce Himeko che da bambina sognava di esser destata dalle carezzevoli labbra di un principe azzurro…la disillusa, rassegnata Himeko che a trent’anni già pagava con una truce sofferenza solitaria le azzardate scelte fatte in passato_ o di uno non corrisposto_ il pacato Takenori tutto d’un pezzo il quale, celandosi all’ombra di una artificiosa maschera di quieta serenità mentale, seguitava a masturbarsi sul fantasma del ragazzino esasperatamente amato.
Poi, ancor più candidamente, la bella sirena dal canto provocante aveva infilato le pallide dita magre entro i pantaloni sino all’interno dei boxer del giovane, ormai sull’orlo della perdita d’autocontrollo, per accarezzare la sua grossa virilità imbarazzata, come stesse palpando la morbidezza di un cagnolino peloso…infine si era dileguata con un fascinoso sorriso d’intesa nella fosca bruma pomeridiana, quasi fosse un tiepido miraggio tristemente dissoltosi sulle speranze infrante di un uomo malinconico. La scura scrivania grossolanamente appisolata nella sobria stanzetta dell’ex capitano taceva ancora, nelle sue legnose viscere chiuse a chiave, un foglietto spiegazzato con nome, indirizzo e orari sicuri da visita scritti dal tremulo pugno dell’evanescente donna, la quale aveva avuto la premura di lasciare quel pezzetto di carta nelle madide mutande del nuovo amante prescelto…
Beh, se il Fato dispettoso avesse mai teso la propria mano, quella benevola, per raccattare il pesante Akagi dalle melme paludose entro cui stava vergognosamente affogando _ immense e profonde distese oceaniche di fanghi velenosi situate nel torbido e appiccicoso ‘Regno demoniaco di Rukawa’_ e poi, porgendo un altro aiuto lo avesse persino purificato dai residui farinosi di cui si era macchiato e infine riportato, su trasparenti ali piumate, nuovamente ai piedi della ristretta, monotona terra quieta e ordinata dalla quale era pericolosamente caduto, il ‘finalmente rinato’ Takenori avrebbe anche potuto fare un roseo pensierino sulla nebulosa Himeko…ma, certamente, quello stesso Destino pasticcione avrebbe sempre allungato al ragazzo l’arto sbagliato! … Akagi aveva più volte pensato se, per caso, non fosse ormai l’ora di esporsi agli occhi di Kaede, per cercare di placare almeno nella più volgare maniera la disperazione che gli bruciava l’anima…se non gli era concesso di ottenere l’amore del suo Angelo allora, il povero gorilla stressato, avrebbe potuto far sua l’idea spaventosa nata dalla mente di Himeko e ambire, se non altro, ad un breve e squallido contatto fisico… Oh, si sarebbe gettato in ginocchio al cospetto del glaciale Rukawa _ sgretolando schifosamente ogni briciola di dignità che ancora gli rimaneva incollata alla pelle_ per implorarlo, fra lacrime e singulti, di lasciarsi possedere da lui anche una sola unica notte…oppure di concedersi svogliatamente ad una sua derelitta carezza velata e innocente …l’infelice, tenero Akagi si sarebbe accontentato anzi, avrebbe tratto un deforme ma lieve conforto alle sue pene nel riempire il silenzioso Kaede con tutta la passione del proprio corpo fusa all’angosciosa dolcezza del suo infinito amore…senza chiedere nulla in cambio…senza aspettarsi zuccherine parole sibilate dalla voce incantata del ragazzino violato…fingendo, per un attimo, che i languidi brividi di piacere sulla pelle del suo amante non fossero altro che riflessi superficiali di un profondissimo sentimento, uguale a quello che provava Takenori, radicato in fondo al suo magnanimo cuore di pietra… amando con tutto il suo animo, nella brutale consapevolezza di non essere che un grosso, patetico sentimentale al quale il piccolo Kaede aveva concesso, per pura misericordia, soltanto una frugale parte di se stesso sulla quale sfogare le più basse voglie represse… Voleva diventare uno schiavo che, irrimediabilmente invischiato nel tunnel dell’amore, così impregnato di ignoranza, si sarebbe talmente avvicinato alla frusta del padrone _proprio scelto dal folle servetto-Akagi e implorato a ridurlo in catene_ da invogliare, quest’ultimo, a fendergli la curva schiena con la stessa arma schioccante…ah, e sicuramente l’affascinante despota dalle iridi cerulee si sarebbe divertito un mondo a sperimentare nuovi e intricati mezzi di peccaminosa tortura con i quali farsi desiderare ancor di più dal proprio spasimante masochista sino ad indurlo a morire, lentamente, di un sottilissimo e pungente dolore…dolore che il mostruoso Takenori avrebbe accolto con rassegnazione ogni qual volta si fosse ritrovato a fondersi con Rukawa _donando tutto ciò che possedeva dentro _ sapendo che, ciò che si lasciava invadere dal suo infinito sentimento non era che un freddo corpo…già, il suo nebbioso amore non avrebbe fatto altro che cozzare, miseramente, su una vitrea superficie traslucida senza mai riuscire a scalfirne le ghiacciate pareti, senza poter mai alitare il proprio bollente soffio sulla massa invisibile ed intaccabile costituente l’animo di Kaede…
Certo, così facendo, Akagi avrebbe sofferto comunque…ma non si trovava già ora nella disperazione più totale?…l’esser consci di non potersi spingere oltre la romantica, rispettosa ma magra concezione dell’Amore platonico a causa della propria codarda paura nell’azzardarsi ,almeno, a sfiorare con un dito la gelida pelle del proprio tormento psicologico, non lo faceva tutt’ora soccombere di una gretta pena?…forse, se…se si fosse accontentato di ottenere da Kaede soltanto una briciola del suo pallore lunare allora, Takenori, avrebbe potuto farsi sopraffare ugualmente dallo sconforto mantenendo vivo e custodito in sé, come fosse una perla di rara bellezza invischiata in un mare di fango, un piccolo frammento di quell’angolo di paradiso che era andato ad amare per pochi istanti…oh, l’ex capitano sarebbe stato disposto a morire dal dolore pur di riuscire a lambire, con la punta della lingua, quella piccola perla!… Tsk, ma il suo buon senso della responsabilità e del pudore avrebbero non solo continuato ad inventarsi mostri di vergogna da scaraventare sull’ombra invisibile del suo casto ‘amore da lontano’, ma pure impedito all’Akagi più coraggioso e spavaldo di tentare anche quest’ultima, ripugnante cura al morbo che lo affliggeva… Nella sanguinaria guerra fra il ‘Gorilla della mente’ e il ‘Gorilla del cuore’ avrebbe sempre vinto il primo…e lo stanco, vecchio e ricurvo Takenori sarebbe in eterno restato, tutto sprofondato in una comoda poltrona avvolgente e rassicurante, a scrutare la tempesta ch’egli stesso aveva scatenato su Kaede senza entrarvi fisicamente dentro e ammirando, dalla sua protetta postazione esterna, l’oggetto del suo cisposo amore farsi sempre più desiderabile e al contempo distante da lui… Già... e mentre al di là della linea entro cui si era rifugiato giungevano solo le rassicuranti, quiete e placide parole di un atleta maturo e competente che non aveva macchie nel proprio presente, nel suo buio cantuccio segreto spirito e corpo si arrovellavano tutti in orribili pianti di frustrazione e il ragazzo _ che intanto seguitava a sbrodolare belle frasi dal suo solito copione patinato_ giaceva solitario, attendendo di diventare un tutt’uno con la polvere della poltrona e godendosi dolorosamente uno spettacolo che non avrebbe mai avuto modo di toccare realmente…tentando di captare il minimo piacere nell’angoscia di un sogno visibile ma mai realizzabile…come un anziano depravato che sbavava nelle materne stanze di un bordello, separato dal proprio strumento della lussuria tramite un dispettoso vetro trasparente. Kaede sarebbe per sempre rimasto un’intrigante immagine dipinta su un quadro appeso agli occhi di Akagi, una bellissima effige sacra dallo sguardo perennemente assente e rivolto ad un nebuloso invisibile vuoto, atta a simboleggiare la triste crudeltà e impossibilità dell’amore di un povero uomo, il quale non avrebbe nemmeno avuto il permesso di impregnarsi le narici con l’odore dell’olio sulla tela, né mai avrebbe trapassato la superficie laccata di quella icona bidimensionale per giungere a scovarne la vera essenza, calda e vibrante…
Sarebbe stato bene conservare quel cartoncino lussurioso ancora per qualche tempo…probabilmente, un misero frammento di fegato per accettare la subdola proposta di Himeko sarebbe riuscito a tirarlo fuori; spalancare con un forte calcio la ricca porta di casa sua, correre come un ghepardo sino a catturare la solitaria donna accondiscendente per poi affondare in essa con tutto lo squallido vigore del proprio corpo frustrato, infine serrare ermeticamente le palpebre per figurarsi nel cervello l’intoccabile fantasma di un Kaede innamorato e sull’orlo dell’estasi, figlia non solo della passione carnale ma di una assoluta gioia spirituale…questo, forse, sarebbe stato possibile, invece, inseguire lo sgusciante Rukawa per tutto il perimetro della palestra e poi saltargli addosso supplicandolo di prendere in considerazione la sua idea di diventare amanti no.
In ogni caso, la spocchiosa serie della ‘donne in cerca di giovane e apparentemente pudico ragazzetto per bene, e tassativamente vergine, tranquillamente disposto a lasciarsi istruire, nella forma più primitiva dell’arte del sesso, da matura signora annoiata e trasgressiva’, non era terminata all’uscita di scena dell’audace Himeko: tante altre impazzite sanguisughe furono, in seguito, disposte a ricoprirsi di vergogna pur di agguantarsi il corpo del brillante atleta…già…solo loro, purtroppo, scorgevano in lui la bellezza ove questa non vi era affatto_ o in quella carcassa grezza entro cui, questa, si nascondeva fin troppo profondamente… Cosa ci trovavano, di così interessante, in un tarchiato e noioso ragazzo come lui?…inoltre, perché fra gli unici esseri umani che provavano una minima attrazione nei suoi confronti non figurava la persona di Kaede Rukawa?
Questi, i loschi interrogativi aleggianti attorno alla massiccia presenza di Akagi ritratta nello specchio…l’enorme diciannovenne dalla bruna pelle si disprezzava in una maniera repellente…come poteva sentirsi orgoglioso di sé stesso, maledetto coniglio deforme che si crogiolava, da sempre, nel tiepido e sicuro ventre del suo ‘io’ più equilibrato e serio ma fin troppo fasullo, e che non muoveva un dito per liberarsi nonostante il proprio cuore gli urlasse dal petto di farlo?
Con un sospiro irritato impresse un furioso spintone alla cornice del dannato mobilio _ più velenoso e sibilante, nelle sue mute e acide affermazioni riflesse, di uno scialacquato analista, con le sue calcolate parole stampate e logorroiche da libro ammuffito_ che roteò più volte su sé stesso, e si vestì rapidamente dopo essersi goduto una gelida doccia la quale, con la sua amichevole freschezza appuntita, riuscì in parte a sciogliere la lanuginosa macchia nera che insozzava la mente dell’ex capitano in quell’afosa mattina.
Un paio di jeans chiari, dal taglio diritto e privi di qualsiasi sgualcitura inopportuna; una linda camicia con le maniche corte, rigorosamente abbottonata, e Takenori scese saltellando le scale di casa sua, inebriandosi di quel crepitante e familiare scricchiolio che non udiva da parecchio tempo.
Finalmente avrebbe avuto l’opportunità di restare nell’intima e salubre Kanagawa per un po’: dai torridi e appiccicosi giorni di giugno a quelli dolcemente temperati di fine settembre, al momento in cui sarebbe cominciata la sessione invernale di lezione alla sua nuova università…quattro brevissimi ma preziosi mesi da impiegare a rincorrere la sinuosa sfera arancia sul campo della diletta, anziana palestra e ad abbeverarsi della sfuggente immagine di uno squisito Kaede in fuga verso il canestro…tsk, le labbra carnose sorrisero al pensiero dell’adorabile demonio tutto intento a scostarsi dagli occhi il birichino sole estivo facendosi ombra, sulla delicata fronte accecata, con la vellutata mano arrostita!
Seduti al legnoso tavolo della cucina, per la solita energica colazione, vi erano già il suo concentratissimo padre, sinceramente preso dalla lettura in bianco e nero di un pomposo quotidiano, il cinguettio brioso della graziosa mamma ai fornelli, e un’assonnata e spettinata Haruko impegolata in una disastrosa lotta con una fetta di pane imburrata, che non ne voleva sapere di entrarle tutta quanta nella bocca, e con un viscido bottone della leggera uniforme scolastica, che non era per nulla intenzionato a penetrare l’asola designatagli. Takenori passò le dita fra il castano intreccio arruffato e lisciò gli scialbi capelli della sorellina, che sputacchiava una granulosa pioggia di briciole nell’isterico tentativo di far sapere a sua madre, la quale le stava già mostrando un abbondante campionario di leccornie sfornate dalle sue mani di cuoca, che poteva mangiare solo un boccone poiché troppo in ritardo per la scuola. … Chissà come avrebbero reagito quei meravigliosi genitori dinnanzi al loro unico figlio maschio e ordinario _ mestamente incurvato sullo schienale di una sedia e così infantile nel rigirarsi infinitamente i pollici_ che dichiarava, fingendosi mortificato, fintamente schifato da una non voluta perversità e sull’orlo del suicidio, l’entità dei suoi attuali problemi adolescenziali, ingarbugliandosi in un oceano di parole e frasi scivolose nell’intento di pescare quelle meno imbarazzanti con le quali andare a disintegrare, per sempre, la dorata e lucente idea che essi si erano fatti di lui _ quella stessa che, l’ex capitano, aveva intenzione di mantenere viva agli occhi di tutti…persino ai suoi! In quale modo avrebbero interpretato l’ardente passione che il loro ‘bambino’ sosteneva di provare per una persona di sesso uguale al suo: come una volatile e passeggera infatuazione_ figlia, non di un sincero amore, bensì di un mero sentimento di ammirazione ed emulazione verso un ragazzino oggettivamente piacente il quale, probabilmente, incarnava in sé tutti quei pregi che Akagi avrebbe desiderato possedere_ che, appena sorta, sarebbe subito tramontata in una buffa nuvola fumosa e ridente, o come una non troppo anomala reazione tipica dei ragazzi privi di esperienza con le donne che spesso tendono ad identificare in un loro amico maschio, con il quale hanno un rapporto di rispetto reciproco, quelle gradevoli caratteristiche che vorrebbero riscontrare nella fanciulla ideale?… …e, forse, il fermo e deciso Takenori si era soltanto lasciato incantare dalla spiccata ambiguità efebica che trasudava dal corpo di quel…quel Rukawa…solo dalle sue particolari iridi smaltate di blu e da quella cute dal biancore fluorescente che ‘sapeva’ di puro e inviolato _ ecco, vedi Take-chan, la tua predilezione per le caste signorine intimidite?…oh, certo…sarà così!_ …unicamente dallo straordinario talento sportivo che l’ex matricola d’oro esibiva nel gioco a lui prediletto _ …ma sì, tesoro di mamma: non dicevi sempre che la tua futura ‘lei’ avrebbe dovuto essere una brava cestista?!…ah, avete ragione…
Non preoccupati, figliolo…il fatto che tu provi attrazione per un altro ragazzo non significa, necessariamente, che ti piacciano gli uomini!…ehm, anzi, è normale, alla tua età, celare a sé stessi e agli altri il bisogno di sperimentare i primi piaceri fisici tramite rapporti omosessuali…ma questi, solitamente, non sono che giochetti che si fanno con la complicità degli amici al fine di studiare il proprio corpo…per, per prepararlo a…a quelle prossime sensazioni che verranno procurate grazie alla relazione con una donna…relazione che potrà dirsi tale poiché, non più frutto dei soli sensi ma anche del sentimento spirituale…capisci? Non c’è bisogno di sentirti male per una cosa del genere…vedrai che, crescendo e maturando di esperienza, riuscirai a comprendere da solo quale sia la tua vera strada da seguire…e probabilmente non sarà molto differente da quella che hai sempre considerato la ‘tua’ retta via…tranquillo Take…e se anche quel sentiero dovesse invertire il suo corso, non esiste motivo per cui sentirsi differenti o per provare vergogna…te ne rendi conto? Noi ti amiamo e la tua felicità è la nostra unica gioia… Certo…forse, se Akagi non avesse chiarito sin da subito che il suo problema non stava più, tanto, nell’essersi invaghito di un maschio, i suoi poveri genitori non avrebbero fatto altro che rassicurarlo dolcemente…posandogli un’amichevole ma impaurita mano sull’ampia spalla, cercando di convincerlo a non farsi prendere dal panico…sperando in una improbabile verità dei loro stessi discorsi, dissolvendosi in bugiardi salti mortali per non permettere al proprio adorato figlio di sentirsi diverso dagli altri, quando a loro avviso non lo era per nulla…per non dargli l’involuta impressione di essere delusi di lui… No, l’ex capitano sapeva bene che mamma e papà non si sarebbero mai disgustati di quella sua rivelazione: l’unica loro pena sarebbe stata quella di vedere il ragazzo disperarsi così tanto, senza poter far nulla per evitargli di soffrire a causa di quell’amore che, eventualmente, egli sentiva come deforme ( è strano come, certe volte, quelli che non riescono a percepire come naturale una differenza, sono proprio coloro che credono di possederne una…quelli che, erroneamente, imprecano contro il mondo il quale, a detta loro, finge di non vedere le disuguaglianze poiché scandalizzato, non capendo che quello stesso mondo, il più delle volte, tace proprio perché interpreta il ‘diverso’ come un ‘uguale’…)…eppure, per loro, il giovane adolescente sarebbe sempre stato lo stesso, solo lui, inizialmente, si era visto tramutato in un mostro di perversione…
…Ma, Akagi aveva già da tempo fatto i conti con quella sua particolarità di gusto, e dopo aver pianto lacrime amare_ sulla consapevolezza di aver sempre lottato e creduto in un proprio futuro di bonario padre di famiglia, circondato da una moglie fedele e un’orda di pestiferi pargoli, per poi vedere sé stesso rinnegare quegli splendenti sogni per rincorrerne altri del tutto imprevisti e difficili da diventare ‘abitudini’_, si era infine rassegnato alla necessità di variare le proprie convinzioni e i futuri progetti in funzione di quella nuova meta lontana a cui avrebbe voluto puntare…perciò, se avesse confessato alla sua famiglia ogni singola, sincera sfaccettatura del proprio tormento psicologico, rassicurandoli sul fatto che l’irrazionale fase di sbalordimento e disperazione, che l’aveva istintivamente colto nel sapersi attratto da un uomo, era quasi del tutto sbiadita diluendosi nel ben più doloroso sconforto di un amore impossibile da ottenere, i suoi cari, allora, avrebbero semplicemente sostenuto il figlio con serenità, senza mai pensare che egli non fosse all’altezza di amare quella sublime bellezza angelica di nome Kaede ma al contempo non l’avrebbero illuso in alcun modo di una sicura, brillante vittoria…per i due bravi signori, anche Takenori era un superbo angelo…e non lo dicevano per fare un piacere al giovane ma poiché ne erano profondamente convinti… Per questo motivo, lo sfogarsi al bonario altare dei suoi parenti sarebbe stato, per Akagi, un ottimo mezzo per alleggerire l’odioso fardello che si portava in cuore ma, ovviamente, il ‘gorilla codardo’ non avrebbe nemmeno saputo confidarsi con chi poteva aiutarlo sul serio _ tanto si era schifosamente impigrito nel proprio guscio di tormento solitario! Inoltre, la cosa si sarebbe rivelata del tutto impossibile a causa di quella capricciosa presenza femminile che si aggirava per casa _ in una continua danza di squillanti cinguettii sconnessi e goffi saltelli traballanti_ la quale credeva fermamente di essersi tramutata da immatura e sciocca bambinetta, ancora tutta sciolta nelle stucchevoli nubi vaporose di fiabesche ambizioni, a desiderabile e succulenta donna stagionata e navigata, che camminava con andatura fiera e sicura sul duro terreno di quel nuovo universo detto ‘realtà concreta’.
La sbiadita Harukina, dalla folta chioma castana, gli occhioni sporgenti sempre pietrificati in una buffa espressione stupita e con il corpicino morbido sì e no come quello di un ragazzetto delle medie, poteva finalmente pavoneggiarsi agli occhi inesperti e sognanti delle ancor più scialbe amiche: la piccola Akagi era divenuta l’oggetto dell’attenzione amorosa di un ragazzo che, sebbene sino ad un anno prima non suscitasse l’interesse di alcuno, ora si era trasformato in una sfavillante farfalla dalla vigorosa forza e dalla solare bellezza. Chissà quanto orgoglio le imporporava vilmente le gote quando, al mattino, la dolce fanciulla si ritrovava a sfilare altezzosa lungo le passerelle nei corridoi scolastici stringendo la propria manina contro quella grande e bronzea del virile Hanamichi Sakuragi!…oh, quanti sguardi invidiosi le si posavano addosso come le mosche su un polposo brandello di carne andato a male, quali soavi commenti estasiati scivolavano lungo l’imponente corpo scuro del tanto ammirato giovane dai capelli rossi che le marciava accanto…com’era avvenente il volto un po’ corrucciato di lui, quanto brillavano quei fili color rubino che gli carezzavano mollemente la fronte, pareva una scultura dipinta, quel bel pezzo da esposizione!… …e com’era fortunata Haruko Akagi: un tempo resa schiava dall’inconsistenza ostinata di un sogno irraggiungibile, al quale ella si era aggrappata in maniera grottesca pur sapendo che mai e poi mai quel suo stesso miraggio_ alias Kaede Rukawa, l’idolo di tutta la popolazione femminile, e non solo, dello Shohoku_ l’avrebbe accolta fra le sue calde braccia, ora aveva finalmente aperto gli occhi su ciò che era sempre esistito intorno alle sue citrulle illusioni ed era giunta ad un reale lieto fine in cui la sua candida e timida persona, bisognosa di amabili cure e protezione costante, era dominata da un premurosa ma carismatica figura maschile insieme alla quale si sarebbe gioiosamente avviata entro gli infiniti cunicoli di una vera ‘esperienza amorosa’ _ luogo fisico e, al contempo, effimero che tutte le giovani fanciulline attendevano di visitare con lussuriosa trepidazione, in agguerrita competizione l’una con l’altra nell’infuocata corsa a premi che avrebbe fatto salire la più scaltra e veloce su un dorato podio dal quale poter schernire le perdenti dall’alto al basso…
Già…quant’era felice e appagata la petulante, scaltra e opportunista Haruko… …ma Takenori era sicuro che una parola carina pronunciata dalle seriche labbra di un Rukawa pentito, all’indirizzo di una Harukina color aragosta e invischiata in una ridicola balbuzie, sarebbe stata sufficiente a mandare la ragazzina in brodo di giuggiole… No, non avrebbe mai creduto pienamente alla romantica storiella, tutta melassa e zucchero a velo, che narrava la triste vicenda di una sperduta principessina la quale, a causa di un malefico sortilegio gettatole sul capo da una strega nera senza volto, era stata indotta ad amare un essere inarrivabile privo di corpo in modo da non poter accorgersi del vero amore, che le gridava di svegliarsi dall’incantesimo, il quale l’aspettava trepidante e disperato su un cavallo bianco e nelle concrete sembianze del bel principe Hanamichi…ah, e come in ogni fiaba che si rispetti, la piccola assoggettata dal demonio era stata baciata dal suo buon cavaliere e si era destata dall’incubo del quale era prigioniera…ed ora poteva bearsi della sincerità e meraviglia di una reale vita gremita da infinite stelline amorose…tsk!che nauseante rappresentazione prevedibile e di cattivo gusto!
Sorellina cara…devo confidarti un terribile segreto…sai, sono innamorato di Rukawa!…potresti darmi un qualche buon consiglio per conquistarlo o per dimenticarlo, visto che tu sei riuscita egregiamente nell’impresa di voltare le spalle a quello stesso Kaede che affermavi di amare?…
Tzè, chissà quante lacrime astiose da quegli occhioni mollicci se la piccolina, così altruista e votata a fare il bene di tutti, avesse udito il proprio grosso fratello pronunciare simili bestemmie! “Ma …ma cosa dici, Take-chan?!…vuoi, vuoi farmi credere che…che…che ti piacciono gli uomini?!…non è possibile…ma, ma…e poi…Rukawa?…”già si immaginava la buffa espressione, un ridicolo miscuglio verdognolo di rabbia e disgusto, che le avrebbe deformato il visino tondo in una situazione del genere…
“…beh…allora, lascialo perdere…non ti vorrà mai!”
Certo, Takenori non aveva dubbi in proposito: lui e Kaede non sarebbero mai diventati una sdolcinata coppietta fluttuante su un soffice tappeto di rose e gioia, ma nemmeno Haruko avrebbe mai avuto il privilegio di vagare entro un tranquillo mare di cristallo saldamente ancorata al diafano braccio della scostante ala piccola!…ed era quella, la consapevolezza che le avrebbe maggiormente roso il fegato _o che la dilaniava tuttora?…la piccola ipocrita invidiosa non avrebbe mai accettato li fatto che un’altra persona, a lei così vicina come il fratello, potesse ancora godersi il dolce e immacolato diritto di amare, anche solo da lontano, quella stessa creatura impossibile che lei non avrebbe avuto più modo neanche di sfiorare _anzi, che non aveva nemmeno mai sfiorato!… …E, comunque, la stucchevolmente solidale Haru-chan non avrebbe mai dato un altrettanto partigiano appoggio al disperato gorilla!… Spero che tu scopra presto che cosa stai sciupando fossilizzando i tuoi orizzonti entro i limiti di un sentimento fatto solo per essere ammirato…cerca di comprenderlo al più presto, dolce Haru-chan, o la felicità, per te, non resterà altro che un subdolo miraggio di cui puoi intuire solo il sapore…
Haruko aveva appena varcato la soglia di casa quando Takenori si propose di accompagnarla a scuola. Il ragazzo si riempì golosamente i polmoni di quella polverosa aria profumata di sale che gli si incollava ai leggeri vestiti mentre il giovane attraversava correndo, e fendendo l’azzurro arido che lo attanagliava, quell’incantevole viale alberato che conduceva ogni anima al liceo Shohoku. Il tintinnante cicaleccio che lo scortava nel suo fluente percorso pareva filtrare, come fosse egli stesso un enorme raggio di luce scomponibile in tanti piccoli fasci, dalle minuscole gemme brillanti di sole le quali scintillavano e vibravano fra la massa corpulenta di foglie verdi per poi tingere, ognuna di queste, di dorati riflessi tremolanti e maculare di secche chiazze gialle e fuligginosi laghi d’ombra il suolo asfaltato, gli intimi marciapiedi ciottolati e l’accaldato volto di Takenori.
L’arrugginito cancello in ferro battuto si apriva, con orgoglio e maestà, sulla oscillante folla che gremiva lo spartano giardino dell’istituto scolastico. Il ragazzo si scrutò intorno, roteando su sé stesso, per stamparsi indelebilmente nella retina ogni insignificante particolare che lo aiutasse a rammentare la solare felicità trascorsa, in tre lunghi anni sognanti, in quell’arioso ambiente il quale, allora, gli era sempre parso incredibilmente più arcigno…invece, adesso, tutti quei ridondanti cumuli di squadrate e grezze strutture in rossa muratura, di agitati e scoordinati corpi in frenetico movimento, di trito ghiaino lacerato e calpestato da infinite, brutali scarpe rumorose e di insipidi pratini verdi, riposanti sotto le placide fronde di anziani alberi incartapecoriti, trapelavano un vago e suggestivo fascino che pervadeva le membra dell’ex capitano di un fiero e sottile piacere…
Ecco le meravigliose ragazzette del primo anno, dalla voce balbettante e con la pelle costellata di brufoletti antipatici, che ancora si perdevano nel labirintico cortile mentre erano alla ricerca di una qualche faccia nota fra tutte quelle teste nere _com’erano graziose e invitanti quelle fresche bimbette tutte inamidate nelle loro nuove e succinte uniformi estive…
Nascosti da un fosco gruppetto di biciclette sonnolente e parcheggiate in mostruose gabbie di ferro vi erano i tipici, scalmanati teppistelli arroganti che si azzuffavano, come galli in un pollaio, per guadagnarsi le dolci attenzioni di una contesa fanciulla particolarmente avvenente e fin troppo piena di sé _ un bizzarro flash-back di una ridicola lotta fra un Hanamichi ostinatamente impegnato nella spietata battaglia di conquista della sua bella e un Kaede coinvolto nella furia della stessa guerra il cui premio in palio non gli interessava per nulla_…
…ed eccole lì quelle altre sciocche matricole che si spiattellavano, mimetizzandosi dietro un silente muro, per dilettarsi nel fumare una qualche lurida sigaretta rubata al genitore di turno, percependo l’infantile, ridicola ebbrezza dell’infrazione a una regola e sentendosi adulte e rispettate dal resto del branco di pecoroni, il quale venerava e si faceva schiavo di quella fragile cannuccia di polvere e granuli come essa fosse una temibile divinità…tsk, stupidi, stupidi marmocchi dalla cute puzzolente e affumicata e i denti gialli, quanto gli erano mancati!
Sudati e isterici studenti del terzo anno tutti raggomitolati sull’ampia scalinata d’ingresso per un ultimo fitto ripasso di gruppo in vista degli esami di fine sessione; delicate e flemmatiche diciottenni, dai volti che tradivano la sicurezza di buone votazioni scolastiche, conversavano circa il loro splendente e prossimo futuro, ignare di essere costantemente spiate dagli sguardi compiaciuti e umidicci di qualche vecchio e panciuto professore, dalle mani grondanti d’eccitazione, appostato con impaziente disinvoltura alla soglia dell’edificio col solo proposito di rifarsi gli occhi ammirando un bel paio di gambe color albicocca, le vaporose pieghe di danzanti gonnelline blu, una mutandina in pizzo svelata dal birichino e complice vento estivo…c’era pure qualche attraente insegnante sulla quarantina che, come di consueto, galleggiava nell’aria del tutto sommerso da un denso stuolo di lusinghiere e miagolanti gattine pelose, le quali contorcevano i corpi immacolati e demoniaci in lussuriose fusa, strusciandosi contro l’uomo agognato per ingraziarsi le sue attenzioni e, magari, strappargli la solenne promessa di un romantico appuntamento.
Infine ecco comparire dal nulla, con sgraziati numeri da circo, la furia impetuosa di quei soliti elementi irrecuperabili i quali si scapicollavano su per le scale _ travolgendo un cospicuo numero di alunni spaventati e docenti con le vene gonfie di rabbia_ tentando di raggiungere le loro aule prima dell’inizio delle lezioni in modo da copiare i compiti, che non si erano ovviamente degnati di fare, dalle giovani menti più intelligenti…Takenori riconobbe, tra questi, un ansimante Hanamichi seguito a ruota dalla sua strampalata banda di fedelissimi…
Quanto gli mancava tutto quello!…e come gli sarebbe piaciuto, almeno per un misero giorno, tornare a far parte di quell’immenso universo stracolmo di colori, profumi e gaie risate sconnesse!…
Poi, eccolo, finalmente, il suo delizioso amore…il fiore più bello in tutto quello stravagante ma fantastico giardino!…con le palpebre socchiuse, sempre in sella a quell’ammaccata bicicletta nera che allungava e fletteva la propria squisita gamba _ voluttuosamente abbracciata dalla soffice stoffa blu_ sull’argenteo pedale saltellante, scivolando sinuoso come un cigno sul granuloso terriccio imbronciato e lasciando _indifferente e freddo come uno spietato generale nazista_ al suo divino passaggio moltitudini di cadaveri, ancor gementi di desiderio per la sua paradossale bellezza svanita in una scia di polvere. Dopo essersi concesso una breve e pigra sosta per posteggiare il suo ‘destriero’ sull’erbosa aiuola ‘vietata da calpestare’, e in seguito ad aver palesemente soffocato un rumoroso sbadiglio, coprendosi la bocca adorabile con la pallida mano affilata, quell’incantato extraterrestre era sparito svogliatamente entro le quattro solide mura, che lo attendevano sospiranti d’ammirazione, non disdegnandosi ad urtare maleducatamente le risorte vittime della sua precedente strage…tsk, beato il suolo che veniva violato dai suoi silenziosi piedi d’ala piccola!
“_ Fratellone?!…che stai guardando con quel sorriso stampato in faccia?!…ti avverto che, ora, io devo andare in classe…tu cosa intendi fare?…vuoi far visita ai tuo vecchi professori, o torni a casa?…_
Il pavimento che conduceva alle varie, innumerevoli aule era sempre impeccabilmente ingrassato e lucente, e quel familiare profumo di cera, che emanava la sua granitica superficie a specchio, si mescolava con l’odore acre e bagnaticcio della miriade di studenti, i quali ornavano l’intero ambiente al pari di freschi mobili spostati continuamente dagli incerti gusti di un’arredatrice volubile. Una cinguettante donna, impacchettata nello smunto e professionale camice turchese da inserviente scolastico, si era del tutto sciolta in formali convenevoli nei confronti di quel gigante maschio che, secondo lei, doveva senz’altro essere il nuovo professore di storia, appena giunto da un prestigioso liceo di Tokyo…Nakamura Ukyu… Vede, egregio dottore…hm, sua eccellenza, devo proprio farle i mie complimenti: lei porta benissimo i suoi quarantuno anni!…per la miseria, sembra un baldo trentenne!…sì, la signora dalla quale ho ‘ereditato’ questo impiego non si trova più qui… da chi deve andare?…no, no, non si preoccupi: l’accompagno io nell’ufficio del preside, così può presentare le sue referenze!…come? diciannove anni?…ma chi?…ah, capisco: lei è stato un ex allievo in questo istituto!…beh, mi spiace ma io sono nuova, in questo posto, quindi quando lei frequentava questo liceo non ci siamo mai visti…guardi che sono giovane, io!ah ah ah…come ci si sente a tornare nella sua vecchia scuola dopo tanti, tanti anni?…e in veste di insegnante, per giunta!…che emozione!…le volevo dire, mio caro…
Il povero signore _alias Takenori Akagi con pupille dilatate e fumo verde traboccante dalle orecchie_ braccato dalla gongolante pazza, dopo inutili fatiche nello spiegare alla sua accompagnatrice che il colto dottore con il quale ella camminava a braccetto era un semplice studente universitario, riuscì nel suo esasperato intento di farsi indicare l’aula in cui teneva lezione il professor Koekè.*
La ragazzotta bussò alla porta e, dopo aver annunciato il nome del visitatore “…ehm, signore…c’è qui il nuovo docente di storia Takamura Akagiukyu che le vuol chiedere udienza.”, si dileguò nell’appassito corridoio, tutta svolazzante e deformando con i suoi buffi tacchetti bianchi il molle suolo e le ancor più flaccide fondamenta. Takenori fu accolto calorosamente dal proprio ex insegnante, il quale lo invitò con garbo ad entrare e sedersi accanto a lui per discutere e rievocare i bei tempi andati, mentre gli alunni incatenati ai loro stanchi banchi potevano finalmente tirare un sospiro di sollievo per qualche, breve minuto.
Come andavano i nuovi studi?…Si era ambientato bene nel campus e con i compagni più grandi?…Fino a quando sarebbe rimasto a Kanagawa?…oh, quanto mancavano, in quel misero liceo ormai in rovina, le rassicuranti presenze di studenti modello come lo erano stati lui e Kiminobu…eh…quell’anno, poi, anche le classi seconde e terze annoveravano fra i loro componenti dei veri scansafatiche: teppisti della peggior razza, cervelli che colavano solo segatura e immondizia, brillanti menti che si erano impigrite sino a ridursi a vegetali amorfi e improduttivi…eh, si stava meglio prima! Una volta i ragazzi erano realmente motivati a riempirsi l’anima di una sana cultura invece, ora, si facevano solamente trasportare da animalesche passioni adolescenziali…non c’era più serietà nel mondo dell’istruzione…
Nel menzionare la sospirata frase in merito agli studenti nullafacenti l’uomo indicò, con un gesto traballante della mano ossuta e sporca di gesso, l’ala in fondo a destra della classe in cui sedevano, scomposti e chiassosi, piccoli gruppi di mocciosi fastidiosi come zanzare i quali ridacchiavano e si punzecchiavano a vicenda tirandosi palline di carta appiccicosa…e dietro a quel turbolento mucchio di rumori molesti, teste malferme su colli tozzi, fogli stuprati e matite acrobate che si dilettavano in spettacolari salti mortali da cavallette, levandosi in volo da trampolini a forma di mani agitate, si nascondeva un morto banco tutto rannicchiato sulla sua corpulenza legnosa _ sulla quale erano tuttora evidenti i rimasugli di un ricco banchetto di tarli_ che sorreggeva un ancor più raggomitolato essere con due accartocciate braccia incrociate e un cespuglio arruffato di capelli corvini, al posto della faccia, dal quale fuoriusciva un roco e ritmico rantolo oltre che una scintillante, liquida scia di bava la quale illuminava il liscio tavolo…toh!…guardate un po’ chi se la dormiva tranquillamente, dimentico di ogni cosa gli accadesse a più di un millimetro di distanza e totalmente accoccolato e trepidante nei suoi insondabili sogni!
Quello sciocco imbambolato aveva, probabilmente, tutti i suoi succosi cinque sensi anestetizzati e non gli giungeva neppure un sussurro della voce del suo ex capitano…tsk…Kaede era sempre più, e meravigliosamente, evaporato! Glaciale principino antipatico e menefreghista…credeva che nessuna persona valesse la pena di esser considerata!…che nessuno avesse il diritto di destarlo dal suo laccato e ambizioso miraggio in cui egli, al pari di uno scorretto e sanguinario guerriero violentatore, si autoproclamava ‘miglior giocatore del Paese’ costruendosi, pian piano, un suo perfetto regno ideale entro cui imporre la sua dittatura a sciami e sciami di schiavi obbedienti, assoggettati dalle sue invisibili catene di piume e cristallo, e trucidando chiunque mettesse i bastoni fra le dorate ruote dei suoi piani da despota… Era insistentemente convinto che non esistesse essere umano all’altezza di rivolgergli anche solo una mezza parola…vero, Kaede?… Ma, allora, come mai quella sua totale indifferenza oscena che, se ostentata da altre persone è considerata sinonimo di aridità interiore, sul volto di Rukawa si addiceva così tanto sino a farlo divenire ancor più bello e intrigante?…perché quell’ apatia mostruosa che caratterizzava la sua diafana figura smunta si tramutava, sotto gli occhi del gorilla incantato, in un delicato e impareggiabile pregio?
Il professore, arrochito dalla sua stessa sapienza, tornò a rivolgere per la seconda volta un’ovattata domanda al suo interlocutore il quale, abbandonando di scatto l’immagine dolce-amara del suo tesoro assopito, rispose titubante ma deliberatamente alzando il tono della sua voce impastata _insomma!…per cercare di risvegliare il ‘bell’addormantato’ bisognava proprio spaccargli i timpani! Purtroppo, il suo sonoro ‘bacio’ da peloso principe azzurro non si depositò sulle socchiuse labbra dello stordito cespo di tenebrosa seta _ che ora si esibiva nella straordinaria imitazione di un uomo impigliato nel suo stesso russare_ e venne praticamente frenato da uno squillante gracidio che sfrigolava oltre la porta lievemente aperta, la quale fu malamente spalancata da una sozza pedata per far entrare in scena la baldanza, nauseabonda se si può dire, di un bestione dai folti capelli rossi.
“_Scusi il ritardo, capo!!…sa com’è: un tremendo lapsus ha colpito la mia sbiadita memoria, impedendomi di ritrovare l’aula! Mi creda: ho girovagato per tutto l’istituto come un vagabondo, perché desideravo a tutti i costi assistere alla sua lezione…non mi sono perso molto, vero?…oh!…ma…ma, devo aver sbagliato scuola: che ci fa, qui, il ‘Gorilla’ ?! _”
Così quei due squinternati piantagrane erano finiti in classe insieme, quest’anno!
Un urlo bestiale dalla bocca deformata dell’insegnante, e un cancellino impazzito scagliato sulla legnosa testa di un Sakuragi che, ancora, fingeva di prostrarsi al suolo per ricevere la Grazia dalle mani del vecchio furioso… Chissà dov’era stato, Hanamichi, in tutto quel tempo…eppure gli era sembrato di averlo scorto entrare nell’edificio già di prima mattina!…tsk, probabilmente si era imboscato di nascosto, all’ombra delle romantiche siepi di rose e gigli che iniettavano la loro languida atmosfera dalla squallida finestrella dell’ancor più sudicio gabinetto, con la sua uggiolante polpettina di zucchero_ ehm, la cara Haruko dalla gonna ansiosa di essere strappata da vigorose mani maschili_…maledetto approfittatore di sorelle altrui!…beh, almeno, lui, aveva qualcuno per cui far tardi ad una lezione!
Takenori seguì con lo sguardo il mesto percorso del Rossino, dall’indolenzito pezzo di pavimento sul quale si era sfracellato sotto isteriche torture sino al suo riparato banco, mentre l’anziano signore sbrodolava struggenti frasi da melodramma nel tentativo di compatire sé stesso, uomo a cui il subdolo Fato aveva posto sulle spalle lo straziante fardello di uno stolto moccioso irresponsabile…oddio, le mie povere coronarie! Il tavolo libero, accanto a quello con cui si trastullava Rukawa-assonnato, fu sgraziatamente occupato da Hanamichi, tutto sbuffi e smorfie, non prima che quest’ultimo avesse concesso qualche piccola, ‘amichevole’ attenzione al placido compagno dormiente affianco a sé. Una grossa gomma mangiucchiata prese artisticamente il volo da quelle sue burlone mani, atterrando con un funambolesco rimbalzo sul cascante capo corvino che, come da copione, non fece una piega per qualche secondo per poi far comparire, dalle sue più profonde oscurità, due brillanti e liquide gemme celesti le quali si pronunciarono con un soffocato “idiota” rivolto al fastidioso seccatore…infine, le scintillanti stelle si spensero per riadombrarsi fra le lisce fronde scure. Akagi si alzò dalla sedia e salutò cordialmente l’ex professore, con tutta l’intenzione di andarsene da quel luogo che lo aveva addolorato fin troppo.
Sulla scalpicciante scalinata d’uscita si bloccò a rimirare la stagnante calura estiva, la quale screpolava con meticolosità le sagome degli oggetti e soffocava la pelle del suo squamoso braccio, tirandola e dorandola di lanugine morbida… …Come è andato il colloquio con il preside?…Bene, bella signorina!…Ehm, che ne dice se, domani, l’accompagno a fare un giro di perlustrazione per l’istituto?Poi, magari, possiamo andare a farci un caffè…Vede: purtroppo hanno già trovato un docente più esperto e idoneo di me!
Con uno sfacciato sorriso, Takenori si era nuovamente incuneato fra i verdeggianti bambù nani che serpeggiavano il viale del ritorno giocherellando uno con l’altro e spettegolando su chiunque capitasse, per sbaglio, a calpestare il terreno sotto le loro fitte teste _ gli uomini: una miriade di grumi bipedi semoventi, a detta di quei bestioni che solleticavano continuamente il cielo!*
Fermandosi distrattamente ai piedi di un’imponente creatura rigogliosa, che fischiettava serenamente soffiando dentro le sue sottili foglie allungate, si chiese se, per caso, il virile amante di sua sorella non suscitasse un certo interesse nel freddo cuore di Kaede Rukawa. Beh, di sicuro, il taciturno ‘volpino delle nevi’ all’indirizzo del prestante Hanamichi _ormai diventato un affascinante conquistadores_ non aveva mai sillabato null’altro che un qualche frigido ‘deficiente’ o ‘idiota’, detti per mezzo di sbadigli, oppure un qualche raro ‘cretino’ …ma, almeno, pareva che ‘sua Maestà il Principe dei frigoriferi’ si degnasse di abbassarsi all’infimo livello di quel Rossino _un umile e comune mortale_ per concedere a lui solo di udire la propria enigmatica e soprannaturale voce annoiata…tutta la restante vile plebaglia poteva soltanto sbirciare, di nascosto, la sua lucente figura da silente e futile Venere…
Per quale motivo quel bamboccio capriccioso faceva tali discriminazioni?…forse, Kaede, si comportava in quel modo nei riguardi del proprio nemico giurato poiché riteneva che per invogliare quella scimmia rossa a smettere di punzecchiarlo e fargli perder tempo in puerili scazzottate non fosse abbastanza sufficiente la sua proverbiale, fredda indifferenza…doveva per forza attaccare la sua smisurata strafottenza con acide parole e pugni, per impedirgli di avvicinarglisi più del dovuto…era così?…era così, dannata creatura dagli occhi blu? Con Sakuragi non funzionava, probabilmente, l’ingegnosa strategia che finora aveva garantito al misantropo Rukawa di non invischiarsi troppo in rapporti confidenziali con i suoi compagni di squadra…l’algido distacco con cui il bel moretto manipolava le sue ambigue relazioni con Akagi e company gli aveva permesso di plasmarsi, con cautela e senza far alcun rumore, un proprio piccolo e intimo spazio all’interno del team di basket che nessuno aveva il coraggio di invadere, nel timore reverenziale di essere scacciato con crudeltà… Oh, ma Hanamichi non aveva alcuna paura di penetrare quel luogo fatato protetto dal gelido sguardo del torbido numero undici…e…e a pensarci bene sembrava, quasi, che Kaede concedesse volontariamente alla spavalda ala grande un frammento di quella chiave con cui aprire la porta di quel suo ermetico mondo _ in cui si crogiolava beatamente come un bimbo nel solitario ventre della madre_ e che incitasse il suo eterno rivale a calpestare, con i suoi agili piedi, una zolla di quel terreno che apparteneva a lui solo…
Kaede provocava Sakuragi a violare la sua intangibile persona…con la sua volgare ‘eloquenza’ da scaricatore di porto, tramite i suoi atteggiamenti incomprensibili che alternavano, nei riguardi del Rossino, un’insensibilità spietata ad un contorto interessamento, quasi una preoccupazione fraterna…con le lascive movenze feline del suo corpo che pareva ardere dal desiderio di sedurre e di esser divorato da quelle iridi color cioccolata…con i suoi insulti che andavano a stuzzicare l’orgoglio dell’impetuoso numero dieci sino ad indurlo ad eccitarsi in vista di una rissa perversa… …Forse, allora, quella dell’astuta volpe non era una tecnica atta ad incitare Sakuragi ad allontanarsi _ pian piano, a forza di sentirsi schernire, il ‘Re delle espulsioni’ si sarebbe scocciato di dannarsi l’anima per ricevere un elogio dal proprio antagonista, così lo avrebbe lasciato finalmente in pace_ bensì uno sporco pretesto per farsi avvicinare da lui? No, non poteva essere così! Akagi si rifiutava di credere a ciò che aveva pensato…il suo scontroso amore non avrebbe nemmeno mai immaginato di agire in quella maniera così squallida…e…e, probabilmente il suo comportamento verso Hanamichi era dovuto al fatto che litigare con quell’egocentrico maniaco dalla pelle bruna era soltanto troppo divertente!
L’unica cosa certa, e talmente evidente da far male, era che solo Sakuragi rappresentava effettivamente il contatto di Kaede con il mondo esterno…e purtroppo non era il triste e malinconico Takenori ad orchestrare il delicato battito di quel cuoricino scolpito nella neve…
Sospirò, afflitto, ricacciando le lacrime da dove erano venute, e proseguì nel suo lento viaggio verso casa…quella mattina aveva un mucchio di faccende da sbrigare, e gli conveniva darsi una mossa a compierle tutte per giungere in tempo, quello stesso pomeriggio, ai magnifici e dolorosi allenamenti con la sua vecchia squadra e con il suo immortale ma, nella realtà, mai nato amore…
L’imbrunire si affacciò sornione e placido alle liquide finestre, ancora meravigliosamente pulsanti e odorose dell’energico sole pomeridiano, quando nella palestra non aleggiava più anima viva. Il sontuoso parquet, meticolosamente dipinto da un reticolo di linee e colori puri, sfavillava del deforme ma brillante riverbero delle quattro solide e rozze pareti al pari di una superba perla la quale luccicava di candidi riflessi opalini, pur essendo immersa in una bruna fanghiglia melmosa che ne sporcava la perfetta sfericità. Come un magico quadro ‘suprematista’ l’immagine racchiusa in quelle lustre assicelle lignee, solcate da rigidi e calcolati segni matematici, si poneva quale elemento di congiunzione divino fra terra e spirito per quei numerosi artisti che ne calpestavano, ogni giorno, la scricchiolante e pittoresca superficie.
Un sordo rumore metallico, che si espanse vibrando in tutta la sfocata aria, accompagnò il cammino lento e cadenzato di una lucida ombra sul nudo suolo solitario e il sonnacchioso moto incolore di una molle sfera arancia.
Kaede era rimasto solo.
Unico e incontrastato padrone di quell’afoso e subdolo regno che trasudava un goloso misticismo; terribile sceicco dalle inestimabili ricchezze che dominava, senza donare solidarietà ad alcuno, la sola oasi sfarzosa esistente in quel fetido deserto di mostri di sabbia e sozza ipocrisia il quale corrodeva ogni singolo anfratto della terra nerognola che sfrigolava fuori da quella quattro mura sacre…e sue…sue… Cosa poteva esserci di più catartico che bloccarsi, con le palpebre chiuse e palpitanti, ad origliare il sincrono perfetto esistente fra il tonfo sensuale del pallone sul suo amante castano, i piedi gioiosamente danzanti, l’esuberante stridio del legno violato e il battito acceso del proprio cuore innamorato?
Il ragazzo schiuse gli umidi occhi cerulei _velati da quel sottile, ma immenso, piacere che solo la più quieta o tumultuosa solitudine può dare_ per restare del tutto incantato ad ammirare il proprio pallido corpo, sfiorato dagli amorevoli baci della perlacea sera blu-violetta, languidamente lanciato verso l’estasi più totale trepidante entro quello sfuggente anello rotondo…
Era un attore che mimava sé stesso nel disperato gesto della scoperta di un orgasmo travolgente…
Era un violinista che stuprava la propria carne di legno e corde, straziandola con il braccio ad archetto, per riempire di incantevoli sonorità il cielo, e al fine di dare immagine volatile alla sua musica tramite il contorcersi delle sue membra fuse con l’anima stessa dello strumento…
Era un pittore che si apprestava a creare la sua geniale finzione, impregnandosi totalmente del pigmento più ammaliante per poi utilizzare sé stesso come pennello e intingere lo spazio aereo con straordinarie scie di colore figlie delle sue convulsioni lussuriose…
Uno scultore impazzito che ambiva a tramutare il mondo nella ‘bellezza ideale’, e godeva nel torturarsi con i mezzi della sua arte per scolpire il proprio corpo e l’ambiente circostante mentre volteggiava nella foschia gelatinosa di una solitaria voluttà…
Un ballerino che incorporava nella sua melodica, evanescente danza di angelo ogni singola dottrina artistica e ne riassumeva le caratteristiche migliori ad ogni piccolo passo della sua lieve figura…e, ugualmente al più ispirato ballerino, Kaede fluttuava sulle orme fantastiche della sua stessa, squisita armonia, trasformando di salto in salto la propria pelle in colore, poi in luce, infine sciogliendo ogni muscolo succoso in pura elettricità, sino a sbriciolarsi le ossa e diventare vaporoso pulviscolo opalescente…e da lì si materializzava di nuovo nelle sembianze di impalpabile farfalla… Che sensazione magnifica…
Il buio, ormai, accoglieva dentro di sé i serici contorni di ogni più piccola forma immota nella sua triste esistenza, sfrangiando cupamente i timidi confini di quello spazio gommoso e conferendo all’ambiente una fascinosa atmosfera spettrale. Soltanto un bianco fascio di luce, imperlato di una fluorescente polverina violacea, si stagliava nell’ombra avanzante illuminando, come un ruggente riflettore di scena, la zona centrale del rettangolo di gioco e il traslucido fianco destro del giovane conteso fra tenebra e chiarore. Forse doveva accendere la provvidenziale illuminazione artificiale…ma come avrebbe potuto, poi, provare quel delirante brivido erotico che gli sconquassava anima e corpo al momento in cui la sua screpolata icona, ormai priva di dimensione percepibile, si sarebbe involata in direzione di quella preziosa e deforme oscurità, entro la quale soltanto gli occhi innamorati della sua mente sarebbero stati in grado di riconoscere il tanto venerato cerchio ornato da un’invisibile retina? Un altro balzo nel vuoto, l’ennesimo e brillante canestro insaccato.
Poi, un pastoso rumore in lontananza infranse l’incantesimo che svolazzava in quel taciturno luogo, e l’insistente, nauseante ronzio di mostruose belve al neon attaccò con scatti isterici la sua antipatica performance…la palestra venne brutalmente aggredita dalla sfumata e goffa nascita degli enormi lampadari arcigni, che la scrutavano dall’alto delle loro calve e dure teste _ uno di quegli orridi esseri, che si era bruciato in una furiosa lotta condotta contro la notte, poneva fine alla propria vita palpitando un ultimo, gemente segnale di sos ai suoi menefreghisti compagni.
Con le iridi ancora accecate dal violento cambiamento, Kaede scorse sulla muta soglia due buffe figurine che sembravano essere un nano allacciato alla mano di un gigante…e si rivelarono essere niente meno che un saltellante Hanamichi Sakuragi scortato, sotto braccio, dalla sua candida e sognante donzella tutta cinguettii e grumosa bava colante.
Il giovane, palesemente seccato, scoccò una breve occhiata a quell’insignificante gingillo metallico che dormiva abbandonato su una triste panchina adombrata…un appassito orologio il cui ritmico ticchettio, sinora, era stato del tutto eclissato dalla fumosa magia che aveva imprigionato la palestra. Probabilmente, lo sgradito ritorno di quel chiassoso scimpanzé e della sua scimmietta _nuova manager del team, fedele e zelante spalla della bella Ayako_ era dovuto proprio all’eroico salvataggio dello stanco fuggiasco rapito dalle vogliose trame di quel luogo ginnico!tsk!…erano già le nove e mezza di sera, e gli allenamenti erano terminati da due buone ore: il brillante ‘Re del rimbalzo’ ce ne aveva messo di tempo per accorgersi che al suo polso mancava quel birichino aggeggio incriminato!
Hanamichi diresse i suoi pesanti passi, ostentatamente allungati e rumorosi _ guardandosi bene a non incespicare nei teneri piedini della sua piccola e maldestra fidanzatina_ in direzione del proprio orologio, stando particolarmente attento a non sfiorare nemmeno di striscio con i propri occhi, come a volergli lanciare una tacita sfida, quelli dell’odioso guastafeste che si era intromesso nei suoi speranzosi sogni di una beata solitudine con Haruko.
Già prima di varcare la soglia della palestra aveva pregustato di trovarvi dentro, tutto mescolato in un borioso ‘addestramento’ supplementare, quell’incomprensibile, fastidioso, viscido essere dall’assurdo nome equivoco che era Kaede Rukawa…certo, sebbene dall’esterno l’edificio potesse apparire totalmente deserto, a causa dell’assenza d’illuminazione, quella familiare melodia stonata che si dimenava in tutti i frementi pori della satura ed insalubre notte estiva voleva senz’altro palesare la presenza di un instancabile atleta ostinato rimasto godersi, tutto solo e indisturbato, il silente parquet compiaciuto e l’ovattata aura serale…
Sapeva che LUI era lì dentro…ma, senza neanche capirne la ragione, le sue scarpe lo avevano obbligato ad entrare ed affrontare, per l’ennesima volta, il suo più detestato nemico.
La guerra non era ancora terminata…anzi, proprio ora che Hanamichi non aveva più alcun motivo di portarla avanti, questa si sarebbe fatta ancor più violenta e sanguinaria…l’ardente desiderio che lo aveva sempre spinto a combattere per eliminare quel bianco cigno dalla chioma corvina non si sarebbe mai placato. Un guerriero, varcato il limite di una battaglia ormai consumatasi, non può fare a meno di lottare ancora…anche, solo, per qualcosa di inutile…per il semplice, volgare gusto e piacere di farlo.
Raccattata la dispersa ‘clessidra’, il giovane passò un possente braccio intorno alla vita della sbigottita ragazzina _ la quale sembrava ammirare meravigliata un artistico punto fisso, nel vuoto scuro oltre le grandi vetrate_ per attirarsela velocemente al petto e posarle uno schioccante bacio sulla rotonda fronte. Le sue more pupille scintillanti si attorcigliarono tutte verso l’angolo esterno dell’occhio per poter osservare di scorcio, con ghignosa soddisfazione, una possibile reazione da parte dell’indesiderato ‘terzo incomodo’, ma questo, con la sua tipica e ripugnante apatia, non degnò la tenera coppia appiccicosa di un solo esiguo sguardo e, nuovamente estraniato dal mondo intero, si stava già trastullando comodamente con la piacente palla arancia che gli sgusciava di mano in mano come un’anguilla squamosa… Dannato Rukawa!…sembrava proprio un infastidito bambino che si tuffava nel giocoso meccanismo di un passatempo per restare sordo alle sdolcinate effusioni dei zuccherini genitori. Stramaledettissimo volpino insolente!…tsk, ma di sicuro, alle spalle di quel suo freddo grugno artificioso, quell’orripilante essere insalubre si stava rodendo il fegato dall’invidia!
Invidia…invidia…
Invidia cocente nei confronti del suo eterno rivale con i capelli di fuoco, verso la megalomane ‘scimmia rossa’, nei riguardi di quello spocchioso ‘do’hao’ il quale in due soli anni, nonostante non possedesse tutta la sua stessa esperienza ed eleganza sul campo da basket, era riuscito a farsi coccolare dalla sincera stima e dalle dorate lodi di tutti: dai semplici compagni di squadra ai migliori atleti dei teams avversari, perfino da quelle sfavillanti stelle di sublime bravura che Kaede aveva sempre considerato sue avversarie dirette ed esclusive… Ed ora l’inesperto, balordo e chiassoso Hanamichi aveva pure stregato il fragile cuore del delicato traguardo a cui aveva tanto ambito: l’illibata Haruko alla quale, Rukawa, non era stato in grado di concedere nulla se non i suoi soporiferi sguardi immoti…
Sakuragi aveva pian piano saputo realizzare, impegnandosi con tutta l’anima e sudando sangue e sporco dolore, quegli inattuabili sogni che gli si erano insinuati dentro sin dal primo giorno in cui era entrato a far parte del club di pallacanestro, mentre invece quali gratifiche, agli sforzi compiuti, aveva effettivamente ottenuto la detestabile ala piccola?… …Oh, certo, l’estate precedente il caparbio Rukawa si era meritato il titolo di ‘cestista numero 1 del Giappone’ al momento in cui, egli, aveva temerariamente abbattuto le solide difese del potentissimo Sawakita, ma la sua vittoria non era forse da ricollegarsi alla risoluta tenacia con cui il principiante Hanamichi si era imposto sul temibile Sannoh Kogyo quando ormai, agli occhi dello Shohoku, il roseo lieto fine ai Campionati Nazionali si stava allontanando sempre più?…se in quella situazione non fosse intervenuto l’irrazionale ottimismo di Sakuragi, a ridonare una reale e magica speranza alle aspettative già scemate di Kaede e compagnia, allora il loro sconosciuto team di Kanagawa sarebbe tornato a ingolfarsi nell’ombra ancor prima di levarsi in cielo e brillare alla luce del sole…che peccato, l’unico clamoroso successo che aveva investito l’ex matricola d’oro si era consumato grazie, soprattutto, alle doti di un altro giocatore : il suo nemico giurato!…quale amaro sapore la gioia di un trionfo non del tutto meritato…che delusione la consapevolezza di quale orribile sconfitta celasse quello stesso trionfo!
Rukawa non era riuscito nell’impresa di tramutare sé stesso in quell’eccelso atleta che, sin da quando era bambino, egli desiderava diventare e le sue lacune erano ancora troppo estese da poter essere colmate dalla sua sola vanagloria… …E non si era nemmeno involato verso quel paradisiaco territorio di grattacieli, contraddizioni, deserti rossi e libertà in cui la sua insoddisfatta anima errante avrebbe finalmente trovato dimora: l’America rimaneva soltanto un pallido nome stampato su un logoro depliant sfogliato e ammirato milioni di volte dalle sue tremolanti pupille azzurre, e del suo infranto cuore ambizioso non restavano altro che sciolti frammenti, i quali non avevano neanche più la forza per confidare di esser, un giorno, riscaldati dal protettivo abbraccio di una stoffa a stelle e strisce…
Kaede Rukawa, in fin dei conti, aveva fallito…e l’infortunio che si era procurato l’inverno precedente aveva solo e impietosamente gettato acido corrosivo sulle vecchie ferite infette le quali, con la loro brutalità, avevano squarciato l’animo dell’impassibile moccioso già da quel fatidico giorno in cui l’allenatore Anzai si era pronunciato affermando che la boriosa matricola non era ancora all’altezza di Akira Sendo… Chissà quanto aveva sofferto, il povero ragazzetto idolatrato, nel sentire fluttuare nell’aria simili parole pungenti, proprio all’indirizzo di quel suo indubbio talento che egli aveva sempre un po’ sopravvalutato!
Ma ora non c’era più niente da fare: per quanto egli si sforzasse di rincamminare i suoi incidentati piedi lungo la ben indirizzata via un tempo intrapresa _ sentiero, non privo di trappole e insidie crudeli, che l’ansioso piccolo stupido aveva attraversato in maniera eccelsa lasciandosi alle spalle i laceri cadaveri di tanti, troppi promettenti campioni, a volte anche più in gamba di lui, per poi cadere rovinosamente in un tenebroso fossato, impossibile da risalire, al momento in cui ‘quella’ frattura lancinante gli aveva deturpato la caviglia e il miraggio di un prestigioso futuro_ non sarebbe riuscito a mantenere ferma e salda la sua rotta, come aveva fatto in passato… Kaede Rukawa, probabilmente, non avrebbe mai più potuto aspirare a divenire il cestista numero uno del Paese…e se anche un accondiscendente Fato gli avesse posto in dono una nuova, rinata speranza di tramutarsi, in un lontano avvenire, nel miglior atleta in circolazione di sicuro la sfortunata ala piccola non avrebbe raggiunto il livello di bravura che gli apparteneva prima della disgrazia entro la fine del liceo…e la sua sottile caviglia sembrava sempre più fragile e barcollante…e il suo volto ancor più cupo e smunto.
Kaede aveva tanto per cui lottare, ma più nessuno a cui dare prova del proprio valore… …Doveva battersi, con la sola forza della disperazione, contro quella sua dannata ‘menomazione’ fisica che gli si contorceva sin dentro l’anima, con la sua nera ironia, per indurre il ragazzo a gettare la spugna, a prendere finalmente atto di quale fosse la mostruosa realtà che lo avvinghiava e per obbligarlo ad arrendersi e a morire di un terribile strazio nell’istante in cui le lunghe gambe d’avorio si innalzavano, gemendo di dolore, verso il cielo in un balzo felino diretto al palpitante canestro arancio… Aveva troppo, troppo per cui lottare!…non era più l’o straordinario asso fuoriclasse sul quale chiunque, in squadra, poteva tranquillamente fare affidamento nella situazioni più impantanate e irrecuperabili che gettavano nello sconforto più totale l’intero Shohoku, allenatore compreso…ora non era altro che l’ombra sbiadita di una stella miserabilmente morta la quale, dopo aver folgorato lo spazio intero con l’ardore incandescente della sua mole infuocata, si era consumata totalmente in un fugace istante sino a ridursi in una insignificante, fredda e spenta ‘nana bianca’ a cui più nessun occhio telescopico avrebbe attribuito alcuna virtù. Questo era il Kaede Rukawa dipinto dalle disilluse menti dei suoi stessi compagni di basket: il fantasma di un sogno distrutto, lo spettro trasparente di un talento spezzato…di una vita tramutatasi in grigia e malinconica cenere…
Lui era lo sfortunato compagno da compiangere, il povero adolescente al quale porgere una morbida mano in segno di amorevole conforto, l’emarginato ragazzetto solitario su cui versare come liquida acqua ristoratrice una candida solidarietà…una fottuta, nauseante solidarietà tipica di chi arrogantemente pensa che al mondo siano tutti schifosamente uguali, paragonabili uno all’altro in ogni aspetto, sentimento, reazione agli eventi, e che chiunque debba essere per forza salvaguardato da coloro che pretendono di aiutare il prossimo e di esser difensori di pace e amore solo per sentirsi moralmente appagati…quei viscidi esseri che impongono il loro squallido sorriso impostore anche nei riguardi di persone di cui non sanno nulla, ad un perfetto sconosciuto, ad un nemico, ad un assassino, ad un mostro, a chi non lo ha chiesto…a Kaede che mai aveva proferito parola… soltanto per levarsi al di sopra di ogni altro e soddisfare la propria ipocrisia, e farsi adorare come martiri che per il bene dell’umanità intera sono disposti a sopportare orribili pene e a dialogare amabilmente anche con il diavolo in persona, pur nella consapevolezza di poter essere uccisi da un momento all’altro (ma chi era, Kaede, se non quello stesso diavolo dal fosco e insondabile potere?)…gli stessi che trattavano Rukawa come un pustoloso e infetto lebbroso, trovato per caso sul ciglio di una strada ignota, da consolare con stucchevoli parole per alleviargli la dolorosa attesa di una morte certa, giusto per salvarsi la coscienza al momento in cui il ragazzo sarebbe divenuto cadavere… …Il caro Kiminobu Kogure che, pur non essendo più in squadra, si impossessava del ruolo di super tutore ed esortava, con la sua solita dolce, troppo dolce vocina da bravo ragazzo, l’imprudente numero 11 a non saltare eccessivamente in alto, a non sforzar la caviglia, a non affaticarsi… …I premurosi Kakuta, Yasuda e Shiozaki che sibilavano all’orecchio dell’impetuoso Hisashi Mitsui di non stringere troppo la sua violenta marcatura sul ‘povero kohai’, di fare attenzione a non colpirlo durante un brusco atterraggio, di non forzare il suo gioco su di lui… quelle sciocche matricole, che odoravano ancora di latte e biscotti, le quali scrutavano impaurite il bel volto di quel senpai che sapevano, da voci di corridoio, essere stato un talento eccezionale, e che cercavano di tentare un minimo approccio con lui dicendogli che gli sarebbe tanto piaciuto averlo conosciuto un anno prima, quando l’infortunio e l’ospedale non erano che una lieve perturbazione sull’orizzonte di una rosea ambizione… Brave persone, certo, ma dannatamente e inconsapevolmente ipocrite…
ORA Kaede Rukawa era divenuto una missione da compiere in nome dell’amicizia, della bontà, dell’amore…
ORA Kaede Rukawa era pure un essere umano, per loro!…un essere umano con una propria singolarità caratteriale specifica che ovviamente, LORO, credevano di conoscere a mena dito, un ragazzo che sicuramente celava in sé il trepidante bisogno di un fertile appoggio da parte di quei cari e altruisti compagni di gioco ma che, a causa del suo stesso orgoglio solitario e spietato, non riusciva a dar voce concreta alle proprie richieste, ai propri desideri…un disgraziato bambino che non aveva più modo di andare avanti reggendosi sulle sue stesse, tremule gambe se non grazie al gentilissimo sostegno di quelle presenze angeliche e onnipotenti che lo proteggevano dall’alto delle loro aureole dorate, incontaminate, intaccabili…se non grazie al morbido e solido tappeto elastico che LORO avevano creato per attutire la rovinosa caduta del disperato Kae-chan il quale, stoicamente, tentava in continuazione di arrampicarsi sull’alto ‘trapezio’ che egli stesso aveva abbandonato a causa di quella caviglia rotta _ rotta, rotta…rotta per merito di un Dio che aveva deciso di punire la presunzione e lo smisurato egoismo dell’angelo più bello e terribile del Paradiso?…o rotta per dare ai ragazzi dello Shohoku l’ennesimo pretesto per potersi tramutare in coraggiosi paladini del bene?… LORO sapevano perfettamente com’era giusto comportarsi nei riguardi del povero sciagurato; erano profondamente convinti che a Kaede facesse piacere essere la cavia passiva dei LORO esperimenti da psicologi, che il piccolo cucciolo dai capelli corvini dovesse essere consolato ma al tempo stesso persuaso a non illudersi su una sua fortunosa completa guarigione…
Per LORO, Rukawa era già definitivamente morto…e avevano il sacro compito di non fargli pesare troppo questa consapevolezza…
Oh, del resto, erano i suoi amici…quelli che avevano il diritto di agire sulla sua labile persona per il nobile fine di salvare ciò che di lei era ancora recuperabile!…anzi, era loro dovere darsi da fare per quel carissimo ragazzo del quale conoscevano, sì e no, soltanto i caratteri in bianco e nero di nome e cognome sugli elenchi della scuola! Tsk…e Kaede Rukawa si ritrovava a dover lottare anche contro i propri alleati…a combattere per riacquisire l’esperienza sportiva perduta, senza permettere agli altri di mettergli i bastoni fra le ruote in nome dei loro triti e scialacquati valori da stupidi, insulsi ‘impegnati’ …a sputare sangue e veleno dalla propria bocca rosata per distruggere coloro che, ora, gli sapevano donare solo un sozzo compianto e una lurida, tediosa pietà quando sino a sei mesi prima non si erano mai avvicinati a lui nemmeno per tentare di comprenderne il carattere al di fuori del campo…a dare l’anima per la sua immensa passione, forse ancor più di prima, per far sì che gli altri lo lasciassero in pace…per riprendere, nei loro cuori, quel freddo e misero posto che egli aveva occupato sino al momento della sua disgrazia… Tsk, non gli era mai importato nulla del giudizio degli altri, ma adesso _ Hanamichi ne era convinto_ avrebbe venduto l’anima per essere ancora giudicato soltanto come lo era stato un tempo: ‘ala piccola numero 11: cubetto di ghiaccio; bravissimo giocatore; in grado di cavarsela da solo; non ama comunicare’!...
Non aveva più nessuno a cui dar prova del proprio valore’…poiché nessuno credeva che Kaede valesse ancora qualcosa…almeno non adesso.
Eppure, per Hanamichi, lui era ancora più bravo di prima…ma, questo, il ragazzo non l’avrebbe mai ammesso.
Eppure ciò che contava, in sostanza, era che la brillante ala piccola aveva subito una letale sconfitta infertagli dalla lunga convalescenza in ospedale, dai suoi stessi compagni e da parte di un Sakuragi approfittatore… Già, Hanamichi aveva subdolamente marciato sulla scia polverosa, vuota e malinconica lasciata da Kaede…si era crogiolato tra le braccia dei suoi senpai, finalmente libero di apprendere con maggiore modestia e scrupolosità quegli aspetti della pallacanestro che non facevano ancora parte del suo bagaglio di esperienza, senza più avere tra i piedi l’ombra insormontabile di un Rukawa infinitamente più abile, silenzioso e concentrato di lui…senza avere più davanti quel bellissimo corpo armonioso su cui far naufragare i propri scuri occhi infuocati di odio, invidia ed eccitazione morbosa…non percependo più, al proprio fianco, l’ingombro magnetico di quella evanescente figura diafana la quale era sempre riuscita a sedurre le grandi mani del Rossino e invitarle a posarsi su di essa, anche chiudendosi a pugno _solo con i pugni, ma il tremito delle sue dita che tipo di desiderio interpretava, effettivamente?…quello di percuotere o di sfiorare con voluttà la serica pelle arrogante?
La presenza di Rukawa, in quei lontani e distorti giorni di gelido inverno, si era dileguata in una maniera mostruosa… nulla sembrava essere rimasto di lui: non il ricordo sbiadito del suo impareggiabile talento volto a rimbombare con fragore lungo le pareti della palestra, non un opaco rimpianto sulla sua sensuale grazia che da sempre aveva impregnato l’aria profumandola di una fragranza golosa, nemmeno la reminescenza dell’incanto creato dalle perlacee gocce lucenti che piovevano dalla sua chioma di seta quando il suo bel capo ciondolava lascivamente dopo una doccia fresca…solo una corrosa targhetta in legno, con su scritto il suo strano nome, appesa al suo piangente armadietto disabitato.
Nel vocabolario dell’intero team, ogni parola che rammentasse il giovane ragazzo moro era sparita completamente…tsè, proprio ammirevole il loro spirito di squadra!... …Tutti avevano atteso con ansia di aggiudicarsi nuovamente l’ingresso ai Campionati Nazionali, ma nessuno a cui fosse passato per l’anticamera del cervello che, forse, se a disputare la finale per il secondo e terzo posto contro un vigoroso Ryonan avesse contribuito anche la dispersa ala piccola probabilmente lo Shohoku, al momento, si sarebbe ritrovato in trasferta ad Hiroshima… Hanamichi, a questa cosa, aveva pensato parecchie volte e in lui si contorcevano, come fantasmi gementi, le sensazioni e i sentimenti più contrastanti in merito alla situazione in cui si era venuto ad invischiare il suo nemico dagli occhi blu…una sottile, ironica e orripilante soddisfazione nel sapersi incontrastato vincitore di quel grottesco duello che da due anni si protraeva fra volpe e scimmia…una disperata, cocente e imbarazzante paura nel vedersi così irrimediabilmente distante da lui, ora che Kaede aveva trovato altri nemici ben più micidiali con cui scontrarsi, e di non avere più alcuna garanzia di poter un giorno tornare a far parte della sua vita, del suo mondo, del suo interesse… …oh, e quel suo interesse sembrava essersi ridotto e racchiuso solamente intorno a Rukawa stesso, pareva che il suo freddo sguardo assente non avesse più modo di osservare al di là dei morbidi contorni che delineavano il suo corpo bianco…e Hanamichi impazziva dinnanzi a tale consapevolezza…pretendeva di essere considerato e guardato da LUI…anche, e solo, nella forma più bestiale del male e dell’odio.
L’assenza del sedicente numero 11 aveva indubbiamente favorito e spianato un liscio cammino davanti ai piedi dinoccolati dell’impavido Sakuragi, il quale aveva calpestato l’immagine del bel principe azzurro Kaede Rukawa anche sulla soglia dei fanciulleschi sogni amorosi della dolce Haruko Akagi: inconsapevolmente, aveva contribuito egli stesso a cancellare il suo coetaneo dalla mente e dal cuore degli altri… prendendone il posto in campo, in veste di eccelso talento naturale, e scalzandolo di prepotenza dalle sciocche illusioni di quella bimbetta che, ora, sembrava sciogliersi tutta solo e unicamente per il virile Hanamichi…sembrava… _ in fin dei conti, il Rossino non si era rivelato migliore degli altri…bugiardo e ipocrita genio!
Chissà se ‘lui’ soffriva per via di questa nuova e deforme realtà rovesciata che l’aveva investito con il proprio impeto crudele ? Si rendeva conto di ciò che era diventato? Riusciva a percepirla la lurida compassione dei suoi compagni colargli addosso come melma appiccicosa? Che effetto gli faceva il sapersi del tutto eliminato?...il sapersi solo un fastidioso cumulo di polvere sullo scrigno delle ambizioni di un’intera squadra?
Piangi, piangi, piccolo e oltraggiato Kaede…piangi quelle lacrime di cristallo che il tuo cuore di ghiaccio non potrà mai formare!...fatti schiavo dei tuoi rimpianti e datti in pasto alle fauci affamate di chi ti sta accanto compiangendoti e scrutandoti con disgusto…fatti scopare dalle tue stesse paure perché nessuno, più, vorrà toccarti desiderandoti quasi fossi una persona con una propria dignità…tu non hai più dignità…tu sei solo una pustola infetta che insozza la rosea pelle di un sogno condiviso da tanti…piangi…piangi anche per quell’Haruko che hai , grazie alla tua amara decaduta, gettato tra le solide braccia di un Hanamichi smanioso e irrequieto… Certo, per quanto concerneva il suo stesso fidanzamento, Sakuragi sapeva fin troppo bene che a quella sorta di volpe ibernata non aveva mai fatto gola la zuccherina, scolorita ingenuità di quell’insipida ragazzina la quale, sino ad un anno prima, si sbrodolava tutta al solo intravedere la lucida ombra del suo idolo di marmo opalescente calpestare il crepitante suolo su cui, la sua imbambolata figurina civettuola, precipitava in uno stato di asmatica ammirazione…ah, il talentuoso ‘Re del rimbalzo’ era sempre stato fin troppo conscio di quanto la scialba e futile avvenenza della floscia Harukina _ minuscola bambolina dalle tozze manine svolazzanti nell’incitare il team capitanato dal suo adorato fratello, e con le tenere mutandine rosa umidicce di desiderio per un fascinoso pezzo di ghiaccio saltellante su un anello in ferro_ agli occhi velati di Kaede si fosse rivelata di giorno in giorno più insignificante…anzi, probabilmente la suadente ex matricola d’oro di Kanagawa aveva persino provato un penetrante, costante disprezzo nei confronti dell’asciutta, vuota e uggiosa sorellina di Akagi così schifosamente premurosa nei confronti di tutto e tutti e così oscenamente misera d’intelligenza _ed ecco che le sue blande membra di gallinella, dopo essersi staccate con imbarazzo dalla calda stretta di Hanamichi, cercavano in maniera grottesca di darsi quel tipo di contegno che non avevano, comunque, mai posseduto… Effettivamente, ora che la volubile fanciulla si era completamente sciolta nel possente dominio di Sakuragi, al finalmente libero Kaede era stato miracolosamente concesso di potersi dedicare, indisturbato, all’attività che meglio gli riusciva: affogare in maniera assoluta e libidinosa nel suo melmoso universo costellato di solo basket e licenziosa solitudine perversa, senza più doversi preoccupare di scrollarsi continuamente di dosso la fetida polvere appiccicosa che ad ogni istante quella mocciosa sgradevole gli schizzava sul corpo tramite le sue pruriginose occhiate da pesce lesso e le sue ‘stitiche’ paroline da gattina intimidita…ma come poteva non bruciargli, come acido su uno squarcio aperto e sanguinante, la clamorosa disfatta infertagli _ anche se in una battaglia che mai, Kaede, avrebbe voluto intraprendere_ proprio da colui che, egli, aveva sempre ritenuto inferiore? Sconfitta…sconfitta… La sconfitta della squisita ala piccola dal bellissimo volto statuario si era consumata anche all’interno di un terreno di guerra a lui sconosciuto, un perimetro di brulle zolle di nera torba e buche pericolose entro cui l’orgoglioso Kaede era stato involontariamente trascinato dalla rissosa forza bruta di un omaccione, dai rossi capelli e l’animo infuocato, il quale aveva obbligato il ragazzo a sfoderare le proprie armi affilate e insinuarsi, con lui, contro di lui, per lui, entro una lotta spietata volta alla conquista di un mediocre premio, non già un rigoglioso e fertile regno conteso, bensì i futili ammiccamenti di una lurida foca irrimediabilmente invaghita del miraggio di un principe su un cavallo bianco…
La purpurea arena su cui era spirato il valoroso Rukawa era quella dell’Amore.
Una ragazza era morta di adorazione per l’algida immagine di una rara bellezza immortalata nelle particelle vibranti di una modesta palestra. Una ragazza era morta nel rendersi conto di quale vuota, storpia natura si celasse proprio all’interno di quella stessa icona che, in fin dei conti, non era altro se non insipido pulviscolo profumato dispersosi nella tersa aria dei suoi vecchi sogni…fragranza andatasi mestamente a sfumare nell’acre puzzo di un afoso giugno. Una ragazza era rinata fra le braccia di un essere che raffigurava, come una solare allegoria dipinta, l’amore stesso in tutte le sue molteplici facce: un uomo il quale trasudava, sia a livello fisico che spirituale, lo splendore unico e insostituibile di infinite virtù concrete e palpabili che, in Rukawa, non avevano mai trovato dimora…quale dote, invece, traspariva dall’immobilità scandalosa del frigido numero 11 se non una sola, irrisoria avvenenza superficiale oltre la cui laccata, fittizia e artificiosa apparenza si nascondeva null’altro che fuligginosa cenere scura e inerte?
Haruko aveva preferito innamorarsi del ‘do’hao’, del ‘deficiente’, di quella stupida ‘scimmia rossa’ che aveva ignobilmente sfruttato le conseguenze di quel provvidenziale infortunio al pari di un sadico arrivista ma il quale, al contempo, si era costruito attorno alla sua stessa persona, con la costanza e onestà di un leale artigiano, la solida e scintillante immagine di un ‘nuovo Sakuragi’ che chiunque aveva preso ad ammirare ed elogiare…ah, ora Hanamichi era diventato bravissimo nel suo inedito ruolo di centro e il suo nome di ‘eccezionale talento’ era ormai sulla bocca di tutti; il suo neonato fanclub annoverava fra le sue rigonfie file decine e decine di isteriche pupattole incallite, così provocanti nei loro sgargianti abitini ristretti mentre sventolavano festosi pon-pon di lustrini e pigolavano a ripetizione le tremolanti sillabe per invocare la grazia del loro attuale sovrano! Certo, anche quell’infido ragazzo dalla cute alabastrina pareva aver perfezionato ulteriormente il suo elegante e lascivo stile di gioco, nonostante il lungo periodo di inattività… ma la potenza, l’animalesca forza fisica che avrebbe e aveva, in passato, fatto di egli un cestista vincente _andandosi a sommare all’abilità tecnica e allo spiccato carisma che mai sarebbero scemati dalla sua luccicante figura di cigno_ Kaede sembrava averla perduta quasi totalmente e irrimediabilmente… Quel viscido addormentato non si era rivelato essere all’altezza del prestante Hanamichi nemmeno in quel misero, futile ma bruciante frangente: l’antipatica disgrazia infiltratasi nella schiena del tempestoso Rossino era stata letteralmente spazzata via come travolta da un terribile vento guaritore e, dopo solo pochi mesi di paure, sofferenze e durissime battaglie, il giovane non aveva accusato più alcun segno di debolezza anzi, la sua inesauribile tenacia, il suo ottimismo e l’affetto disinteressato dei suoi amici gli avevano permesso di rimettere prontamente i propri passi in carreggiata e a dargli modo di rimpossessarsi pienamente di quel vigore che lo aveva sempre contraddistinto…mentre invece la sciagura che aveva squarciato le tenebrose sembianze dell’ala piccola non era stata ancora del tutto dissolta, e i suoi effetti devastanti avevano fin troppo contribuito a debellare le fiacche difese del ragazzo il quale non avrebbe mai potuto sperare di risollevarsi dal baratro in cui era scivolato solo grazie alla sua solitaria superbia… …e nessuno lo avrebbe aiutato veramente…e…e forse era giusto così…
Kaede Rukawa non meritava l’appoggio sincero da parte degli altri; di ‘quegli altri’ a cui egli non aveva mai saputo dare nulla…se non, forse, solo il pretesto per masturbarsi silenziosamente sull’effige abbacinante del suo concupiscente corpo da sgualdrina.
Alla fine, quel disgustoso mostro scolpito nell’avorio era ancora più solo e bistrattato di prima…tu non hai dignità…e, forse, nemmeno io…ma noi siamo nemici, e per combattere ad armi pari dobbiamo essere uguali...dobbiamo.
Il Rossino trasse un profondo respiro e si preparò mentalmente a mettere in scena la propria grottesca commedia: gli attori stavano già tutti inconsapevolmente calcando l’immaginario palcoscenico che la mente del giovane dipingeva, per loro, con folli colori acidi. Con un sorriso beffardo stampato sulle labbra, si dispose cautamente alle spalle della piccola Haruko per deporre succulenti e umidi baci sul suo levigato collo rosa, strappandole dalla secca gola un affettato gridolino di sorpresa e imbarazzata protesta.
“_ Hana…Hanamichi…che fai?!…no…non qui…ti prego!_”
Assolutamente perfetto. L’ottima performance sostenuta dalla sua tenera amichetta era tuttora accompagnata dal tiepido e monotono sottofondo orchestrale d’ouverture del pallone rimbalzante sul parquet _ solido battente di gomma che infilzava il suo ritmico andamento ondulatorio sulla rude superficie di un teso tamburo_ sostenuto dal saltellante scalpiccio dei piedi intenti a danzare stuzzicando il sinuoso legno _ leggiadre dita argentee atte a pizzicare le vibranti corde di seta di un violino dorato_; e con il graduale surriscaldarsi delle effusioni da parte dei due innamorati e in seguito alla crescita d’intonazione dei lamenti della giovane, tentata dall’incalzare di una sordida passione, andava aumentando l’intensità della ‘musica’ la quale sembrava rivestirsi di un rabbioso, ascendente intruglio di infinite armonie poi dissoltesi in un violento turbinio di rumori cacofonici, che cozzavano l’uno con l’altro, sino a spegnersi scoppiando entro l’immagine acuta di un conturbante silenzio spettrale il quale lasciò il posto al pallido suono di una voce apatica rimbombante lungo i vani nascosti ed effimeri di quell’illusorio teatro…
“_ Senti, stupido idiota… vattene da un’altra parte a fare il ‘porco’ con la tua ‘gallinella’…mi hai veramente stufato._
Ecco che l’affascinante personaggio principale era finalmente affiorato dalla pastosa ombra cieca, che inglobava dentro di sé le artificiose quinte di cristallo dietro le quali egli si nascondeva, per uscirsene con una secca battuta improvvisata, non prevista dal copione ma deliziosamente in tema e affine agli abominevoli propositi con cui la mente del regista dai rossi capelli si stava gingillando in maniera alquanto bizzarra. Poi, come se nulla fosse stato detto e senza attendere alcuna risposta, il ragazzino, stizzito dal troppo chiasso e dalla scenetta disgustosamente ridicola che cercava di corrodere i suoi occhi blu, aveva ripreso la sua solita routine di palleggi e innocenti giochetti libidinosi con la cinguettante sfera bollente, mentre la giovane comparsa femminile _ membra tremanti, pupille velate dalla sciocchezza di melodrammatiche lacrime_ sedeva mestamente su una mortificata panca presagendo, con dolente sconforto, l’ormai inevitabile proseguimento di quel deforme spettacolo che si apprestava a degenerare in una brutale tragedia mal impostata.
Dopo aver schioccato un lieve colpetto rassicurante sulla spalla gelatinosa di Haruko, il baldo Sakuragi si addentrò, sornione e impavido, al centro del rettangolo dall’impaurito legno scricchiolante, penetrando la tiepida zona profumata dall’ingombro fisico del suo acerrimo nemico…formicolio sottilmente erotico entro le brune narici…
“_…Oh!…guarda, guarda COSA abbiamo qui: un malefico volpino di ghiaccio che si allena tutto solo!…Rukawa, mi dispiace di averti disturbato con le mie smancerie, ma sai: io e Haruko non ti avevamo VERAMENTE visto quando siamo entrati!!…Beh, comunque, se ti infastidisce così tanto il lieve rumore del bacio di due innamorati perché non te ne vai tu, da questa palestra?…è un po’ tardi, non hai QUALCUNO che ti aspetta, a casa?…ops…scusa, sono proprio un cafone…dimenticavo che tu NON HAI NESSUNO con cui trascorrere il tempo libero. Ma, in ogni caso, a che ti serve rimanere ancora: non spererai mica che io e la MIA ragazza ti accogliamo fra di noi concedendoti il privilegio di partecipare ai nostri ‘atti d’amore’, spero!?Ah ah ah!…perciò, non credo che gioverebbe alla tua già precaria sanità mentale il roderti il fegato dall’invidia nel vedere due persone che si vogliono bene fare cose che TU NON FARAI MAI…a meno che tu non trovi un qualche povero disperato il quale sia disposto, oltre che ad idolatrarti come un blocco di marmo, anche a sopportare la tua squallida presenza frigida e inutile!…eh eh…_”
Il Silenzio espanse la sua voce incorporea incuneandosi fra le infinite, minuscole particelle invisibili che popolavano l’aria immobile e satura di quel sospeso istante in cui le labbra spudorate di Hanamichi avevano smesso di sputare veleno.
Silenzio…silenzio…
“_…Allora?!…Che hai da dire in merito?…dove hai nascosto la tua sibilante lingua biforcuta?…eh?…dannato moccioso!…_” Le sue balorde provocazioni non ottennero reazione alcuna: il suo muto interlocutore si limitò solamente a roteare su sé stesso per trovarsi faccia a faccia con Sakuragi e sillabare uno sbiadito e fiacco “idiota”, prima di avviarsi mollemente all’uscita dello sbigottito campo…una piccola gocciolina di cristallo si era infine riversata, come l’ultima lacrima spremuta con sofferenza da due occhi prosciugati, sul brillante pelo di un immoto lago imprigionato dalle traslucide sponde di un vaso di porcellana bianca, ed aveva tristemente infranto il sonnolento equilibrio il quale, sinora, aveva impedito a quell’enorme massa fluida di esplodere e distruggere le pareti dello scrigno che l’aveva da sempre sigillata nel ventre di un nebuloso stato d’innaturale quiete. L’odio che stava dilagando maestosamente nel cuore di Hanamichi spezzò i pulsanti ventricoli e fuoriuscì, come sangue violaceo, dalla pelle tesa e tremante delle braccia e si impossessò della grande mano rabbiosa, inducendola a prorompere in uno scatto violento e catturare, in una stretta selvaggia, il polso ossuto di un Kaede già parzialmente dileguatosi e scioltosi nell’oscurità oltre il portone metallico. Il Rossino furibondo strattonò brutalmente quell’esile circonferenza candida verso il proprio torace infervorato, obbligando Rukawa a tirare a sua volta, in senso opposto, nel vischioso tentativo di districarsi da quella penosa tortura.
Si sarebbe mai fiaccato quel latteo braccio conteso dalle due forze ribelli?
Mentre veniva trascinato nuovamente all’interno del rettangolo dalla furia cieca di Hanamichi, il moretto fu finalmente in grado di utilizzare la mano libera per assestare un nervoso gancio alla mascella dell’avversario, ma questo, forte di una maggior esperienza in fatto di risse e riuscendo ad intercettare il colpo, racchiuse entrambi i polsi nella propria morsa infernale per poi far mulinare l’intero corpo di Kaede, facendogli descrivere numerosi cerchi spasmodici sul solido perno costituito dalle loro braccia incatenate, e in ultimo mollare di colpo la presa al fine di far sbattere l’odiato nemico sul duro parquet calpestato.
Tsk, quel povero illuso non aveva più alcuna speranza di battere il muscoloso Hanamichi sul piano della prestanza fisica, ormai!
Oh, che soavi suoni impastati e scollegati provenivano da quelle gementi labbra imbrattate, mentre i loro rigonfi rilievi succosi e purpurei vomitavano sangue e insulti di ogni genere!…l’ammaccato marmocchio, nella sua grottesca caduta verso il basso, si era graffiato la tenera cute della bocca sensuale e ora giaceva malamente riverso al suolo, in un groviglio indefinibile e contorsinistico di arti, nel tentativo di far leva su quelle poche zone di gamba che non erano state logorate dall’impatto, avvenuto in ‘strisciata’, con il legno sudato.
Un guizzo di morbosa estasi nelle palpebre del ‘Tensai’.
Desiderava straziare quel corpo, ancora crocifisso alla nodosa croce di un vecchio infortunio, con la bestiale crudeltà dei suoi pugni d’acciaio. La fosca tentazione di sfregiare quelle splendide membra alabastrine con le proprie unghie infette, e di scorticare con voracità la carne lieve di quel lungo collo era troppo, troppo imperiosa…e…e quale trepidante eccitazione si occultava nervosamente all’ombra dell’innominabile brama, che fermentava in seno al liquido Sakuragi, di lacerare con i denti la morbida zona di pelle di quella caviglia bianca, dolorosamente ricucita, per poi frantumare il sottile osso e godere nel contemplare la feroce e disperata smorfia sul liscio volto chiaro… Uno dei momenti che Hanamichi ricordava con maggior fierezza era quello in cui la propria ingombrante presenza sghignazzante e derisoria aveva ronzato schifosamente, come ad imitare il fastidioso volo di una zanzara succhiasangue, nella sudicia stanzetta in cui giaceva uno smagrito ragazzino imbottito di sedativi, con un ago conficcato in vena e la solita, ostentata maschera di ghiaccio incollata al viso, la quale_ con estremo diletto da parte di un sadico ‘do’hao’_ pareva miseramente sul punto di sciogliersi a causa di quel sordo e accecante strazio, più spirituale che fisico, il quale ribolliva come lava entro il defraudato cuore del pallido atleta giustiziato quale vittima della congiura di un Fato assassino.
Il succo color rubino scorreva con singhiozzante voluttà…e il giovane numero 10, in quel preciso istante, avrebbe dato la propria vita per potersene abbeverare…ma la palpitante sensazione che aleggiava intorno a quella voglia inconsueta fuggì sulle ali di un breve sospiro, e l’epilettica, fasulla percezione del metallico filtro lungo le ruvide pareti della sua gola assetata venne subito lavata via dalla saliva, amarognola di bile non del tutto sfogatasi, che il ragazzo ai affrettò a deglutire assieme all’immagine, non troppo casta, di un Kaede che nel risollevarsi aveva lasciato intravedere la perlacea curva di un gluteo leggermente scoperto dai calzoncini stropicciati.
Morsicare con irruenza quella natica soda…
Che diavolo stava succedendo? Quale bestia feroce dimenava le sue zampe caprine contro le velate mura dell’animo del Rossino furente, alitandovi sopra brucianti vampate di zolfo? Per quale motivo l’ammirare la fuligginosa decadenza di Kaede Rukawa lo eccitava in maniera così ignobile? Eppure, non aveva mai provato l’irresistibile impulso di fare veramente male alla dannata ‘volpe surgelata’: le risse che i due avevano sostenuto in passato non erano che giocose baruffe fra arroganti bambinetti litigiosi…invece ora, proprio ora che Sakuragi pareva esser gloriosamente uscito vincitore dal bizzarro ed eterno duello con Kaede, l’aberrante bisogno istintivo di ferire a morte l’animo e il corpo di quell’ambigua e scostante creatura aveva rapidamente instaurato le proprie robuste radici in ogni sua cellula, in ogni capello rosso che gli ornava la testa…una bolla di meschino, seducente disprezzo si era formata nel suo cuore apparentemente soddisfatto e, dopo essersi gonfiata mostruosamente, si era autodistrutta per poter estendere il proprio tossico contenuto ovunque, dentro l’involucro Hanamichi Sakuragi, sino a raggiungere il cervello e andare ad intaccare gli infiniti fantasmi che vi turbinavano costantemente all’interno: quelli del bellissimo ragazzo dalla chioma corvina, il quale non ne voleva sapere di fuoriuscire spontaneamente dal cranio del suo detestato rivale…Rukawa avrebbe dovuto pagare la sua involuta presenza nella psiche di Sakuragi: in un modo o nell’altro!
“_Hanamichi!!…ti…ti prego: smettila!…che hai intenzione di fare?!…così lo ammazzi!…BASTA, lascialo stare!…Ru…Rukawa, perdonalo…noi ce ne andiamo subito, e…e…SCUSACI…_”
L’impaurita e scioccata ragazzina versava singulti e lacrimoni sullo specchio del legno che i suoi stessi tacchetti neri coloravano di nitide ombre oscure e, dopo aver posato la molle manina sull’isterico braccio del fumante fidanzato, proruppe in una logorroica serie di cantilenate frasi appiccicose per dissuadere i due rivali dal dichiararsi una nuova, inutile guerra…ma perché non chiudeva quella schiumosa, ripugnante bocca e non si toglieva di torno, quell’inopportuna seccatrice? La sua parte doveva esser terminata da un pezzo: come osava intromettersi, totalmente a sproposito, per sciupare l’atto finale di quel delizioso spettacolo che ancora doveva giungere a compimento? La goffa Haruko non aveva ancora capito che doveva lasciarlo solo?…solo a pregustarsi la suadente scenetta in cui un sofferente Rukawa, con le iridi serrate e i denti stretti, si contorceva lascivamente tutto affogato nella densa pozza fluida e scarlatta, la quale lordava il pavimento sgorgando fresca, squisita e acida, a fiumiciattoli dai numerosi tagli che decoravano il suo molestato corpo livido…la nebbiosa fotografia in bianco e nero colorata da due soli occhi blu, i quali si colmavano di sferiche gemme salate andando a sfigurare il gentile ovale candido, già dipinto da tristi macchie violacee… Solo a respirare l’attimo preziosissimo e catartico in cui da quelle labbra, imbevute di timore e sconforto, sarebbero sbocciate le tanto ambite parole che le orecchie appuntite del Rossino sognavano, continuamente, di udire… ‘Ti prego, HANAMICHI, non farmi più del male…lo riconosco: hai vinto tu…’ Bello… bello…bello…ma sapeva che mai, quelle squisite frasi si sarebbero fatte sentire…dannazione!
Avrebbe venduto l’anima al Diavolo pur di ottenere il battito polposo di un solo fremito languido ansimato da un passivo Kaede, consapevolmente sconfitto e arrendevole dinnanzi alla virile figura di quello stesso uomo che la sua insopportabile indifferenza di ‘volpe’ aveva sempre disprezzato, o peggio ignorato completamente.
Il frenetico movimento dei suoi stessi, logoranti pensieri provocò un senso di attanagliante disgusto nell’arida gola arrossata del ragazzo, ancora ritto sui suoi piedi da ‘tensai’ e artigliato dalle tenere dita della blanda fanciulla adorabile… Cosa stava complottando la sua ingarbugliata e imperscrutabile mente? Come osava il proprio cervello rugoso associare, con tanta facilità, l’immagine della sofferenza inferta a Rukawa a quella dell’estasi nata dal possesso fisico e spirituale di una persona amata, come se fosse del tutto sicuro che il lambire di malsani pugni il busto di pezza dell’odiato nemico procurasse, nel ventre di Hanamichi, la stessa identica sensazione di calore morboso e formicolio lussurioso che si sarebbe potuta percepire nel danzare entro il corpo di un amante dilettevole?… Agghiacciante, schifosamente agghiacciante…eppure, era del tutto inutile mentire pure a sé stesso, fingere che quell’ardore concitato che gli avvelenava l’inguine fosse soltanto la squallida reazione dei suoi focosi ormoni all’incombere di una gustosa e irrazionale rissa in cui sfogare tutta la propria impetuosa natura, un banale girotondo di adrenalina impazzita all’idea di spingere il giovane a menare le mani: la sua era una pura e losca voglia di dominare carnalmente la conturbante figura diafana di quell’angelo troppo, troppo perfetto…una eccitazione molesta che, probabilmente, si sarebbe placata solo se le grosse dita callose di Sakuragi avessero compromesso le membra dell’intoccabile Rukawa con la sporcizia dei lordi desideri che brulicavano al loro interno, unicamente se queste avessero lasciato indelebili chiazze scure lungo la nivea superficie immacolata _ improntandola con il diabolico marchio del conquistatore dai rossi capelli_ tramite un qualsiasi espediente: ancora con le percosse, o…con le…carezze? No, no…le carezze di Hanamichi non erano destinate a Kaede Rukawa…la tenerezza era stata creata ad immagine e somiglianza della piccola Haruko, la violenza sul dorso incurvato di un ragazzo troppo subdolo e sinistro per essere amato…e allora, ripugnante volpe, lasciati odiare come meriti!…perché porgere in dono l’amore ad uno come te sarebbe uno spreco…ne sei consapevole?...tu stesso sei un inutile spreco…non vali neanche la pena di sputarti addosso!
Un attimo di disorientamento gli causò un vivido tremito in tutti i muscoli tesi, ma il suo antagonista, che tentava di rimanere dritto sulle sbucciate gambe barcollanti _l’ubriacone troppo ebbro della propria grossolana superbia_, già si apprestava ad ingoiare il magone della battaglia appena conclusasi e a scattare furiosamente in avanti, con il pugno chiuso e nervoso il quale si abbatté con veemenza sulla faccia basita dello spiazzato ‘Genio’ ormai obbligato a portare a termine la folle performance da lui stesso progettata.
Un’interminabile sequenza di mosse scoordinate, un braccio torto dietro una schiena incrinata, una gota orribilmente graffiata da bianchi polpastrelli arcuati, un rumoroso strattone alla lucida chioma corvina e gocciolante… Urla sguaiate contrapposte a sibili rochi…
“…anf…maledetto Rukawa…non sei neanche più capace di rifilarmi un debole pugno…anf…sei proprio una fragile femminuccia…”…”Taci demente…ah…non mi sembra che tu sia messo meglio di me!…”…Insulti…provocazioni…
“…schifosissimo figlio di puttana…TI DETESTO!…”… “…ne sono felice, do’hao!”…Silenzio.
L’ultimo esasperato colpo da parte del moretto tutto sanguinante venne accolto senza risposta da Hanamichi, il quale aveva fluidamente abbandonato le braccia lungo i fianchi e strabuzzato gli occhi, prima di lasciarsi miseramente battere dal proprio avversario…la placida frase pronunciata dall’insidioso serpente che gli stava di fronte, corroso, ustionato e seducente, e lo scrutava con un impertinente sopracciglio lievemente alzato, lo aveva letteralmente tramutato in una immobile statua di pietra… ‘…Ne sono felice…ne sono felice…’ metallici suoni cullati dal sudore dell’aria inzuppata di odio; gelidi cristalli di ghiaccio scioltisi nel braciere di una notte impaurita e profanata dal nero fumo di osceni e corrotti pensieri volanti.
Dunque, il suo acerrimo nemico si crogiolava, felice come una pasqua, innocente e depravato, nelle fetide viscere del disprezzo che Sakuragi provava nei suoi riguardi, burlandosene abominevolmente come esso fosse paludoso fango entro cui rotolarsi languidamente tutto invischiato nel meccanismo di un infantile divertimento a premi…
Il sentimento di Hanamichi: sostanza che bruciava, avvelenava e sporcava ma che non faceva soffrire. L’incantevole Kaede: ingorda falena notturna che arricchiva la propria pancia alla luce di quell’odio accecante, permettendo a quest’ultimo di illuminare solo la sua stessa, colorata e pelosa cute ma senza dargli modo di disintegrare, con la morbosità della sua folgore bianca, ciò che di sconosciuto celava la propria fredda anima…audace bambinetto viziato che nel trastullarsi con l’eccitazione animalesca di una scimmia molesta faceva di tutto pur di farsi, da questa, strappare di dosso i vestiti, ma la quale poneva crudelmente fine al gioco non appena i contraccolpi dell’avversario cominciavano ad abbattersi oltre la propria carne scoperta, ad accoltellare quel suo cuore che non doveva esser svelato da alcuno.
Rukawa non gli aveva mai detto, a sua volta, che l’odiava…mai!…lui si era sempre e solo limitato a sbirciare di scorcio, con le vitree pupille appannate da una granulosa coltre d’indifferenza, la bruna pelle che ornava quel botolo di collera e bile a nome Hanamichi Sakuragi, e a scherzare con la sua incontenibile e poliedrica passione…orribile, orribile essere pallido!…perfida e ripugnante sanguisuga la quale sguazzava, ogni istante più allegra e godereccia, nella bava gelatinosa che colava dalle isteriche bocche di coloro i quali impazzivano di fanatico delirio a forza di stargli accanto, anche solo nei venti minuti di una sfuggevole partita!Una torva e strisciante vedova nera che sputava veleno mortale su tutti per poi provare piacere nel farsi rincorrere dalle sue vittime ancora salve, e infine ritirarsi dal campo di battaglia quando la lotta fra predatore e preda si faceva un tantino più intima e compromettente. Tsk!…L’unico modo per distruggere quel losco rettile, dalle provocanti forme e l’animo sadico di chi gioisce nel gingillarsi col fuoco, stava forse nel far sì che egli si ustionasse, irreversibilmente, proprio nell’avvicinarsi eccessivamente a quelle braci ardenti che tanto amava sedurre a suo rischio e pericolo…prima o poi gli avrebbe fatto passare la voglia di azzardare così tanto!
Il Rossino posò le proprie dita sulla tenera, sconvolta testolina di Haruko e, con cipiglio serio e pacato, l’accarezzò lievemente per poi sollevare con rigidità le diafano mano di Kaede, ancora tesa in aria e serrata a pugno, e stringerla in un formale, affettato gesto di scusa. Osservò incantato le profonde screziature color vermiglio che solcavano la morbida cute e le gocciolanti chiazze, dense d’ammiccante dolore, che scivolavano gloriose e impudiche sui propri bronzei polpastrelli virili i quali, nonostante gli sforzi, non riuscirono nell’impresa di schiudere l’arto dello straziato moretto dalla sua statica posizione…forse il volpino diffidente non riteneva possibile che il tempestoso Hanamichi sapesse dominarsi così magnificamente dopo aver dato in escandescenze, e che fosse in grado di sfoggiare un tale, artificioso autocontrollo? Oh, perspicace sgualdrina con le orecchie ben tese a captare, nel respiro di un bizzarro cliente, il più piccolo rantolo di una celatissima truffa, e con gli occhi bistrati di fasulli diamanti sempre sbarrati a supervisionare ogni situazione per adocchiare l’avvicinarsi di egoistici vantaggi di cui approfittare e indesiderati svantaggi ai quali voltare le spalle con indolenza…
Ehh, sospettoso ragazzetto di lustrini e paillette, quella dello scaltro e ingegnoso ‘Tensai’ non è che una complessa e diabolica tattica!
Non aveva alcuna intenzione di interpretare la magra parte dell’irascibile bambino sedizioso dinanzi al dolce sguardo lessato della principessa-Haruko…no, no…sarebbe stato troppo sconveniente e improduttivo, giusto?…mai più uno schiaffo sulla gentile gota del piccolo incompreso, che ancora non si era riavuto dopo l’esser precipitato nel tranello meschino tesogli dal Fato invidioso; mai più un’occhiata furente all’indirizzo del sinuoso corpo danzante nell’uniforme col numero 11; mai più un insulto esageratamente pesante rivolto alla nociva volgarità del sudicio angelo caduto…mai più, di fronte alla zuccherina sorella di Akagi. Kaede Rukawa avrebbe ricevuto in dono il resto del feroce confitto contro Hanamichi in ben altre occasioni, e lontano da occhi indiscreti! Nessuno avrebbe dovuto interferire nei loro prossimi scontri corpo a corpo…nessuno!
Un sottile sorriso di ricamato compiacimento gli sfigurò il gonfio viso tumefatto nel constatare con quale stravagante rapidità il bel giovane silente fece sgusciar via la propria mano dalle grinfie pelose delle sue zampacce da ‘Genio’ per farla fluire, in un gesto d’innocente e letale concupiscenza, sul morbido rilievo del fianco destro e strofinarla lascivamente sul dorso bagnato della maglietta fortunata, forse in senso spregiativo nei riguardi del baldanzoso Hanamichi _ah, al succoso dandy dal miserabile trucco sbavato non garbava l’esser sfiorato dall’odore umidiccio di un vile plebeo!_ o semplicemente per ripulirla dalle tracce del suo stesso e profumato nettare rosso…
“_…Ok, Rukawa: siamo entrambi dei totali cretini!…pfiu!…azzuffarci ancora come puzzolenti marmocchi delle elementari, ora che abbiamo diciassette anni!…siamo ridicoli!…Mi scuso per aver cominciato questa stupida rissa; sono stato un vero idiota a provocarti così! Sono un adulto e perfettamente in grado di riconoscere i miei errori, perciò ammetto di essermi comportato veramente male. Non credo che, adesso, esistano più dei validi e seri motivi per fare a botte, giusto?…quindi farò in modo di non attaccar più briga con te…anzi, tutti e due faremo in modo che questo non capiti mai più…ok?_” Il Rossino trattenne, a fatica, un sonoro e cavernoso sbotto di aberrante ilarità nello scorgere come la propria bella damigella lo esaminasse, sulla nuvola della sua innocente e nauseante credulità, con una curiosa e sbalordita espressione di meraviglia impressa sulla tonda faccina rosa; il rilevare quanto, ormai, la docile Akagi pendesse totalmente dalle sue sozze e bugiarde labbra _ petali ardenti e meschini, così desiderosi di morsicare a sangue quelli del detestabile rivale_ lo colmava di una indicibile soddisfazione da maniaco…e il ribollire di questo compiacimento, all’interno dei suoi distorti pensieri innominabili e luridi, non poteva far altro se non esplodere in una triste, amara e paurosa risata…quale grottesca situazione si era venuta, sin troppo rapidamente, a creare: Kaede e Haruko si erano tramutati in legnosi burattini mossi dagli invisibili fili di nylon incollati alle orchesche unghie di Sakuragi, il quale obbligava i due fantocci a danzare sulle gorgoglianti onde dei suoi stessi, tenebrosi contorcimenti viscerali e a farsi protagonisti di bizzarre situazioni da egli plasmate al fine di assecondare le proprie sporche voglie…l’assuefatta ragazzina viveva sul respiro emanato dal magnetismo virile di Hanamichi; la spregevole ‘kitsune’ esisteva ancora, solo e grazie, al canto carico di disprezzo che piroettava energicamente sulle corde vocali del ‘do’hao’, misericordioso uomo dal cuore d’oro il quale inviava continuamente quell’unico impulso primario che permetteva al dimenticato Rukawa di non sciogliersi nel vento come un anonimo fantasma. Ma, ora, i lucenti fili erano evidentemente diventati troppi e troppo pesanti da poter esser per sempre mantenuti ben tesi e distanziati gli uni dagli altri: la loro liscia consistenza impalpabile si stava logorando, le estremità sbucciate si staccavano dai loro sostegni, ingarbugliati grovigli si formavano sulle loro superfici, il burattinaio dai fulvi capelli non ne aveva più il totale controllo…e i due esseri inanimati cominciavano a dondolare nelle direzioni sbagliate, ad opporre resistenza ai pochi appigli cui ancora erano prigionieri, a commettere insulse gaffes durante gli show che erano stati per loro collaudati…Haru-chan era eccessivamente dolce, e troppo ingrato era il compito di approfittare del candore remissivo che la distingueva; Kaede era oltremisura sfuggente, temibile e astuto, e troppo rischioso ed eccitante era il rincorrerlo per poterlo umiliare e dominare…però lo spettacolo, per quanto orribilmente ridicolo, doveva essere portato a termine e, qualunque fosse la complicata piega che questo avrebbe assunto, Hanamichi Sakuragi non vi si sarebbe mai tirato indietro anzi, avrebbe trovato il modo per far volgere a proprio favore ogni sua conseguente circostanza inopportuna…doveva proseguire lungo quel tortuoso e traballante cammino che egli stesso aveva deciso di tracciare dal momento in cui qualcosa, dentro la sua anima indomita, era stranamente cambiato mutando e stravolgendo incredibilmente molte di quelle sacre convinzioni che, da sempre, il ragazzo aveva posseduto gelosamente e gran parte di quegli aspetti solidi e inscalfibili che sinora avevano fortemente caratterizzato la sua ferma persona incorruttibile: e ormai, il camaleontico Hanamichi era schiavo di una diversa concezione dell’amore, del piacere, e di una nuova, raccapricciante percezione assordante di quell’irruente e passionale sentimento chiamato odio.
Il nemico non gli era mai sembrato più disprezzabile e mostruoso di ora; il suo cuore di grandioso ‘Tensai’ invocava guerra contro ciò che cercava assiduamente di penetrare entro i suoi cupi ventricoli per imbrattarli di melmoso fumo nero e deviarne il naturale battito… Sakuragi aveva il divino compito di eliminare il Male, quella dilagante polvere iridescente che mascherava un oscuro nucleo di densa iniquità sorridente, quell’onnipresente profumo dalla bianca pelle, incipriato di incolpevole, cristallina delicatezza miscelata ad una opaca volgarità licenziosa, il quale ottenebrava di squisitezze malsane ogni narice incantata, quell’allettante spettro violaceo che gemeva, in preda ad uno straziante orgasmo, incrostandosi agli aculei insanguinati delle corone di spine di tante, tante teste infatuate del suo alchemico riflesso estasiato…bisognava abbattere Kaede Rukawa.
Ecco il famigerato ‘Male’ che liquidò il discorso, la sognante ragazza _ le cui membra tremavano tutte di fiera gioia_ e un buffo Hanamichi in versione malriuscita di uomo adulto e responsabile, con la sua solita disgustosa freddezza verbale da surgelato e sgattaiolò, un po’ barcollante, verso le porte di una paradisiaca infermeria…il muto pesce faceva ritorno, boccheggiando, alle sue nebulose e luride acque private.
Già!…lo scorbutico aveva concluso l’affare in maniera decisamente impeccabile! Clap, clap…l’applauso dell’illusorio pubblico rimbombava intorno alle ricche pareti di stucco e accompagnava l’uscita di scena del carismatico attore, la cui interpretazione era stata perfetta, forse solo un po’ scontata…ma il giovane dalla rossa chioma, arruffata di losca ironia, sapeva benissimo che quello non sarebbe stato l’ultimo scambio di battute e insulti fra ‘Do’hao’ _ avvolto in un’aderente calzamaglia verde foglia, con arco e frecce sulla spalla e un adorabile cappellino piumato calato sull’aureola dorata da Robin Hood, paladino del bene e persecutore di cattivi aristocratici avidi_ e ‘Kitsune’ _vizioso principino sfiorato da metri e metri di pellicce e strass, spregevole oppressore di infinite povere menti deboli_, ma, al momento, non aveva alcuna intenzione di aggiungere altra carne puzzolente sul virulento fuoco delle sue stesse abiette congetture: ambiva soltanto ad andarsene da quel surriscaldato ambiente, per poi essere sapientemente medicato dalle premurose manine della propria docile fidanzatina…e non voleva più pensare al riluttante mostro, dal bel volto di fata, lasciato completamente solo a sfogare una gelida rabbia sulle sue sporche ferite aperte e pulsanti.
La serica intimità nebbiosa del piccolo bar _ eccentricamente insaccato nelle profondità di un antico angolino di spazio, fra le enormi masse vetrose di alti edifici tozzi e gli intricati grovigli di teste e corpi umani immortalati nella loro mondanità più schietta dalla luce abbagliante di acide insegne al neon, la quale scivolava addosso, palpitando, alle loro mobili membra facendole vibrare di colore come fossero isteriche lucciole nella notte più buia_ spiava dal suo mesto nascondiglio la rumorosa straducola sovraffollata di odori che si spianava oltre la sua vecchia, sgretolata soglia sino ad additare un lontano punto prospettico in direzione di un caldo orizzonte marino.
L’abituale e fedele cliente, un imponente giovane dalla compatta pelle intinta di un pulviscolo bruno-dorato, con forti lineamenti severi e pupille velate di liquida malinconia, pagò la propria consumazione _il solito, rinfrescante tea verde_, scrutando con vaghezza nel blu intenso della torrida serata che germogliava al di fuori dell’ovattato locale, e rilassò la propria massiccia presenza contro il grossolano bancone ingobbito…Quant’era?…100 yen…Certo, ecco a lei…Grazie e arrivederci! Akagi tentò di oltrepassare con lo sguardo le ordinate file di nodosi tavoli _ quasi ridicoli con le loro lunghe gambe sottili e gli orrendi corpacci sgraziati_ che fiorivano in quel claustrofobico ambiente per scovare un qualche volto familiare fra le modeste manciate di persone sedute , ma le uniche figure a lui ben note non erano che gli anziani e incartapecoriti sgabelli a tre piedi, avvolti da flosce imbottiture in grezza pelle color vinaccia, i quali sonnecchiavano con il respiro affannoso all’ombra protettiva del virile bancone, l’opulenta serie di specchi riccamente bordati e foto incorniciate, raffiguranti varie mitiche icone del cinema Americano ed Europeo, che sorrideva ai clienti scorrendo felicemente le avvizzite pareti rivestite da stucchi imbronciati e logora carta color crema ornata di bizzarri ghirigori floreali di un ben poco floreale bordeaux cupo, e lo scarno caminetto contornato da rudi e sabbiose pietre, orribilmente disposte una sull’altra a formare una sorta di deforme ‘iglù’. Una fotogenica Marilyn Monroe nel suo più classico abito svolazzante ammiccava lascivamente all’indirizzo di una pomposa scalinata color ebano _ posta al centro della stanza e ‘poggiata’ al muro opposto a quello in cui vi era l’entrata_ che protendeva le sue decorate braccia da matrona aprendole benevolmente verso un ripiano superiore costituito di un solo corridoio-balconata, il quale dava le proprie spalle ad una superficie cieca dipinta da un ‘trompe l’oeil’ di vedute settecentesche scrostato dal tempo e dalla muffa; un’aggressiva Jeanne Moreau camminava, passo deciso e sigaretta in bocca, sormontando la sgonfia solitudine di un isolato tavolo su cui giaceva un rattrappito ‘pupazzo’, imbottito di alcol ed ebbra felicità disperata, le cui profonde rughe del viso arrossato sorridevano trasognate alla schiuma di un prosciugato boccale e al vetro verdognolo di un’amica-bottiglia… … Un paio di scalpiccianti stivaloni pitonati dalla punta allungata e il tacco di cuoio, gualcita camicia in scacchi di flanella, un vissuto cappellaccio marrone da cow-boy calato sulle palpebre callose, il gestore del bar gorgogliava un cavernoso rantolo di insopportabile noia dagli abissi polverosi di una sforacchiata poltrona in velluto _ nascosta al di sotto della scala, habitat prediletto da topi e animaletti latitanti_, standosene placidamente stravaccato, in attesa di essere rapito da un tiepido sonno, con le gambe infagottate nei logori jeans macchiati accavallate su un’imbambolata sedia pericolante, alla faccia di uno scontroso James Dean più annerito dal fumo del caminetto sottostante che dal suo stesso tenebroso fascino.
Volti ignoti di famosissimi idoli emettevano i loro muti ghigni divini a stuoli di seggiole e piani legnosi; un coloratissimo puzzle sotto vetro accoglieva i clienti all’entrata mostrando loro una pittoresca panoramica di una ridente Parigi incantata.
Il saltellante, lucente, fosco calore proveniente dalle lampade ad olio, simili ad ampolle fatate vive sui tavoli bruciacchiati_ le quali espandevano i loro untuosi e bollenti spiriti profumati nelle narici di ogni muro, ornamento, tazza di caffè, sino ad ingrigire il manto candido di stucchi a volute dell’alto soffitto, e per poi far incrostare i loro languidi aromi alle stecche beige delle tante persiane che tappavano qualsiasi piccolo rapporto con l’esterno affogando l’interno in un oceano melmoso di perlacea riservatezza viziosa _ conferiva al particolare locale il ridicolo, a dismisura volgare, ma adorabile aspetto eclettico di un saloon country americano costruito sulle ceneri, non ancora spentesi, di un pacchiano bordello francese di fine ‘800…ma al giovane ragazzo la cosa non dava per niente fastidio: quel malsano bar, così vicino alla palestra dello Shohoku _alle porte metalliche del Suo Paradiso di turchesi, diamanti e zaffiri in cui trotterellava, ammantato di una cremosa nuvola scintillante, l’Angelo più suadente, diabolico e innocente che il Dio artista avesse scolpito tramite le sue piumate mani generose e assassine…il Suo Angelo…Suo, Suo, Suo!_, era uno dei pochi dilettevoli luoghi in cui l’ex capitano Takenori Akagi soleva trascorrere, fino ad un anno prima, quei sonnacchiosi e immoti tempi morti che si insinuavano costantemente fra scuola e allenamenti, e fra gli allenamenti e il ritorno a casa per la succulenta cena di una deliziosa mamma affaccendata.
Come sarebbe stato bello fermarsi in quel rorido posto bislacco, per poi appartarsi teneramente ad uno di quei complici e amichevoli tavoli assieme ad un languido Kaede dalla fragrante pelle alabastrina e i capelli _seta nera che stritolava il cuore di Akagi, impedendogli di scoppiare d’amore_ ancor gocciolanti di fresco cristallo dopo la recente doccia fatta negli spogliatoi… …uhm, la maniacale esterofilia del suo scostante tesoro avrebbe permesso ad egli, glaciale giglio dalle iridi blu, di adorare ogni singolo mobilio fastidiosamente sistemato, in maniera bizzarra, a rovinare quel sacro equilibrio di forme, colori e ingombri che per i giapponesi _intrisi sino al midollo dal fascino del rigore più zen_ è solitamente elemento essenziale di armonia e bellezza… Lo straordinario demonio si sarebbe impregnato la cute, con la sua tipica, spaventosa, perversa voluttà, dell’oleosa bruma scura sbuffata dalle lampade, traendo un meschino e fine piacere nel bearsi della grigia patina sporca che gli avrebbe annebbiato gli occhi e carezzato la mente… …il Suo svanito amante notturno si sarebbe invaghito di ogni assurdo intruglio alimentare tipicamente americano_ dall’etichetta invitante e una colorazione che diceva ‘drink me, baby!’ al sol guardarla_ da lui accuratamente scelto, con un espressione sbarluccicante sulle belle ciglia lunghe e incurvate, dalle pagine di un intricato menù zeppo di geroglifici dall’accento inglese… …l’elegante Kaede avrebbe ovviamente battuto sullo sporco legno, con le sue amabili dita lievi, il tempo di ogni incomprensibile canzone straniera che si sarebbe imposta quale isterico sottofondo squittendo gioiosamente e andando a penetrare infiniti bicchieri vuoti, infilandosi sotto le scarpe dei brilli clienti, esplorando lo squallido interno del gabinetto incrostato e fetido troppo vicino alla cucina odorosa di frittume e zucchero a velo… …il suo brillante tesoro si sarebbe sicuramente divertito a intraprendere una qualche eccitata conversazione con l’obbrobrioso ‘John Wayne’ di natività statunitense, ancora accovacciato sulla sua pulciosa poltrona, per arricchire di maggiori dettagli realistici le sue rosee illusioni di gloria relative al Paese del Basket, mentre un fiero e rassegnato Akagi sarebbe rimasto seduto e composto al suo banco ad ammirare, sognante e innamorato, la propria ambiziosa stellina scrutare lontano e pregustarsi già, egoista, spudorata e impietosa, il momento in cui ella si sarebbe voracemente involata verso altri e più sfavillanti cieli da illuminare; poi l’attraente volto d’avorio avrebbe incrociato quello di Takenori, e nel cuore del gentile diciannovenne si sarebbe stampata a chiare lettere di vivido fuoco la parola ‘addio’, poiché il sogno che vorticava nell’animo di Rukawa non poteva esser condiviso da alcuno, ed era proprio Kaede a pretendere che fosse così.
Affianco ad una finestra scheggiata, l’immagine di un androgino cantante divenuto noto nei triviali e magnifici primi anni ’80 _folta chioma nera irrorata di sfumature blu, cerone bianco sul viso dalle rosse labbra lucidissime, come leccate da un amante affamato, matita nera a contornare le limpide pupille celesti sfrangiate dal rimmel di fitte ciglia imperlate di artificioso fascino…una conturbante maschera imbellettata che gorgheggiava sulle note della propria falsa e intrigante apparenza…forse, anche l’imperscrutabile Kaede non era altro che quello…una perfetta simulazione di qualcun altro? _ impugnava un fallico microfono che gli svettava tra le cosce a lustrini e lo puntava subdolamente, come ad intonare un’eccitante serenata, ad una superba città di New York appesa al muro, così bella nella sua opulenza di squillanti luci, vetri e cemento, così grandiosa e magica con ancora i fantasmi risplendenti di quei due gioielli d’architettura andati perduti in una rovinosa battaglia contro mostruose forze estranee, maligne e irrispettose…chissà se l’iridescente riflesso della trasparente ala piccola si sarebbe mai specchiato sulle liquide pareti di uno fra quei prodigiosi grattacieli, plasmati sulla simbiotica fusione fra tecnologia e alchimia?
“_Arrivederci!_” il ragazzo varcò la soglia e si immerse nel bagliore della sera argentata.
Dopo il delicato episodio di gustoso languore negli anfratti piumati del voluttuoso, piccolo bar, senpai e kohai avrebbero infine preso la via del ritorno a casa percorrendo insieme, passi cadenzati e molli e mani intrecciate in una danza di placide carezze, la lanuginosa stradina splendidamente segmentata dal riverbero di ogni finestrella illuminata _ le varie casupole che si ergevano suggestive ai margini del sentiero di fiaba parevano tanti castelli in miniatura, fatti di morbide nubi violette e pareti di lapislazzuli sulle quali luccicavano purissimi diamanti baciati dal riflesso della luna_, dal movimento delle mille lucine intermittenti che si agitavano nelle loro prigioni vetrose, accanto a decapitati manichini guardoni, dall’irruenza dei rari, ma sfolgoranti fasci di platino in polvere sputati dalle bocche cristalline di poche automobili in corsa sulla strada adiacente, e dalle pruriginose ombre incerte delineate dal disegno frastagliato dell’acciottolato sul frollo suolo calpestato…
…eh, purtroppo le sognanti immagini raffiguranti lo splendore di un incantevole futuro_ da trascorrere per sempre sulla melodia emessa dal canto sublime di un dolcissimo Kaede Rukawa_ , traboccante di un semplice, purissimo amore senza difetti, riaffioravano continuamente e con arrogante prepotenza alla mente del disperato Takenori, infilzandogli sadicamente il cuore come fossero grossolani pugnali macchiati di sangue…e quanto gli doleva il largo petto ansimante quando lo spettro di una nuova, lustra illusione appariva al nebbioso orizzonte delle sue fantasie da gorilla sentimentale, facendosi spazio fra le miriadi di pensieri disincantati, viaggiando sulle torpide ali del solito malato avvoltoio il quale si sarebbe cibato della sua carcassa di ex capitano una volta che tale magnifico sogno gli avesse assassinato anima e corpo con la sua sozza brutalità.
Il giovane calciò un arrotondato sassolino abbandonato, il quale si andò a disperdere nella graniglia bruno-rossiccia che ornava i solidi fianchi della scricchiolante viottola separandola da un’enorme aiuola alberata di olmi giganti e barbuti…se un improbabile e spavaldo Takenori fosse mai riuscito a dichiarare il proprio sentimento alla sua preziosa perla, questa come avrebbe reagito?…calciando il ridicolo pretendente con la punta di una scarpa disgustata?…Akagi avrebbe fatto la stessa fine di quella pietruzza maltrattata da infiniti piedi?…
A quella fresca ora della sera, ogni stressato e isterico essere umano, che aveva rapidamente sorvolato quel ruvido lastricato durante l’assolato e focoso pomeriggio fumante di movimento incessante, pareva frenare bruscamente il suo veloce viaggio per atterrare sul tiepido suolo incrostato_ come un gabbiano che discendeva sino ad inzupparsi del vellutato pelo del mare_ e, con infantile stupore, sembrava finalmente aprire gli occhi sull’affascinante bellezza ora tutt’agghindata di brillantini la quale, sino ad un momento prima, lo aveva circondato e inglobato senza però esser degnata, da egli, di un solo sguardo fugace…e così le romantiche fanciulle, le quali la mattina stessa avevano barcollato irritate nello strombazzante traffico, tutte sudate e nere di esasperazione repressa, dopo il calar del Sole subivano una metamorfosi quasi vampiresca acquisendo il dolce pallore iridescente della Luna che, con la sua ammiccante malizia color platino, posava teneri baci sui loro visi gentili ora candidamente distesi in una morbida quiete assaporata fra le forti braccia di paterni uomini protettivi… …E i ragazzetti profumati di latte e gelato al cioccolato erano ancor più squillanti e allegri del solito mentre trottavano, curiosi e convinti di essere già giunti ai confini della loro infanzia, seguiti a ruota da panciuti e ciarlieri gruppetti di genitori in ciabatte infradito, pinocchietti larghi, atteggiamento trasandato e un’aria di placida comodità stampata sulle facce rigate da sorrisi sornioni…com’erano pacifici e beatamente ignari di tutto i pasciuti fagottini, sofficemente avviluppati nei loro corredi di pizzi e vaporose cotonine color pastello, al momento in cui il flemmatico ondeggiare delle patinate carrozzine cullava i loro sogni fatti di arte e melodiose armonie!
Una muffita panchina, adombrata sotto la cupa velatura di un grosso albero il quale si arrovellava in cavallereschi inchini dinnanzi al passaggio di ogni bella donna, scrutava in disparte il fluido via-vai di persone tramite le pupille malinconiche, rugose e offuscate di un’anziana signora fossilizzata su di essa; ritratto mummificato di quanto miserabile sia quella stessa vita che tanto ci dà e troppo, troppo ci toglie.
Pian piano, il chiacchiericcio proveniente da quella piacevole e gaia folla si andò assopendo sempre più sino a lasciarsi gradualmente surclassare da un surreale silenzio, animato solamente dal pacato e sonnolento ronzio degli incorporei grilli; presenze sonore scaturite dal vento estivo e dallo scintillio abbacinante di ogni filo d’erba vacillante e ipnotizzato dal buio.
Akagi osservò distrattamente il ritmico molleggiamento dei propri piedi in cuoio nero battere il tempo affannoso delle pulsazioni del proprio cuore, il quale andò fuori sincrono, stridendo, al momento in cui un familiare edificio dormiente s’affacciò, superbo, imponente, spaventoso, sul lato destro della strada.
Il liceo Shohoku, la notte, variava radicalmente la propria fittizia apparenza: le sguaiate risate, che ne avevano circondato il perimetro durante la bollente giornata, sembravano essersi volontariamente segregate all’interno di quelle spesse mura ed essersi infine smorzate temporaneamente per riposare e restarsene attonite, silenti e ammaliate, ad origliare l’armonica esibizione della tetra pace immobile la quale si levava _ bianco fantasma errante nella nebbia_ a pizzicare, come fossero corde di un’arpa divina, le particelle solide che costituivano l’essenza dell’istituto stesso, ogni granello di ghiaia che giaceva a terra, qualsiasi arredo legnoso che sonnecchiava racchiuso dalle pareti in muratura, ogni piastrella allagata nel più sporco bagno… andando infine ad inumidire gli alti cancelli in ferro, tramutandoli in resistenti scudi atti a proteggere quella costruzione indagatrice dalla sinistra massa esterna di orribili rumori ridondanti. Le ampie vetrate, create apposta per spiare assiduamente gli spazi riservati alla palestra, erano ora divenute come enormi lastre di metallo ghiacciato le quali respingevano il luminoso riverbero lunare invece di lasciarlo penetrare attraverso la loro superficie, al pari di antichi specchi anneriti dall’ineludibile corrosione del tempo… Takenori scorse rapidamente l’oscura successione di quelle cieche finestre intorpidite, mentre i suoi passi seguitavano a condurlo autonomamente lungo il filo immaginario tracciato da quella romita via polverosa; ma una fioca lucina opalescente, che disegnava una sagoma rettangolare dalla tinta dorata sul contrastante suolo bluastro del cortile esterno alla palestra, indusse il suo corpo meccanico ad avviarsi _uno zombie, nient’altro che uno zombie morto sull’inquietudine di un amore non corrisposto!_ verso quel cancelletto d’ingresso che cigolava mugolando…c’era qualcuno nell’infermeria.
L’unica cosa che i suoi tremolanti occhi distinsero, mentre annegavano fluttuando nella compiacente tenebra dell’indefinito corridoio gelatinoso, fu un violento fascio di acido bagliore, il quale traboccava da una gialla apertura galleggiante_ bollicine di succoso champagne sgorganti da una coppa preziosa_ andando aspramente a schiaffeggiare una fitta zona di pavimento, per poi deformarsi nell’incrociare una parete verticale, opposta a quella in cui si trovava quel contorto vano lucente, e in ultimo sfumando di roridi sprazzi chiari il vaporoso soffitto di quell’ambulacro entro cui il ragazzo spaesato si stava sciogliendo. Tenui suoni indecifrabili e oscillanti ombre grigie e impacciate si fondevano in quel chiarore spettrale…Akagi permise a quell’entità inanimata, che pareva vibrare di vita propria nella passiva remissività dell’immensità circostante, di intingergli il volto con la sua accecante fluorescenza e, sporgendosi trepidante oltre quello squarcio di liquido oro fuso, il suo stanco sguardo si aggrovigliò nella magnetica immagine che si materializzò entro quel fulgore insistente…
La stanzetta si mostrava spoglia ma decorosamente linda; i sibilanti lampadari al neon nelle loro gabbie di tubi e geometria sovrastavano _ dall’alto di un granuloso ‘cielo’ grigio-calce_ solamente un grosso e imbambolato armadio in latta lievemente scrostata, nei cui viscerali scomparti dormivano moltitudini di coloratissime scatolette medicinali disposte a mo’ di pedine di un bizzarro ‘domino’, un opaco tavolone in plastica bianca rivestito da spesse stratificazioni di fogli e cartelle mediche di ruvido cartone ordinatamente disposte in pile _attentamente osservate dagli occhioni di due orripilanti uomini, uno sadicamente scuoiato della propria cute e l’altro coperto solo dal proprio scheletro, i quali sorridevano grottescamente dalla lustra superficie patinata di due cartelloni appesi al muro_, e una stanca sedia girevole stravaccata, senza un briciolo di pudore, al centro del satinato suolo in candide piastrelline pulite, la quale sembrava schernire dalla sua confortevole posizione un povero scarabocchiato calendario che ancora, forse, sperava di crogiolarsi al tepore di un giallo termosifone spento sotto di lui… Dalla bocca spalancata di una piatta e bassa finestra, situata affianco alla studiosa scrivania ingobbita, filtrava una tersa e soffocante afa dall’odore acre, resa ancor più sudicia dall’insopportabile bollore umidiccio sprigionato dai neon cotti e dalle ridotte dimensioni di quel soporifero ambiente.
Un aghiforme fremito nell’inerte aria, e la prima pagina dell’almanacco dipinto prese blandamente ad oscillare in direzione dell’ancor più mesto armadione alla sua destra…un metallico sentore di sangue rappreso accompagnò il vento nella sua breve perlustrazione della camera, poi svanì nell’inconsistenza di un’impressione incerta.
Akagi penetrò oltre la porta, accasciata in estasi nel suo angolino di spazio, e calpestò per sbaglio, in un sonoro ‘crep’, una schiacciata confezione di cerotti dimenticata a terra; intanto, un cumulo poroso di garze, avvinghiate fra loro in maniera sconcia, pendeva pericolosamente dal soffice bordo di un asettico lettino accostato ad una parete libera da altri ingombri, e tre asciugamani schizzati di enormi macchie rosse strusciavano i loro spugnosi corpi sui gelidi piedi dell’indifferente sedia _ancora sghignazzante, quella strega imbottita di antiquata pelle marrone!
Un fortissimo puzzo di alcol prese d’improvviso il sopravvento su qualsiasi altra sensazione percepibile, ricoprendo, con la sua ubriaca presenza, il pelo sfocato di ogni oggetto visibile e conferendo all’intera stanza un’insopportabile atmosfera di strozzato mancamento. Il ragazzo levò gli occhi su quel curioso particolare il quale, facendosi largo fra il torrido vapore allucinogeno che deformava i contorni di quello spazio dal sapore d’artifizio, si materializzò come da un fosco nulla per far perdere un prezioso battito al cuore dello stupefatto Takenori: una pallida figura traballante, sinora mimetizzatasi con il lato sinistro dell’infermeria, la quale aveva accolto l’arrivo dell’ex capitano soltanto con uno sbuffato, annoiato “’ao”.
Kaede si dondolava, in una maniera inconsapevolmente ipnotica e sensuale, cercando di reggersi su una gamba sola mentre l’altra era meravigliosamente sollevata all’altezza del fortunato lettino e vi si appoggiava sopra, morbidamente, sformando il materasso. Le chiare mani affusolate erano intente a pulire, tenendo stretto un soffice straccio in cotone, una brutta ferita sul ginocchio purpureo, e le sottili braccia parevano creare un delizioso anello ellittico_ che carezzava il busto incurvato in avanti, fasciato da una sudata maglietta nera senza maniche e abbastanza aderente da mandare in visibilio l’eccitazione dell’incontenibile gorilla_ ai cui estremi si muovevano lascivamente le graziose dita indaffarate e le polpose spalle dal muscolo arrotondato. Una cassettina del pronto soccorso, svuotata e derubata del proprio contenuto, assisteva alla medicazione standosene tacitamente appollaiata accanto allo stinco teso del paziente.
Akagi scorse la vista, intimorito, infiammato dall’eros e arrabbiato, sul bel corpo ammaccato del suo adorabile kohai, elencando mentalmente la prosperosa varietà di escoriazioni _una vasta gamma di artistiche macchie, impresse con il pennello violentatore di un pittore folle, in tutte le tonalità del blu e del viola; enormi zone anatomiche campite con opalescenti tinte che andavano sfumandosi dal grigio-perla al grigio-lilla, e dal lilla al vinaccia sino a sprofondare nella tetraggine di un nero-verdognolo puntinato di rosso…un bella opera contemporanea di body-art!_, graffi, tagli e liquidi rivoletti di succo rosso che pigmentavano le sue candide membra di ala piccola… Dio Santo, chi aveva osato fare questo al suo amore?…chi si era concesso la libertà di allungare le mani su quell’Angelo immacolato e insozzarne la speciale purezza con l’utilizzo di miserabili, luridi pugni?…e…e, Kaede era riuscito a difendersi nella dovuta maniera?…gli aveva detto il fatto suo a quel verme mostruoso che si era permesso di toccarlo in quel modo così repellente? Nessuno, nessuno doveva azzardarsi a sfiorare il suo delicato tesoro!…nessuno aveva il diritto d’appropriarsi di quell’eburnea carne che Takenori poteva solamente sognare di baciare entro la distorta realtà di un universo parallelo…non era giusto!
L’Amore è infinitamente ingiusto, ed è in grado di uccidere tanto quanto la più cruenta guerra sterminatrice…
Il giovane, allarmato e impacciato nella sua andatura scimmiesca e grossolana, si diresse verso il caldo tepore emanato dall’amico, il cui amabile viso era teneramente adombrato dall’umida frangetta sbarazzina, per chiedergli spiegazioni… …la sua voce non era mai stata tanto roca e balbettante; la stretta vicinanza fisica al suo divino e osannato simulacro in alabastro aveva un effetto devastante sulla sua ferrea capacità di autocontrollo…la lingua non riusciva a scollarsi dal palato, il quale pareva essersi tramutato in un ammasso informe di gelatina appiccicosa e bollente, e le solide mascelle d’acciaio davano l’impressione di essersi fortemente saldate al rilievo del carnoso labbro superiore, tanto che il tartagliante omone peloso doveva compiere sforzi enormi per dar prova di saper schiudere la bocca e dar consistenza udibile ai propri confusi pensieri…
…Ma in fin dei conti, Akagi non era il solo ad essere senza parole: anche l’estraniato orso scorbutico, che in quell’istante ondeggiava suadente sull’impalpabile peso del suo alato piede e squadrava le proprie ferite con un leggero nervo di insopportabile stizza disegnato in viso _ pareva un odioso marmocchio, il suo alienato e dislessico amorino!_, non sembrava avere la capacità di avviare una sorta di conversazione con il ‘nuovo arrivato’ anzi, probabilmente Kaede non ne aveva proprio l’intenzione di far vibrare la sua giovane ugola _troppo preziosa da esser consumata nell’emettere anche un solo, flebile sibilo da regalare all’insignificante Takenori Akagi…vero?…vero, Rukawa?…_ per alleviare minimamente lo stato di pressante preoccupazione che dilaniava il cuore dell’ex capitano…dannato insensibile!… volpe polare senza un briciolo di tatto: non sentiva il tonfo dei battiti che stavano sfondando la cassa toracica del ragazzone in delirio dietro la sua seccata figura di ghiaccio? Non percepiva l’alterazione elettrica di quel respiro affannoso e irregolare, che si esprimeva tramite foschi rantoli d’infinita apprensione?…i suoi assopiti sensi da angelo seduttore non avvertivano il morboso lezzo con cui Takenori tentava, in continuazione, di riscaldare le golose membra d’avorio per colmarle di traslucido e discreto affetto?…
…no, Kaede non captava nulla; lui non era che una dorata icona priva di accento, ma con un raro e immenso segreto occultato entro la sua stessa apparenza pregiata di simboli e inutile bellezza; uno spartito musicale colorato d’incantevoli segni grafici _ che nessuno strumento avrebbe mai potuto leggere o memorizzare nelle proprie viscere d’artista_ il quale custodiva in ogni nota inchiostrata un’indecifrabile anima splendente o agghiacciante che non sarebbe mai stata sfiorata da alcuno; un antico violino intarsiato di stupende decorazioni che intonava il suo melodioso canto solo se pizzicato dalle dita passionali di un magico archetto, ma il quale ridiventava muto, vuoto e sterile non appena la sua corpulenza legnosa veniva riposta a terra e abbandonata alla sua compiaciuta solitudine…il basket era l’entità astratta che muoveva le danze di quell’archetto lussurioso, e Rukawa l’oggetto del desiderio di essa: il mezzo con cui la pallacanestro esprimeva sé stessa e la propria spettacolarità…un bambolotto maneggiato dalle bramose zampe di un gioco del quale, il piccolo stupido dagli occhi blu, comprendeva ogni regola; e intanto il disperato Akagi si distruggeva di fatica anche solo per far intuire al suo amante illusorio che la sua bocca animalesca desiderava, almeno, incominciare una specie di conversazione amichevole! Per quale ragione non poteva essere lui il custode di quel mistero che Kaede rivelava solo ad un maledetto pallone arancio? Perché i suoi callosi polpastrelli non avevano modo di baciare le corde gementi di quel violino meraviglioso? Per quale motivo a Takenori Akagi non era concesso di decifrare il codice arcano, invischiato nel mare di linee e punti, che brillava, bugiardo e tra le righe, sulle pagine di quello spartito? A nessuno era concesso di suonare il canto di quell’anima invisibile…e allora Rukawa non aveva senso di esistere.
“_…Ru…ka…che ti è successo?!…chi è stato a ridurti a quel modo?!…_”finalmente una lieve fessura fra le labbra secche e spaventate.
Il solito silenzio di tomba roteava già saltellando, fremendo e rincorrendo le molecole d’aria calda, intorno ad ogni fiacco mobilio che sonnecchiava accosciato sul pavimento bianco _ burro, era burro quel suolo sfocato dall’afa e dall’eccitazione mordente che ribolliva nel corpo dell’ex numero 4!_, sul velo sudato della finestra cicalante, penetrando i pori della pelle bruna del giovane diciannovenne morente d’amore ed angoscia.
L’ala piccola non proferiva parola. Possibile che il ghiaccio, quella coltre spessa di indifferenza ostentata mostruosamente squallida e affascinante la quale ricopriva la sua superficie angelica si fosse infiltrata così tanto anche nelle profondità della sua anima insondabile?
“_…pfiu…Sakuragi…era solo una discussione._”
Kaede aveva schiuso i suoi petali rosati e tumidi e le sue svogliate corde vocali avevano tremato di una cupa melodia baritonale _oh, come contrastava quella voce bassa e opaca con la gentilezza androgina della sua figura sottile, liscia e morbidamente desiderabile!_ la quale donò un brivido di frustrante soddisfazione lungo la spina dorsale del grosso interlocutore innamorato…Certo, Rukawa era il solito ragazzetto schifosamente frammentario, il quale non sprecava fiato nemmeno per costruire una frase compiuta, ma almeno si era degnato di rispondere alla farfugliante domanda del suo senpai, e pareva essere abbastanza disponibile a parlare ancora…sia lodata la Dea Fortuna!
Uno sbuffo irritato da parte di quel brillante gioiello mentre egli, dopo aver compiuto uno sforzo esorbitante nel pronunciare pochi suoni convulsi, procedeva nella sua rozza opera di medicazione e scorticava tranquillamente un pezzo di cute, che si stava inzuppando nel rosso della muscolosa coscia ferita, per poi prendere la bottiglia del disinfettante e versarne il fluorescente contenuto direttamente sullo squarcio aperto e pulsante di bellezza deturpata… Akagi strabuzzò gli occhi venosi nell’udire la melodia di un fievole “ahh!” traboccante da quelle annoiate labbra sanguinolente _ santo cielo…quanto somigliava, quel sussurro di dolente sdegno, ad un sensualissimo ansito di straziante piacere!_ e, con tempismo perfetto, riuscì a strappare dalla sua diafana mano quell’ampolla guaritrice per gridare un ansiosissimo ed impaurito “_ Ma che fai?!…sei pazzo ad usare l’alcool in quella maniera?…ti…ti brucerai solo, così!Devi usare un tampone!…_”
Kaede era proprio senza speranza: possibile che egli non avvertisse nemmeno la sensazione del dolore fisico? In quale modo percepiva il mondo che gli roteava intorno e che si prostrava continuamente ai suoi scattanti piedi?…come un guscio melmoso, fatto di semplici molecole girovaghe ed inanimate, entro il quale egli si era venuto a trovare per puro caso?… come una cupola di cristallo sulla cui sferica superficie scorrevano le immagini filmiche, ritraenti le scene di vita degli esseri umani, che egli osservava freddamente standosene seduto sulla comoda poltrona di un cinema, senza mai penetrare lo schermo e condividere le avventure degli attori, guardando gli altri vivere e non lasciandosi investire dal comune vortice di desideri, passioni, emozioni, il quale inglobava inesorabilmente ogni singolo individuo?… …Quale valore attribuiva, quell’impossibile ragazzetto solitario, agli eventi, alle situazioni che gli piombavano addosso?…e ai sentimenti?…conosceva il disprezzo?…conosceva l’affetto?…aveva idea di cosa fosse l’Amore?…oppure la sua superba immagine di lucenti diamanti non custodiva null’altro che scialba indifferenza?
Takenori posò le proprie imbarazzate dita sulle tiepide spalle nude del silente kohai, tastandone la succulenta morbidezza con un guizzo d’incontenibile bramosia che si espandeva nelle sue membra bronzee, ed intimò al suo palpitante tesoro di starsene zitto e fermo a farsi curare dalle sue scimmiesche zampacce…Smettila di torturarti, lascia fare a me, ti prego…Ok, senpai.
Era una sua sciocca impressione o la temperatura, in quella minuscola stanzetta, si era alzata vertiginosamente?…e come mai la buia finestra stava colando fluidamente sul pavimento?…era un buco nero quello che si profilava al di fuori di quella stessa finestra, o questa aveva semplicemente aperto uno squarcio su un’altra dimensione spazio-temporale dal nebuloso aspetto?
I due omuncoli stampati su quei luridi posters sembravano sinceramente presi dall’affettata suspance che fluttuava nella pesante aria _ satura del sangue di Rukawa, dell’alcool e del sudore ammiccante nella biancheria intima del frustrato Akagi_ e, come a voler porgere l’ala di un sostegno psicologico al goffo gorilla, digrignarono le gengive scoperte sibilando le loro frasi d’incoraggiamento “Forza, Gori!…siamo tutti con te!”… Altre flemmatiche voci riecheggiarono fra le pareti; al giovane parve di udire la sonora ugola di quella sfacciata sedia che gli alitava nell’orecchio “sei un povero illuso!…ah ah!” Era realmente un povero illuso.
L’ex capitano inginocchiò la propria massiccia persona al cospetto del goloso paziente da medicare _ le cosce sode e bianche di lui all’altezza del suo naso da maniaco feticista, le sue manone pronte a detergere gli stinchi candidi dal liquido scarlatto che li insozzava, le sue iridi irritate dalla voglia indomabile di divorare con i ‘raggi x’ quell’anfratto inguinale velato dalla crudele stoffa spiegazzata…troppa, troppa saliva da deglutire!_, quando uno scatto improvviso da parte di quell’incostante demonio fece letteralmente scoppiare il suo cuore d’innamorato incompreso: il pacifico Kaede, con un lascivo balzo da gatto, si era rapidamente seduto sul bordo dell’asettico lettino e, con suadente placidità, aveva poggiato la propria lunga gamba distesa sull’ampia spalla di un Takenori pietrificato, ora genuflesso fra le sue cosce divaricate e penzolanti, incitandolo, così, a sistemargli le sue brutte sbucciatore. Poi, simile ad un bambinetto irrequieto tutto scocciato nell’attendere una noiosa vaccinazione, Rukawa si accasciò languidamente al muro e, sfruttando il suo più apatico e affascinante sguardo da statua di marmo, iniziò a sottoporre il proprio gomito tagliato e sgrugnato ad una meticolosa analisi medico-scientifica…una corteggiata sgualdrina gettata scompostamente sul baldacchino di uno sfarzoso bordello in attesa che il panciuto cliente di turno godesse del suo corpo caldo e disinteressato, nonché della sua fredda anima.
Incantato e sciolto come un gelato dimenticato sul tavolo di una cucina nel mese di luglio, il tenero diciannovenne poggiò delicatamente i propri polpastrelli sull’opalescente carne che gli pesava lievemente accanto al viso _troppo vicina, troppo vicina quella superficie compatta e fragrante…i suoi sensi scoperchiati dall’Amore non potevano resistere a quel profumo inebriante che appannava le narici ghiotte!_ e si perse in adorazione della piacevolezza tattile provata nello scorrere la mano sulla soffice peluria dorata che fioriva sul duro polpaccio sinuoso…poi, finalmente, raggiunse quel meraviglioso incavo nascosto dietro il ginocchio e qui v’indugiò sopra, per un istante che pareva eterno, solleticando scherzosamente la cute sottile, baciando con la punta delle dita il rilievo di quei nervetti che avevano trasformato le sue notti in incubi e masturbazioni folli, saggiando l’inconsistenza di ogni invisibile poro, per poi ripercorrere quel paradisiaco sentiero a ritroso e lasciarsi nuovamente abbindolare dalla passione indefessa per la sericità dello stinco, ora maculato dall’ombra pruriginosa della sua testa di ex capitano già involatasi verso un Eden delle meraviglie.
Un frigido, lamentoso sbuffo da parte del ragazzetto appollaiato sul lettino risvegliò l’illuso viaggiatore dal suo liquido stato di contemplazione, ricordandogli che quell’ammaccato arto, che egli pareva venerare come un feticcio, aspettava soltanto di esser disinfettato e bendato…mh, il piccolo scorbutico non aveva alcuna intenzione di farsi oggetto passivo delle gementi effusioni di Takenori!
Beh, del resto era meglio non tentare di artigliare l’intero braccio di quel Fato che, gentilmente, aveva deciso di tendere all’implorante Akagi solamente la sua divina mano… …il caso gli stava concedendo la tanto agognata possibilità di spingersi oltre quel frustrante limite entro cui il ragazzo si era imposto di rimanere eternamente imprigionato: la sua nascosta e censurata passione per Rukawa aveva finalmente modo di affiorare parzialmente dalla melmosa palude di Amore platonico, dentro la quale era stata sinora costretta, per dare sfogo ad una minima parte delle propria irruenza distruttrice, riversandola concretamente sul corpo dell’amato kohai sotto forma di carezze leggere e amichevolmente innocenti; la sua eccitazione incallita non era più ingabbiata tra le sbarre indistruttibili che galleggiavano dietro ai suoi occhi vitrei e iniettati di speranze amaramente disilluse; il suo sentimento malinconico non era più schiavo della sola vista _ di quell’unico senso disumano il quale permette di assaporare l’arte e la bellezza nella loro unica apparenza senza poterle realmente possedere e comprendere_ bensì era ora in grado di esprimere sé stesso fluendo attraverso i gesti fisici, diventando tatto…
…Vedere e non toccare: questo era il patetico Takenori Akagi nella sua infinita farsa di ragazzo pacato che anteponeva la ragione all’istinto…
…Ammirare e sfiorare con mascheratissima lussuria: questo il Takenori Akagi che si ritrovava, in quel preciso istante, inginocchiato dinnanzi alla sua venerata Afrodite a ringraziare il Cielo, il quale gli aveva consentito di additare un piccolo squarcio di Paradiso, e al contempo a maledirlo poiché non gli permetteva di ottenere di più, e perché era fin troppo chiaro che mai e poi mai si sarebbe tornata a creare una situazione così fortunosa e sublime…
Il Fato si burlava del suo insignificante, gobbo, stucchevole personaggio innamorato catapultandolo inaspettatamente in un fasullo ‘Paese dei balocchi’ per poi riportarlo violentemente indietro, nella tana sporca, bugiarda, e incrostata di illusioni, sogni infranti, lacrime, sperma e dolore, dalla quale egli era stato prelevato, cosicché l’insaziabile e orribile mostro sudicione avrebbe patito le pene dell’inferno nel sentirsi privato di quel nuovo e più intenso piacere, a cui già si era abituato, al quale non avrebbe più avuto modo di ambire, dovendosi accontentare nuovamente di sbirciare la soglia di quel bel Paese meraviglioso attraverso un buco scavato nella parete granulosa del suo indegno rifugio da codardo sognatore.
Akagi allungò la mano destra verso la bottiglia dimenticata a terra non prima di aver bloccato, avviluppandola con una smaniosa stretta alla caviglia _ l’unico gesto di possesso che poteva permettersi di azzardare nei confronti del suo impossibile amante_, la lunare gamba libera del paziente, la quale, come colta da un nervoso tic tipicamente puerile, ciondolava dolcemente andando ora a lambire una ristretta zona di materasso sotto il lettino, ora il fianco gelatinoso del senpai…i lievi spostamenti d’aria provocati da quella carne spudorata agitavano la stoffa che rivestiva il suo torace ansimante e appiccicato da un sudore eccitato; i suoi jeans non riuscivano più a contenere la mole enorme di quella frustrazione palpitante la quale ribolliva, avvelenata e acida, nel suo crepitante ventre sgozzato… …l’atteggiamento di succosa provocazione che quell’egocentrico moccioso aveva appena mostrato _ volontariamente o con la più banale e squallida innocenza?_ stava ancora riecheggiando in tutta la miserabile stanzetta sbiadita, e Akagi s’impregnò l’anima di quell’eco incantevole, come un ignobile accattone rubò ogni preziosa immagine di quella gamba in movimento per custodirla all’interno del proprio lurido cuore gonfio di malessere e alimentare sempre più, quasi sadicamente, quell’incredibile passione che gli incendiava il corpo…
“_ …ah…Kae…stai buono!_” una roca supplica sussurrata sull’orlo di una folle eccitazione logorante, e Takenori riuscì finalmente ad utilizzare quella dannata bottiglia la quale pareva pesare quintali e a detergere la pelle lacerata con un tampone imbevuto di disinfettante verde-smeraldo _ …cosa avrebbe dato per trasformarsi in quel batuffolo zuppo e andare ad assorbire il sangue color rubino brillante, leccando personalmente ogni solco con il suo pungiglione assetato e frenando, con la propria gentilezza porosa, quei dolorosi scatti frementi i quali irrigidivano quel tenero arto al momento in cui le ferite venivano a contatto con il fluorescente siero guaritore!…
L’ex capitano sollevò gli occhi a scrutare il volto del suo silente cucciolo il quale, impassibile come al solito, dopo aver girato lentamente il capo ad osservare una fastidiosa zanzara che banchettava sulla sua svelata spalla alabastrina, schiacciò la seccatrice con un sonoro ‘sciaf’ della pallida mano per poi far fluire questa in una carezzevole moina lungo il braccio punto, mollemente appoggiato allo sfatto giaciglio, portarla a lisciare languidamente le cosce, ad una ad una, e infine far riaggrappare quelle dita danzanti al bordo del letto…Takenori dovette trattenere un vorace gemito di piacere. Per un breve istante il giovane si chiese se, per caso, Kaede avesse captato quale abominevole e disperato amore sconquassasse le viscere del dinoccolato senpai e, in un qualche modo, cercasse di stuzzicarlo di proposito…possibile che tutti quei soavi gesti ammiccanti fossero soltanto polposi e peccaminosi frutti di un suo naturale modo di fare?…oppure il misantropo, freddo e solitario Rukawa calcava coscientemente la mano, esasperando i suoi atteggiamenti, per aumentare il proprio fascino ed incentrare su di sé gli sguardi ammaliati degli uomini?…la squisita ala piccola era consapevole di quanta sensualità trasudava da tutti i suoi semplici gesti quotidiani? Sapeva di essere così seducente? Riusciva, perlomeno, ad intuire che esistevano persone le quali godevano di troppi spregevoli orgasmi nei loro vuoti letti, mentre si figuravano nelle loro menti di aprire in due il suo bel corpo impudente e da egli stesso tanto esibito? Quale effetto gli faceva il sapere di essere l’oggetto del desiderio di innumerevoli orde di ragazzine sbavanti e uomini allupati, i quali mascheravano le loro perverse convulsioni dietro l’immacolata ammirazione che dicevano di sentire per quel talentuoso giocatore con il numero 11 stampato sul petto e la parola ‘scopami’ scritta a caratteri pulsanti, a mo’ di invito, sul delicato musetto femmineo?
Takenori scosse il capo, come a volersi scrollare di torno una mosca impertinente: come osava anche solo pensarle cose del genere? Quello stupendo ragazzo non poteva celare un’anima così torbida e meschina!…nonostante la sua indubbia ambiguità, Kaede era fin troppo infantilmente puro e svaporato per interessarsi, anche minimamente, ad impadronirsi di traguardi tanto futili quali gli sguardi di venerazione libidinosa della gente avida e depravata…l’essere lodato per la sua eterea bellezza, cosa poteva importargli a lui?…semmai, gli premeva di esser apprezzato quale eccellente atleta dalle straordinarie doti o l’esser riconosciuto come cestista più in gamba del Paese! A quell’evanescente idolo gelido faceva gola solamente quel malefico pallone rugoso, e anche quella sua aria imbambolata _ ora quasi stucchevolmente frivola mentre egli fissava le grandi iridi blu oltre la buia finestra e, con un soffio snervato e caldo, faceva vibrare la liscia frangetta birichina_ non nascondeva null’altro che una facile, quasi nauseante ingenuità d’intenti.
Il suo svanito amore non intendeva donare quella sua innata malizia al grosso, incartapecorito Takenori Akagi… …il suo fascino magnetico non era nato per attrarre nessun essere umano, e Kaede possedeva tale qualità senza però esserne realmente consapevole…lui non aveva plasmato sé stesso e la sua immagine sui desideri degli altri; non agiva mai, volontariamente, al fine di calamitare l’attenzione della gente…la sua deliziosa facciata equivoca, per quanto artificiosa potesse effettivamente essere, non aveva scopo: esisteva poiché era la sola identità che s’incollasse perfettamente e naturalmente alla figura di Kaede Rukawa, l’unico volto dietro cui quell’incompreso volpacchiotto fosse in grado di mascherarsi adeguatamente, il solo involucro entro il quale lui potesse muoversi, comodamente e senza sforzi, assecondando la propria natura… Kaede non sfruttava sé stesso per avvicinare gli altri…e di certo non voleva avvicinare Akagi!...era così, vero?...sì, doveva essere così!...ma, se non lo fosse stato?...se tutti quei gesti e quegli atteggiamenti non fossero stati che numeri sterili di un calcolo ben preciso e mirato?...
Un tremolio malinconico nelle pupille, Takenori terminò la prima medicazione sullo stinco e, rozzamente in ritardo, proruppe in un fiacco “_ brucia?_”che gli fuoriuscì dalla gola come spuma da un bicchiere di birra troppo colmo. Non ottenne risposta. Il suo interlocutore aveva già variato la propria posizione per ritrovarsi con la schiena baciata al muro, la testa mora lievemente inclinata su una spalla diafana e l’ammaliante cascata di seta corvina che sfiorava le delicate palpebre chiuse…probabilmente le velate lusinghe che il voglioso, inascarito senpai gli stava riservando _ e che ad Akagi stesso procuravano solo estasi e guizzante beatitudine_ lo avevano già importunato abbastanza, e Rukawa aveva egoisticamente preferito lasciarsi cullare dalle ben più audaci braccia di Morfeo.
A Takenori sfuggì un acuto lamento di sorda frustrazione…Santo cielo!…come avrebbe potuto dominare il proprio imperioso e animalesco desiderio ora che gli occhi di Kaede non erano più lì a vigilare l’intera situazione? Il saperlo così immobile e languidamente passivo fra le sue forti braccia virili e formicolanti lo stava già facendo soffocare di un sudicio appetito sessuale; e l’aria diveniva sempre più irrespirabile mentre l’afa eccitata comprimeva la propria essenza incorporea ma, al contempo, estremamente pesante sulle membra dell’ex capitano, quasi a volergli schiacciare la pelle, perforagliela ed insinuarsi fin dentro la carne, trafiggendo i muscoli, sciogliendo le ossa ed infine andando a soffiare una vampata di cocente veleno sullo specchio del suo affannato cuore da sciocco sentimentale.
Oh, avrebbe potuto benissimo ricoprire quella tenera gamba morta, ancor stesa sulla sua spallona bruna, d’infiniti e ruggenti baci gridati dalle proprie labbra infelici… poi, senza destare alcun rumore, si sarebbe alzato in piedi e avrebbe contemplato la sua preziosa bambolina dormiente, cercando di trattenere quell’insistente torrente di meravigliate lacrime che sicuramente avrebbe pulsato dietro il velo dei suoi occhi d’innamorato non corrisposto; avrebbe inferto un’impalpabile carezza su quella gentile gota pallida, facendo poi sorvolare alla propria mano callosa ogni singolo e incantevole filo scuro che ornava la nascosta fronte liscia; avrebbe lambito quel collo sottile con la dolcezza dei propri polpastrelli stracolmi di gioia e disperazione, e si sarebbe sporto oltre il bordo del lettino, come vittima di un profumato trance, ad ammirare il più vicino possibile le fattezze perfette ed ambigue di quel viso imperlato di bellezza e mistica sensualità, tentando di dare una logica spiegazione ad ogni linea la quale disegnava il suo profilo squisito, a ciascuna sfumatura di colore che pigmentava quella cute opalescente, cercando e arrovellandosi inutilmente nel dare un perché all’Arte…a quell’Arte che si manifestava tramite la figura stupenda di un Kaede sempre più sfuggevole, silenzioso, impossibile e desiderabile…
Avrebbe fatto completamente adagiare il suo sognante tesoro sul caldo giaciglio compiaciuto per poi liberarlo, con fluidi gesti d’infinita lentezza, di quegli ingombranti indumenti i quali osavano frapporsi tra la sua bramosia di gorilla e la soglia di un sublime Paradiso…ah, con la lingua lussuriosa si sarebbe fatto strada su quelle vaporose pianure ingemmandole della propria scintillante saliva, avrebbe scalato le basse colline e morsicato i vari rilievi e succhiato le ossute sporgenze in lucido marmo, si sarebbe incuneato nelle cavità più profonde abbeverandosi del loro calore…la sua carnosa bocca ingorda si sarebbe strofinata su quella socchiusa che giaceva, come ipnotizzata, sul volto candido del suo lui sonnacchioso, facendola ingrossare dalla passione e mangiandone i succosi contorni…infine, la sua mole febbrile e ansimante avrebbe fatto violenza a quel corpo inanimato e disponibile, spingendosi nelle sue carni sino a sfiorare l’anima, quell’anima che mai, Akagi lo sapeva, avrebbe realmente posseduto, danzando e gemendo con immensa angoscia su di lui, appiccicato a lui, dentro di lui… … con lui? Quando il molestato ragazzo si fosse svegliato che ne sarebbe stato del temerario Takenori? Kaede avrebbe guardato la sua faccia da maniaco con una spaventosa espressione di disgusto, facendo schizzare un poderoso pugno sulla sozza mascella di quel porco approfittatore, oppure sarebbe rimasto totalmente indifferente a ciò che gli stava accadendo e avrebbe permesso all’arrossito senpai di continuare nella sua opera di sodomizzazione, tornando a stendersi placidamente e magari puntando le pupille, con fare annoiato, oltre la buia finestra spiona come fosse un tutt’uno con essa?
Lo avrebbe cacciato?…no…no, non sarebbe andata così: Kaede avrebbe semplicemente aperto gli occhi e mosso le labbra a formare un lucente sorriso rivolto a quel giovane diciannovenne che lo stava colmando d’amore poi, con il suo fare lascivo e provocante, avrebbe teso le magre braccia a cingere quel collo nervoso per poi sussurrare all’orecchio rabbrividito del fumante senpai di prenderlo ancora, ancora, sempre di più, sempre più forte…
La consapevolezza illusoria che Rukawa si sarebbe effettivamente comportato in quella dorata maniera, nel cuore di Takenori, era forte tanto quanto la certezza assoluta che una cosa del genere non si sarebbe mai potuta verificare…ma…ma come avrebbe potuto accantonare il suo sfavillante sogno per aprire gli occhi all’incubo il quale aleggiava crudele, meschino, miserabile, sulla realtà che avvolgeva il suo povero sentimento?
Voleva…voleva, almeno per un brevissimo istante, covare in seno la vezzosa speranza che, una volta desto, Kaede si sarebbe potuto infatuare del suo ex capitano, come per magia…puf!
Voleva fingere che al di sotto di quel torace d’avorio e ghiaccio esistesse un nucleo rosso i cui battiti fossero, in parte, coordinati dalle proprie mani grezze ed enormi; aveva bisogno di immaginarsi il modo in cui la sua antipatica ala piccola avrebbe vibrato, in preda all’estasi, fra le sue braccia dominatrici, doveva pensare a come egli si sarebbe rigirato fra le spire incandescenti del suo desiderio vischioso, esigeva dalla propria mente di figurarsi l’immagine di lui tutto invaso dal piacere, di lui così stupefacente mentre il corpo del ragazzo più grande lo profanava, di lui infinitamente felice di essere venerato tanto visceralmente, di lui che pronunciava a ripetizione le parole ‘ti amo’, di lui che finalmente danzava CON Takenori gettando a terra la sua tipica maschera di fredda porcellana insensibile…
“_…voglio il mio sogno…lasciate che io m’illuda, almeno per un momento…_”
Probabilmente, il suo fu solo un breve sussurro invisibile, ma nella sua testa quelle parole risuonarono forti, decise e inesorabili come sguaiate grida angosciate…ma Kaede, per fortuna, non aveva udito quel suo appello disperato e rivolto al Cielo.
Akagi cominciò a far salire le proprie calde mani, sempre più incantate, sempre più folli, lungo la sinuosa gamba accondiscendente sino a sfiorare l’interno coscia sulla cui compatta superficie preziosa zampillava un solitario fiotto di fluido purpureo; con un dito tremante andò a toccare la bellezza di quel disegno intingendosi l’unghia in quella cascata di freschi rubini, poi se ne allontanò tramite uno scatto di febbrile impazienza per andare a tastare, voluttuoso e formicolante, la pelle invitante, rivestita da una grossa crosta di sangue già rappreso e morto, che conduceva all’inguine tiepido e adornato dalle dannate pieghe dei calzoncini arricciati…trattenendo il respiro, in uno stato di catartica adorazione, il ragazzo riuscì ad oltrepassare la sottile stoffa, artisticamente unguentata dal rosso di quel veleno divino, e lambì per un sospeso istante la bianca cute di quell’incavo tanto agognato…
Il tempo parve arrestare di colpo il proprio frenetico ed interminabile vagabondaggio, l’aria venne improvvisamente risucchiata dall’immota figura del seducente manichino dagli occhi serrati e la stanzetta fu sommersa dal più inerte e compresso vuoto iniziando a galleggiarvi dentro.
Il piagnucoloso lamento dei grilli sembrava esser stato messo a tacere da un provvidenziale assassino il quale aveva finalmente deciso di porre fine alle sofferenze di mille vittime da egli torturate…
L’inquietante ticchettio di un orologio _ oh, entrando non aveva notato quel bislacco aggeggio crocifisso su una parete, all’ombra della instabile porta ansante di fatica!_ scandiva con un rimbombo assordante gli incrinati battiti dell’amore al posto del suo cuore ormai spompato dal desiderio…
…Un’altra zanzara _o, forse, quella che prima aveva goduto del corpo di Kaede, risorta per gioire ancora di più e alle spalle dell’ impotente Gorilla _ si era cristallizzata su una mano diafana e priva di vita, e una sua gemella solleticava, con le lunghe zampe luccicanti, un polso magro e dimenticato sul lettino il quale, ora, dava l’impressione di esser fatto di duro granito.
Aveva paura.
Takenori Akagi aveva una tremenda paura di andare oltre… Oltre il confine proibito sancito dal bordo di quei pantaloncini: troppo corti per poter rappresentare un serio ostacolo di fronte all’ insistenza delle sue manacce eccitate, troppo facile il farsi rapire dalla follia e violare brutalmente quel limite calpestando con sporca lussuria ciò che dietro vi stava nascosto… Temeva di andare oltre la barriera di quella lacera e scricchiolante porta in vetro dietro la cui superficie, Akagi, aveva da sempre spiato il Paradiso di Kaede, senza avere mai avuto modo di tirare la maniglia dorata e varcare la soglia per penetrare entro quelle visioni scintillanti che solo i suoi occhi avevano potuto baciare…ma ora la Fortuna, o il Destino, o Dio, o il semplice Caso, gli dava l’opportunità di aggrapparsi a quella maniglia e rendere magicamente concreto uno dei suoi romantici sogni, ed il terrore di non riuscire a fermare la propria lorda ambizione affamata e di pretendere sempre di più, una volta ricevuto un minuscolo assaggio di felicità, gli stava pian piano appannando la mente.
Se le sue mani avessero proseguito nel loro viaggio alla scoperta di quel morbido corpo anestetizzato, allora per Takenori sarebbe stata la fine: la sua sete d’amore l’avrebbe obbligato a prendersi anche ciò che non gli era concesso, rovinando ogni cosa, gettando al vento l’unica occasione di potersi avvicinare al proprio squisito tesoro inaccessibile.
Avrebbe dovuto accontentarsi di ciò che miracolosamente aveva ottenuto…certo…ma era un uomo…e l’uomo non è stato creato per accontentarsi, bensì per lottare ogni giorno più ferocemente, tramite i mezzi più meschini e mostruosi, al fine di esaudire con egoismo desideri sempre più utopistici e folli… la sua dolorosa eccitazione logorante chiedeva immediata soddisfazione, e Kaede era troppo, troppo invitante! Perdonami, perdonami mio amato…
Il panico, che sino ad un momento prima aveva vibrato in tutte le sue impacciate membra reticenti, si era completamente dissolto in una vaporosa nuvola di polvere nera per poi dileguarsi nella tersa serata di giugno al di fuori della quieta finestra. Il ragazzo portò le proprie spavalde dita a sollevare, con una leggerezza che non credeva di possedere, l’orlo di quella fresca maglietta andando a svelare una deliziosa zona di carne perlacea, fragrante e totalmente a sua disposizione: il pancino del suo scontroso amore, un contrasto di scultorei muscoli duri e soffici linee vellutate, un anfratto di sensuale beatitudine che in pochi, durante i vari allenamenti, erano riusciti ad ammirare _Rukawa non soleva mai mostrarsi nudo negli spogliatoi, nessuno aveva avuto il privilegio di posare le iridi sbavanti di libidine su un suo gluteo scoperto o sul suo ventre candido…perché non si lasciava venerare come meritava, quello stolto marmocchio?!
I suoi polpastrelli vagarono dilettevoli lungo quel piacevole percorso disegnando, con il colore della loro infinita passione, lievi cerchietti concentrici tutt’intorno al piccolo ombelico incastonato nella pelle come un diamante rosa, poi seguitarono a marciare con la stessa andatura verso le fiorenti vallate profumate di sole che si estendevano gloriose e meravigliose sul torace adombrato dalla stoffa alzata e stropicciata… le loro callose estremità lusingarono i minuscoli capezzoli dal roseo pallore, andarono a modellare i rilevi sui pettorali, cozzarono avidamente contro una clavicola ossuta e sporgente, s’incendiarono di gioia nel tamburellare e posarsi sul petto ad ascoltare la danza di quel cuoricino addormentato che pareva mantenuto in vita soltanto dal sentimento di un Takenori devoto e rabbrividito. Il suo volto arrossato solleticò anch’esso quella pancia ipnotizzata, le sue labbra carnose si sfregarono a ripetizione sulla bianchissima cute e, come mosse dai fili scuri di un’autodistruzione inevitabile, queste si schiusero permettendo ad una lingua calda, umida e impaziente di fuoriuscire ed insinuarsi a succhiare i contorni dell’ombelico… Akagi stava leccando la pelle di Kaede, stava leccando il suo sogno, e non aveva mai assaporato nulla di più buono: un dolce-caramella mescolato al salato del sudore che imperlava ancora quell’atletico e scattante fisico, un accordo fra gusti opposti decisamente afrodisiaco e voluttuoso sino allo svenimento.
Ancora, ancora…quella punta molliccia e impertinente giocherellò ancora con quel bocciolo di rosa luccicante di saliva incuneandosi al suo tiepido interno, saziandosi della sua ombrosa profondità, gemendo e contorcendosi nel vortice di un orgasmo inquietante e abominevole, deridendo con sdegno la follia di quell’omone scimmiesco il quale, ebbro di un coraggio sconsiderato, si stava facendo rapidamente annullare dal proprio istinto ed azzardava sempre di più, dimentico del fatto che la succulenta ala piccola avrebbe potuto da un momento all’altro districarsi dal sonno ed accorgersi di tutto, cogliendolo in flagrante mentre la sua bocca sudicia sbrodolava una collosa bava bollente sul piatto ventre denudato… Ancora, ancora…le sue mani impazzite sfiorarono, accarezzarono, possedettero ancora sino ad intrufolarsi oltre l’elastico dei corti pantaloncini, incontrando con le unghie il bordo degli slip, graffiando e artigliando quel misero strato di calda polpa che si concedeva loro senza riserve…e le labbra scesero dolcemente con lo scopo di raggiungere proprio quelle dita briose le quali, ormai prive di pudore e vergogna, si stavano avviando a penetrare anche quell’ultima barriera di cotone.
Un guizzo improvviso di uno squisito muscolo addominale; un fievole gemito gutturale sussurrato da due petali tuttora chiusi ermeticamente; due zaffiri liquidi e lucenti completamente aperti e indagatori…
Kaede guardava dall’alto al basso lo spaventato senpai, sondandolo pacatamente tramite i suoi allungati occhi blu…occhi non indignati, non felici, nemmeno stupiti: solo e orribilmente freddi. La provvidenziale crisi da narcolettico dalla quale il violato kohai si era fatto appena rapire pareva essere stata del tutto superata, l’anomalo sonno fatato che aveva catapultato il giovane nella più istantanea incoscienza si era dissipato come polvere spazzata via dall’invisibile soffio del vento.
Cosa avevano visto quelle stupende e apatiche pupille? Avevano colto la raccapricciante immagine raffigurante due enormi labbra gonfie impegnate a massacrare l’inerte pancia bianca e umida? Erano riuscite a catturare il movimento di quelle obbrobriose dita impertinenti le quali sfibravano ogni poro della gelida pelle d’alabastro sul ventre intorpidito e assopito?…no, Takenori era sicuro di aver ritratto la propria boccaccia ingorda dal sugoso banchetto prima che il suo tenero amante passivo fosse colto dall’iniziale fremito del sensuale risveglio…ma…ma le mani?…Kaede era riuscito a sentire su di sé quelle schifose manacce sudice di lurida passione?
Una terrorizzata goccia di sudore ghiacciato, urlante di strazio, solcò saettando la corrugata fronte dell’ex capitano…Era finita.
“_ Perché stai…yawn…tremando?_” La voce del suo meraviglioso amore era flebile e ovattata, come se un qualche strangolatore avesse premuto con forza un nero cuscino sulla sua adorabile bocca soffocata, e lo scoordinato sbadiglio che si era intromesso all’interno della frase scintillava tutto di un’innocente volgarità mostruosamente infantile…
In fin dei conti, il nobile Rukawa dalla superba statura di 1,87 centimetri, una tenacia e una fierezza indistruttibili degne di un vero guerriero e un potere seduttivo da ‘femme fatal’, non era altro che un immaturo adolescente di diciassette anni che ancora si riteneva il padrone assoluto di quel mondo il quale, ovviamente, roteava incessantemente intorno a lui assoggettandosi ai suoi capricciosi voleri da despota, tramutandosi con gioia in uno zerbino che i suoi piedi d’ala piccola avrebbero continuamente calpestato… Era un grosso bambinone cresciuto che viveva ancora tutto impegolato nel proprio disastroso egoismo…ma quel suo enorme, insopportabile difetto era ciò che Takenori amava maggiormente…
Akagi adorava quella sua stucchevole puerilità ingolfata sotto strati e strati di apparente indifferenza ostentata. Venerava la deforme superficialità con cui lui manipolava la sua stessa sterile esistenza confinata entro i ristretti limiti di un rettangolo in parquet. Gemeva di desiderio di fronte a quella sua svanita ed inutile frivolezza che proprio in quell’umido istante, dentro la fluorescente e compressa stanzetta, pareva contornare come un’aureola fumosa la sua eburnea figura di sfinge facendo sembrare il piccolo, immobile Kaede niente di più che un ridicolo e stupido pezzo di bianco granito privo di intelligenza, soltanto un’inutile ochetta che starnazzava impazzita credendo che l’intero universo terminasse ove sorgevano le cigolanti reti metalliche del suo stagnante e fetido pollaio, ignorando scioccamente ciò che vi era al di fuori … Amava alla follia quell’ammaccato oggetto in raffinatissima maiolica il quale mestamente si sottoponeva alle proprie affettuose cure da vecchio ceramista, poiché sapeva che dietro a quella sua preziosa e dura superficie traslucida vi era occultato l’alone di un denso e meraviglioso mistero, un segreto inconfessato che risiedeva proprio nel cuore stesso di quella futile parvenza di cui Rukawa era irrimediabilmente schiavo, un arcano pericoloso e oscuro che se fosso stato captato e svelato da qualcuno avrebbe aperto, al coraggioso esploratore, le viscere di quell’enigma tutt’ora irrisolto che era l’animo dell’incomprensibile numero 11…
Kaede era uno sciocco e vano capriccio che, come tutte le opere d’arte inservibili, nascondeva molti più significati importanti di qualsiasi altra cosa dal senso compiuto e concreto… Lui era colui per il quale valeva la pena soffrire di un sentimento inesaudibile, solo per Lui era giusto morire d’angoscia, poiché esclusivamente per Lui era stato creato l’Amore, soltanto perché gli uomini lo riversassero sulla sua incantevole figura d’avorio sino a farsi scoppiare il cuore dalla passione… Chi era in grado di non amare Kaede Rukawa? Quale essere umano riusciva a non farsi stregare da quel suo disarmante fascino sottile e a non rimanere vittima di quella sua finezza ricercata ed elegante, oltre che alla sua grossolana e affettata trivialità degna di un puzzolente e animalesco scaricatore di porto? Beh…Takenori Akagi era uno fra quei tanti uomini i quali erano precipitati, senza alcuna speranza di redenzione, nell’abisso infernale e morboso che l’affascinante Kaede Rukawa dipingeva sulla scia della sua profumata presenza silenziosa; ed esattamente come quegli altri egli sorreggeva sulle proprie fiacche spalle l’opprimente peso di un bisogno viscerale impossibile da soddisfare…tsk!
Certo…tutti quanti desideravano gravitare attorno all’ardente splendore emanato da quella graziosa stellina luccicante; tutti bramavano impazientemente a penetrare, con la più miserevole audacia, lo scudo trasparente di magnetica indifferenza che proteggeva come una cappa di vetro la superficie immacolata di quella squisita porcellana per poi testarne l’effettiva preziosità carezzando, con sporche mani dissacratrici, ogni singolo decoro o fattezza ed infine facendo loro il freddo oggetto profanato imbrattandolo con uno squallido marchio di possesso.
Tutti volevano odorare la sua vellutata pelle color panna, strofinare imperiose dita predatrici sulla sua vistosa chioma di seta corvina, cogliere e rapire le indefinibili sfumature che danzavano fluttuando nell’oceano tempestoso di quelle sue coralline pupille ammalianti, alitare i diabolici fantasmi delle loro sozze passioni entro quelle sue soffici labbra sempiternamente imbronciate dalla noia e dal disprezzo, muoversi convulsamente sulla sua seducente e incorruttibile carne per poi mostrarne, esibendoli come sudati trofei, i rimanenti brandelli insanguinati agli occhi invidiosi di altri mille e mille avvoltoi rimasti, frementi e guardinghi, ad origliare le mosse del fortunato dominatore in attesa di ricevere anch’essi un qualche piccolo frammento di quel succoso bottino di guerra che ancora poteva rivelarsi utile al soddisfacimento di tante, tante mostruose ambizioni!… Chi non era in grado di amare Kaede Rukawa?… Chi non era in grado di amarlo?…Chi?…
Tutti…tutti lo amavano, ma nessuno riusciva a farlo nella maniera giusta.
Probabilmente solo Akagi era riuscito ad immaginare un perché dietro a quell’icona che tutti ritenevano priva di alcuno spessore degno di considerazione; solamente Takenori era capace di raffigurarsi, nella propria mente contorta, quali sembianze potesse avere l’anima occulta di quel diamante del quale chiunque poteva percepire esclusivamente lo scintillio più generico…soltanto lui, il grossolano e impacciato ‘gorilla’, sapeva qual’era il modo ideale di amare l’insaziabile Rukawa…e poco importava quanto egli si stesse rivelando ottuso e schifosamente insipido nella sua ripetitiva apatia che sembrava divenire più insopportabile ad ogni secondo che trascorreva; non aveva alcun peso il fatto che Kaede non avesse battuto ciglio nel cogliere l’affannato senpai in chiari atteggiamenti da maniaco, come se effettivamente quelle carezze non troppo velate avessero catturato il suo frigido interesse come avrebbe potuto farlo l’osservare una mosca appollaiata su un muro; la vergognosa ignavia di quel brillante fiore non rappresentava un ostacolo agli occhi del perseverante ex capitano: non era un difetto che sarebbe riuscito ad insozzare e ad incrinare il sublime sentimento che il ragazzone aveva plasmato nel proprio cuore nei confronti dell’ala piccola, non era una macchiolina nera sulla pelle di quel meraviglioso sogno che Akagi, un giorno, sperava di conseguire bensì una singolare e affascinate qualità superficiale oltre la quale regnava sicuramente una segretissima bellezza interiore…
Ogni suo pregio e ogni sua imperfezione facevano di Kaede Rukawa l’essere più desiderabile che Takenori avesse mai conosciuto…e la brama di portare alla luce queste sue caratteristiche era troppo forte, irresistibile…
Voleva giocare con le mancanze e l’ingenuità del suo piccolo paziente per captarne ogni minima sfumatura caratteriale. Avrebbe assecondato le sue stranezze aggrappandosi al dorso di quella sua spietata imperturbabilità per abbeverarsi ulteriormente della sua squisita grazia, avrebbe preso in giro la sua apparente stoltezza per vedere sino a che punto la statuaria matricola d’oro sarebbe rimasta impassibile…
“_…ehm…Kaede…mi era sembrato di scorgere un taglio sulla tua pancia…volevo controllare di che si tratta!…ehm…e…forse hai un livido sulla coscia…_” le dita ancor schiuse a palpare l’addome piatto e sodo, Akagi s’imbarcò in una ridicola serie di scontate scuse le quali sortirono l’effetto inconsciamente ambito: Rukawa represse un secondo gorgogliante sbadiglio e gettò una sbieca occhiata al proprio ventre assopito, socchiuse con forza le palpebre per due volte, come a volersi levare di dosso le ultime ombre del sonno appena dissoltosi, per poi sbarrarle nuovamente e roteare di scatto le vitree pupille scintillanti su una parabola d’aria immaginaria che le condusse a posarsi sull’ammasso informe di batuffoli bianchi che fioriva accanto al bordo del lettino…il suo braccio incantevole immerso in quella nuvola vaporosa e immacolata appariva ancor più vellutato e iridescente…_oh…Amore, abbi pietà di me! La ricettività di quel volpino incapace e malconcio sembrava, in effetti, attivarsi solo ed esclusivamente al momento in cui le sue cristalline ali di fata additavano il cielo metallico e stellato di un qualche misero campo da basket: Kaede era del tutto intenzionato a medicare proprio quella sua pancia adorabile sulla quale non sgorgavano altro che le infuocate scie di costretta passione disegnate dalla bava di un audace Akagi!…roba da pazzi!
Il tenero tampone cominciò a vagare velocemente sulle note impartitegli da quelle sinuose dita affaccendate, intrufolandosi lieve sotto l’elastico dei calzoncini e risalendo il proprio percorso incastrandosi nella gelosa maglietta nera leggermente sollevata, la quale pareva non voler dar il privilegio all’intruso di esplorare quei fertili e rigogliosi territori nascosti, e sfiorando infine la bronzea cute di quelle manacce enormi che ancora non si erano mosse…una carezza indugiò sui rilievi di una di queste, il batuffolo s’incuneò tra le grosse dita, poi ricadde miseramente sulla stoffa dei pantaloncini, gettato via dai cerchiati polpastrelli di ala piccola, e la sua morbidezza venne sostituita da quella di una mano diafana…un brivido gelido andò istantaneamente a corrodere la spina dorsale del pietrificato diciannovenne… Rukawa stava teneramente toccando il raggrinzito arto del capitano, sorvolando con una delicatezza infinita le tremanti nervature che ne solcavano la dura superficie, palpandone, nell’imitazione di un’effimera lusinga, la grossolana solidità marmorea.
Il sogno si stava, forse, per tramutare in realtà!…l’impassibile numero 11 si era finalmente accorto di quale folle desiderio ardesse dentro il corpo tremante dell’arrossito senpai!
Gli sguardi dei due ragazzi s’incatenarono per un’interminabile frazione di secondo; Takenori annegò la propria anima nell’immensità sfavillante di quelle profonde iridi che parevano custodire gelosamente il mistero stesso dell’amore e della bellezza…di quella sublime bellezza della quale, ormai era orribilmente chiaro, nessuno avrebbe mai potuto godere. Tutto si spense nell’amarezza crudele di un piccolo gesto…con una scrollatina fugace e quasi disgustata del dorso della sua raffinata mano, Kaede scacciò quello scimmiesco arto inerte dal nobile ventre scoperto.
“_…yawn…no, non c’è nessuna ferita qui._” Il basso mugolio della guastafeste matricola andò a sciuparsi in una nuova occhiata alla coscia dolente la quale, effettivamente, era ornata da un minuscolo rivoletto di sangue rappreso, e tanti puntini violacei si stavano ingrandendo sempre più sino a chiazzare la candida pelle ormai illividita.
Colto dalla vaporosa mucchia un altro batuffolo di ovatta, Rukawa proseguì nella sua goffa automedicazione cominciando a ripulire la propria carne dalle scaglie scure e crostose che vi si erano formate sopra, mentre i suoi occhi penetranti rimanevano fissi, senza alcuna ragione, sul buio squarcio rettangolare nella parete oltre il quale non si intravedeva che qualche stella impallidita dal riflesso della luce acida nell’infermeria…quanto sei ridicolo, asociale ragazzino, nella tua maledetta freddezza ebete e ostentata!...ma non ti fai schifo da solo?...sei disgustoso…grottesco…oscenamente meraviglioso.
Akagi stava impazzendo dalla sete e dalla vergogna. Sete di lui, della sua sinistra ambiguità, di quella sua voce tagliente e fastidiosa… Vergogna per la propria ostinazione inutile e dannosa che gli imponeva, da ormai due anni, di ricercare la felicità fra le braccia di un uomo creato solamente per fare presenza su un campo da basket… Vergogna per l’eccitazione soffocante, stridente, arrogante, della quale il suo corpaccio voglioso era vittima… Vergogna e terrore per quella forza barbara che gli gridava dal cuore, fracassandogli le tempie e sfondandogli il petto, di schiaffeggiare rabbiosamente la bianca gota impertinente di quello stupido idiota sino a farlo piangere, strappargli dal volto quella sua abominevole maschera di ghiaccio e costringere le sue belle pupille turchine a colmarsi di paura, bloccare quegli ossuti polsi cadaverici in una stretta asfissiante e infine scopare il suo suadente corpo con disperata violenza come meritava una perfetta sgualdrina quale era lui … per scuoterlo da quella strafottente apatia di cui egli era preda, per umiliarlo come lui aveva appena fatto nei riguardi dei suoi onesti sentimenti, per riesumare dalle coltri di ceneri, sotto le quali era stato seppellito, parte di quell’orgoglio che gli sarebbe stato necessario per non cedere definitivamente allo sconforto e alla delusione…per fargli capire che non poteva scherzare troppo con l’amore altrui, che doveva smetterla di provocarlo con la sua falsa ingenuità, che doveva piantarla di essere così crudele e insensibile… Tsk, avrebbe dovuto cessare praticamente di esistere! No…no… Per amore si è disposti a fare di tutto…ma a volte, si è persino disposti a non fare proprio niente…a tacere, ad arrendersi all’inevitabilità degli eventi, a mimetizzarsi con l’ambiente circostante pur di non azzardare un gesto estremo capace di condurre alla propria gioia o alla totale distruzione…meglio vivere per sempre in una sorta di limbo intermedio dal quale poter almeno osservare il proprio meraviglioso sogno, piuttosto che rischiare di perdere anche la sola facoltà di amare con gli occhi a causa di una stupida scelta affrettata…
Akagi era pronto ad annullare sé stesso per Rukawa…era finalmente deciso a non lasciare il sopravvento del proprio cuore al desiderio e alla legittima pazzia che gli covava in seno, ma a sottomettere ogni suo impulso istintivo al dominio di una ragione disillusa e datasi ormai per vinta alla reale e triste concretezza dei fatti.
Un ultimo fremito isterico nelle sue palpebre rigate dall’emozione; un lieve scatto delle braccia protesesi verso quel volto indecifrabile ancora perso nella notte piangente…inginocchiatosi nuovamente al cospetto del silente ragazzo, Takenori riprese, con zelo, il suo lavoro.
Genuflesso ai piedi della felicità.
Lo scrosciante strofinio del batuffolo sulla livida pelle e l’odore del sangue scrostato penetrarono le sue nere narici sino a pugnalare il cervello, le sue orecchie tuonarono di quei rumori così angoscianti nell’inquietante silenzio che inghiottiva la stanza… Takenori doveva inventarsi qualcosa per mutare l’aspetto dell’indecente situazione che si era venuta a creare; percepiva la propria schiena ingobbita sciogliersi sotto gli sguardi cerchiati e schernitori di quella dannata sedia in pelle, ogni oggetto inanimato aveva smesso di ridere sguaiatamente per poi dipingersi addosso un ghigno muto e agghiacciante, e il corpo di Kaede, sotto il tocco leggero dei suoi polpastrelli curatori, pareva orribilmente freddo e privo di vita…_oh, era per caso un fantasma quel prezioso diamante dagli occhi blu?…uno spirito defunto sceso sulla terra al solo scopo di punire gli uomini facendoli impazzire d’amore?_
“_ ehm…sai, non pensavo che Miyagi se la cavasse così bene nel suo nuovo ruolo di capitano!…sono rimasto sorpreso!…_” la voce acuta e imbarazzata, il diciannovenne esordì in cerca di una conversazione da intrattenere per alleviare un po’ la pesantezza di quell’amara tensione che avvolgeva la sua rassegnata disperazione, ma nulla più che un qualche ripugnate ‘hn’, ‘sì’, ‘no’, ‘forse’ venne sputato fuori dalle svogliate labbra di quell’odioso marmocchio irrecuperabile il quale, invece che ascoltare le timide parole rivoltegli dal senpai, si trastullava comodamente con la scatolina dei cerotti _ frugando al suo interno come se essa contenesse un tesoro d’inestimabile valore_, ora strizzava con vigore un bianco tubetto per poi spalmarsi, con la sua tipica annoiata voluttà, la fresca pomata sulle cosce violacee, ora socchiudeva sensualmente le palpebre scrutando ancora una volta il cielo sbiadito, ora si passava, felino, una rapida mano fra i brillanti capelli e infine sbuffava accaldato e irritato dall’afa polverosa. L’unica cosa che Akagi desiderava in quel momento era terminare, il più in fretta possibile, quell’assurda medicazione: come si poteva resistere dinnanzi a quelle sue offuscate ed innocenti provocazioni?
Le sue grosse dita raccolsero da terra una morbida striscia di garza bianca con la mesta intenzione di fasciare l’acciaccato ginocchio quando, in un lampo di scioccante preoccupazione, il giovane scorse l’ombra di una sospetta macchia rossa che si espandeva vistosa andando ad impregnare la stoffa di uno spugnoso calzino. Con una delicatezza infinita, sollevò nuovamente la gamba dell’adorabile paziente sino a poggiarla accanto al proprio collo possente poi, quasi con reverenza, Akagi calò il zuppo risvolto scoprendo quella malinconica caviglia che, qualche mese addietro, aveva tentato di distruggere gli splendenti e ambiziosi sogni della sua sfortunata stellina. La ferita che aveva insozzato tanto la calza era soltanto un misero taglietto insignificante che l’ex capitano andò prontamente a disinfettare e ricoprire con un piccolo cerotto, ma ciò che maggiormente spiccava sulla superficie di quella squisita circonferenza sottile di candida pelle era la lunga, opalescente cicatrice la quale voleva in tutti i modi deturparne l’angelica bellezza…ma non era riuscita nel suo intento: Kaede era sempre più incantevole, e quel solco tatuato dalla sofferenza non faceva altro che conferire lui ulteriore fascino…il fascino di colui che custodiva dentro di sé l’esperienza di un dolore atroce, il fascino di quel ragazzino che da solo era stato in grado di rialzarsi in piedi dopo una micidiale caduta, per poi scalciare e combattere al fine di riappropriarsi di quel fantastico ruolo che aveva perduto nel darsi in pasto al Fato assassino.
Akagi sentì il calore d’inopportune lacrime punzecchiargli gli occhi…chissà quanto ancora avrebbe bruciato quel reprobo marchio nello sfavillante futuro di Rukawa?... …Takenori stesso ricordava di aver subito un infortunio simile: in quella tormentata e combattuta partita contro il micidiale Kainan King, quando quella storta terribile al piede sinistro aveva fatto precipitare nel buio ogni possibilità di vittoria ma non le speranze del coraggioso capitano…ma, in quell’occasione, il danno fisico riportato lo aveva costretto a letto per pochi, miseri giorni, e il giovane non aveva nemmeno avuto il tempo necessario per pensare all’eventualità che il proprio dolore concreto potesse ripercuotersi anche sulla sfera psicologica, inducendolo a crearsi nella mente terrificanti mostri figli della paura di non poter più correre su un vibrante parquet stridente…invece Kaede, in sei lunghissimi mesi di agonia, era sempre stato sull’orlo di una sua possibile e definitiva rinuncia alla vita del giocatore di basket, e i medici _da ciò che Akagi aveva appreso in seguito da un Ryota incaricato di tenersi informato sulle sorti del proprio compagno di squadra_ non erano mai stati in grado di offrire al ragazzo un finale responso preciso sull’effettiva gravità delle sue condizioni. La ‘menomazione’ del cestista numero uno del Giappone aveva rischiato di escluderlo permanentemente da quel dorato panorama entro cui, egli, si era faticosamente inserito sacrificando ogni cosa…immolando sé stesso sull’altare di un agognato futuro che era stato brutalmente cancellato in un breve, maledetto istante. Ora, per lui, sarebbe stato infinitamente complicato andare a scovare all’interno delle proprie ambizioni i frammenti corrosi di quell’antico sogno per poi ricucirli uno sull’altro, alla meno peggio, e infine analizzare il tutto con gli stessi occhi di un tempo…poiché adesso le sue cerulee pupille parevano ancora più chiare e trasparenti, come se avessero perduto la capacità di osservare ciò che il mondo offriva loro di giorno in giorno…la sua morbida pelle, un anno prima profumata d’incenso, ormai emanava la malinconica fragranza di un illusione infranta…ma lui era Kaede Rukawa, e avrebbe vinto anche questa nuova e durissima battaglia contro la propria stessa debolezza che gli intimava, dal profondo di una razionalità traballante, di rassegnarsi alla sconfitta subita e accontentarsi di quel poco che ancora gli era concesso fare, senza dannarsi l’anima in cerca di quella maestosa gloria della quale aveva intravisto le lucenti porte socchiuse sino al momento dell’infortunio...
Sì, l’ex matricola d’oro ce l’avrebbe fatta anche questa volta…ma, al momento, ciò che rimaneva di quella sua percepibile e coraggiosa sete di vendetta non era altro che un ragazzino smagrito, marchiato in volto da un’ombra densa e lievemente amara, e ancor più taciturno del solito.
Takenori sollevò il viso alla ricerca di quelle intense iridi brillanti le quali, avendo colto su cosa aveva indugiato il pensieroso sguardo del senpai, si erano leggermente mosse in un impaurito tremolio…il ricordare il perché di quella cicatrice lo terrorizzava? Era un moto del suo ermetico cuore quello che era stato esternato da quel movimento? Tristezza…era tristezza mista a rabbia quella che Akagi leggeva in quegli occhi e in quei sibilanti denti stretti? Rabbia…rancore…impotenza…consapevolezza…certo, ma quanta straordinaria dolcezza sembrava trasparire da quell’impercettibile gesto…come appariva irrimediabilmente fragile quel piccolo bambino il cui nucleo vitale gemeva di sorda frustrazione, imprigionato entro i limiti stereotipati, rigidi e gelidi di un corpo e una freddezza da adulto…
Kaede, tesoro…è inutile che cerchi di infagottarti per bene nel tuo vecchio sacco grigio di juta: la seta di cui sei costituito è bianca e sanguina…sanguina…sanguina…
Tendere la mano verso quella bella testolina mora e posarvi sopra una paterna carezza…sarebbe stato magnifico, ma ciò non rientrava negli schemi che i due personaggi si erano ripromessi di seguire.
Gli occhi dei due ragazzi si toccarono in un muto e liquido intreccio, ma tutto durò solo un brevissimo e violento secondo: Rukawa distolse immediatamente l’attenzione per catalizzarla sul proprio braccio, ove troneggiava un grosso livido stanco e silente, tagliando quel solitario e intimo filo invisibile che sembrava avere connesso, per un misero attimo, i suoi affranti ricordi alle riflessioni del senpai.
Akagi non trattenne un velato sospiro… “_…Ruk…Kaede…io…mi dispiace tanto per quello che ti è successo…sì, per la tua caviglia. In minima parte so cosa puoi avere passato e…e ti giuro che sto male all’idea di quanto tu abbia sofferto…ma, comunque…se mi permetti di dirlo: vedendoti giocare, ieri… io…sono convinto che tu sia sempre il migliore. Magari non ti interessa il mio parere, però…io... Io non voglio che tu stia male…_”
L’aveva chiamato per nome, e pronunciare quelle poche sillabe era stato come abbeverarsi da una fonte d’acqua cristallina dopo aver attraversato un arido deserto… Aveva rivelato parte del proprio acuto dolore, al pari di un malato in letto di morte che avesse spontaneamente deciso di conferire al prete confessore le chiavi d’accesso per scoperchiare la propria anima e dare volto ai propri peccati in vita…ma Rukawa non sapeva come usare tali chiavi, e nemmeno gli interessava imparare come era giusto reggerle nelle sue fredde mani. Non era riuscito a dirgli che in ospedale, il giorno dell’incidente, un povero incapace impazzito d’amore e vergogna era rimasto accovacciato dietro quella puzzolente porta legnosa a piangere, da lontano, le lacrime che quel giovane paziente dagli occhi blu immobilizzato ad una branda non aveva mai versato…ma, poi, cosa avrebbe potuto dirgli? Che era scappato come un coniglio di fronte alla paura di non trattenersi all’istinto di abbracciarlo e baciarlo una volta avutolo dinnanzi? Tsk, com’era patetico il suo stupido sentimento!_ Oh, mio squisito angelo, perché non ti fai beffe di me? È pietà quella che ti spinge a non calpestare con una grossa risata di scherno questo goffo scimmione ed il suo nauseante romanticismo da fiaba per ragazzine?…Ridi, ridi di me, uccidimi con la tua cattiveria, se vuoi, ma non lasciarmi qui a tormentarmi nell’orrore della tua indifferenza, nel ventre gorgogliante dei tuoi silenzi!… Ah…ma Kaede Rukawa non sapeva ridere.
“_ …Grazie._”
Il cuore dell’ex capitano perse un suo prezioso battito; e se fosse bastata una di quelle pulsazioni violente a riempire d’amore anche un solo granello d’animo del kohai, allora il diciannovenne sarebbe stato disposto a cedere in dono tutto il suo palpitante organo rosso… Che meravigliosa parola sussurrata da quelle succulente labbra tiepide le quali, ora, si stavano tendendo in una lieve smorfia d’insofferenza sotto l’acuta pressione di un nuovo batuffolo di ovatta imbevuto di siero infuocato…oh, un minuscolo taglio stava tingendo di riflessi sensuali quella morbida bocca tentatrice…Basta!…basta!…pietà, pietà…
Kaede lo aveva ringraziato, aveva accettato le sue scoordinate frasi di conforto o, meglio, era stato in grado di cogliere ciò che da tali complimenti confusi trapelava… …oppure il suo ristretto cervellino aveva semplicemente registrato gli sciocchi versi vomitati da quella sorta di gorilla asfissiante come pure e ipocrite parole di convenienza, sputate solo per riempire quel noioso vuoto che aleggiava nella stanza…no, non doveva pensare una cosa del genere, e Akagi glielo avrebbe violentemente impedito! Gli avrebbe fatto comprendere la profondità di quelle affermazioni, facendogli aprire parzialmente gli occhi su quell’unica verità che Takenori poteva permettersi di rivelare senza compromettere ogni cosa, senza andare contro a quel raziocinio ostinato che lo dominava e lo distruggeva: la stima che l’ex capitano provava nei suoi riguardi era intima e sincera, la preoccupazione di saperlo psicologicamente sconfitto ancor più acuta e pungente.
“_... io…tu…potrà sembrare assurdo, dato che non ci conosciamo molto ma …ciò che ti ho detto è la pura e cristallina verità! Io…sono stato molto in pena sapendoti immobilizzato su un letto d’ospedale…non…non voglio che tu possa pensare che per te sia stata già preclusa la via del successo, perché non è assolutamente vero!...io…IO CREDO IN TE!...io…credo in te…vorrei che tu avessi fiducia nell’onestà delle mie parole…io credo in te…io…cre…_”
Una pallida mano posata con leggerezza sul suo braccio tremante e spaesato. “_...mi fido, senpai…grazie._”
Quella non era più la fetida infermeria con le grigiognole pareti sventrate dall’impertinenza del neon; non era il soffocato e umido loculo impastato dall’odore del sangue, dell’alcool e del sudore di un uomo infelicemente rassegnato…dov’era finita l’orrida finestrucola nera? Inghiottita dal silenzio, forse. La sgualcita sedia in pelle aveva smesso di digrignare le sue bestiali mascelle puzzolenti ed era stata totalmente cancellata dalla scenografia circostante, la quale pareva variare sensibilmente a seconda di dove Takenori posasse lo sguardo…non c’era stato, forse, un traballante armadio scrostato accosciato come un ubriacone sulle spalle di quel muro là?...ora vi era solo una brillante luce bianca che inglobava dentro di sé i ruvidi contorni di una stanza completamente vuota; e da quella massa densa e lattiginosa fuoriusciva soltanto la sagoma candida di quello sconcertante angelo che aveva appena rotto l’innaturale quiete con la sua flautata voce agghiacciante… Il breve contatto fisico, scaturito da quelle poche ed essenziali parole, aveva avuto il potere di tramutare ogni cosa presente, in quel luogo, in tremulo pulviscolo trasparente…nulla, al mondo, aveva più alcun significato tangibile: solo Kaede e ciò che vorticava attorno alla sua figura misteriosa aveva il diritto di essere osservato, ascoltato ed amato.
“_....io… grazie a te,… numero uno del Giappone!..._”
Era bastata una sua semplice frase per ridonare all’impaurito gorilla romantico quel pizzico di audacia che gli sarebbe stata utile per non farsi pienamente sopraffare dal terrore di commettere irreparabili sbagli nel maneggiare il carattere di quella preziosa e rara bambolina. Rukawa aveva il potere di salvarlo o annientarlo solamente aprendo la sua adorabile bocca sentenziatrice. Eppure, il goffo diciannovenne, sentiva che ora era il momento di avventurarsi oltre lo sterile muro sancito da quelle lievi parole dette in punta di piedi, come per essere sicuro di non disturbare troppo il piccolo paziente insondabile: voleva spingere la propria lingua a sciogliere quel nodo di pudore e vergogna che la inchiodava al palato, e costringerla a chiedere di più, a tentare maggiormente quella Sorte che pareva più benevola del solito…doveva sapere cosa aveva provato, la sua deliziosa ala piccola, nel sentirsi oggetto delle sue insistenti e bramose lusinghe da primate eccitato…il giorno prima, in palestra...
Aveva il dovere di scoperchiare dinnanzi a lui il ricordo di quel gesto impazzito, che egli stesso non era stato in grado di domare, per poi ridisegnarlo e deformarlo, tramite gli strumenti della menzogna più crudele, al fine di convincere il suo interlocutore del fatto che quello stupido strofinamento delle sue manacce era soltanto stato un ambiguo frutto del caso.
Così non sarebbero sorti più dubbi in merito alla lealtà che da sempre aveva contraddistinto la solida figura di Takenori Akagi. Sempre il solito omaccione forte e infinitamente giusto; ancora il rispettabile e temutissio ‘scimmione’ senza macchie incrostate sulla sua aureola lucente, ancora il coraggioso adulto il quale non conosceva cosa fossero il tormento e la paura…sempre e solo quell’ ex capitano che mai aveva parlato d’amore, e mai ne avrebbe discusso assieme ai propri compagni di gioco…ancora lui, che nessuno avrebbe mai visto camminare, sotto il perlaceo riflesso di una poetica luna, affettuosamente abbracciato al corpicino di una sognante ragazza ricolma di gioia… lui, l’intelligente, bruttino ed insignificante diciannovenne il quale non aveva di certo avuto la facoltà di apprendere dall’esperienza le frustranti angosce derivanti da un sentimento non corrisposto…sempre lui, sempre e solo il ‘gorilla della pallacanestro’.
Non Akagi…nemmeno Takenori.
Ecco ciò che gli altri conoscevano di lui…ecco ciò che Rukawa, probabilmente, sapeva sulla sua inquadrata e, ormai era palese, fittizia persona…anche quel ‘mi fido’, certamente, non era altro che una formale frasucola detta solo poiché destinata alle orecchie di un ragazzo che tutti avevano etichettato come onesto, comprensivo, sensibile… Kaede non si fidava di lui, bensì della facciata candidamente impeccabile che chiunque, i compagni di squadra, le voci di corridoio, Akagi stesso, si era mentalmente costruito per schermare l’immagine dell’ex capitano… ma questo era lo scotto che il giovane era obbligato a pagare per saldare quel esorbitante debito che egli aveva accumulato nei confronti della propria sporca coscienza…una coscienza che, da ben due anni, era uscita allo scoperto_ prima ingolfata nei meandri più oscuri dell’anima di Takenori_ per andare ad insidiare con la sua strafottente vocina stridente il cervello del povero ragazzo il quale, sotto quella tremenda pressione psicologica, aveva dovuto ammettere l’effettiva realtà dei fatti ed arrendersi a quel dannato sentimento distorto che mai, prima di allora, aveva progettato di poter anche solo pregustare… Quel suo ‘io’ primordiale gli aveva gridato più e più volte, dalla sua buia prigione, di porre finalmente un termine allo sceneggiato grottesco che il giovane stava inscenando praticamente da una vita intera; gli aveva intimato di gettare al vento tutte le sue patetiche illusioni di felicità falsamente ottenuta per buttarsi a capofitto nella conquista di quella squisita creatura perversa che affollava le sue eccitanti notti da innamorato cronico…ma…ma…
Mi dispiace, ma l’unico spettatore di quello spettacolo ridicolmente impostato altri non è che un secondo me stesso …quel Takenori che se ne sta placidamente seduto in prima fila, sulla sua morbida poltroncina vellutata, reggendo fra le enormi braccia un sacchetto di croccanti pop-corn e un pacco di fazzoletti_ spolti di commiserazione per quel protagonista così commovente nel suo ruolo nauseante e ripetitivo_, non desidera altro che ottenere il giusto proseguimento dell’ interminabile show per cui ha sborsato tutti i suoi risparmi!...oh, non vedi come si esalta nel mangiare con gli occhi le assurde banalità su cui è stata strutturata l’intera storia?...non noti come si contorce, il suo scimmiesco volto, mentre egli si masturba freneticamente sulla splendente figura di quell’altro attore dalle iridi cerulee che calca inconsapevolmente il palcoscenico?...guarda le schifose macchioline di sperma che costellano le sue luride mani…lui vuole essere l’unico ad avere il diritto di godere e toccarsi in faccia a quella puttanella impudente di nome Kaede, deridendo con malvagità il gorilla-teatrante il quale deve attenersi al suo dannato copione e rimanere tutto d’un pezzo dinnanzi alle sottili provocazioni che l’oggetto del suo amore gli invia di continuo…guarda, guarda…lui, celato nel buio della sua saletta privata, può avvicinare il viso allo schermo e infilare la lingua rugosa fra le labbra del ‘mio’ seducente tesoro; può andare a leccare il suo concupiscente corpo senza che questo percepisca alcun brivido…lui può fare ogni cosa desideri: e ha deciso di tenermi per sempre schiavo di quella maschera che, scioccamente, io stesso non ho saputo levarmi per tempo. Allora recitiamo, Kaede Rukawa…recitiamo per deliziare le raffinate orecchie del nostro volgare ascoltatore!
“_...senti, per ciò che riguarda gli allenamenti di ieri…ecco, non vorrei che tu avessi pensato male di me e dei miei gesti…ecco...in realtà, io non volevo…_”
Un sottile sopracciglio debolmente arcuato; ancora la sua superba voce profonda e monotona a tranciare di netto l’imbarazzo ingarbugliato del senpai. “_ Non so di cosa tu stia parlando._”
Certo che no, mio piccolo amorino dal cervello microscopico! Non ti degni nemmeno di approfondire la questione inserendo un misero punto interrogativo fra le tue sciocche ed ignoranti sillabe…no, tu sei solamente capace di sputare sentenze, giusto per lapidare al più presto ogni cosa con la tua tipica, maniacale superficialità!...mi viene il dubbio che tu mi nasconda una qualche mancanza a livello cerebrale…tsk!...ma come faccio ad amarti?...forse sono più ottuso di te, piccolo imbranato!
Dunque, Akagi, ci aveva visto giusto: Rukawa non aveva occhi che per sé stesso…o meglio, per quell’impenetrabile sé stesso che continuamente strisciava ai piedi di una inanimata e polverosa palla arancia…nella sua mente limitata non esisteva altro che il proprio corpo incantato danzante fra le vaporose nuvole umide di un campo da basket; c’erano unicamente le sue iridescenti membra che si strofinavano, depravate ed eccitate, sulla pelle di quella presenza incorporea appesa al canestro la quale, con le sue predatrici mani invisibili, riusciva a fare vibrare tutta la sua labile persona anche, solo, per una tiepida carezza. Gli avversari concreti, che si frapponevano fra la sua smania solitaria di piacere e il fantomatico amante effimero, non avevano alcuno spessore per lui: erano delle mere pedine corrose di una artefatta scacchiera gettatesi volontariamente nella mischia soltanto per rendergli un po’ meno scontata, e anche più compiaciuta, l’inevitabile vittoria. Poco importava se uno, fra quegli esseri disturbatori, avesse tentato di allungare un dito con l’intenzione di sedurre la determinata ala piccola, ed indurla a lasciarsi accarezzare anche da qualcun altro: le moine di quegli stolti intrusi, per quanto potessero essere moleste, non sortivano in lui alcun effetto; non avrebbe di certo variato i suoi goderecci progetti solo perché vi erano altri uomini desiderosi di dominarlo carnalmente!
Già…gli squamosi polpastrelli di Akagi sul suo ancheggiante fianco erano, probabilmente, stati accolti da Kaede con la più schietta e gretta indifferenza. Tsk!...ovvio! la pallacanestro era molto, molto più esaltante! Oppure…oppure la torbida palpata rivoltagli in segno di venerazione non era stata nemmeno registrata come ‘fatto avvenuto’ in quella sua testolina mora e fuorviata! Takenori non sapeva più se piangere di gioia o disperazione!
“_...beh…comunque…non…non…niente. Senti, ora aspetta solo un minuto che finisco di bendarti il ginocchio e, poi, direi che sei apposto!_”.
Le sue dita roteavano nervose attorno al taglio, che si stava velando della soffice garza triste; il contratto viso ogni istante più serio e mesto; le grigie pupille tremolavano, languide e opache, inseguendo il movimento di quella stoffa silente.
Infine, anche quella brutta ferita fu del tutto sistemata, e il ragazzo diede un estremo, tacito addio a quella pelle succulenta, della quale si era malinconicamente inebriato, facendo fluire entrambe le mani dalla fasciatura alla sottile caviglia e, in ultimo, fece flettere l’intera gamba la quale tornò rumorosamente a cozzare contro la sua gemella penzolante.
Si alzò in piedi e, quasi fosse diventato egli stesso parte di quell’intruglio gelatinoso che aveva divorato l’ambiente circostante, avvertì un sensuale formicolio lungo la spina dorsale che lo fece leggermente barcollare…ecco l’effetto di Kaede sulla sua povera persona turbata!
Ora, il giovane poteva cristallizzarsi sui propri piedi, per un breve attimo fuggevole, ad ammirare la bellezza dall’alto al basso, al pari di uno scultore il quale, una volta terminata nel dettaglio la propria opera d’arte, si fosse fermato a giudicare il tutto con occhio da spettatore incantato e privo di quell’alone critico che sinora aveva mantenuto vivo in sé. La suddetta bellezza sembrava indugiare il suo ermetico sguardo su uno sbiadito punto fisso dinnanzi al proprio grazioso nasino _forse sul distorto armadio che, ancora, si piegava in due dalle risate dopo essersi goduto il bizzarro spettacolo in cui un grosso orso dalle gote arrossate s’impantanava goffamente in quella che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere la danza di corteggiamento per ingraziarsi i favori di un indolente fantoccio di pallida pezza tutto ammaccato e, probabilmente, dimenticato su quel lurido lettino da un burattinaio sbadato_ poi, silenziosa come una farfalla notturna, volò giù dal morbido materasso per cominciare a riassettare la stanza.
“_...Kaede…lascia stare, ci penso io a mettere apposto questa roba. Se ti sforzi potrebbero riaprirsi le ferite…ti prego…_” La sua voce non era mai stata più tenera e premurosa. Desiderava fare tutto ciò che era nelle proprie possibilità per aiutare il suo tesoro indolenzito!...poi, si sarebbe proposto di riaccompagnarlo a casa…e, una volta lì, lo avrebbe salutato con un sorriso fraterno e genuino _ di quelli falsamente patetici che gli erano sempre riusciti a meraviglia_ per poi vegliarlo, come una mamma chioccia preoccupata per il suo pulcino, mentre si avviava verso l’ingresso della sua calda abitazione, controllando che il suo sbadato amico accendesse le luci di camera sua…attendendo lo spegnersi di ogni lume…sperando in un suo sonno tranquillo… Guardandolo, ancora una miserabile volta, da lontano…mi ci vorrebbe proprio l’aiuto di uno psichiatra!
Takenori aveva già riposto la scatoletta del pronto soccorso, ora nuovamente riappropriatasi del suo contenuto medico, quando un lieve fruscio dietro le spalle gli mostrò un Rukawa che, occhi socchiusi e grugno impassibile, si stava lentamente infilando un paio di calzoni lunghi, attento a non sfiorare le gambe sbucciate, per poi raccattare con una rapidità abbastanza insolita per lui un borsone nascosto dietro la porta e gettarselo malamente su una spalla…Voleva già andarsene? Certo, quell’ingrato si stava avviando verso l’uscita e, come al solito, non avrebbe fatto nulla per ricercare, ancora per un po’, la compagnia del proprio senpai.
Come sei squallidamente prevedibile ex matricola d’oro!...forse dovrei cercare di capire se susciti, in me, più amore o noia!
No, no…in quella sua tipica, provocante maniera, Kaede si bloccò sulla soglia appoggiandosi con un fianco adorabile allo stipite e si mise a scrutare, insondabile, il volto corrucciato dello stupito Akagi il quale tentava di ripulirsi dalle macchie del suo sangue succoso.
“_...ora devo andare, senpai…ci vediamo domani._”
Non aveva mai avuto, prima d’allora, l’opportunità di annegare così profondamente in quegli occhi dalla fredda apparenza. “_...a…aspetta!...Kaede, senti…non voglio che tu torni a casa in bici!...Ti fa male il ginocchio, come farai a…_”
“_ Non c’è problema: la bici la lascio qui e torno a prenderla domani._”
Il suo asociale, scorbutico angelo si era già placidamente rimesso in moto, cominciando a far sparire la propria volatile figura fra la coltre oscura che regnava oltre quella porta squarciata di luce e sorda frustrazione…
“_ KAEDE!_”
Il suo profilo d’avorio sbucò, sempre più affascinante, da dietro la spalla smagrita.
“_...io…ehm…ti andrebbe…ci verresti in vacanza con me?...cioè, insomma…potremmo…io, tu, e gli altri andare a divertirci qualche giorno insieme, no?...bo, magari in una qualche località marittima…sai, in…_”
Un felino e lascivo gesto di un’affilata mano diafana “_...Perchè no….Grazie mille, senpai._” poi, il suo amore, la sua ragione di vita, sparì nella spettrale tenebra del corridoio.
Akagi non aveva nemmeno fatto a tempo a proporgli di fare il tragitto verso casa assieme, ma dalle sue labbra erano sfuggite quelle richieste di cui egli stesso non aveva mai saputo nulla…gli aveva chiesto di trascorrere insieme una vacanza al mare…e lui, lui aveva lasciato aperto un piccolo spiraglio di gioiosa speranza nel cuore dell’ex capitano.
Ma, ora, l’unica cosa che Takenori poteva fare era restarsene appoggiato con la cupa fronte alla finestra, appena richiusa, ad esaminare il tacito fantasma di Rukawa che aleggiava ancora verso il cancelletto cigolante della palestra…tutto ciò che in quel momento desiderava era portarsi le grandi mani, intinte del suo squisito sangue, al volto per percepire nuovamente il dolce profumo che si stava spegnendo nell’arida stanza. Il ragazzo leccò una liquida scia scarlatta che impregnava il proprio dito, felice e sopraffatto da un amaro magone al tempo stesso.
Un ‘click’ adombrò il forte bagliore ormai privo della presenza di un Kaede ancor più lucente, e Akagi si lasciò affogare nel buio più totale.
FINE CAPITOLO 4
Fiuuuuuuu…ho terminato anche questo lunghissimo capitolo. Purtroppo gli impegni mi soffocano e il tempo per scrivere è ben poco…(il capitolo, in brutta copia, l’avevo finito in maggio…e a scriverlo a computer, con tante, tante modifiche, ci ho messo sino ad oggi! >_<)…Questo capitolo è servito principalmente per dire che i nostri beniamini andranno in vacanza insieme (80 pagine di documento per 3 righe di ‘succo’)…lo so che è pesante da leggere ma …ma è così!è_é Comunque…quello che scrivo ora, vorrei fosse l’ultimo spazio dedicato alle mie personali riflessioni sulla fic…vorrei dare uno stampo più poetico al mio lavoro, per tanto cercherò di scrivere tutto senza più commentare. (cercherò…) Allora…innanzitutto vorrei precisare ancora una volta il perché di Akagi innamorato di Rukawa…come ho già detto adoro il mitico gorilla perché mi sembra uno di quei personaggi in cui riesco meglio ad immedesimarmi: l’ambizione di una vittoria personale che si protrae dai tempi dell’infanzia, la sfida con sé stesso per dimostrarsi di essere il migliore e al contempo la paura malcelata, e sempre dietro le spalle, di non aver coltivato altro che illusioni e utopie le quali, un giorno, si riveleranno essere amare sconfitte…la schiacciante responsabilità di dover essere un punto saldo per tutti, la persona coscienziosa e ferrea a cui tutti debbano, prima o poi, far riferimento… il dovere di essere bravo in ogni cosa poiché tutti ti hanno dato sin dall’inizio un nome che non potrai mai dissacrare…la consapevolezza che una sola battaglia persa ti potrà far diventare quel guscio inutile e vuoto che hai sempre avuto paura di essere…l’essere cosciente di dondolarsi da sempre sul ferro cigolante di un’altalena che oscilla fra la tua sete di auto-migliorarti e la tua voglia ambigua e affascinante di lasciarti andare al nulla, di lasciarti morire di noia e inutilità, sentendoti di aver deluso le aspettative di tutti con una sorta di orgoglioso e triste ghigno stampato in faccia. Bè, questo mi sembra il Takenori Akagi dipinto dalla mente di Inoue (o, almeno, è quello che io ho colto)…io ho solo voluto scavare a fondo nelle caratteristiche che mi hanno colpito di più in questo personaggio…e così ho dato alle labbra di Akagi la facoltà di pronunciare la parola Amore…perché un personaggio così complesso come mi è apparso nel fumetto non può non amare…e io, sadica come sono, ho voluto far sì che quello del gorilla fosse un sentimento tormentato e impossibile che avesse il sentore di un’illusione troppo ambiziosa e irraggiungibile…che sapesse di paura e di dolcezza, di ossessione morbosa e di rassegnazione, di sogno e di incubo, di bellezza e deformità…e chi, meglio di Rukawa può essere associato a queste parole contrapposte? Ecco…sinceramente se dovessi dare un nome ad un possibile amante di Akagi direi o nessuno oppure un Kogure…un Mitsui…ma Rukawa mi è sembrato più adatto ad incarnare l’oggetto di un desiderio frustrato dietro i ristretti stereotipi che un personaggio come Akagi deve per forza rappresentare. E comunque, dai, concedetemi almeno il fatto che Akagi dell’ammirazione per Kaeduccio bello l’ha sempre provata anche nel manga!... Ormai questo capitolo l’ho riletto una decina di volte, e ad ogni sguardo avrei voluto cambiare qualcosa che, di giorno in giorno, mi sembra non funzioni più…perciò mi scuso se ho fatto un po’ di casino nello spiegarmi anche perché il capitolo l’ho scritto in un grosso lasso di tempo e il mio modo di sentire la storia è variato molte volte in tale periodo!Però mi è piaciuto scrivere la parte finale, mi sono quasi commossa nel raccontare di Akagi e del suo povero amore triste, quindi non rileggerò una volta di più questo maledetto capitolo anche se ci fossero dei gravi errori di ortografia!^_^… Per il resto, che altro posso dire…hmmm…bè, il comportamento di Hanamichi è forse un po’ strano, ma vi sarà tutto più chiaro leggendo i prossimi capitoli (diventeremo tutti vecchi prima che io pubblichi il prossimo -_-)… Più avanti si farà anche importante il personaggio di Kogure (che io, sinceramente, sopporto molto poco) che, ovviamente, stravolgerò sino all’estremo e il nostro caro Mitsui che…vabbè, non dico più niente!
*ehmm..qui ho cercato di mettere il nome di quel brutto prof con gli occhiali…ma non so se ci ho beccato! ** per questa classificazione degli esseri umani ringrazio profondamente il prof di disegno dal vero che avevo alle superiori…il mio mito che mi ha insegnato tanto tanto!
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