Gioco d'azzardo

parte I - Scelte

di Xetide


 

Il mare di Kanagawa, costellato di infiniti riflessi color platino_ deliziosi giochi di luce creati dal sole splendente, al momento della sua nascita, quando esso si fondeva ancora con la distesa marina dipinta di un blu intenso per poi destarsi dal suo lungo sonno e levarsi imponente nel cielo tramutandolo da oscuro e offuscato a limpido e terso_ osservava complice i due ragazzi che correvano sulla sabbia, impregnata di minuscole e scintillanti perle salate, creando una soffusa e suggestiva atmosfera atta ad accogliere le gioiose risate che fuoriuscivano dalle voci cristalline di quei giovani.

 

La piccola e graziosa ragazza saltellava leggera sfiorando la fresca spuma bianca e tastandone con i propri piedini la piacevole morbida consistenza mentre, con un gesto spontaneamente ingenuo della mano, si scostava dal viso una ciocca di seta dai riflessi autunnali per donarla al profumato vento di quella mattina d’estate.

I suoi grandi ed espressivi occhi castani si fissarono, impacciati e timidi, sulle mani del ragazzo che le stava accanto…mani forti, ben modellate…dipinte di un particolare color bronzo-dorato al pari di quelle possedute dalle antiche statue greche…mani che reggevano, con un vigore percepibile ad un qualunque sguardo, la sfera arancia dalla superficie rugosa completamente campita da minuscole “texture” a pallini.

Un lieve imbarazzo imporporava le gote paffute di Haruko mentre, ella, permetteva al suo sguardo di errare sulla liscia superficie mora che placcava di luce e riflessi preziosi e mutevoli il corpo in corsa del giovane…il quale sembrava risplendere di un bagliore proprio al momento in cui era dolcemente sfiorato dalle sottili lamine d’oro create dal sole.

 

Quelle spalle larghe delineate da un piacevole contrasto tra linee dure e curve morbide, la possente schiena diritta la cui sagoma, lucente di sudore, velava e svelava un plastico gioco di chiaro scuro… le braccia vigorose, modellate da nervosi e guizzanti muscoli sodi, tese a trattenere possessivamente quella sfera, l’ampio petto glabro che custodiva due piccoli bottoni color cioccolato, il ventre magnificamente scolpito nel marmo grazie all’abile opera realizzata dall’esercizio fisico… quel fondoschiena stretto i cui rilievi ricalcavano la perfezione delle statue classiche, le lunghe gambe scattanti frutto della rappresentazione del movimento e dell’energia…

…Un corpo che pareva esser stato plasmato dall’estro creativo di un eccellente scultore, il quale aveva deciso di abbandonare i mezzi tradizionali della sua arte per utilizzare come strumento espressivo del proprio genio i soli materiali umani… così  il marmo si era fatto carne, il bronzo si era fuso fino a tramutarsi in pelle, le fredde armature metalliche a sostegno di inanimate materie plastiche si erano sciolte per divenire ossa, e la drammaticità espressiva della terra creta rinunciava alla propria _e pur sempre presente_ solennità al fine di disgregarsi in un qualcosa di indefinito e impalpabile: il respiro umano…l’arte rinnegava il suo stesso corpo, se ne liberava fuggendo al controllo della propria materia costitutiva e andava ad insinuarsi fin dentro l’anima di un essere umano, trasformando questo in  schiavo ed emblema di se stessa.

 

Era l’arte quella che Haruko percepiva nel contemplare Hanamichi… nel momento in cui osservava i lineamenti che donavano a quel viso tanto particolare un’espressione dolce, così sensualmente in contrasto con i tratti un po’ rudi caratteristici delle sopracciglia folte e brune, delle mascelle forti e sagomate e degli zigomi alti e sporgenti… la stessa arte si materializzava e mostrava, in tutta la propria sfolgorante bellezza, nel velare di innumerevoli sfumature calde e  autunnali gli occhi screziati di bruno caffè del giovane e nell’accendere di effimeri riflessi dorati i sottilissimi fili arricciati che ornavano la morbida chioma fulva…e medesimi bagliori di luce tremolavano sul bel volto del ragazzo il quale aveva abbandonato i propri pensieri segreti per  rivolgersi, in tono gentile, alla piccola Akagi.

 

“_ anf …che ne dici se ci riposiamo un po’ ?…sediamoci qui sulla sabbia. _”

Un brillio scintillante nelle iridi scure.

 

Hanamichi era proprio diventato bellissimo durante quell’anno trascorso assiduamente a saltare e correre sul campo da basket, il suo fisico era mutato fino a personificare l’essenza stessa del vigore e della forza… possanza e bellezza racchiuse e sprigionate, al tempo stesso, da un uomo la cui imponente statura sfiorava, ormai, il metro e novantadue centimetri… ma, ovviamente, il cambiamento più piacevolmente sconcertante non era quello avvenuto a livello fisico: il ragazzo era diventato finalmente un adulto e il suo carattere da irascibile, esuberante ed eccessivamente infantile si era, a poco a poco, tramutato in un qualcosa di  più pacato e coscienziosamente razionale… e… e ad Haruko piacevano immensamente gli uomini forti e sicuri di sé ma, al tempo stesso, maturi al punto da riuscire a controllare quella stessa forza…quegli uomini che potevano fungere da guida per ogni donna…come essi fossero una sorta di solidi pilastri marmorei a sostegno di imponenti e maestosi tetti dorati…come delle robuste e millenarie fondamenta su cui costruire una splendida e indistruttibile dimora d’eternità…quegli uomini sui quali appoggiarsi nei momenti di insicurezza,quelli  dai quali potere, in ogni istante, ricevere in dono la soluzione ad un qualsiasi problema…gli stessi che avrebbero sempre provveduto in prima persona a costruire, giorno per giorno, un loro piccolo mondo perfetto edificato sui sogni d’amore e gioia delle loro amanti…un universo entro il quale ogni desiderio espresso dalla candida voce di una fanciulla diveniva realtà,  nel quale la ben più piccola imperfezione si correggeva autonomamente e dove qualsiasi sensazione piacevole puramente astratta si tramutava in un qualcosa di perfettamente percepibile al tatto…in oro…

…Un universo custode di una bellezza ideale sigillato all’interno di una invisibile cupola di cristallo la quale, tramite le proprie pareti al contempo fragili e indistruttibili, proteggeva quello stesso mondo fatato da ciò che vi era intorno e che non era frutto dei sogni splendenti di una giovane ragazza romantica…

…e Haruko sentiva il bisogno fisico di vivere in un mondo del genere, nel quale sentirsi protetta e al sicuro da ciò che, ‘là fuori ‘, la faceva soffrire…

 

Non voleva essere la piccola e curiosa Alice che rincorreva in eterno il coniglio bianco avventurandosi nei meandri scuri e dai contorni sbiaditi di un cosmo psicotico e distorto_ in cui ogni cosa, nella sua deformità cruda e violenta, assumeva un  aspetto terribilmente spettrale e qualsiasi carattere verosimilmente reale veniva profanato e sfigurato sadicamente _ ma bramava ad incarnarsi nella giovane ‘Bella addormentata’ e a sentire nelle proprie membra il torpore caldo ed evanescente di un sogno infinito dal quale sarebbe scaturita l’immagine angelica di un magnifico principe che, tramite le proprie labbra morbide, avrebbe destato la sua dolce amata per farla accedere ad un’altra splendente fantasia ove i due innamorati avrebbero vissuto insieme per sempre…

 

 La bimbetta bionda finiva per ritrovarsi dispersa all’interno di un luogo informe e gelatinoso, dove tutti i volumi un tempo esistenti si scioglievano miseramente per diventare segni…tracce scure e spigolose impresse rabbiosamente su una tela sporca le quali andavano a delineare grossolani contorni che si trasformavano in gabbie di ferro entro cui erano imprigionati  colori forti e acidi dati a spessore, i quali sembravano gridare e dibattersi violentemente per purificarsi dal segno… e laceravano la superficie, la bruciavano tramite le loro tinte orribilmente contrastanti e la possedevano selvaggiamente senza alcun ritegno, facendola vibrare con forza e tramutandola in puro simbolo di terrore, angoscia e frustrazione…l’illusione stravagante e zuccherosa di Alice che si trasfigurava in un meraviglioso quadro espressionista, il quale aveva inglobato in sé il coniglio bianco e la stessa bambina facendo di essi nient’altro che uno scarabocchio nero e urlante…

…non erano forme dai contorni grezzi quelle in cui si voleva identificare Haruko…si immaginava campire di deliziose tinte pastello perfettamente in accordo estetico le une con le altre, ottenute tramite scintillanti velature di colore ad olio, si vedeva riflessa in un tranquillo fiumiciattolo di campagna  dalle dolci sfumature turchesi che scorreva, senza farsi udire da alcuno, lungo la superficie levigata di un dipinto la cui anima non conosceva cosa fosse l’angoscia ma si beava solo della perfezione di un ideale di bellezza assoluta ed impossibile da ottenere se non tramite l’Arte stessa…

…Oppure perché non tramutarsi in una forma tipica di un naif nella sua sfera più mielosa e infantile, diventando padrona di un universo fantastico e giocoso libero da ogni pretesa di interpretazione in chiave realistica?…Haruko poteva essere la delicata amichetta di Peter Pan , la quale era volontariamente fuggita da ciò che la turbava per ritrovarsi rapita da quella sorta di paradiso primitivo e svincolato da ogni obbligo e sofferenza che veniva chiamato ‘Isola che non c’è’…

 

Giocare per sempre all’interno di un sogno stupendo sapendo che a proteggere la tua felicità ci penserà un uomo.

Questo era ciò che desiderava la piccola ragazza dai capelli castani…ed era quasi certa : l’uomo che cercava era Hanamichi Sakuragi.

 

Non poteva più fingere di non sapere: la giovane si era sempre resa conto del genere di sentimenti che animavano il cuore del Rossino nei suoi riguardi ma, solamente adesso riusciva a considerare la cosa tramite un’ottica differente…non le andava più di interpretare il ruolo della tenera ragazzina dai candidi valori che, proprio perché incapace di osservare il mondo con malizia, non avrebbe mai potuto avvedersi di captare nell’aria il sentore di quell’esagerato amore incondizionato che Hanamichi le avrebbe voluto riservare.

Ora, in lei, ardeva il bisogno di condividere le proprie illusioni con qualcuno che, per amor suo,  l’avrebbe assecondata sempre e comunque; una persona che la adorasse e venerasse come essa fosse la reincarnazione terrena della dea più bella, un ragazzo che divenisse parte di sé e che la inondasse continuamente di amore…un uomo che le portasse un rispetto assoluto senza chiedere nulla in cambio…colui al quale, per vivere, sarebbe bastato solo poter scorgere il volto dell’amata cullata dalle braccia di Morfeo…

Sakuragi era l’essere perfetto a tale scopo e, se Haruko avesse finalmente deciso di ricambiare i suoi sentimenti lui avrebbe certamente saputo plasmare la loro storia d’amore ad immagine e somiglianza della più lucente fiaba dal roseo lieto fine…e vissero per sempre felici e contenti.

 

Vi erano alcune notti in cui la sorellina di Akagi vagava, confusa e impaurita, perdendosi in luoghi lugubri e terrificanti_ figli di un sonno malato e inquieto_ cercando disperatamente anche un solo, flebile spiraglio di luce al quale affidarsi per essere sicura di esistere ancora, di possedere un proprio ingombro fisico e spirituale…luce che le avrebbe permesso di dirigersi, con un briciolo di certezza, lungo i tortuosi labirinti oscuri ed opprimenti che inghiottivano interamente i suoi sogni di bambina tramutandoli  in orribili incubi…visioni deformi entro le quali, la piccola Haruko, era costretta a rimanere imprigionata dal buio e dal caos più totale pur essendo, al contempo, del tutto consapevole che oltre quella coltre spessa di tenebre profumate si celava una minuscola uscita segreta la quale custodiva e celava l’essenza stessa della VERA felicità…e il desiderio di oltrepassare quella porta era diventato una vera ossessione per la giovane…

…ma chi poteva mai esservi ad attenderla sulla soglia di quell’ambito varco?…Haruko era certa che non vi fosse Hanamichi: il Rossino, difatti, probabilmente non rappresentava  il tipo di felicità che lei andava cercando ma, sicuramente, non era altri che quel flebile spiraglio di luce il quale l’avrebbe accompagnata alla porta…per ora andava bene così.

 

Grazie a quel sottile raggio luminoso, il quale sarebbe diventato sempre più ampio sino ad assumere le sembianze di uno sfavillante fascio d’oro fuso_ che, con la propria impalpabile ma ben visibile incorporeità, avrebbe inondato ogni più piccolo anfratto buio fino a stravolgerne del tutto l’aspetto_ l’incubo spaventoso avrebbe pian piano invertito il suo stesso nome in quello di sogno…sogno deliziosamente modellato  da quelle grandi e forti mani bronzee che la ragazza, durante il sonno, percepiva  scorrere con reverenza sul proprio piccolo corpo inerte…e quelle dita,  dai polpastrelli disegnati dagli infiniti gesti ritmici eseguiti con una sfera arancione, le quali sfioravano delicatamente la tenera pelle rosata della timida illibata facendola piacevolmente rabbrividire…e…e quel corpo vigoroso e scattante, luogo di scontro fra la pacatezza di un adulto e il fervore inquieto di un adolescente, che le si adagiava sopra donandole un idilliaco e magico torpore il quale le si espandeva, come un liquido caldo, all’interno delle fresche membra  avvolgendole come una sorta di placenta protettiva…lo stesso corpo che, la ragazza, aveva più volte desiderato sentire muovere, ad un ritmo crescente d’intensità, sopra e dentro di sé ; corpo che l’avrebbe travolta tramite il dono di un turbinio di emozioni e sensazioni tangibili a pelle le quali l’avrebbero fatta sprofondare nell’abisso, al contempo paradisiaco e infernale, di quel sublime peccato chiamato piacere.

 

La prima volta in cui si era sorpresa a viaggiare con la mente per comprendere come le sarebbe apparso il teppista rosso in un contesto esclusivamente erotico un immenso stupore, accompagnato a profondo imbarazzo, le avevano imporporato le gote e qualcosa, nel suo cervello, le gridava di lasciar perdere tali pensieri inconsueti…forse la sua coscienza…

…Ma quando quei sogni piacevolmente insoliti avevano cominciato ad impossessarsi con maggiore prepotenza del suo inconscio notturno, alla ragazza si era improvvisamente rivelata una realtà sconcertante e imprevista che da sempre, la stessa Haruko, aveva tentato di rifiutare: non sentiva più il bisogno di Kaede Rukawa.

 

Un tempo Kaede Rukawa popolava i sogni romantici della tenera bambina innamorata del basket percorrendone i sentieri lucidi e dorati in sella ad un maestoso cavallo bianco, e i suoi morbidi capelli neri s’impregnavano del magico riflesso e dell’odore del sole a primavera, riflettendone i raggi ammalianti e creando attorno al volto angelico una sorta di aureola preziosa simbolo di purezza e onestà…il suo viso dai lineamenti delicati splendeva grazie alle sfumature iridescenti create dalla pelle di madreperla, e grandi pietre azzurre, incastonate come diamanti entro gli occhi dal taglio sensuale, parlavano costantemente d’amore…un amore sincero e incondizionato nei confronti di una piccola principessa incatenata ad un sonno senza fine la quale attendeva solo quelle soffici labbra rosee per potersi svegliare…

 

Quel bacio non c’era mai stato…

…e la bimbetta sconsolata, di nuovo sola e abbandonata, non poteva far altro che cercare di conservare, come tesori dall’inestimabile valore, quei ricordi illusori e figli della sua mente in cui il suo principe le concedeva un breve sorriso dolcissimo…

 

…ma, se tutte le fiabe devono avere un lieto fine perché quella di Haruko si stava trasformando, giorno per giorno, in una storia malata e deforme?

 

E così, i capelli di Kaede perdevano i riflessi dorati del sole acquistando quelli blu, violacei e grigi di un cielo notturno in tempesta; l’aureola di luce svaniva di colpo lasciando il posto ad un alone cupo e denso a simboleggiare la corruzione dell’anima…la pelle del viso diventava sempre più bianca e livida, gli occhi più freddi e vitrei…e da essi non traspariva più nulla se non l’odio, il disprezzo o, peggio, l’indifferenza più ostentata nei riguardi di tutto e…tutti.

Quel pallido sorriso, che Haruko aveva tante volte immaginato, perdeva pian piano d’ingenuità e si faceva accattivante, diveniva un ghigno ironico e sprezzante sino a spegnersi completamente e lasciare solo due labbra chiuse, inerti, prive di un qualunque moto espressivo…labbra gelate.

 

Kaede Rukawa non era che una splendente e scintillante icona estrapolata da un quadro di Gustave Moreau, tanto reale quanto, tristemente, effimera…un’immagine in grado di ammaliare chiunque grazie all’alone di mistero e sacralità che l’avvolgeva; un’effige della quale, nel tempo, sbiadiscono i contorni fino a tralasciare solamente un’ombra informe e irriconoscibile di ciò che era la sua straordinaria bellezza…simulacro il quale cela, dietro la propria apparenza preziosa e smaltata, una simbologia oscura e agghiacciante…

 

Kaede pareva essere solo un personaggio ambiguo e sinistro uscito da un romanzo decadente di fine ottocento: così bello nella propria fiera solitudine e depravazione, ma così inutile nella sua incapacità di donare amore e di provare un qualunque sentimento al di fuori dell’odio per il mondo e per la sua stessa meschina condizione.

Un essere nato solo per divenire oggetto di culto come una di quelle inquietanti statue egizie scolpite nell’alabastro ricalcanti le stilizzate e rigide fattezze di figure spettrali dal corpo umano e la testa d’animale.

 

E cos’era il giovane se non una divinità mascherata da uomo?

 

Divinità la quale è  adorata e, al tempo stesso, temuta da tutti proprio perché impossibile da definire né come essere in carne ed ossa, né come frutto di un illusione o di una superstizione sciocca…

Chi può sapere se all’interno dell’involucro di pietra dimori, effettivamente, un’anima sovrannaturale o se questo non sia altro che un guscio inerme e freddo completamente vuoto?

 

Vi era un significato custodito dentro Kaede Rukawa?

 

Oppure egli celava, al mondo, un segreto  così complicato e poliedrico da non poter essere interpretato da alcuno?

E forse, il fascino che il ragazzo suscitava in Haruko  scaturiva più dall’eterna speranza di lei nel riuscire, un giorno o l’altro, a decifrare  quei significati cifrati ed ambigui che Kaede nascondeva con così tanta maestria?

 

Hanamichi era semplice, per farsi apprezzare sfruttava solo ed esclusivamente la propria cristallina spontaneità…l’avvenenza, in lui, non si occultava dietro ad intrighi di simboli indefinibili e vaghi…la sua era una bellezza concreta e solare…era letteralmente impossibile non provare affetto per quel bestione dai capelli rossi e l’atteggiamento da teppista con l’animo dolce di un cucciolo…e, al tempo stesso, non si poteva evitare di amare il volto di Kaede e la straordinaria sensualità visibile sotto la freddezza statuaria del suo corpo efebico ma, spesso, l’adorazione nei riguardi di questo veniva a sfigurare se stessa in terrore o, peggio, disgusto profondo per quel ragazzo stupendo che pareva essere un prodotto mal riuscito di madre natura…

 

Non si può temere chi si ama…e Haruko era stanca di sentire la paura in corpo al momento in cui si perdeva nel profondo azzurro di quegli occhi.

 

 

FINE CAPITOLO 1   

 

Vi prego: non fermatevi a questo capitolo, non cestinate l’intera fic con una smorfia di orrore…perché non parla solo di Haruko, e soprattutto la fic non ne parlerà sempre bene.

Abbiate la pazienza di sopportare le eresie che ho scritto in questo capitolo^.^

Grazie.