Notte bianca
di Mazer
*fic in gara al
Concorso Original & Slash
del FORUM YSAL
Fino a quel momento
avevo camminato quasi ininterrottamente e, incredibile a dirsi, avrei potuto
affermare persino di non aver avvertito più di tanto la stanchezza nel corso
delle ore, come se a condurre i miei piedi in quella serie di movimenti
cadenzati e tanto familiari fosse stata una volontà che andava al di fuori
della mia persona e dei miei più logici bisogni. Quando mi fermai di botto,
sul ciglio di una strada che volgeva in discesa, qualcuno brontolò
contrariato e forse addirittura mi spintonò leggermente per poter proseguire
indisturbato la propria marcia senza perderne il ritmo esagitato. Non me ne
preoccupai: alcuni secondi dopo, infatti, la folla che aveva riempito le vie
della città durante la notte e che adesso iniziava a scemare si era già
biforcata intorno a me per poi tornare ad unirsi in un unico anonimo sciame
una volta superato l’ostacolo, simile ad un fiume che durante la sua corsa
avvolge e ingloba la semplice roccia. Da quella zona che dominava parte
dell’agglomerato urbano potei gettare un’occhiata al di sopra delle case,
direttamente verso l’orizzonte che andava tingendosi di rosa spegnendo le
stelle: era l’alba.
Era accaduto l’anno passato, in un altro luogo e in una stagione diversa da
quella che stavo attualmente vivendo. Non sapevo dire con esattezza cosa mi
avesse spinto quella sera a mentire agli amici con i quali stavo dividendo
quei giorni di vacanza, a dire loro che non mi sentivo molto bene e che
sarei tornato in albergo senza aspettarli. Non lo feci, naturalmente. Sarà
che trovavo un po’ stupido tutto quel loro affannarsi a volersi divertire
per forza, ad attendere le ferie come se fossero state l’unica occasione che
avevano per staccare la spina manco gli pesasse a tal punto la vita
quotidiana che si erano scelti, la quale, oggettivamente parlando, per quel
che ne sapevo io non avrebbero dovuto essere motivo di lamentele… Forse era
proprio perché in quel periodo mi sentivo abbastanza in pace con me stesso,
che l’atmosfera festiva che pareva aver contagiato tutti non riusciva a
prendermi: non sentivo il bisogno di ostentare falsa allegria, né di
eccedere per ricordare a me stesso che routine ed abitudine non erano ancora
riuscite ad ammazzare il mio stato d’animo solitamente equilibrato. Eppure
finii col concedermi anch’io una piccola follia dagli esiti davvero
imprevedibili.
Ero fermo da diversi minuti per ammirare dall’alto di un piano rialzato lo
spettacolo notturno costituito da un’enorme fontana con relativo gruppo
scultoreo abbinato, e a modo mio mi divertivo scrutando tra i variegati
gruppi di visitatori e frequentatori abituali della piazza alla ricerca di
qualche tipo umano interessante nascosto in mezzo a quella promiscua fauna,
proveniente probabilmente da ogni parte del mondo. Dare le spalle al resto
della confusione che mi circondava fu un errore piuttosto ingenuo, lo
ammettevo, comunque il poetico gioco di luci artificiali che si riflettevano
sull’acqua non mi distrasse al punto tale da non farmi rendere conto che
qualcuno si trovava dietro di me e, cautamente, stava tentando d’infilarmi
una mano in tasca. In verità avevo il portafogli ben riposto in un taschino
interno della giacca, non in quella dei pantaloni, però fu istintivo reagire
voltandomi di scatto e dando uno spintone al furbastro.
Nessuno tra la miriade di persone che ci circondava parve accorgersi di ciò
che stava accadendo, o, se pure lo notò, passò oltre fingendo di non aver
visto. Per qualche motivo, mi riempì di sincero stupore lo scoprire che il
mio borseggiatore era poco più che un ragazzino: ancora seduto a terra mi
guardò spaurito sgranando gli occhioni chiari, quasi nel tentativo di farmi
sentire in colpa benché fosse lui ad essere dalla parte del torto. I jeans
sdruciti e il maglione un po’ troppo largo contribuivano a farlo apparire
ancora più magro e giovane, ma tutto sommato non aveva esattamente l’aria di
uno che rubava per fame…
Iniziai ad avanzare in sua direzione d’impulso, ma non appena se ne accorse
scattò su in piedi, evidentemente deciso ad approfittare del caos per
dileguarsi. Fui più veloce di lui: prima ancora che cominciasse a correre,
lo avevo già bloccato afferrandolo per un braccio.
- Lasciami subito o mi metto ad urlare, – sussurrò, con una nota di panico
nella voce ma a sillabe ben scandite.
Mi guardai intorno solamente per constatare la già appurata indifferenza
generale dalla gente in relazione ai nostri gesti.
- Veramente questa battuta toccherebbe a me...
Solo allora sembrò rendersi conto dell’effettiva gravità della situazione,
perché sbiancò in maniera preoccupante e distolse lo sguardo dal mio,
platealmente a disagio.
- I-io… - balbettò, e la mia stretta si fece automaticamente meno pressante
attorno al suo arto.
- Andiamo a parlarne da un’altra parte, - dissi, senza pensarci troppo
sopra.
Circa un quarto d’ora dopo stavamo bivaccando sui gradini di una chiesa
dalle porte ormai chiuse, lontani dalla disordinata marmaglia che transitava
per i vicoli e con due tranci di pizza in mano. Stavo analizzando il mio con
sospetto, e lui se ne accorse:
- Cos’ha che non va? – mi domandò. - Non ti piace?
- E’ proprio necessario tutto questo? – biascicai.
- Come, scusa?
Guardai prima la pizza e poi lui, alternativamente.
- Non dovremmo essere qui a mangiare questa robaccia, - decretai.
- Se preferisci una cena al ristorante, allora offrila tu: questo è il
massimo che posso permettermi, - replicò pacatamente. – E’ già uno schifo
che abbia dovuto pagare io…
- Ti ho forse addossato anche la mia parte? – sbottai. – Ci mancava solo che
il ladro che ha tentato di borseggiarmi desse a me del tirchio, - conclusi,
e finalmente mi decisi a dare un morso all’affare plastificato e gocciolante
d’olio che iniziava già a farsi stantio tra le mie mani.
Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, il tempo di terminare il nostro
scarno pasto. Colsi l’occasione per osservarlo ancora di sott’occhi: sì,
decisamente doveva avere una buona decina d’anni meno di me, e pareva
essersi tranquillizzato del tutto dopo che gli avevo assicurato che non lo
avrei denunciato. Perché restava ancora con me, allora…?
Decisi di non chiederglielo, così come frenai la curiosità che in un’altra
occasione mi avrebbe spinto a fargli le domande più ovvie, per esempio
sapere quale fosse il suo nome. Avvertivo un’insolita quanto palpabile aura
di familiarità tra noi, del genere che s’instaura frettolosamente tra due
estranei che, per puro caso, si ritrovano a condividere una determinata
esperienza e tendono a lasciarsi andare proprio sapendo che non avranno più
occasione di rivedersi. In fondo coloro che sono alieni ai fatti possono
risultare più obbiettivi di chi ne è coinvolto, e proprio per questo stesso
motivo si finisce col temerne di meno il giudizio perché non si ha paura di
deluderne le aspettative. Non che sentissi un particolare bisogno di
confidarmi con qualcuno, in quel periodo nessun peso particolarmente
rilevante gravava sulla mia scorrevole esistenza, piuttosto quel clima di
confidenza per qualche strana ragione mi rinfrancò nonostante l’assurdità
della situazione in generale: mi parve abbastanza, per una nottata che
presumevo avrei passato da solo aspettando che arrivasse il sonno.
- Hai litigato con la tua ragazza?
- Cosa te lo fa credere? – borbottai, guardando di sbieco il ragazzo dai
capelli color sabbia.
- Non hai l’accento di qui, quindi probabilmente sei un turista, - mormorò.
– E da queste parti non ci sono posti dove potersi divertire: non avrebbe
senso venirci in visita dopo il tramonto. Sembri tanto uno che c’è finito
per caso, magari vagando a casaccio per smaltire la rabbia.
Quell'affermazione mi colpì: avevo davvero un’aria così insoddisfatta e
nervosa? Passasse pure che dessi l’impressione di essere un turista stupido
che va perdendosi e quasi si fa derubare come uno sciocco, ma quell’osservazione
mi diede un poco fastidio.
- Non sono stato scaricato dalla mia ragazza e stavo facendo semplicemente
una passeggiata, - dissi tanto per chiarire, ma lui sorrise senza
nasconderlo.
- Così per passare il tempo corteggi ragazzi…
Battei un paio di volte le palpebre, perplesso: mi ci vollero un paio di
secondi, prima di riuscire ad assimilare l’effettivo significato della sua
frase. Mi sollevai da terra e mi diedi un paio di colpi con le mani sui
pantaloni, per levar via la polvere.
- E’ il caso che vada.
Mi sentii agganciare all’altezza del gomito.
- Non ti sarai offeso, spero, - sussurrò pacifico. – Mi pare che nessuno dei
due abbia di meglio da fare, stasera, quindi non vedo cosa ci sia di male se
ci facciamo compagnia a vicenda.
Non era una proposta, la sua, ma l’esplicazione di un dato di fatto.
Ubbidientemente mi feci trascinare di nuovo giù.
Non sapevo dire con esattezza per quanto tempo restammo su quelle scale
gelide, a chiacchierare futilmente di tutto e di niente mentre sempre più
luci si spegnevano attorno a noi, e le voci altrui si riducevano a sussurri
soffocati. In realtà fu quasi soltanto lui a parlare, con quel suo tono
quasi bisbigliato che faceva pensare ad una nenia, alla soffice ed
ammaliante melodia di un incantatore di serpenti: le mie orecchie se ne
riempivano beate, felici di partecipare a quella farsa che sarebbe durata
giusto un paio d’ore, facendomi scordare della mano che si era posata
gentilmente sul mio ginocchio. Avvertivo appena il suo tiepido calore
attraverso la stoffa pesante.
- Guarda lassù! – esclamò ad un certo punto interrompendosi, con entusiasmo
infantile.
Per seguire il suo dito puntato verso il cielo i miei occhi gli percorsero
il braccio, e seminascosta sotto il polsino del maglione intravidi l’ombra
di una cicatrice a tranciargli la carne. Fui colto da un improvviso impeto
di tristezza; un groppo di malinconia mi chiuse repentinamente la gola. Era
come se qualcosa, di punto in bianco, avesse arpionato il mio cuore per
trascinarlo implacabilmente verso il basso.
Feci appena in tempo ad intravedere il bagliore metallico del palloncino a
gas prima che venisse inghiottito dalle nuvole.
Non avevo mai tradito la mia ragazza, dalla quale in quei giorni ero stato
separato per causa di forza maggiore. Non avevo mai provato interesse verso
una persona del mio stesso sesso né pensavo che avrei mai finito col farci
l’amore, eppure non feci una piega quando quel ragazzo, in tutta
tranquillità, si propose di accompagnarmi fino in camera.
Fu strano in tutti i sensi. Gli dedicai premure che forse non avevo mai
concesso a nessuno senza domandarmene il motivo, vezzeggiando ogni singolo
centimetro del suo corpo con una lenta bramosia che normalmente mi era del
tutto inconsueta. Non rispose mai alle mie carezze se non facendo vagare le
sue dita sottili lungo di me ciecamente, le palpebre strettamente serrate e
il suo respiro irregolare a stordirmi i sensi, come una bambolina troppo
magra che si piegava docilmente sotto il mio corpo assecondandone forme e
torsioni… eppure per qualche motivo ero certo che, al contrario di me, fosse
già pratico di quel genere di situazioni. Quando lo feci mio mi si strinse
con tanta forza attorno alle spalle e ai fianchi da procurarmi quasi dolore,
ed io, forse troppo ingenuamente, mi chiesi a chi stesse pensando in quegli
istanti tanto intimi che pure aveva accettato di condividere con un estraneo
qualunque, come fosse stato alla disperata ricerca di un calore abbastanza
intenso da riuscire a frastornarlo almeno temporaneamente a prescindere da
chi provenisse.
Quando mi risvegliai ero solo e nudo, e passato l’intontimento iniziale mi
resi conto che assieme a lui erano spariti anche orologio, cellulare e tutti
i soldi che tenevo in camera. Mi ci volle un po’ prima d’inghiottire
completamente quel boccone amaro, anche perché mi vergognavo troppo per
spiegare agli altri nei dettagli come mi ero fatto ingannare, ma alla fine
superai anche questo e tornai alla mia vita di sempre convinto di essere
riuscito ad archiviare tutto, nel bene e nel male. Ecco perché non mi sarei
mai aspettato che il rincontrarlo dopo tanto tempo avrebbe potuto scatenare
in me la benché minima reazione emotiva, a parte magari una certa dose di
frustrazione.
Ad un anno intero di distanza da quella notte insonne l’avevo rivisto, che
passeggiava al dì la delle transenne contro cui la folla del concerto al
quale assistevo mi stava pressando. Era in compagnia di una ragazza della
sua età con la quale parlava fitto fitto: una fidanzata, o magari un’amica,
o anche una semplice sorella. Riuscii a distinguere dentro di me un
turbamento non del tutto nuovo ma al quale mi consideravo poco avvezzo,
fastidioso eppure avvertito come inevitabile, una sorta di scossone che
vibrò in tutto il mio corpo assieme al rimbombo della musica ad alto volume
che saturava l’ambiente.
Il destino volle che i nostri occhi s’incrociassero. Il suo sguardo rimase
fisso nel mio per un secondo, poi passò oltre, del tutto limpido da ogni
sorta confusione.
Un passante frettoloso mi urtò, riportandomi bruscamente alla realtà.
Sospirai, e finalmente ripresi il mio cammino seguendo la via in pendenza.
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