Gioco d'azzardo

parte III - Tutti i sogni realizzati lasciano dietro di sè rimpianti e rimorsi

di Xetide


 

Le vivide chiazze turchesi cantavano allegre solcando l’effimera superficie cerulea, scontrandosi e allontanandosi _in un delizioso gioco di attrazione e repulsione_ con le morbide e cremose nubi bianche le quali tentavano di avvolgere, con i loro rilievi densi e pastosi, ogni singola sfumatura azzurra  che velava  tutto quanto del proprio gaio e smaltato riverbero sino a diventare protagonista incontrastata di quella sorta di dipinto, dai contorni geometrici e spartani, realizzato sul  vetro trasparente.

L’intensa lucentezza del cielo, in quella tersa mattina di giugno, filtrava attraverso le immense vetrate austere e si adagiava, con delicatezza, sul liscio pavimento lucido.

 

Dal portone spalancato fuoriusciva ancora quel rumore insistente e ripetitivo che colmava l’aria, ormai, da parecchie settimane.

Il cicaleccio degli insetti trasudava dai muri in pietra e dal suolo in legno mescolandosi, armonicamente, con lo stridio della gomma e con il ritmico tuonare del pallone danzante sul parquet.

 

La palestra del liceo Shohoku.

Quel sacro e protetto luogo di culto entro cui devoti fedeli davano prova della loro cieca sottomissione ad una sorta di divinità a cui avevano fatto voto…tempio magico in cui gli adepti di una setta segreta immolavano se stessi in cruenti sacrifici; santuario in cui i membri di una congrega antica avevano stipulato, tra loro, un patto d’onore pagato con il sangue, il sudore e la fatica…con lacrime e sorrisi…oppure, al contrario, luogo testimone di lussuriosi atti fisici messi in scena all’insegna del più sfrenato piacere carnale, una sorta di elegante bordello il cui accesso era esclusivamente riservato a quegli uomini viziosi che, più di altri, erano meglio disposti a peccare in nome del raggiungimento dell’estasi dei sensi.

 

Un posto ricolmo di sensuali e inebrianti profumi e di deliziose armonie turbinanti nell’eco infinita creata entro quelle quattro complici mura.

 

Una casa da gioco dove venivano celebrati, di continuo, passionali riti orgiastici che vedevano coinvolti giovani ragazzi, ebbri di piacere, impegnati a godere nel plasmare il dolore e il sudore degli avversari per poi appropriarsene, come fosse un gustoso nettare al sapore di vittoria, succhiando avidamente come sanguisughe…piccoli esseri invasati che provavano un desiderio concreto e disperato nei confronti di quella sfera arancione la quale, a detta di ognuno di loro, si lasciava toccare da fin troppe mani vogliose…accaniti pretendenti gelosi l’uno dell’altro i quali si rivelavano essere, al tempo stesso, rivali spietati nel darsi continuamente battaglia e dolci amanti segreti nel donarsi, a vicenda, il più straordinario compiacimento.

 

Finalmente era di nuovo lì.

 

Era tornato al SUO luogo di culto e di piacere.

Takenori Akagi faceva parte di tutto ciò; il suo stesso respiro era racchiuso in ogni venatura lignea del pavimento lustrato, in quell’anello di ferro continuamente percosso da mille e mille mani frementi, in quel tabellone rettangolare testimone della messa a segno di infiniti canestri.

 

Akagi era la vibrazione stessa di quella consunta retina bianca al momento in cui, questa, veniva deformata malamente dal tocco violento della sfera; si sentiva un tutt’uno con il rumore sordo gridato dall’anello mancato.

 

Sapeva di essere la superficie rugosa sfiorata da tante dita sudate, la stessa che rivestiva i troppi palloni che attendevano, pazienti nel cesto, il loro turno per divenire oggetto del desiderio di dieci uomini affamati.

 

Il ragazzo sentiva di essere ancora innamorato di tutto quello.

 

La SUA palestra, scuola di vita dalla quale, quell’instancabile sognatore, aveva appreso una marea di lezioni importanti: dalla passione mordente per la competizione sportiva, all’acquisizione di una schiacciante responsabilità nei confronti di una decina di ragazzi insicuri ma impazienti di fare della pallacanestro la propria ragione di essere…l’ingrato compito di esser stato posto a capo di una squadra di giovani dal futuro incerto, ma che presto si erano tramutati nei suoi splendidi amanti che lui aveva accudito con amore, era divenuto un impegno gratificante…

Takenori aveva visto germogliare le prime piccole illusioni di ogni timido aspirante atleta_ che si era messo completamente nelle sue mani_ e insieme le avevano  coltivate con pazienza finché, queste, non erano mutate in forti speranze le quali, a loro volta, si erano trasformate in realtà…lo Shohoku aveva partecipato al campionato nazionale…e gli introversi pulcini intimoriti avevano saputo staccarsi dalla sua calda ala protettrice per volare con le proprie forze e, infine, brillare come sfavillanti stelle.

 

Tutto ciò avvenne la bellezza di un anno prima…e quante altre cose aveva sperimentato l’ex capitano dello Shohoku: la sua convocazione in una fortissima squadra universitaria, gli studi nel settore della fisica che gli avrebbero aperto un’eventuale sbocco sul mondo del lavoro, i nuovi compagni di gioco e il nuovo allenatore inflessibile…altre sfide, altre rinunce…nuove vittorie…nuovi sogni da realizzare…

 

Un anno di infinite, nuovissime emozioni lo separavano da quel meraviglioso giorno di giugno in cui il team di basket del suo ex liceo era partito alla volta di Hiroshima per mettersi, finalmente, in gioco contro le migliori squadre militanti in Giappone…

Un anno dalla clamorosa e bruciante sconfitta  inferta al Toyotama…

Un anno dall’impossibile sfida lanciata al Sannoh Kogyo…

…ed ora lui, Takenori Akagi, cestista già riconosciuto in tutto il Paese per le sue prestanti doti atletiche, poteva ritenersi un uomo pienamente felice e soddisfatto: aveva visto essere esauditi i desideri che covava in cuore fin da bambino, aveva raggiunto il traguardo che, da sempre, si era prefisso di conseguire; era riuscito a edificare, tramite enormi sacrifici, le basi imponenti di un solido piedistallo dorato sul quale innalzare la SUA deliziosa brigata di pianta grane…ma quanta sottile malinconia nello sbirciare attraverso il portone semichiuso e nell’udire le urla concitate e cariche di adrenalina di quei meravigliosi ragazzi che, sino a poco tempo prima, lo chiamavano ‘capitano’.

 

“_ Forza, Take-chan…che fai lì imbambolato? Apri la porta. Andiamo a fare una sorpresa ai nostri vecchi attaccabrighe!_”

 

“_…certamente…certamente, Kimi-chan…_”

 

Una lieve pressione della mano scura sulla fredda superficie metallica, una improvvisa inondazione di luce e uno strano flash-back dai contorni sfocati i quali, pian piano, si andavano definendo sempre più…

 

Un groviglio di corpi che si muovevano, come cullati dal ritmo incalzante di una musica  tribale, dipingendo l’aria di straordinari colori vibranti che si fondevano l’un l’altro in una contorta armonia plastica; un coro di voci accese che intonavano il proprio canto d’incoraggiamento invocando le note stridule di un conturbante spartito…poi una forma candida e indefinita che si distaccava dalla massa ridondante di materia pittorica per proseguire, fiera e solitaria, la sua danza frenetica che diveniva da frizzante e quasi violenta a cadenzata e sensuale…quella morbida forma evanescente si andava ingrandendo maggiormente sino ad assumere le sembianze di una figura delicata scossa solo dallo sforzo invisibile di due lunghe gambe flessuose e dal moto sinuoso di due braccia sottili; infine la stessa, effimera sensazione di luce penetrante che sovrastava ogni cosa con la sua bellezza …poi la retina appesa al canestro mossa dalla lieve e passionale pressione del pallone.

 

No, non si trattava di un dolce flash-back: i suoi ex compagni stavano disputando una partita d’allenamento.

 

 

“_ FRATELLONE!!! CIAOOOO!!…_”

Due molli braccia gettate al suo collo possente e l’ingombro di un esile corpo femminile premuto contro il suo.

 

“_ Ciao Haruko…sorellina cara…è da tanto che non ci vediamo. Dimmi, come stanno mamma e papà?_”

L’attimo di sensuale disorientamento che l’aveva rapito fino a poco fa stava scemando lentamente, lasciando sul palato del ragazzo un particolare sapore dolce amaro.

 

“_ Stanno bene, però sono un po’ sorpresi del fatto che da più di un mese non fai un salto a casa…le tue telefonate non gli bastano più; non vedono l’ora di abbracciarti! Chissà come ti diverti al ‘campus’ universitario…da quando sei andato là ti fai vivo sempre meno!…beh, però ora sei tornato…e io ho un sacco di belle cose da raccontarti!… ehi, ciao senpai Kogure!_”

 

Lo sguardo di Takenori si sollevò, impercettibilmente, ancora alla ricerca di quell’elegante figura la quale, dopo aver brillato di luce propria, si era tacitamente dileguata nel nulla.

 

“_ certo, piccolina…sarò felice di ascoltare tutti i tuoi nuovi pettegolezzi! Eh eh!

A proposito di gossip freschi, freschi…COME HAI POTUTO METTERTI INSIEME A QUEL MICROCEFALO DI SAKURAGI?! _”

 

Proprio in quel momento, una voce tonante squarciò in pieno l’aria andando ad interrompere il discorso dei due fratelli.

 

“_ HEILà!!!  Ragazzi, guardante un po’ chi è venuto a farci visita!!…Ciao GORILLA, come te la passi?!! Scommetto che sei qui per complimentarti con il genio dei geni sul sublime modo con cui ho conquistato il tenero cuore della tua bella sorellina!! AH AH AH!!! ..ehi Quattrocchi, ci sei anche tu! Ciao!_”

 

Cos’era quella nota stridula percepibile nelle parole di Hanamichi?

Appariva tutto così forzato e falso…

 

Quando, tre giorni prima, Akagi aveva parlato al telefono con Mitsui ed era venuto a conoscenza di quella sconcertante notizia, il giovane era rimasto letteralmente schioccato…non tanto nel sapere chi fosse l’audace corteggiatore ricambiato dalla sua Haruko_ anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, sapeva bene che quel testone di Sakuragi, dietro quella facciata fasulla un po’ troppo ostentata, era un ragazzo onesto, genuino e in gamba…anzi, molto probabilmente era proprio quel mezzo teppista ad essersi accollato dei grattacapi innamorandosi di quella dolce fanciulla capricciosa e incostante!_ ma, soprattutto, per la fulminea rapidità con la quale, lei, aveva ridotto in cenere tutte le sue infantili illusioni riguardanti l’amore…che fine avevano fatto quei suoi zuccherosi sogni di felicità eterna della quale era fautore un bellissimo principe azzurro?

Aveva forse deciso di relegarli definitivamente all’interno del cassetto che li custodiva lasciando che s’ impolverassero per, poi, chiuderli a chiave ?

 

Com’era riuscita, quella sciocca bambina, a dimenticare l’amore della sua vita? 

 

“_…Ciao Hanamichi…noto ‘con piacere’ che non sei cambiato affatto in tutto questo tempo…il lupo perde il pelo ma non il vizio: sei ancora il solito sbruffone megalomane…_” che meravigliosa sensazione nel poter nuovamente litigare con quel Rossino straordinario…

 

“_ No, ti sbagli fratellone…Hanamichi è molto cambiato rispetto a prima! E’ maturato tantissimo e…_ La vocina angelica si era intromessa, come di consueto, a sproposito…Haruko non avrebbe mai potuto capire che quella ripetitiva sequenza di insulti, gridati a mo di botta e risposta fra i due ragazzi, non erano altro che le deliziose battute di un copione prestabilito recitato, con gioia, da due grandi amici.

 

“_Tranquilla sorellina: mi fido di questa scimmia rossa, anche se può sembrare un mascalzone!… siate felici, ragazzi!_”

Takenori aveva posato, con fare fraterno, le proprie grandi mani sulle spalle dei due fidanzatini…

Hanamichi aveva dimostrato di tener veramente tanto a quella ragazza, e se le infuocate dichiarazioni d’amore che costantemente rivolgeva ad Haruko fossero state anche solo parole superficiali nate da un ordinario impeto adolescenziale non importava: quel Rossino bisbetico e presuntuoso era ciò che ci voleva per domare quella bambina volubile…Sakuragi aveva fatto di tutto pur di farsi notare da lei ed ora, i suoi sforzi, erano stati finalmente ricambiati.

 

Pochi intensi attimi di silenzio e, poi, una folla eccitata si aggregò tutt’intorno ai visitatori inaspettati: i ragazzi dello Shohoku si erano radunati per salutare il loro ex capitano, colui che aveva costantemente interpretato ai loro occhi la difficile parte del fratello maggiore, quello che si era tramutato in una imponente colonna portante al solo fine di poterli sorreggere nei momenti in cui le loro deboli gambe non li avevano saputi mantenere in piedi, il fiero comandante della nave che loro accudivano come ottimi marinai…marinai speranzosi di attraccare, con il proprio veliero, alla soglia di un porto dorato…marinai disposti ad affrontare stoicamente le tempeste più impervie pur di non deludere le dolci speranze che quell’impavido eroe riponeva in loro.

 

Lo sguardo di Akagi errò, commosso, sui volti luminosi dei suoi compagni di avventura: molti dei quali erano evidentemente cambiati nel corso di un intero anno…

 

Il piccolo Miyagi sembrava aver subito una profonda trasformazione; dopo aver ereditato dal ‘gorilla’ stesso il titolo di capitano, pareva avesse assunto un’aria decisamente meno frivola ma più seria e severa…quasi si sforzasse, con tutto se stesso, di rendere visibile anche esteriormente quanta autorità possedesse. Si era parecchio irrobustito dall’ultima volta che si erano visti…comunque rimaneva sempre un ‘tappo’!…

 

Accanto a Ryota vi era un Mitsui in evidente e forzata posa da ‘bullo’ che lo scrutava con il suo tipico ghigno ironico…il famigerato’ Anima ardente’ appariva leggermente cresciuto in altezza e possanza muscolare; probabilmente era stanco di non riuscire, quasi mai, a terminare una partita intera a causa della propria scarsa resistenza fisica e, in quest’ultimo anno si era dedicato specialmente all’allenamento di muscoli e fiato. Però il suo sarcasmo sottile non si smentiva mai…

 

Hanamichi, poi, era uno spettacolo di sfavillante bellezza: nonostante avesse solo diciassette anni poteva tranquillamente vantarsi di esibire il fiero aspetto di un uomo prestante.

 E non era solo l’imponente statura, la quale probabilmente sarebbe aumentata ancora nel corso del tempo, a conferire a quel ragazzo una particolarissima aura dorata trasudante una schietta e accentuata virilità ma, soprattutto, il meraviglioso miscuglio plastico che vibrava costantemente sul pelo della sua bronzea superficie la quale veniva sfumata d’oro e bruno miele dai forti muscoli tesi…ogni singolo particolare del suo corpo statuario catturava il più piccolo raggio di luce per rifletterlo, al pari di un lucido specchio, e saettarlo, triplicandone l’accecante luminosità, direttamente negli occhi di chi contemplava quelle membra perfette…cosicché, il povero sfrontato che osava divorare con lo sguardo quel giovane, il quale sembrava brillare di un proprio bagliore come una stella infuocata, non poteva far altro che restare abbacinato dal calore che questo  emanava, per poi rimanere assuefatto in maniera ignobile dal suo irresistibile fascino…

Le nere e profonde pupille di Akagi si bloccarono, ancora per qualche tacito istante, ad assaporare la dolce beatitudine percepita nell’ osservare quella figura solida, esteticamente impeccabile, per poi andare ad annegare nella folta massa arruffata di luccicanti, lunghi, fili rossi che ornavano nuovamente la liscia fronte spaziosa del sedicente numero 10…

 

Perso nell’ammirare quella visione superba, il ragazzo si chiese se la  propria scialba sorellina, così insignificante nella sua opulenta e nauseante dolcezza perfetta, potesse anche solo lontanamente sperare di raggiungere, essa stessa, il livello di sublime splendore che già possedeva il suo novello amante.

La goffa e tenera Haruko, dall’intelligenza viscida come la melmosa pelle di un polpo e con un perenne e ingenuo sorriso stampato sulle tumide labbra rosate, che aveva, in una qualche oscura maniera, stregato il cuore e la mente di quell’eccezionale persona a nome Hanamichi Sakuragi, si rendeva minimamente conto di quanta sfacciata fortuna le avesse benevolmente concesso il Fato? Sarebbe mai riuscita a comprendere quanta forza intrinseca si celasse entro quelle squisite sensazioni, le quali di sicuro avrebbero sciolto l’anima a chiunque, che la inglobavano al momento in cui la sua piccola e tozza manina si immergeva a frugare in quella fitta e morbida chioma fulva?

Era consapevole di quanta bellezza interiore, il suo attuale compagno, lasciasse trapelare attraverso quell’involucro altrettanto splendente?

Come aveva potuto rifiutare per così tanto tempo gli estrosi e passionali corteggiamenti di quel ragazzo che sembrava appena uscito dalle premurose cure di un eccellente scultore?

Aveva realmente creduto, la sua piccola e innocua sorellina _ la quale, come una foca ammaestrata, credeva fermamente di far roteare sul proprio grazioso nasino il cuore rosso e pulsante di Hanamichi_ di potere, un giorno, arrivare a sfiorare le fredde labbra di un torbido sogno mentre non si avvedeva che, alle sue spalle, vi era una magnifica persona che la colmava di effimeri baci d’amore in ogni istante?

Come aveva potuto illudersi di destare interesse in una creatura del tutto inaccessibile sdegnando, con la sua più abominevole faccia di bronzo, quell’altrettanto irraggiungibile focosa bellezza la quale, per un motivo ignoto a chiunque, aveva spontaneamente deciso di irradiare con tutta la propria luminosa fragranza il piccolo cuore di quella giovinetta ingrata?

 

E’ proprio vero che tutto si può realmente descrivere, comprendere e apprezzare tranne, appunto, la pura e disinteressata bellezza…che si parli di un ammaliante quadro_ privo di alcun orribile significato intimo teso ad essere crudamente compreso a squallidi fini provocatori o di denuncia, ma realizzato con il solo nobile scopo di riprodurre l’ideale estetico più elevato fremente nelle dita a pennello di un vero artista_ , di una conturbante scultura marmorea, di un essere umano in carne ed ossa giovane o vecchio, di un banalissimo gesto creato da uno sguardo ammaliante o di quel miscuglio indefinibile di buono e cattivo, morale e immorale, puro e impuro che alberga con passione all’interno della personalità di alcuni esseri umani speciali, il risultato non cambia: non è possibile decifrare in maniera logica la deliziosa alchimia che consente a queste dissimili cose di essere catalogate come meravigliosamente belle…Sakuragi rientrava a far parte di quell’insieme di cose.

 

Takenori spostò il proprio sguardo da un atleta all’altro, felice nell’accorgersi che quelle facce e quelle tenere espressioni gaie, purché lievemente variate, erano rimaste splendidamente nitide nella sua malinconica memoria…

 

Radiosa come al solito, ecco farsi spazio fra quella serie di braccia maschili la manager della squadra…la sua carissima Ayako, dritta e spavalda nel suo metro e sessantacinque di suadenti forme morbide ma sode, ancora avvolta in quegli strettissimi ciclisti rosa che le fasciavano  in maniera alquanto provocante le femminili cosce tornite…la severa e audace Ayako dai lunghissimi riccioli color cioccolato sempre trattenuti dalla costrittiva fascia di un cappellino indossato al contrario…la speciale e adorabile Aya-chan che tentava, ancora, di occultare la propria delicata fragilità dietro un alto muro di baldanzosa aggressività…l’amabile Ayakuccia che sembrava rifiutare l’amore del piccolo-grande Ryota per paura di svelare, agli altri e a se stessa, la propria capacità di sentire certi tipi  di sentimenti da lei, forse, ritenuti sciocchi e banali.

La sua fedele amica, la sua sincera confidente…era sempre la rosa più rigogliosa.

 

Affianco alla ragazza, i franchi sorrisi  di Yasuda, Shiozaki e Kakuta… i tre coraggiosissimi soldati che, da sempre, combattevano dalla trincea le sanguinose guerre ingaggiate dallo Shohoku, ma che davano un incredibile contributo psicologico e non solo ai cinque generali beffardi che animavano personalmente il campo di battaglia. Ora quei giovani frequentavano il terzo anno e, grazie alla formativa esperienza accumulata in quella sgangherata squadra di basket, avrebbero sicuramente proseguito nel loro lungo viaggio verso la realizzazione di quei sogni che, già da un anno, avevano parzialmente concretizzato.

 

Infine Kuwata e gli altri piccoli, inesperti, ragazzi che ora, al secondo anno, parevano aver acquistato una grinta e una caparbietà maggiore…probabilmente compensavano la loro mancanza di talento con il sacrificio e l’impegno…eccezionali pietre di paragone…

 

I volti delle persone che amava…e pure qualche faccia sconosciuta che sbucava da un cospicuo gruppetto di matricole imbarazzate ma, al contempo, curiosissime di incontrare, per la prima volta, quel tanto discusso capitano la cui fama di grande eroe aleggiava,  come un benevolo fantasma, nella loro nuova palestra.

 

Akagi alzò gli occhi facendosi strada fra la nebulosa calca di colori e volumi che lo opprimevano saturando l’aria, nuovamente in cerca di quell’efimera visione che aveva scorto, per non più di un secondo, quando aveva varcato la soglia del sacro tempio.

 

Le voci concitate che lo inglobavano totalmente, cullandolo e facendolo ondeggiare come in preda all’ebbra inalazione di un potente filtro magico, si tramutarono, presto, in blandi rumori ovattati indistinguibili gli uni dagli altri che divenivano sempre meno nitidi sino a sfumarsi nel pallido riflesso di una nuovissima sensazione la quale fece letteralmente sobbalzare il ragazzo…

Un odore…no, un profumo ben preciso e altrettanto indefinibile…una miscela delicata tra un aroma dolce e fruttato e uno forte, leggermente amaro.

 

Una fragranza sensuale e avvolgente che proveniva dall’affascinante lucentezza corvina posseduta da una cascata di infiniti fili di seta i quali, come mossi da una tiepida brezza scherzosa, oscillavano sostenendo un ipnotico ritmo lento ma deciso…

Mancava solo lui …

 

 “_…Rukawa…_”

 

Takenori non era del tutto sicuro di aver realmente pronunciato quel nome; forse, il suo, era stato solo un lievissimo sussurro roco il quale si era andato a spegnere, miseramente, all’interno della lanuginosa massa informe di urla che dominava l’ambiente.

Eppure, quel sottile mormorio venne ugualmente imprigionato da due pupille chiare e senza fondo che si incatenarono, improvvisamente, a quelle stupite dell’ex capitano…poi, un tenue cenno del capo scuro,un piccolo gesto di saluto della mano diafana e Rukawa era già, nuovamente, immerso nei suoi imperscrutabili pensieri… nemmeno un movimento impercettibile agli angoli della sua bocca rosea…neanche una mezza parola dalle sue labbra ermeticamente chiuse.

Tipico…

 

Un marasma di suoni stridenti lo incitava, arrogante, a rispondere a tutta una serie di domande che, Akagi, non riusciva neppure a percepire: tutta la sua attenzione era ancora rivolta a quel particolarissimo ragazzo che, completamente isolato dal gaio gruppo di amici in festa, raccoglieva con una languida e suadente calma un piccolo asciugamano blu che giaceva, solitario, sulla semplice panca in legno.

Il contrasto fra quella morbida spugna scura a contatto con l’affusolato collo baciato da una pelle bianca come il latte, era piacevolmente impressionante…un caldo brivido lungo la spina dorsale dell’ex numero 4.

 

Pochi istanti ancora e il mondo sembrò tornare a coinvolgere il ragazzo al quale veniva caldamente proposto di mostrare e sue perfezionate doti atletiche cimentandosi in una partita d’allenamento con i suoi ex compagni…in nome dei bei vecchi tempi!

 

Un incontro tre contro tre: gli ex titolari più  Kogure.

 

Gli sfidanti si dispersero prendendo posizione in campo, ognuno di loro determinato ad ottenere la miglior prestazione da se stesso e dai propri alleati.

 

Akagi, Mitsui e Kogure contrapposti a Myiagi, Hanamichi e Rukawa.

 

Il fischio d’inizio partita espanse il suo sporco lamento metallico in ogni singola molecola d’aria custodita entro quelle quattro mura fatate e la perfetta sfera arancione prese il volo dalle neutrali mani dell’arbitro.

 

Takenori e Hanamichi spiccarono un balzo possente, entrambi tesi a recuperare quella sfuggevole amante e a cingerla possessivamente come a volerla proteggere.

L’elevazione che possedeva quel Rossino era, a dir poco, strabiliante…ogni suo sodo muscolo  allenato guizzava in direzione della potente spinta che, dai piedi, si trasmetteva sino alle cosce scolpite per poi irradiarsi nelle membra del busto e terminare fluendo nelle solide braccia e mani che additavano il cielo, come a voler pregare qualcuno…ma, Takenori non avrebbe ceduto; ora era titolare di una prestigiosissima squadra universitaria e non si sarebbe mai fatto superare da un ragazzino come Sakuragi…nemmeno in una partitella senza valore effettivo.

Difatti, la sua mano fu la prima a sfiorare il pallone bloccandone la rovinosa caduta e, con uno scatto rabbioso, lo indirizzò verso la presa sicura di Kiminobu il quale si diresse in corsa, mostrando di esser parecchio migliorato nel fondamentale del palleggio, ai piedi del canestro avversario pronto a dare inizio ad un micidiale attacco.

Fu un attimo, un tocco inaspettato da parte di Myiagi e la palla già sgusciava nel senso di marcia opposto fra le mani esperte del nuovo capitano per poi finire accarezzata  dalle lunghe dita diafane della scattante ala piccola.

Quando Rukawa toccava palla il tempo sembrava arrestarsi improvvisamente; la partita pareva tramutarsi in una sorta di delicato balletto giocato sullo scivoloso alternarsi di armoniose sequenze di passi graziosi e leggeri, quasi impercettibili nel loro morbido dileguarsi l’uno nell’altro, e di movenze ritmate le quali aumentavano d’intensità sino a diventare piccoli slanci in corsa che andavano a scemare in un potente salto rivolto al cielo…l’ardente energia racchiusa in quel finale balzo mostrava la propria spettacolare unicità  poiché frutto di una forza  estrema, fisica e spirituale, unita in maniera inscindibile ad una finissima e lasciva sensualità…e, dopo quel breve volo verso l’anello brillante entro cui quel corpo danzante pareva volersi incuneare, vi era solo la lieve e dolce impronta di due piedi alati sul parquet il quale specchiava, fedelmente, la mossa di chiusura del magico e squisito assolo che si era appena compiuto sotto gli occhi allibiti di un pubblico rapito.

 

La maestosa discesa di un angelo, sulla preziosa e soffice  superficie di un prato velato da piume bianche, che avveniva senza destare il minimo rumore.

 

Kaede era un’immagine priva di peso e spessore che volteggiava dolcemente sulle trasparenti note di una melodia bianca e turchina; una forma cristallina che traeva un etereo piacere assoluto da ogni proprio movimento_ al pari di un gaio bambino che riesce ad osservare, tutti i giorni, con nuova meraviglia quei semplici gesti quotidiani che rientrano nell’ordinario_…una luminosa fiammella azzurra innamorata solo del proprio vibrante guizzare in balia del leggero brivido provocato dal  birichino amante invisibile che le soffiava scherzosamente contro…

Ma chi poteva affermare, con certezza, che l’estasi provata da quel candido cigno mentre, egli, faceva l’amore con il proprio corpo e con l’aria che blandiva nel ballare fosse estremamente più intensa di quella raggiunta dallo sguardo travolto di chi moriva in contemplazione di quella stessa sublime creatura?

 

 Come potevano, coloro i quali si riempivano  le pupille di quell’ icona trasudante una impareggiabile bellezza, non farsi mettere in catene da essa?

 

Ed era più che una banale ammirazione quella che, Akagi, provava nel posare gli occhi sul magnetico moto sensuale sostenuto da quelle vellutate mani bianche…

…Era pura e abominevole eccitazione…

…Una squallida e limpida eccitazione mentale la quale diveniva dolorosamente fisica e concreta al momento in cui, l’ex capitano, annusava nuovamente l’intensa fragranza emanata da quelle ciocche corvine, ora così pericolosamente vicine alle sue labbra aride…santo cielo!… com’era afrodisiaco l’aroma di quei capelli lisci che sulla nuca, rispetto ad un anno prima, si erano fatti lievemente più lunghi così da accarezzare mollemente lo snello collo chiaro…

 

Meschina eccitazione…spudorata eccitazione che faceva di tutto per annebbiare ogni briciola di lucidità razionale custodita nel cervello del ragazzo dalla pelle bronzea…dispettosa eccitazione che si insinuava nel corpo di Takenori andando ad infiammargli l’inguine non appena, il solido bacino del giovane, veniva sfiorato accidentalmente dai deliziosi glutei stretti e sodi dell’insistente Rukawa ora che i due avversari spingevano, entrambi, per cercare l’uno di marcare e l’altro di smarcarsi…che mostruosa tentazione di strofinare il proprio lato anatomico indegno contro quei due rotondi globi velati e svelati da una crudele e succinta stoffa incolore!

 

Ancora quella stessa spietata e ironica eccitazione che si prendeva gioco di lui andando a trastullarsi comodamente con tutti i suoi cinque sensi, scombinandoli e facendoli selvaggiamente vorticare su se stessi sino a miscelarli insieme in un unico, colossale, minestrone nebuloso per poi istigarli ad annullarsi tutti nel solo e carnale ‘tatto’…un tocco inopportuno della grande mano abbronzata sul fianco leggermente scoperto dalla corta maglietta nera e una carezza bramosa che finì per schiudersi sulla perlacea vita sottile…le sue calde dita non avevano saputo resistere al desiderio aleggiante intorno a quella pelle profumata.

 

I suoi occhi scuri, brucianti di lussuria, fuggirono, per un istante, al forte incantesimo scaturito dall’immagine raffigurante quella carne sudata sotto la pressione della sua stessa mano_ la quale, come mossa dai fili invisibili di un’estranea volontà, si stava già logorando in un frenetico ‘su e giù’ dall’anca alla vita, dalla vita all’anca_ per scorrere febbrilmente lungo le morbide forme esibite dal corpo dinnanzi al proprio…particolarmente cambiato in tutto quel tempo; i già delicati lineamenti del pallido volto di Kaede parevano essersi ulteriormente addolciti nonostante, nell’insieme, il ragazzo fosse dimagrito in maniera considerevole.

Le candide braccia, ora impegnate nel cullare la sfera come un tesoro da preservare, si erano assottigliate grazie a quei muscoli che sembravano meno definiti ma, ancora, squisitamente sodi e polposi…da succhiare e mordere…così come le flessuose, lunghe gambe con quelle tornite e lucide cosce le quali creavano nello strofinarsi fra loro _in quel conturbante modo che faceva impazzire di morboso desiderio lo sguardo frustrato di Akagi_   una meravigliosa fessura romboidale che nasceva dal loro accordarsi con il bacino per poi baciarsi, l’un l’altra amorevolmente, qualche centimetro più in basso.

 

Che delizia quella silenziosa e tenue linea curva che dalla coscia giungeva alla dolce fossetta incavata, nascosta dietro il ginocchio…quella soffice superficie scanalata, entro due tesi nervetti dal fragile aspetto, la quale riusciva ingenuamente ad infuocare di libidine chiunque vi posasse sopra le iridi…chi non avrebbe venduto l’anima per avere il privilegio, una sola volta nella vita, di colmare quel caldo incavo di un qualche succo esotico per, poi, leccarlo via con solerzia sino all’ultima, preziosa goccia?

 

E che dire del morbido rilievo formato dal muscolo racchiuso in quel sinuoso polpaccio, brillante di salate perle umide, se non che faceva rabbrividire di piacere al solo scrutarlo?

 

La spiacevole costrizione della bianca calza di spugna sulla sottile caviglia in tensione non impediva ad Akagi di immaginare quale sublime bellezza vi si celasse sotto… pian piano la spessa stoffa si andava afflosciando, miseramente, su se stessa dando vita ad un molle risvolto, placidamente adagiato sulla tela della scarpa,  svelando un divino lembo di nivea pelle tutto avvolto intorno a quella circonferenza perfetta dal quale bordo fuoriusciva soltanto quel timido ma sporgente nocciolo di pesca…com’era adorabile quel piccolo ossicino duro che ornava il collo del suo piede in armonico contrasto con la tenerezza delle linee che lo circondavano!…oh crudele, crudele eccitazione!

 

Per quale ragione i suoi venosi occhi iniettati di animalesca passione non riuscivano a posarsi altrove?

Perché essi continuavano a ingurgitare, famelici, quella stessa sequenza di parti anatomiche _cosce, ginocchia, polpacci, caviglie, caviglie, polpacci, ginocchia, cosce…_ in maniera così spudorata e vergognosa?

E, immersi nel loro isterico viaggio, ogni tanto deviavano traiettoria andando a versare litri e litri di invisibile bava sull’ossuto polso nervoso _  impellente,sporco bisogno da parte dell’ ansimante numero 4 di imprigionarlo e stritolarlo con la forza infiammata della sua mano vogliosa_  e sull’amabile superficie che rivestiva quelle fredde dita immerse nella ruvidezza del pallone arancio…

Impossibile, per l’ex capitano, non soffermare la propria incantata attenzione sul velluto lucente dell’anca che stava avvinghiando e macchiando di eros in lacrime…come si poteva restare indifferenti di fronte a quel  bacino, che al momento stava roteando cercando di liberarsi dalla soffocante pressione di quello, massiccio e fremente, di Akagi come stesse rappresentando nell’umida aria una lasciva danza del ventre, e alle squisite suppellettili che lo decoravano?

 I particolarissimi fianchi stretti dal vaporoso profilo convesso che sfumava, in direzione ‘pancia’, nella stupefacente solidità dell’anca dallo spigoloso e mobile rilievo che Takenori stava quasi graffiando; il basso ventre piatto dalla soffice consistenza tattile che custodiva, gelosamente, un prezioso bocciolo di rosa chiamato volgarmente ombelico dal quale germogliava quell’affascinante solco atto a separare, tra loro, le simmetriche e  tiepide ombre dei muscoli addominali…oh, sublime deliquio nel tastare il morbido rialzo del fianco per poi scivolare entro la finissima parabola concava la quale delineava il punto vita e che, dopo una impercettibile trasformazione, arrivava a creare la nascosta sagoma del torace scolpito!

 

Le clavicole aggettanti generavano un magnetico lago d’ombra la cui riva lanuginosa andava a baciare la radice di quel collo da cigno sul quale, Akagi, avrebbe depositato infiniti morsi feroci…stramaledetta eccitazione malsana!

 

Un’altra breve scorsa sul corpo appena contemplato…e le stanche pupille nere scrutavano, in ultimo, il volto aggraziato del proprio dolce avversario…gli zigomi alti e lucidi, le gote leggermente incavate e incorniciate da due mascelle gentili, il naso diritto e proporzionato ai cui lati brillavano due lucenti pietre rare screziate di mille riflessi magici e squisitamente orlate da lunghe e folte ciglia lustre, la fronte alta accarezzata dalla danza erotica della chioma corvina…quelle due socchiuse labbra piccole e impudiche che parevano provocare, con la loro sfrontata bellezza, la grande bocca affamata del senpai a mangiarsele tutte.

 

Quella sconvolgente combinazione tra curve e forme morbide e deliziose linee angolose, dure e mascoline, conferivano al lievemente mutato corpo di Kaede un aspetto decisamente più grave e adulto ma, anche, timidamente più fragile…sempre se era possibile abbinare al nome Kaede Rukawa l’aggettivo fragile!

 

Del resto non si poteva pretendere che quel giovane asso possedesse ancora la stessa forza fisica che gli era appartenuta sino ad un anno prima…Akagi sapeva bene dell’infortunio che il piccolo aveva subito più di sei mesi addietro: una bruttissima e dolorosa frattura alla caviglia destra _ ...oh, cielo! quanto desiderava baciare teneramente quella minuscola cicatrice che ne deturpava la lunga gamba!_ era letteralmente riuscita a strapparlo dalla protettiva cupola antisettica entro cui, il ragazzo, viveva serenamente immerso in un artificioso universo di solo basket.

 Kaede era rimasto costretto, per parecchie settimane, in uno squallidissimo e scialbo letto d’ospedale, del tutto impossibilitato a cingere, almeno per un istante, la sua amata sfera arancia per poi farla piroettare graziosamente sulla punta delle sue dita affilate.

Akagi aveva appreso la preoccupante notizia dalla voce, storpiata dall’apparecchio telefonico, di un Mitsui che pareva più irritato dall’incombere di un noiosissimo inconveniente non previsto, che sinceramente allarmato per la sorte di colui il quale aspirava a divenire il numero uno del Giappone…era un suo compagno di squadra, per Dio!

La sua mano tremante era a malapena riuscita a scribacchiare _ tanto era il sudore ghiacciato che l’ immobilizzava_ il confuso  indirizzo del luogo in cui l’ex matricola d’oro era stata ricoverata d’urgenza…poi, senza pensarci due volte, l’impazzito Takenori si era precipitato nella gremita aula universitaria in cui il suo migliore amico stava ascoltando una lezione di inglese_ i due erano riusciti ad ottenere l’immediata promozione all’università, senza dover terminare la sessione invernale alle superiori, grazie all’alta media dei loro voti e dopo aver superato parecchi test d’ingresso…ma com’era stato difficile abbandonare, così prematuramente, il liceo Shohoku e la sua stupenda squadra di basket!_

 

Dopo aver zigzagato tra un’orda immane di teste appiccicate le une alle altre, e dopo aver calpestato una cospicua decina di zaini sparsi sul lucido pavimento in granito rosa,  aveva finalmente scorto il familiare viso gaio di Kiminobu il quale era tutto preso nel ricopiare temi e temi di appunti, nella sua tipica maniera ostinatamente impeccabile, da una serie di sgualciti foglietti di brutta copia.

L’espressione da pesce lesso che deformò la rosea faccia occhialuta  di Kogure, non appena si vide spuntare davanti un arruffato Akagi tutto ansimante e turbato, avrebbe sicuramente fatto sbellicare dalle risate chiunque…ma Takenori non poteva soffermarsi su tali piccolezze, in questo momento…la situazione era disperata…

Seppur con il fiato corto e un enorme groppo in gola, riuscì ugualmente a riportare la dinamica del fatto al proprio interlocutore, intoppandosi vergognosamente nel dichiarare il nome dello sventurato malato…”il MIO Kae…cioè…Kaede…cioè, Rukawa…”.

 

Aveva domandato a Kogure di recarsi, insieme a lui, il pomeriggio stesso in quell’ospedale per sincerarsi sulle condizioni del loro amico _  per poter finalmente perdersi ad ammirare, di nuovo, la glaciale bellezza trapelante dai suoi occhi turchesi; per posare una delicata carezza sul suo morbido capo corvino e riempirsi le narici del suo sensuale aroma; per deporre un casto bacio fraterno sulla sua tenera gota…e, magari, aver il privilegio di imprimersi a fuoco nella mente una sua eventuale, primissima, lacrima di dolore…e poi, consolarlo in un caldo abbraccio e…e dirgli di non aver paura perché i suoi senpai…no, perché lui, Takenori Akagi, non lo avrebbe mai lasciato solo anzi, desiderava proteggerlo, accudirlo e aiutarlo  affinché, egli, non avesse raccolto tutti i piccoli pezzi dei suoi sogni andati in frantumi per poi rincollarli definitivamente…e Kaede gli avrebbe, infine, regalato un delizioso sorriso di gratitudine…_ ma, inverosimilmente, dalla bocca dell’amico uscirono delle sgradevolissime parole …

 

“_ No, Akagi! Mi spiace ma… ho da fare!...E poi non c’è alcun bisogno di andare in ospedale…ci penseranno i ragazzi dello Shohoku a far da balia ad un loro compagno di squadra…anche se, sono sicuro che QUEL Rukawa non accetterà la benché minima altrui premura nei suoi stessi riguardi, quindi perché dovrebbe fargli piacere un nostro eventuale interessamento?…su, su… non ti inquietare, Take-chan: vedrai che si rimetterà presto…per quanto riguarda noi due, penso sia sufficiente tenerci in contatto telefonico con Mitsui per aver notizie su Rukawa…non trovi? Beh…ora scusa ma a minuti comincerà la lezione: devo terminare di ricopiare queste scartoffie!…ci vediamo in camera…_”

 

L’unica cosa che ricordava sui fatti avvenuti dopo quella sconcertante discussione era, soltanto, quell’ingombrante magone amaro che gli impediva di deglutire e gli pungeva, crudele, le pupille arrossate e liquide… le sue molli gambe lo avevano condotto, autonomamente, verso gli appartamenti interni al campus riservati agli alloggi studenteschi; le sue dita rattrappite da un tremito inestinguibile giravano una logora chiave metallica nella toppa di una porta...

La testa pesante, il cuore pulsante in gola e le braccia abbandonate lungo i fianchi, Akagi si accasciò lentamente sul morbido materasso ornato da un allegro piumone blu a pallini gialli.

Il suo sguardo vagò, sonnolento, scrutando le spartane sagome che facevano parte di quella misera ma dignitosa stanza da letto che, il ragazzo, condivideva assieme a Kiminobu Kogure.

Il giaciglio del suo coinquilino era, come di consueto, rifatto perfettamente: non una timida piega tentava di farsi valere opponendosi alla liscia superficie delle immacolate lenzuola…nessuna grinza sul cuscino ben teso…

Il suo coinquilino stesso, al pari di quelle limpide stoffe odorose di fresco bucato, non celava in se l’ombra di alcuna strana increspatura che ne sporcasse ignobilmente il candido animo…ma allora per quale ragione l’angelico, gentile Kogure aveva apostrofato in tal modo il suo ex compagno, pugnalandolo così spudoratamente alle spalle?

 

Possibile che solamente Akagi riuscisse a scorgere, in Kaede, una delicatissima bellezza interiore?

 Perché nessuno sembrava scrutare oltre la glaciale pelle che rivestiva il caldo cuore di quello straordinario essere il quale, senza far alcun rumore, aveva saputo portare lo Shohoku alle nazionali fungendo da spalla inseparabile del capitano stesso?…caldo cuore, caldissimo cuore…come poteva non bruciare di ardente delirio quel piccolo, nascosto, palpitante cuore che albergava nel petto di un ragazzo il quale aveva avuto lo spaventoso coraggio di annullare totalmente sé stesso in nome dell’amore?

Amore assoluto per la pallacanestro…amore cieco nei riguardi di ogni cerchietto a rilievo che sormontava la sferica superficie rimbalzante sul legno accecante, nei confronti di ogni sordo o squillante rumore proveniente dal viaggio del pallone per mezzo di tante mani giocose…urlante amore per il tonfo leggero dei piedi al ritorno da una schiacciata spettacolare…

 

Kaede non si comportava, forse, come uno di quegli eroi tragici i quali, senza porsi davanti alternative, decidevano spontaneamente di sfrattare dai propri cuori e dalle proprie menti tutto ciò che ne riempiva gli anfratti  _dai sentimenti verso il mondo che li circondava a qualsiasi altra cosa_  per poi colmarli di un unico e bollente filtro d’amore atto ad incatenarli, per sempre, ad una sola ed unica persona?

Beh…la terribile pozione che Rukawa aveva ingoiato lo aveva reso schiavo e amante non già di una persona concreta ma di una pura, animalesca e primitiva passione per il gioco…per il basket…

 

Per quale motivo, tutti i suoi ex compagni non erano in grado di conferire il giusto peso agli affascinanti silenzi sostenuti da Kaede?…

…Mitsui e gli altri pensavano, forse, che l’infortunio dell’ala piccola non avrebbe troppo influito sullo stabile equilibrio della squadra? …soprattutto su quello psicologico, vero?…certo: l’algida e scostante figura diafana la quale, al massimo, si ritagliava in mezzo agli alleati un piccolo spazio fisico da ingombrare timidamente, non era altro che una patinata bambola meccanica  acchiappa-punti…impeccabile nelle sue doti tecniche ma scarsamente prestante sul piano umano per tanto, del tutto inutile a sostenere moralmente un intero team di ragazzi i quali, per uscire vincitori da ogni sorta di sfida, credevano fossero solamente necessarie belle parole d’incoraggiamento_ oh…le dolci ammonizioni da  parte del saggio Kiminobu!_…nessuno che, con un briciolo di arguzia, notasse quanto più educativi fossero i gesti calmi e calcolati di Kaede…nemmeno uno fra quei tanti atleti, boriosi del loro talento naturale, che arrivasse a comprendere quanta forza infuocata trasparisse sotto la freddezza del suo sangue.

 

Chissà che gli era preso a quel petulante e zuccheroso Kogure?…forse, come Mamma Chioccia, si era ormai rassegnato alle dure leggi della natura che gli imponevano di non donare più alcuna protezione ai propri pulcini, una volta che questi si fossero staccati dalla sua calda ala piumata per imparare a sopravvivere da soli…Kaede non si crogiolava più nel tiepido ventre del suo senpai e, quindi, non meritava più attenzione da parte di quest’ultimo…eh eh…  oppure c’era dell’altro?

 

I pensieri di Akagi colavano, incessanti, giù dalla sua testa turbinante colorando di nero le martellanti vene sparse in tutto il suo corpo teso per poi trascinarsi sino alla punta dei piedi e, infine, lasciarsi risucchiare dallo scarico gorgogliante immerso nel bianco pavimento della doccia…l’acqua che lacrimava dall’alto ripuliva le stanche e tremanti membra del ragazzo e gli entrava negli occhi andandoli a bruciare di soave refrigerio.

 

Ricordava di aver sollevato le proprie mani e di averle contemplate in silenzio…

 

Sicuramente, aveva scostato la tendina gocciolante per recarsi, nuovamente, sul proprio letto…completamente nudo e bagnato, vi si era steso sopra  ascoltando il crepitante fruscio lamentoso delle coperte toccate dall’acqua fredda e dalla sua pelle bollente…la curiosa esplorazione del vento sulla sua carne anestetizzata avrebbe potuto simulare la deliziosa pressione di dieci, affusolate dita color avorio.

Al giovane scappò un lieve sorriso.

 

Non rammentava il momento in cui si era alzato per rivestirsi…ma, certamente, il ritmico e tumultuoso scrosciare nella doccia non era cessato quando si richiuse la porta del campus alle spalle per ritrovarsi sulla soglia di quella d’ospedale.

 

Era andato da solo a trovare Kaede…e il lungo corridoio pallido pareva essere orribilmente deformato dall’acido riverbero delle troppe e troppo grandi finestre sullo scivoloso suolo umido; Takenori si sentiva come inglobato in una squallidissima immagine riflessa da uno sporco specchio convesso…

 

L’odore rancido che permeava l’aria indusse il ragazzo ad annusarsi istintivamente la pelle per accertarsi che quel puzzo insopportabile non avesse intaccato persino quelle grandi mani con cui, a breve, avrebbe dovuto accarezzare teneramente le gote del suo piccolo infortunato…ma, grazie a Dio, quel lezzo nauseante proveniva solo  dal disgustoso miscuglio fra l’urina verdognola che allagava le incolori piastrelle di un bagno aperto _ cavolo…avrebbero anche potuto chiudere la porta!_  fra la colossale macchia di vomito fresco che si stava, già, incrostando sulla granulosa parete appena sorpassata dal ragazzo, e dall’incartapecorito vecchio infuriato che aveva creato quella moderna decorazione murale…e si univano al banchetto di odori quelli immancabili, in un luogo del genere, del plasma in sacchetto, del sangue drogato da infiniti medicinali e l’oleosa, antiquata fragranza pesante la quale sommergeva il collo unto di una pacchiana infermiera dalle unghie sporche laccate di rosso _ …che strabiche occhiate lussuriose gli aveva lanciando quella sgualdrina!…ma, di certo, il prestante numero 4 non era andato lì per lei._ 

 

Ma in che razza di triste e giallognolo posto era stato ricoverato Kaede?!!

 

Stanza 314.

La scardinata porta in legno dipinto era spalancata, e dall’interno della camera non sembrava fuoriuscire altro che un fascio prominente di luce bianca e polverosa, oltre che un tetro e nebuloso silenzio tombale interrotto, a tratti, dal lontano ticchettio zoppo di uno storpio paziente, barcollante su due metalliche stampelle.

Akagi ricordava il momento in cui, il proprio volto titubante, aveva osato affacciarsi oltre lo stipite di quel mesto legno puzzolente…aveva percepito un suono strano, probabilmente prodotto dalla caduta accidentale di uno strumento medico sul pastoso pavimento…

 

Fu allora che riconobbe la  gracchiante e canzonatoria voce di Hanamichi Sakuragi.

 

Il Rossino si trovava al centro di un enorme spazio vuoto dal quale emergevano, disordinatamente qua e là, alcune scarne strutture ferrose  sovrastate da goffi ammassi di piume e tessuto che avrebbero dovuto fungere da materassi … miseramente vuoti…

…un unico stridente armadio in latta pareva voler intraprendere un’animata conversazione con il comodino dinnanzi a sé, tanto si era ingobbito nel suo incrinarsi vero il basso!

Sparse in terra, numerose siringhe impacchettate: stavano intraprendendo la loro fuga dalle grinfie legnose di uno stanco cassetto rovesciato e morente al suolo…

Un’eroica lampadina impiccata al soffitto compiva la sua ultima fatica sfrigolando malinconicamente…come avrebbe potuto imporsi sulla squillante illuminazione naturale, la quale graffiava i vetri e pugnalava le bianche lenzuola spiegate in cui stava affogando una dormiente figura il cui volto, soltanto, giaceva nell’ombra?

 

Kaede teneva gli occhi chiusi…forse per non cogliere, anche visivamente, la logorroica sequenza di sproloqui che Hanamichi gli stava sputando in faccia…probabilmente il Rossino si stava pavoneggiando, di fronte al proprio eterno rivale, in merito ad una qualche sublime genialata che aveva realizzato in palestra; tanto per rammentare, con una sottile punta di cattiveria , a Rukawa quanto egli fosse sfortunato nel non poter più giocare a basket…probabilmente… poiché in quel preciso istante le orecchie di Akagi non riuscivano ad udire null’altro che il tiepido e costante battito dell’elettrocardiogramma _ …com’era strano percepire il suono di quel piccolo cuore emesso dalle corde vocali di un mezzo meccanico…_ e l’impercettibile respiro leggermente affannato che aleggiava dalle pallide labbra schiuse e screpolate…

 

Sakuragi aveva afferrato, con entrambe le scure mani, la  fredda e arrugginita pepiera che scrutava il paziente dall’alto del bordo inferiore del letto e, con uno scatto improvviso del busto, si era slanciato rabbiosamente in avanti andando a poggiarsi, con le braccia tese e imbottite nel gualcito bomber nero, sul dorso asettico del lenzuolo ai lati delle gambe di Kaede…

Chissà perché si stava agitando tanto quella scimmia incostante?

Il suo volto si era gonfiato, pericolosamente, come colto da un raptus isterico, le vene della fronte pulsanti sul punto di scoppiare, le guance pompose rosse al pari dei capelli.

 

Poi, al cervello offuscato di Takenori erano giunte alcune grida ossesse del tutto indecifrabili…ma lui vedeva soltanto un impazzito Sakuragi spalancare e richiudere la bocca, e digrignare i denti quasi fosse un cane ringhioso, come nella divertente scenetta recitata da un mimo…le parole non esistevano più per l’ex capitano.

 

C’erano solo i lisci capelli di Kaede che ricadevano, morbidi, sul cuscino deformato dalla pressione di un viso stanco, lievemente contratto in una smorfia di disprezzo _probabilmente rivolta ad Hanamichi_  e  le nerissime ciglia incurvate che solleticavano le livide gote…

…soltanto l’ombra allungata del magro braccio, con la vena azzurrina trafitta dall’ago prosciugante di una flebo retta dalle scheletriche membra di una bastone metallico…

…solo ed esclusivamente quegli arti inferiori nascosti sotto la coltre sudicia di coperte _ desiderio impellente di strappare la stoffa, per poi lacerare con i denti la stretta garza che, sicuramente, fasciava la sottile caviglia di quell’angelo solitario…_ che giacevano, morti, a contatto con la dura consistenza del materasso.

 

Angelo solitario…angelo solitario…

 

Nessun malato occupava la squallida stanza invecchiata…nessun corpo inerte respirava il sozzo odore trasudante da quelle federe bucate, abbandonate ai piedi di una latrina incavata nel muro…

 

Kaede era solo…come al solito.

 

Solo con il cicaleccio osceno, prodotto dalle labbra del suo visitatore, che si stava dileguando assieme ad Hanamichi stesso…solo con il mormorio fosco del dottore che entrava nella 314, un uomo di mezza età con un folto nido di fili brizzolati incollato sul capo e con degli scalpitanti zoccoli in legno calzati ai callosi piedi nudi…solo con quella schifosissima puttana _l’infermiera unta_ che, tranquilla e felice come una pasqua, sbrodolava addosso all’eccitato medico il bruno fumo della sua sigaretta, fregandosene altamente del divieto apposto sul letto del giovane degente…solo con l’inquietante silenzio lasciato dalle ormai sparite presenze ingombranti…

 

…solo con il fantasma di un impaurito Akagi, il quale non era stato in grado di varcare la soglia di quella fetida porta  dopo l’uscita di scena dei due grotteschi amanti.

 

Una lacrima fredda aveva solcato il caldo viso di Takenori, andandosi a frantumare contro le lame affilate del gelido vento invernale…il ragazzo stava correndo come un pazzo verso il suo comodo e sicuro rifugio, e un tenue nevischio umido già stava piovendo dal cielo appena ingrigito.

 

Era fuggito come un impaurito coniglio…non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi al letto in cui riposava l’ex matricola d’oro, neanche per dire…per dire…del resto cosa avrebbe potuto dirgli?

Non avrebbe mai trovato le parole giuste per discorrere con Kaede senza che lui scorgesse, nelle tremule parole del senpai, una concreta e palpabile sofferenza _ oh…moriva dal dolore nel saperlo così indifeso e sconfitto dalla malattia…nel vederlo così indifferente seppur circondato da quegli orripilanti mostri inanimati: delicato fiore primaverile sepolto da un cumulo di macerie…_ e una morbosa e abominevole, sporca eccitazione ansimante…

 

Non sarebbe mai riuscito ad occultare, dietro la pacatezza istigatagli dal suo ruolo di capitano, quel tumulto di sentimenti e passioni che lo dilaniavano fino al midollo…no, non davanti a quei freddi e limpidi occhi azzurri…non di fronte a quello specchio brillante che era Kaede…

 

Era tornato al campus; le dita e il naso congelati e gli occhi molli e liquidi…Kogure non gli aveva domandato spiegazioni, neanche in merito alla doccia che ancora tuonava disperata, sovrastando la tacita quiete plasmata dalla candida neve che stava già rivestendo ogni cosa.

 

Akagi non era più tornato all’ospedale…e nessuno gli aveva più dato notizie su Rukawa _ che, aveva scoperto, essersi faticosamente rimesso più di cinque mesi dopo l’incidente, avvenuto a dicembre_.

 

E lo Shohoku, quell’anno, non si era classificato per partecipare ai campionati nazionali.

Ad Hiroshima, nel mese di giugno, sarebbero andati il Kainan e il Ryonan…e Kaede non aveva più disputato alcuna partita ufficiale.

 

Eppure la sua luce, sul campo da basket, sembrava sfavillare ancor più di prima...

 

 

Due incantevoli occhi di ghiaccio si puntarono, insistenti, in quelli scuri e velati di bramosia del senpai; uno scatto improvviso di quest’ultimo riuscì a liberare la tenera carne dall’impaccio di quelle dita frementi poi, una mossa fulminea delle lunghe, agili gambe e Rukawa stava già sfrecciando, in corsa, verso l’anello di ferro entro cui desiderava terminare la propria sequenza di gesti felini.

Tutto si era consumato in una manciata di sterili secondi e, Akagi non aveva potuto far altro che pietrificarsi su se stesso, con le braccia ancora tese a marcare quello straordinario avversario che già ritoccava terra dopo aver insaccato il pallone nella retina ciondolante.

 

Un ultimo, fugace sguardo del numero 4 in direzione di un Kaede il quale, come suo solito, non batteva ciglio agli esultanti elogi rivoltigli da Ryota e, con la sua tipica aria un po’ seccata e un po’ evaporata, sibilava un frigido “deficiente” all’indirizzo di un Sakuragi verde e fumante d’invidia.

 

 Gli stridenti commenti estasiati dei propri compagni, in merito alla splendida azione appena compiuta, si insinuavano pallidi, stanchi e frammentari entro le orecchie di Akagi, del tutto attutiti dal disordinato e chiassoso girotondo di pensieri che gli vorticavano in testa…disegni imperiosi che cercavano di strangolare il voluttuoso insieme di squisite sensazioni, fisiche e non, le quali erano impudentemente affiorate dalla morbida semplicità di un gesto istintivo…sfiorare la candida pelle di Kaede…nulla di più casto, nulla di più pericoloso.

 

Aveva accarezzato la persona che amava.

 

Già, Takenori Akagi era follemente innamorato di Kaede Rukawa…

…dell’ex ‘matricola d’oro’ di Kanagawa…

…di quel ‘pazzo scriteriato’ _ come Akagi stesso , una volta, definì_ che, schifosamente ebbro del proprio smisurato egocentrismo, aveva osato sfidare, borioso e altezzoso come una ragazzetta vanitosa, atleti del calibro di Sendo, Minami, Maki e compagnia bella, scavalcandoli tutti di prepotenza e calpestandoli brutalmente al pari di rugosi e polverosi zerbini…

 

Era pazzo di quel subdolo, maleducato ragazzino insolente con il quale, l’incredulo Takenori, era stato costretto a duellare furiosamente già una settimana dopo da che, i due, si erano conosciuti…quella capricciosa ala piccola la quale, in quell’occasione, aveva avuto la sfacciataggine di credersi più brava persino del proprio nuovo capitano…

 

Ubriaco di quel novellino presuntuoso che in tante occasioni si era spontaneamente sostituito al ‘gorilla’ nel delicatissimo ruolo di guida della squadra, quando ormai nessuno dei propri alleati sperava più in una impossibile rimonta su avversari i quali, scaltri e meschini, riuscivano egregiamente a marciare sopra le tante carenze di quegli inesperti e illusi ragazzi…_ lo Shohoku avrebbe mai vinto l’arduo incontro disputatosi con lo Shoyo senza  l’incredibile prontezza di spirito di Kaede?…e come sarebbe riuscito, quello sconquassatissimo team di santi e teppisti, a risollevare le sorti della partita Kainan-Shohoku, se un certo ‘volpino’ non si fosse fatto in quattro per equilibrare il punteggio?…_. 

 

Era perso, totalmente, per la rabbiosa forza distruttrice che aveva spinto quel giocatore eccelso a gettarsi disarmato nella cruenta battaglia condotta contro il Toyotama, nonostante fosse rimasto ferito _ …il fragile cuore di Akagi aveva perso più di un battito nello scorgere il prezioso volto d’alabastro deturpato, in maniera così violenta e oltraggiosa, da quel violaceo livido sull’occhio sinistro…

 

Moriva di soffocante e disperato amore per la dolce e malcelata fragilità inconsciamente posseduta da quella luccicante, ma acerba, stella  al momento in cui ella aveva tentato di fuggire da tutto e tutti per rifugiarsi entro la tiepida e rosea favola di un sogno ancora immaturo…voleva andare in America, quel viziato marmocchio adorabile!…forse per cancellare dalla mente la bruciante sconfitta che credeva aver subito da quel nauseante uomo tutto sorriso e falsa modestia di nome Akira Sendo…oppure per ricominciare daccapo, ripulendo la propria memoria di cestista da quelle luride e fastidiosissime macchie unte e nere che la marchiavano, dietro le quali ombre deformi si trastullavano, come gocce inchiostrate su un cruciverba incompleto, le grandi-piccole lacune di un impaurito Kaede nei confronti di giocatori i quali, effettivamente, erano più anziani ed esperti di lui…

 

Akagi avrebbe tanto desiderato condividere personalmente la sfrenata ambizione che ardeva l’animo di quel demonietto dalla faccia d’angelo…quanto sarebbe stato meraviglioso, poter passare il proprio forzuto braccio intorno alle bianche spalle di Rukawa per attirarselo teneramente al petto, e poi con voce bassa, orgogliosa e impastata d’amore, sussurrare al suo orecchio mille e mille  squisite frasi d’incoraggiamento…”tesoro mio, vorresti tanto diventare il miglior giocatore del Giappone…e ti assicuro che lo diventerai! Io ti sosterrò sempre e comunque, poiché, per me tu sei già il numero uno…”…quanto era spietata, a volte, la propria stessa scintillante fantasia!

Ma, Takenori, sapeva fin troppo bene che Kaede era Già il numero uno…bastava solamente vedere in quale fine e audace maniera, egli, sapeva muoversi sul campo da basket; colui al quale era sufficiente sfiorare la ruvida sfera con un quarto di polpastrello per stregarla letteralmente _ e quel sonnolento pallone, vittima del suo eretico incantesimo, sembrava prender vita propria e  tendersi scabrosamente verso quelle magnetiche dita eburnee al sol fine di ricevere, in dono, un’ulteriore, placida carezza _; quella insalubre creatura che ammaliava, impunita, interi spalti gremiti di tumide e intontite persone, le quali scioglievano le proprie forme solide per tramutarsi in pallidi fantasmi per sempre schiavi della intensa luce ipnotica emanata dal moto sensuale di quel corpo in corsa…quel sinistro e torbido serpente a sonagli che esibiva se stesso in una conturbante danza erotica nel fosco intento di agguantare l’attenzione della sua preda indifesa…del suo languido pubblico…dell’intero palazzetto, la cui nitida definizione spaziale di luogo atto alla rappresentazione sportiva scemava i propri blandi contorni, e diveniva icona lussuosa e antica di uno sfarzoso teatro, gloriosa sede di un sublime e scenografico spettacolo musicale _ del quale Kaede era unico e incontrastato protagonista…gli altri non erano che misere comparse.

 

Era la passione, quella che elevava Kaede Rukawa…quella che faceva di lui il numero uno…una passione infinitamente più intensa e  dolorosa rispetto a quella provata da chiunque altro…quel ripugnante, specialissimo sentimento incandescente verso quell’ isterica serie di giochi amorosi che, il ragazzetto dagli occhi blu, intraprendeva vendendo il proprio corpo lascivo alla più oscena e diabolica estasi _ proprio come una saltellante, giovane sgualdrinella ancora vergine, tutta entusiasta di farsi scopare dal primo danaroso cliente, il quale tenga in un pugno un gruzzolo di soldi sporchi e nell’altro la lustra promessa di una straordinaria esperienza squisitamente totalizzante _ …orgasmo sensuale frutto del perverso amplesso fra una sfera arancione, una mente fuorviata e un corpo danzante…

Uno scandaloso sentimento che Kaede non voleva condividere con nessuno e che sapientemente celava, ad occhi indiscreti, sotto la spessa coltre di ghiaccio della sua stessa elegante figura.

Oh…egoista e infantile ragazzo dalla serica pelle profumata!

 

Nel suo cuore drogato non trovava posto l’amore per altro.

 

L’estasi prodotta da quello spassoso peccare si rivelava solo a Kaede e soltanto per Kaede…l’insondabile creatura non spartiva, con nessuno, le gioie e i dolori del voluttuoso rapimento che lo teneva morbosamente in catene…

Ma quel piccolo ingenuo, tutto preso dalle amorevoli mosse che avrebbe dovuto ballare per portar a termine il suo silente show, non poteva certo captare, nella libidinosa aria umida e rarefatta, l’estremo e altrettanto distruttivo godimento che chiunque poteva trarre nel solo osservare l’infinita grazia dei suoi provocanti movimenti…chiunque poteva godere di lui…ma nessuno avrebbe mai potuto godere CON lui.

Che triste e grottesca realtà.

 

Il fiume incessante e logorroico di frammentari pensieri inondava ancora la mente di Akagi ma, al contempo, numerosissime e frenetiche immagini di forme in goliardico movimento si susseguivano davanti ai suoi fluidi occhi, come gli inesauribili fotogrammi di un film muto i quali si intersecavano, incespicando l’uno sui piedi dell’altro, creando una dolce, antica melodia sinuosa intrisa di un’amara malinconia in bianco e nero.

 

Il tempo scorreva, come a suo solito, con gioiosa e fanciullesca leggerezza; quel  dispettoso incostante non lasciava altro che un pallido alone di sé su ogni cosa che, per un tacito istante, aveva baciato con tanto peso e fin troppo indelebilmente…e la partita si avviava rapidamente verso la sua conclusione…e la tormentosa sensazione, profumata di sensuale smarrimento, annebbiava ancora il respiro di Takenori.

 

Ogni rumore, ogni disegno sinuoso o duro, ogni colore roteava intorno al ragazzo, avviluppandolo malamente entro una squisita e peccaminosa perdita di contatto con la realtà…la sua percezione di ciò che accadeva in quella melliflua palestra _ dalle pareti burrose, appiccicose e colate schifosamente sul pavimento_ era totalmente distorta; perdutamente inglobato dalla brumosa gelatina che gli si incollava alle vesti, Takenori sentiva i propri sensi dissolversi_ era lui che si scioglieva o era il legno che si inceneriva poco a poco?_ per seguire il ritmo stonato dettato da essa… e così le sue flaccide gambe brune si flettevano pigiando l’orripilante sostanza gommosa che calpestavano, le braccia gocciolanti dipingevano filamentosi archi tesi al cielo nebbioso…parabole ciecamente rivolte verso quel pruriginoso punto lontano che, la mente di Akagi, non presagiva più ma che il suo corpo deflagrato intuiva perfettamente essere un infuocato anello di ferro.

Un canestro dopo l’altro, un passaggio mancato, un salto scoordinato per abbracciare il plexiglass gemente e, ancora una volta, quegli allungati occhi azzurri ad amplificare l’assordante musica sgretolata  che vagabondava, trotterellando felicemente, fra le incolte, alte siepi labirintiche le cui grossolane radici scorticavano il cervello dell’allucinato ex capitano…

…di nuovo quelle labbra appena schiuse_ quasi a manifesto della totale concentrazione che pervadeva ogni cellula del giovane avversario dalla brillante chioma corvina_  determinate a catalizzare l’attenzione di chiunque su se stesse…

…ancora il corpo snello che, come il vellutato canto di una sirena, violava con il suo più provocante raggiro il pallido buon senso di un Takenori ormai esasperato dal troppo desiderio…e un’altra, amabile ciocca di seta nera si agitava, maliziosa e sbarazzina, punzecchiandogli la punta del naso…

 

Chissà quale intenso sapore possedevano quei volatili fili lucenti?

 

Akagi non l’avrebbe saputo mai…ed era questa schiacciante consapevolezza colei che feriva, a morte, la  sua tremula anima insoddisfatta.

 

Nonostante avesse realizzato tutti i suoi sogni più importanti, il suo molle cuore piangeva lacrime amare….del resto, ogni illusione che si concretizza lascia sempre, e inevitabilmente, dietro di sé un acre rimpianto o un triste rimorso…le nostre aspettative ci dipingono sempre un futuro più roseo di quello, magari ancor più splendente,  che il Fato ci ha riservato…

 

Kaede Rukawa, il ragazzo che amava più della sua stessa vita, non sarebbe MAI stato suo.

 

Takenori non avrebbe mai passeggiato in riva ad un intimo e vaporoso mare stringendo la propria grande mano intorno a quella, morbida e bisognosa di calore, del suo delizioso compagno di vita…e, i due fidanzatini non si sarebbero mai scambiati un timido abbraccio, tutti avvolti nelle piumate poltroncine di un cinema, sotto la complice protezione di una velata oscurità danzante…non avrebbero mai cenato insieme nella rosata atmosfera custodita in un piccolo ristorante, dalla cui trasparente veranda fiorita  gli innamorati avrebbero spiato, baciati solo dal lume fiacco di una candela, la romantica illuminazione artificiale vibrante sul nero manto acquoso fuso, in maniera pittorica, con un silente cielo stellato…non avrebbero chiacchierato allegramente nel ricordare, con un lieve pizzico di nostalgia, un divertente fatto avvenuto durante una torrida estate trascorsa insieme o nel riportare alla memoria le intricate avventure che ,i due, avevano condiviso in quel lungo anno in cui erano ancora ‘capitano’ e ‘matricola’.

 

Il suo adorato Kaede non avrebbe mai posato, con candido languore, il proprio liscio capo corvino e dormiente sull’ampia spalla brunita del senpai al placido e ovattato ritorno in treno da una eccitante gita in qualche località turistica_o da una banalissima, ma fiabesca, giornata di lavoro...

 

Il ragazzo non si sarebbe mai truccato il volto con una spettacolare maschera di innocente e colpevole fanciullezza ad un severo rimprovero di Takenori, causato da una brutta votazione scolastica, con lo sporco fine di far trapelare una lasciva, sensuale arrendevolezza da parte sua di fronte alla quale il ‘maestro’, più maturo e coscienzioso, avrebbe invertito la sua ira in crepitante e lussurioso desiderio…i due non avrebbero mai fatto i compiti insieme, ovviamente.

 

La sua amata stella non gli avrebbe mai concesso un dolce sorriso, una carezza delicata…una brillante lacrima di gioia o dolore…i due non avrebbero neanche mai litigato per poi dichiararsi una sensuale riappacificazione.

 

Non avrebbero mai fatto l’amore come, invece, accadeva sempre nei suoi rarefatti sogni proibiti…oh, doveva porre nel dimenticatoio ogni falsa e malata speranza nella quale, il timido diciannovenne avvicinava il proprio corpo a quello del suo amore per porgergli in dono una rilucente rosa bianca e in un sussurro fargli capire che non esisteva al mondo un fiore più bello di lui.

Aveva l’obbligo di graffiare e distruggere la sfuocata immagine ritraente un Kaede che, tutto radioso e vestito di seta, coglieva quel rigoglioso bocciolo dalle sue mani scure e tremanti per poi far apparire, sull’angelico viso chiaro un’ incantevole smorfia di gioia.

Non poteva nascondere nella propria mente l’utopia dorata di quella piccola casetta in legno costruita sulla deserta spiaggia aranciata, dentro la quale due silenziosi giovani si offrivano, l’un l’altro, lievi parole d’amore, per poi finire disordinatamente addossati e allacciati su un morbido letto di petali argentei.

Non esistevano i due amanti assopiti sulla sabbia castana e sepolti uno sull’altro in un violento, eterno abbraccio…e il possente ragazzo dalla tesa e levigata cute bronzea non si era mai cullato sul corpo elastico, dal fluorescente pallore lunare, di quella creatura divina che gli tendeva languidamente le braccia, in un tacito e succoso invito.

Akagi non aveva mai scaldato, con il proprio sudore infuocato, le evanescenti membra del suo prezioso tesoro…non aveva baciato le sue seriche labbra fresche di giovinezza, sino a renderle purpuree d’accecante passione…non aveva succhiato avidamente ogni centimetro di quella nivea superficie accaldata...non aveva mai posseduto, con un misto di forza e premura, la trepidante carne invitante che gli si offriva senza riserve.

E…e quei soavi gemiti erotici di totalizzante piacere non provenivano dalla sensuale e insanguinata bocca del ragazzo, in delirio, sotto il suo danzante e isterico peso.

Le urla ansimanti dei due umidi peccatori, sull’orlo di un’estasi omicida, non erano altro che sporchi sogni infranti…quell’estasi stessa  era un sogno miseramente scoppiato.

 

Tutto ciò che restava di essa, erano quegli occhi freddi che scrutavano il triste Takenori, un po’ interrogativi, come avessero intuito quale fosse la spiacevole causa del suo turbamento.

 

Poi tutto si sbriciolò nel giro di pochi secondi…la partita era finita e ogni magia si stava, pian piano, dissolvendo nell’anziana voce dell’allenatore Anzai, appena giunto in palestra a salutare il suo vecchio pupillo…

 

Kaede stava già sparendo oltre la solitaria soglia dello spogliatoio.

 

 

 

FINE CAPITOLO 3

 

Ecco terminato il terzo, lunghissimo capitolo.

Probabilmente sarete rimasti tutti un po’ stupiti (se non inorriditi) nel leggere di un Akagi innamorato di Rukawa…

Trovo Akagi uno dei più interessanti personaggi di S.D. e, devo dire che mi piace molto…nelle fic nessuno focalizza un po’ di attenzione su di lui solamente perché non è visivamente bello, oppure perché nel fumetto vero non ha nessun rapporto particolare con qualche suo compagno.

Invece, per una volta, ho voluto dare un po’ di spazio anche al povero gorilla, evidenziando, soprattutto, le difficoltà che ha nel non sentirsi  all’altezza di amare una persona (Akagi considera  Kaede irraggiungibile) e, allo stesso tempo, nel sentirsi oppresso dal proprio ruolo di responsabilità che gli impone di esser sempre coerente con sé stesso, e rimanere con i piedi per terra.

Akagi si è fatto una precisa idea di Rukawa che, vedrete, non corrisponde proprio alla realtà…( come, del resto, tutti parleranno di lui in maniere differenti)

Come avete potuto notare, in ogni capitolo non succede quasi mai niente ( per descrivere l’avvenimento di un secondo consumo pagine e pagine con descrizioni ecc), e la fic, in verità, non descrive tanto quel che succede nel tempo e nello spazio reale ma come i personaggi vivono i fatti nelle loro menti ( qui, Akagi, si fa tanti viaggi mentali e riporta i fatti avvenuti come li ricorda e non come si sono svolti)…quindi, se il racconto risulta molto confuso non dovete preoccuparvi…anzi, vi attaccate perché ho deciso di scriverlo così( ^_^ eh eh, scherzo!).

La scena dell’ospedale l’ho scritta direttamente in ‘bella’ perché non l’avevo neanche immaginata quando ho pensato la storia, però credo sia indispensabile…quindi perdonate se la fic è diventata un po’ troppo lunga e pallosa…

A presto il prossimo capitolo…ciao ciao!!