Declaimers: i pg sono miei! Questa è la mia prima original! Me voleva provare! ^.^
Note: vi prego di scusare il linguaggio, ma è crudo quanto la storia. Ogni capitolo ci porterà dritti all’inferno. Il nome del protagonista si pronuncia ebil, con la “e” accentuata. Le frasi che appariranno in corsivo appartengono al sommo Dante e alla sua Divina Commedia. Commentate! Forse vi sembrerò blasfema, ma leggete cmq ^^
Dediche: alla mia gemellina telepatica ^____^. A Niane per ringraziarla dello stupendo commento fatto. A Tes, il mio tesoro, per l’incoraggiamento che mi dà ogni volta!


Fuoco

parte III

di Soffio d'Argento

PARTE TERZA 

RITORNO ALLE TENEBRE

 

E la notte scese attorno a noi. 

Mi sveglio di soprassalto.
La prima cosa che vedo è il soffitto grigio.
Le ombre della città si allungano all’infinito formando apocalittiche visioni d’ombra.
È quasi il tramonto.
Accanto a me non c’è nessuno.
Quanto avrò dormito?

Affacciato alla finestra della piccola camera sopra il locale, respiro in profondità l’odore e la freschezza intensa della serata, mentre il disco del sole scivola lento dietro gli alti palazzi di New York. La neve, ormai non più bianca, giace sotto i marciapiedi, sporca di terra e di uomo. Il suo bianco adesso non fa più paura, ma si mescola con il nero della notte, come un lago coperto dalle tenebre.
Fra poco i demoni si sveglieranno e torneranno nelle loro tane notturne, per nutrirsi nuovamente di sangue, carne e sogni.

Massaggio le tempie, mentre il fumo chiaro della sigaretta si perde nella serata New yorkese. Inspiro il fumo, quell’amaro sapore di vita. La carta brucia, torcendosi e ansimando. Rimango a fissarla un po’ cercando di vedere in quel dolore immaginario il volto del mio carnefice.
Quando il fuoco termina di bruciare in profondità la piccola cannula di carta, la spengo in un mucchietto di neve ancora candida aggrappata al davanzale della finestra. La sigaretta sospira mentre il ghiaccio si scioglie a contatto con il calore.
Sento la porta aprirsi e dei passi leggeri avvicinarsi al letto.
<< Jo scenderà anche stanotte? >>
<< No. Il capo dei demoni stanotte non verrà. >>
Kain prende in mano un libro sgualcito e comincia a leggere. Riflesso nel vetro della finestra, appare curvo e piccolo. La sua immagine si sovrappone a quella di Jo, con il suo corpo martoriato, il viso contuso e le bende a coprire quella voglia mostruosa.

Quando ho varcato la soglia della sua camera, ho respirato un odore intenso di morte.
La finestra era chiusa e la stanza, in penombra, era illuminata solamente dal bagliore di un’abatjour.
Jo era rimasto dietro di noi. La sua mano aveva tremato lievemente nel richiudere la porta dietro le nostre spalle. Appoggiato a quel rettangolo scuro di legno, sembrava un angelo, ma con lo sguardo basso e vuoto che lo condannava alla dannazione eterna.
Kain mi aveva condotto ad una sedia al lato di un grosso letto sfatto.
La camera era vuota, a parte la sparuta mobilia. Niente che potesse confermare l’esistenza di un essere umano, perché Jo non esisteva, non era che carne destinata al macello. Morto Jo, milioni come lui avrebbero preso il suo posto. Non vi era nulla che potesse ricordargli il suo essere umano. Jo, il piccolo Jo. Destinato al mattatoio della Vita ancor prima di nascere.
Non vi erano foto, giocattoli, solo degli abiti neri.
Jo era rimasto tutto il tempo dietro di noi, immerso nelle nostre ombre, si era poi seduto sul letto. Aveva portato le gambe al petto e aveva parlato.
La sua voce era flebile, ma riuscivo a sentirla benissimo come se, invece di bisbigliare, stesse urlando.
La voce di un’anima destinata alla dannazione.
Si portava spesso le mani tremanti al viso, spostando ciuffi di capelli a coprire la fronte.
Jo aveva parlato e io lo avevo ascoltato.

<< L’hai sentita Abil? >> mi aveva detto Kain uscendo dalla stanza e richiudendo piano la porta: << Quella è la voce dell’Inferno. >>

Chiudo la finestra e vado a sedermi sul mio letto.
<< Cosa leggi? >>
Kain chiude il libro e lo posa sulle sue gambe. Sfiora con un dito la copertina consunta dal tempo.
<< Una volta entrai nella grande biblioteca di famiglia. Cercavo un libro che mia madre mi leggeva sempre prima di andare a dormire. Si parlava di battaglie, nemici, prodigi…. La biblioteca era grande, ma a me, che all’epoca avevo 11 anni, parve immensa. Ruotai attorno a me stesso un paio di volte e caddi all’indietro nel tentativo di vedere il soffitto. Presi la piccola scala e percorsi tutta la biblioteca. Trovai questo libro. C’erano immagini di demoni, angeli e di un’anima che accompagnava un uomo in un viaggio ai confini del reale. >>
<< La divina commedia… >>
<< La conosci? >>
<< Sì. >>
<< Quel giorno aprii il libro e cominciai a leggere e vi scoprii le verità del mondo. >>
<< Le verità del mondo? >>
Qualcuno bussa. Kain si alza per andare ad aprire. Scorgo dietro la sua figura un ragazzo poco più giovane di noi. Indossa un abito rosso. Parlano piano e non riesco a sentire. Vedo solo Kain stringere forte la mano sulla maniglia, poi uscire e chiudere la porta.

Mi alzo. Prendo il libro in mano e lo sfoglio.
Le pagine sono ancora più consunte della copertina, quasi non si legge in alcuni punti.
Noto delle scritte ai bordi delle pagine. La scrittura è sicura e regolare.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
che la dritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era  cosa dura
esta selva selvaggia aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura” Inferno I, 1 a 6.

Chiudo il libro e ritorno al mio letto. Appoggio la testa sul cuscino e il soffitto si trasforma in un cinema in cui io sono il solo spettatore. Lo schermo bianco si oscura e mille immagini si susseguono vorticosamente in una danza nevrotica.
Mentre abusava di me il mio carnefice declamava brani della Bibbia, come volesse farmi intendere che tutto ciò era dovuto, era necessario, era divino. Balbettava quelle frasi con la sua voce pervasa dal piacere. Le sussurrava al mio orecchio e io stringevo gli occhi.
Lui entrava ed usciva da dentro di me. Sentivo il suo corpo marchiare a fuoco la mia pelle ancora delicata. Di lui ricordo gli occhi chiari, quasi bianchi. Ricordo le sue mani che vagavano sul mio corpo, che chiudevano a chiave la porta, che stringevano le mie catene, che mi riempivano di pugni. Le sue mani grandi e forti… saranno state l’ultima parte del suo corpo a bruciare.

Il giorno in cui lessi per la prima volta quel libro pioveva. Il mio carnefice mi aveva lasciato libero di vagare per casa. Le finestre erano bloccate, le porte sprangate. Anche se avessi avuto la forza di arrivare alla porta, non avrei mai potuto fuggire.
Avevo trascinato con difficoltà le pesanti catene fino alla biblioteca e, su un vecchio leggio bianco, lo avevo trovato.
Era già aperto e su un lato del libro era raffigurata una scena a carboncino.
Vi erano due uomini su una barca. Attraversavano un fiume nero e oscuro. Vi erano altri uomini, nudi, immersi nelle acque. Si agitavano e disperavano. Alcuni cercavano di salire sulla barca, ma uno dei due uomini, quello più grande e maestoso, con una corona  d’alloro in capo, li respingeva e diceva:

“Via costà con gli altri cani” Inferno VIII, 42

E io mi sentii come quegli uomini che cercavano la salvezza su quella piccola barca di legno. Mi sentivo come un morto attirato dalla Vita che mi respingeva e mi teneva la testa sotto l’acqua, sperando che, ormai privo di forza, smettessi di combattere e di respirare.
Mi inginocchiai ai piedi del leggio e cominciai a piangere. Piano. Sommessamente. Perché avevo paura. Avevo paura che potesse sentirmi. Perché in quella casa vi erano mille occhi e mille orecchie, pronte a sentire, a vedere, come fantasmi invisibili, anime immonde.
Singhiozzavo e tremavo. Sentivo le catene tintinnare piano, come un campanellino nella furia della tempesta. Piansi fino a quasi consumare le mie lacrime infinite, poi mi alzai e chiusi il libro.
Era antico e il titolo era attorniato da arabeschi che avevano la forma di serpenti che si mordevano la coda. LA DIVINA COMMEDIA. Lo aprii e iniziai a leggere e lì trovai la mia speranza di anima dannata. La mia voce si confondeva talvolta con quella dei dannati alle volte con quella di Dante.
Era stato il mio carnefice ad insegnarmi a leggere e aveva messo nelle mie mani la chiave per uscire dalle porte dell’inferno.

Kain rientra. Ha le mani sporche di sangue e vi sono degli spruzzi evidenti sulla sua camicia scura.
<< Dobbiamo prepararci. La notte è già scesa. >> dice osservando la fetta di cielo dietro la finestra.
Alcune gocce, come fossero lacrime, scivolavano dal suo viso, confondendosi con i lineamenti del collo. Per un attimo mi ritorna alla mente l’immagine della neve bianca, di quel candore mortale.
Entra in bagno. Si ripulisce lentamente il sangue, prima dalle mani, poi dalle braccia e infine dal viso. Slaccia velocemente la camicia che getta in un angolo della camera. La vedo ricadere stanca ed accartocciarsi su se stessa, come fosse priva di vita.
<< C’era sangue ovunque. >> mi dice con voce atona: << Un dominato ha rotto la finestra, ha preso uno dei vetri e si è tagliato la gola. >> fa scorrere l’acqua nel lavandino: << Abbiamo portato il suo corpo al piano di sotto, nelle lavanderie. Carlos, il buttafuori, è stato già avvisato. >>
Siamo solo uomini di carta, valiamo meno dei vestiti che indossiamo.
<< Ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo ripulire il sangue dalla stanza prima che se n’accorga Ed. Altrimenti potrebbe cacciare Miguel e credimi, in questo periodo, la strada è peggio della morte. >>

Seguo Kain.
Sento, dietro le mie spalle, le porte delle camere aprirsi. Odo il cigolio prodotto dai perni ormai asciutti e tanti flebili sussurri rincorrersi nel silenzio.
Mi volto e vedo mille occhi. Tanti agnellini nascosti nell’ombra, impauriti, che si chiedono a quale porta busserà la Morte la prossima volta. Si chiedono se esiste davvero quel Dio buono di cui sentivano parlare nei loro ricordi di bambini, se c’è al mondo una giustizia tanto grande da comprendere le loro vite martoriate.
Mille sguardi fugaci e impauriti.
Si richiudono velocemente, con un sospiro.
E mentre la porta dell’Inferno si apre, vengo assalito da un nauseante odore di sangue.
Penetra nel mio corpo e si espande come un gas nocivo.
Porto la mano al viso e mi volto.

La camera è piena di sangue. Ci sono lenzuola rosse ad un lato della stanza. Asciugamani grondanti di vita accartocciati sopra le lenzuola. Il pavimento è un mare di liquido vermiglio che scivola con lentezza sotto il letto. Un fiume rosso che si macchia di fango e morte.
Kain entra in bagno e prende degli stracci. Meccanicamente inizia a raccogliere quella linfa mortale in un secchio bianco. Asciuga, prosciuga, svuota. Mi avvicino e solo in quel momento noto, in un angolo della camera, Miguel. Il suo petto si muove impercettibilmente. Guarda Kain con occhi spalancati e nel suo sguardo, per un attimo, scorgo il baluginio di un ricordo.
Il cuore batte lento. Il bianco pauroso del muro sembra assorbirlo, inglobarlo, divorarlo, nutrirsi di lui, del suo sangue, delle sue ossa bianche. Ha le braccia strette al petto, come se quella lieve armatura, potesse davvero proteggerlo.
Alza il suo sguardo su di me. Vuoto e spento.
Dante avrà mai provato pena nel suo viaggio verso la vita, verso la purificazione? Mentre lui avanzava con lentezza fra quei cadaveri parlanti, avrà mai provato la mortificante voglia di restare con loro per sempre, di perdersi in quella sofferenza eterna?

Aiuto Kain a ripulire la camera e a ridarle un aspetto normale.
C’è ancora un odore intenso di sangue, o forse sono io a sentirlo. Probabilmente mi è entrato dentro.
Lo sento parlare a Miguel in una lingua che non conosco. Vedo Miguel annuire ad ogni parola e Kain sparire in fondo alle scale con le lenzuola e gli asciugamani in mano.
Esco e subito la porta si richiude alle mie spalle, in silenzio.
Il corridoio, imbruttito dalla notte che avanza, sembra torcersi su se stesso e allungarsi all’infinito.
Tutte le porte sono chiuse. Sembra che non vi abiti nessuno in questo tunnel.
Un raggio di luce giallo, sfuggito al controllo di un grosso lampione, illumina il corridoio. Si posa, con un tocco leggero, quasi un lieve tremito, su una porta socchiusa. Quella di Jo.
Mi avvicino, appoggio la mano sulla maniglia e odo la porta tutta tremare.
<< E’ morto? >> sussurra l’ombra.
<< Sì. >> e la porta si richiude.

Nel silenzio quasi irreale di quel night si sentono solo i miei passi echeggiare regolari sul pavimento nero.
Scendo le scale. Il night è vuoto, ma già pronto. Le luci sono ancora accese, ma i tavolini e le poltrone sono già state accuratamente sistemate, i bicchieri ripuliti e le bottiglie lucidate.
Seguo Kain nella lavanderia. Lo vedo e sento parlare con un uomo, suppongo sia Carlos. Kain brucia le lenzuola, mentre dà disposizioni all’uomo. È alto, forse poco più di me, ha spalle larghe e pelle scura. Sudamericano probabilmente. Ha dei lunghi capelli neri racchiusi in una coda. Una leggera barba incolta e due occhi piccoli e acquosi. Tiene le mani nelle tasche posteriori dei suoi pantaloni di pelle nera e mastica qualcosa, probabilmente tabacco.
Il fuoco brilla come un piccolo falò. L’odore di sangue è intenso, ma viene man mano sostituito dall’odore di bruciato.
                                          Amo quest’odore di vita!

Respiro intensamente, beandomi di quella visione apocalittica.
Il volto di Kain è immerso nel cono rosso del fuoco. Le fiamme proiettano sul suo viso zone d’ombra e di luce. Accanto a lui, Carlos, guarda ipnotizzato la danza delle lingue di fuoco.
<< Lui è Abil, il nuovo barista. >>
<< …il nuovo barista… >> ripete Carlos alzando lo sguardo e puntandolo addosso a me.
<< Che ne è stato del ragazzo? >> chiedo.
<< Stava per pensarci lui. >>
Carlos annuisce. Getta la sigaretta ancora accesa nel fuoco. Osserva la piccola fiamma ardere e sparire, poi si volta e se ne va. Le ombre inghiottiscono il suo profilo e in breve odo solo i passi regolari allontanarsi. Vedo la luce della notte penetrare nella lavanderia e odo una porta chiudersi con un acuto rumore.

Attendiamo.
Il fuoco brucia, si contorce in una danza surreale e sensuale, creando mille immagini funeste.
Aspettiamo che bruci tutto e di ciò che era rimanga solo cenere.
Mi appoggio ad uno dei macchinari. Kain resta immobile vicino alle fiamme.
<< Grazie. >>
<< Per cosa? >>
<< Per Paul. >>
<< Non puoi salvare tutti. >>
Lui annuisce senza guardarmi. Le ombre e le luci si rincorrono su di lui. I suoi occhi chiari brillano.
<< Ne vale la pena Kain? >>
Lui alza lo sguardo su di me. Annuisce e mi sorride.
<< Ne vale sempre la pena. Nel mio viaggio verso la luce delle stelle, non voglio essere solo. Porterò con me queste anime condannate ingiustamente… >> poi si ferma e torna a guardare il fuoco che scema e collassa su se stesso: << Tu sarai con me? >>
<< Sei uno strano ragazzo, Kain. Ti fidi troppo degli altri. Chi ti dice che io non sia un demone come quelli che vuoi uccidere? >>
<< I tuoi occhi. Sono gli occhi di chi ha vissuto l’Inferno. Sono gli occhi di una vittima e non di un carnefice. Un giorno… >> mi dice spegnendo le ultime fiamme con la suola delle scarpe: << mi dirai che cosa hai visto e che cicatrici nascondi. >>
L’ultima fiamma si spegne e la lavanderia viene inghiottita dalle tenebre. Kain mi prende per mano e dirige i miei passi. La sua è una stretta forte e sicura.
Saliamo le scale uno dietro l’altro. Non si odono altri rumori che i nostri passi e i nostri respiri.
<< Dobbiamo sbrigarci. >> mi dice aprendo la porta: << I demoni stanno arrivando. >>

Fuori è già scesa la notte. Dietro il bancone del bar aspettiamo. Kain al mio fianco canticchia una canzone di cui afferro poco la melodia. Gli altri due baristi sistemano nuove bottiglie di whisky nei ripiani dei liquori.
Ed, nel suo piccolo bugigattolo, annota nuovi numeri.
Uno dopo l’altro scendono le vittime sacrificali. Nei loro vestitini rossi e neri si sistemano ai vari tavoli, mancano solo Jo e Paul.
Le luci si abbassano e una musica di sottofondo risuona inascoltata.
Carlos, riesco a distinguerlo bene, attraversa la sala. Va a spalancare i cancelli dell’Inferno.
Le bestie immonde, attirate dall’odore intenso di giovane vita, entrano rabbiose. Ghigni soddisfatti illuminano i loro volti e, in breve, la musica viene sopraffatta dalle loro voci bestiali.
Volto velocemente lo sguardo verso Ed. Da dietro il vetro del suo ufficio, sopra la sala, osserva ciò che accade giù. La luce già flebile del night illumina solo in parte il suo viso e vi disegna un sorriso diabolico. Immersa nelle tenebre, la sua figura assomiglia ad una rappresentata nelle illustrazioni a carboncino dei miei ricordi.

“…e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quant’elli era nell’aspetto fero!
E quanto mi parea ne l’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra noi i piè leggero!” Inferno XXI, 29 a 33.

Le braccia sono nascoste dietro la schiena. Il suo sguardo vivo incrocia il mio.
Un cliente viene a chiedere due doppi whisky.
Prendo il ghiaccio e lo immergo nel bicchiere. Faccio roteare la bottiglia di whisky fra le mie mani e verso il liquido ambrato in due bicchieri bassi. Il ghiaccio stride, si ribella con forza a quella intrusione, ma poi soccombe e viene sommerso.
Mi sento costantemente osservato, eppure quando alzo lo sguardo verso l’ufficio di Ed, lui non c’è.
<< Abil. >>
Mi volto verso Kain. Sta preparando un cocktail che non conosco. Versa con cura gli ingredienti nello shaker e li agita con forza. Le sue braccia sottili fendono l’aria con energia. Per un attimo il tempo rallenta concentrandosi su di lui, ma poi blocca lo shaker sul bancone e il tempo riprende il suo ritmo costante. Versa il contenuto in due bicchieri che un Dominatore, dallo sguardo lascivo, porta al tavolo 3.
<< Non devi distrarti mai Abil. >> mi dice senza guardarmi: << L’oscurità qui è viva. Sente, guarda e percepisce. Ogni rumore, ogni sguardo, ogni emozione. Osserva Abil. Osserva questi demoni affamati di sogni. Hanno mogli, figli, famiglie perfette. Eppure, ogni notte, vengono qui a perdersi. Cercano sangue di cui si nutrono con avidità. Loro, uomini rispettabili dalle vite pulite, con le mogli dai sorrisi perfetti, con i figli dai grandi occhi, vengono ogni sera in questo inferno dei sensi per nutrirsi. Perché la loro anima è perduta per sempre. È nera come il fango e come la morte puzza. Guarda i loro volti, perché un giorno li incontrerai per strada, nei loro vestiti lindi, nelle loro macchine lussuose. Li incontrerai e non li riconoscerai, ma il loro odore… il loro odore di rifiuti ti penetrerà nel sangue e nel corpo e allora capirai…. Capirai ciò che a tutti sfugge. >>
Versa del jin in un bicchiere che butta giù tutto d’un fiato. Me ne porge un bicchiere, ma io allontano la mano.
Voglio che i miei sensi siano svegli e attenti.
Voglio vedere e ricordare tutto.
E mentre verso un altro bicchiere di liquido anestetizzante, il mio pensiero corre al piccolo Jo e ai suoi sogni agitati. A Paul e ciò che poteva essere. E infine a quella vita che ci è preclusa e che, forse, non avremo mai.

FINE TERZA PARTE

E anche questo capitolo è terminato. Cosa ne pensate? A me ha lasciato perplessa.

Quanti Abil esistono al mondo? Milioni forse. Sono nascosti nelle favelas, nelle periferie delle grandi città, dietro la porta della casa di un nostro vicino. Alcuni li conosciamo, di altri sentiamo parlare, altri ancora ci sono sconosciuti, eppure ci sono. Esistono. Vivono. E noi? Chiudiamo gli occhi, perché così conviene, perché è più semplice. Ma la notte le porte dell’Inferno si spalancano, facendo uscire i nostri demoni. Avete paura? Io sì.
Vi auguro una notte illuminata dal chiarore di questa bellissima luna crescente. Vi auguro di non incontrare mai nella vostra vita un Abil, un Kain, un Jo, perché la voce delle anime dannate si insinua dentro chi le ascolta e allora… allora non potrete più semplicemente chiudere gli occhi e fare finta che nulla sia mai accaduto.

Il libro che la madre di Kain gli leggeva da bambino è la Bibbia.
Spero che nessuno si senta offeso dalle mie parole. Forse inserirò, nei ricordi di Kain, alcune parti di questo visionario libro, ma se a qualcuno dovesse sembrare offensivo, eviterò di inserirli.
Di Abil, Kain e Jo e gli altri agnelli del night ce ne sono a milioni… io volevo solo farvi sentire la loro voce muta.
 


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