Note sugli spoilers: Anche questa è
circa spoiler per i cap 218-238, anche se in realtà da come è scritta uno
che non ha letto quei chap non capirebbe niente di quello che è successo..
Quindi se non li avete letti è piuttosto inutile leggere questa fic, perché
si perde gran parte del significato ^^' In Italia questi capitoli saranno
contenuti nel volume 25.. Ancora ce n'è di tempo UU;
Titolo: Frammenti di Umanità
Autore: Tsuzuki
Serie: Naruto
Pairing: NaruSasuNaru ^^ (anche questa credo sia visibile non shounen-ai dai
non estimatori della coppia.. XD)
Genere: one-shot, angst, dark
Rating: PG
Storia: Il titolo e il genere bastano.. Non saprei come riassumerla senza
dire cose che preferirei si scoprissero leggendo :) POV del protagonista
della fic; anche lui si capisce leggendo :)
Frammenti di Umanità
di
Tsuzuki
Tarda notte.
Trascinandosi una gamba, entrò in camera e chiuse a chiave la porta. Era più
che altro un'azione simbolica; sapeva che un lucchetto non avrebbe fermato
eventuali scocciatori.
Muovendosi a tentoni nella stanza ormai familiare, raggiunse il comodino e
accese la piccola lampada che lo occupava. La luce era fioca, appena
sufficiente per illuminare qualche metro di raggio. Se avesse desiderato più
luce avrebbe potuto accendere il lampadario, ma ormai i suoi occhi erano
così abituati al buio che ne sarebbero stati accecati.
Si tolse i vestiti e li gettò sul letto, sulle coperte che non venivano
smosse da secoli. Non dormiva in quel letto, era una comodità regalatagli da
lui, e non sopportava le sue
attenzioni. Sapeva benissimo quali erano le sue vere intenzioni, e anche
lui sapeva che ne era al corrente.
Accese una candela e la portò nel bagno, poggiandola sul bordo della vasca.
Era in bilico come sempre, e come sempre non sarebbe caduta. Anche quello
faceva parte della routine, ormai.
Si sedette sul pavimento e cominciò a lavarsi. Per i primi due minuti
l'acqua continuò a scorrere color marrone terriccio e rosso sangue. Odiava
essere sporco. Soprattutto di sangue. Soprattutto se il sangue non era suo.
La sua gamba sinistra grondava di quel liquido rosso scuro, ma essendo il
suo non ne provava ribrezzo. Usciva da uno squarcio profondo; stavolta le
cose erano andate peggio del previsto. Sciacquò la ferita, stringendo i
denti più per riflesso che per dolore. La pelle, una volta pulita, si rivelò
violacea; avrebbe dovuto medicarla bene, se non voleva essere costretto al
riposo. Il tempo era importante, perderlo era inammissibile.
Uscì dal bagno zoppicando. In una mano teneva la candela spenta, con l'altra
stringeva un asciugamano arrotolato attorno alla gamba e già tinto di rosso.
Scavando in un baule, sotto ai vestiti, estrasse una scatola rettangolare
contenente materiale da pronto soccorso. Lo teneva nascosto, non si fidava.
Conoscendoli, avrebbero potuto sostituirne i contenuti con chissà cosa. È
per lo stesso motivo che non mangiava mai con loro, né accettava niente di
sospetto. A volte restava senza cibo per più di un giorno, ma era sempre
preferibile a qualunque altra ingenuità.
Fissò la ferita. Odiava mettersi i punti. Avrebbe preferito ustionare la
piaga con una fiammata. Esistevano tanti altri modi per curare questo tipo
di tagli, ma lui non ne sapeva niente di tecniche mediche avanzate, quindi
era costretto a ricorrere ai metodi più spartani e anche più lenti.
Senza battere ciglio osservò l'ago che entrava e usciva dalla carne, nella
penombra. Si domandò per un attimo da quanto tempo avesse smesso di provare
dolore. Però faceva comodo, in fondo. Anche se a volte si ritrovava a
tagliarsi dal nulla con un kunai per controllare se era ancora vivo. O
umano.
Ripose il kit con cura e si rivestì. Spense la luce, poi si sdraiò sulla
coperta stesa per terra, senza riuscire però a prendere sonno. Non
sopportava di non riuscire a dormire. Soprattutto perché se stava lì fermo,
in mezzo al buio più nero, senza far niente, cominciava a pensare. E nella
sua situazione, pensare era un'arma a doppio taglio.
Si tirò su a sedere. Ultimamente aveva comunque trovato un buon metodo per
passare il tempo in questi momenti. Recuperò la candela e la accese,
lasciandola dritta sul pavimento. Tornò a scavare nel baule, stavolta in un
posto ancora più nascosto del kit medico, addirittura una specie di doppio
fondo. Tirò fuori una piccola busta da lettere e ne sparse per terra il
contenuto, tanti piccoli pezzetti di carta strappata. Si mise a fissarli,
poi cominciò a ricomporli come un puzzle.
Non gli ci volle molto per finire, sarà stata la cinquantesima volta che lo
faceva. Ricomporre un'immagine formata da pezzi così piccoli e scoordinati
era un'impresa ardua, ma lui la conosceva in ogni suo dettaglio. L'aveva
guardata spesso, prima di strapparla, un giorno, in preda a un attimo di
forte insicurezza. Da quel momento, ogni volta che questi pensieri gli
attraversavano la mente, lui ricomponeva quel puzzle, bruciandone poi uno o
più pezzi.
Adesso era passato molto tempo, e dell'immagine non era rimasto che un
quarto o poco meno. Aveva bruciato prima i pezzi blu e i neri, poi i grigi e
i verdi, e in seguito i rossi e i rosa. Ormai restava soltanto una manciata
di pezzetti gialli e arancioni.
Fissò l'immagine ricomposta, cercando di convincersi mentalmente di stare
decidendo quale parte bruciare. Prese un pezzo dal basso e lo lascio cadere
sulla fiamma della candela. Per un attimo il fuoco si abbassò, poi riprese
più vivido di prima. Sentì una sensazione strana allo stomaco, come se
qualcosa di caldo e pesante ci fosse poggiato sopra. Ma era seduto, anche
volendo era impossibile.
Prese un altro pezzo, stavolta più in alto, e poggiò anche questo sulla
fiamma. Sentì stoffa che strusciava contro i suoi vestiti, un leggero
bruciore ad una guancia, sapore di sangue in bocca, tutto il corpo che
fremeva impercettibilmente. Scosse la testa, allontanando quello che definì
come allucinazione, anche se non ne comprendeva il senso e il motivo.
Un altro pezzo finì in pasto alla candela, stavolta preso dalla cima, grigio
in mezzo al giallo. Sentì qualcosa avvolgergli la testa, poi un colpo alla
fronte, leggero, senso di confusione, umiliazione, senso di colpa. Agitò la
testa con forza, ansimando. Guardò l'immagine sul pavimento, e
improvvisamente si rese conto di stare rivivendo delle sensazioni già
provate, dei flashback.
Colto da un improvviso senso di panico, prese tutti i pezzi restanti in una
mano e vi appiccò fuoco con la candela, bruciandoli tutti e ustionandosi la
pelle. Poi la fiamma si spense, e fu di nuovo tutto buio. Mentre cercava di
riprendere fiato strusciò inconsciamente la mano sul pavimento, per
rimuovere la cera solida, e la punta del suo indice sentì qualcosa che non
era né pavimento né cera. Carta.
Prese in mano quello che doveva essere l'ultimo superstite del puzzle. Fissò
il buio in direzione del pezzo di carta, senza riuscire a vedere altro che
nero. Ebbe un attimo di incertezza, inquietudine, come se avesse paura di
guardare. La candela era inutilizzabile. Si alzò, barcollando, intenzionato
ad accendere la lampada sul comodino. Inciampò più di una volta e battè
contro un angolo del letto, non riuscendo improvvisamente ad orientarsi
nella stanza buia.
Quando finalmente raggiunse la lampada e la accese, notò che il pezzetto di
carta era sfocato, probabilmente a causa del fuoco di prima. Lo fissò
meglio, cercando di capire cosa fosse. Il colore originale doveva essere
sicuramente rosato, e c'erano tre righe nere sulla parte destra. Confrontò
il frammento con l'immagine integrale stampata nella sua mente, e poco dopo
si rese conto che ritraeva una bocca.
Stavolta non partì nessun flashback, ma solo una leggera sensazione di déjà
vu, accompagnata da sapore di miso sulla punta della lingua. Socchiuse gli
occhi e si girò verso la porta della stanza, dove nella penombra poteva
scorgere lo stemma di famiglia. L'aveva appeso là per ricordargli
costantemente qual era il suo scopo nella vita, e perché stava lì adesso.
Digrignò i denti e strinse i pugni, accartocciando il pezzetto di carta. Non
c'era mai "abbastanza" quando si trattava di maledire la persona che doveva
uccidere.
Chiuse gli occhi. Non era il caso di farsi prendere dall'ira in piena notte,
avrebbe fatto meglio a riposare. Annuì tra sé e sé, poi aprì il pugno dove
teneva stretto il frammento di carta e lo fissò. Bruciando questo ultimo
pezzetto di carta, avrebbe finito di cancellare ogni cosa che aveva che lo
riconducesse al passato. A parte gli stemmi di famiglia, ma quella era
un'altra storia.
Spostando lo sguardo verso la candela, si ricordò che quella era ormai
finita. Rimase un attimo in silenzio, poi decise che non era il caso di
usarne una nuova solo per bruciare qualche centimetro di carta. Ripeté il
pensiero sottovoce, convincendosene, poi gettò il frammento nel baule e lo
richiuse, senza neanche guardarlo.
Si sdraiò di nuovo sulla coperta e chiuse gli occhi. Per la prima volta in
secoli desiderò, sebbene involontariamente, un materasso e un cuscino
morbido, ma scosse subito via il pensiero. Non era lì in vacanza, e per
arrivare dov'era adesso aveva compiuto atti più che vergognosi. Si era
venduto al male perché non era stato capace di fare da sé, e tutto quello
che meritava in quel momento era un pavimento di pietra duro e freddo. Se
c'era qualcuno che meritava di più, non era sicuramente lui.
Quando stava finalmente per addormentarsi, sentì dei colpi alla porta. Si
mise a sedere e fulminò la fonte del rumore con lo sguardo. Senza dire una
parola si alzò e si vestì per uscire, raccogliendo con cura tutte le sue
armi. Chi avrebbe dovuto uccidere, stavolta? Si chiese se anche lui fosse
ormai diventato un omicida ricercato come qualcuno di sua conoscenza.
Lanciò un'ultima occhiata al baule, poi uscì dalla stanza zoppicando. Quel
ragazzo posseduto dallo spirito di volpe, che lui aveva chiamato "mostro",
era sicuramente molto più umano di lui.
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