Leggeri

di Kuso Baba

*fic in gara al Concorso Original & Slash del FORUM YSAL

 

Ti amo

Ti amo

Ti amo

Ti amo


Ogni oscillazione del trapezio mi porta a scandire mentalmente questa frase. Ogni salto, ogni capriola, ogni gesto mi riconduce al tuo sguardo che da terra si schioda per elevarsi al cielo. Ha finalmente capito che sono fatti della stessa materia. Un azzurro limpido, il colore della serenità. I tuoi occhi sono incollati al mio esile strumento di meraviglia, e ogni sua oscillazione rimanda la mia mente a quella frase, come i grani di un rosario all’Ave Maria. Ti amo, Jacques. Ti ho amato fin dal primo giorno, ma tu non puoi saperlo. Tu avevi altri pensieri per la testa, allora. Eri un giovane apprendista, correvi da un tendone all’altro di questo circo con quel miscuglio di panico, ansia ed entusiasmo proprio dei principianti. Mi sono fermato ad osservarti spesso, durante le lunghe ore in cui ti esercitavi a domare il tuo corpo flessuoso (seppur acerbo e scarno), in cui lo guidavi con pazienza ad assumere le pose che il tuo istruttore ti chiedeva di ripetere all’infinito. Tu sei sempre stato troppo paziente, Jacques, e io troppo scostante. Ti ho sempre preso in giro perché sei pallido e minuto, con troppi capelli e poca carne. Già. Troppo poca per chi, come me, la brama ardentemente… lo sai che del tuo corpo non ne ho mai abbastanza? Potessi, ti morderei anche l’anima. Ma mi accontento di rubarti il respiro, anche solo per brevi istanti. Curioso che ora sia tu a fissare me. Sei teso. So che sono troppo in alto per poter osservare nel dettaglio il tuo collo e le tue spalle, ma riesco ad indovinare lo stesso il pulsare della tua vena giugulare. Non so se lo sai, ma si ingrossa sempre leggermente quando sei sotto pressione. La prima volta l’ho notato mentre ti allenavi, la seconda mentre facevamo l’amore. Eri sul punto di raggiungere l’orgasmo, ed il tuo volto somigliava a quello di un Santo che stesse per avere una mistica visione. Sacro sacerdote del nostro amore, reliquia di un sentimento purissimo. Il nostro. E’ stato così bello possederti la prima volta! Ti sei stretto a me assumendo mille pose, mai sazio della mia vicinanza. Né io sono riuscito a saziarmi della tua. Ti ho fatto male quella volta, lo so anche se tu non hai mai voluto ammetterlo. E’ stata la fame d’amore a farmi agire così, d’istinto, quasi come un animale che si accoppi solo per ribadire il suo ruolo di maschio dominante. Io sono il tuo padrone, Jacques. E’ una cosa terribile da dire, ma anche profondamente vera. Lo sai perché sto pensando tutto questo? Perché sento che, nel profondo, anche tu sei dello stesso avviso. Mi piace quando ti abbandoni completamente a me durante il sesso, lo sai? In quei momenti mi tornano in mente le visioni dei tuoi esercizi che si sovrappongono ad altri parti della mia mente, dove tu sei il tuo corpo, i tuoi muscoli, le tue ossa lunghe e sottili (simili a quelle di un uccello) ed io la volontà che li guida. Tu non ti opponi semplicemente perché una qualsiasi altra alternativa non è nemmeno concepibile. Così come un corpo muore senza gli impulsi di un cervello che lo guidi, tu senza di me durante il sesso non hai ragion d’essere. Non puoi fare l’amore con nessun altro, non sapresti reagire ai suoi stimoli. Esattamente come le tue membra a quelli di un altro cervello. Non credere però che mi approfitti di questo fatto. Se tu fossi solo una marionetta non ti vorrei. Desidero ardentemente che tu ti rimetta completamente alla mia volontà ma non sarei mai in grado di privarti della tua. Non riuscirei neppure a volerlo. Essa è l’essenza stessa della vita, l’aria che respira la nostra relazione. L’aria di cui ti privo durante i nostri baci. Continua ad amarmi così, Jacques. Continua a farmi sentire vivo. Continua a penetrare nelle mie ossa durante ogni slancio, ogni torsione, perché solo così riesco ad avere la certezza che non sbaglierò. Perché solo così sento di avere un valido motivo per scendere intero da questa pedana.

Ti amo

Ti amo

Ti amo

Ti amo


***

Bernard, perché lo fai? Volteggiare senza rete, dico. Possibile che tu ancora non abbia capito quanto ti ami? Possibile che non te lo ripeta abbastanza spesso? Eppure te lo urlo ogni istante! Uso il corpo, la mente, l’anima. Tu sei la mia vita, Bernard. Il mio respiro. Quando volteggi sul trapezio manchi, ed io faccio fatica ad accettarlo. Sento che quell’arnese ti sottrae a me tramite una lotta in cui non posso competere. Perché ti comporti così? Perché non lasci che le mie parole ti leghino un po’ di più alla terra? Siamo uomini, non uccelli. Possiamo piegare il corpo alla nostra volontà ma non superare i limiti che ci sono stati imposti dalla natura. Quella di poter volare è solo un’illusione. Un pensiero che dura il tempo di un respiro trattenuto, del piegamento di un arto. Noi acrobati lo sappiamo bene. Giochiamo coi nostri limiti, eppure li rispettiamo in religioso silenzio. Io amo il mio essere acrobata, soprattutto da quando stiamo insieme. Sono perfettamente padrone del mio corpo, posso sentirne ogni singola parte con estrema lucidità. Riesco a percepire la scia umida dei tuoi baci sulla mia pelle tesa anche molte ore dopo aver fatto l’amore. Ricordo ancora la prima volta che mi hai posseduto. E’ stato stupendo. Non mi ero mai sentito così. Tu sapevi esattamente cosa fare e io sentivo di essere al sicuro. Io ti appartengo, Bernard, spero solo tu l’abbia capito quella notte. Te l’ho dichiarato col calore del mio corpo, il vero linguaggio di noi gente di circo. Versi di sudore, poesie fatte di volteggi, se dovessi esprimerti il mio amore a parole non saprei neanche da che parte cominciare. Credo che anche per te sia lo stesso, perché in fondo non ci parliamo più di tanto. E quando lo facciamo è soltanto per ribadire l’ovvio. Ma forse è così che funziona tra uomini. Sai, ora come ora mi viene da ridere. E’ assurdo, lo so, se lo facessi e tu te ne accorgessi mi prenderesti per pazzo. Ricordavo i miei primi mesi qui al circo, quando eri tu a fissare me durante gli allenamenti. Seguivi i miei esercizi con uno sguardo più attento di quello del mio istruttore. Forse non te l’ho mai detto, ma capii subito il perché. Sarà la convivenza forzata e prolungata con animali selvatici, ma ho imparato a riconoscere con una certa precisione gli istinti primordiali che si possono nascondere dietro determinate azioni. La tua voglia di possedermi mi è stata subito palese, più ancora che se mi avessi mostrato esplicitamente la tua erezione. Quello che forse non sai è che anch’io, da bravo animale tuo pari mi eccitavo percependo il tuo desiderio. A quel punto gli esercizi divenivano mute offerte, danze simboliche di un ancestrale rituale di corteggiamento.

Possiedimi

Questa era la mia implicita richiesta. E mi beavo all’idea che tu potessi essere d’accordo.

Possiedimi

Te lo chiedo ancora, sempre più bisognoso della tua presenza. Scendi da quel trapezio e ribadisci ancora una volta il tuo possesso. Io ti lascerò fare come sempre, anzi no. Più di sempre. Perché la paura è un nodo che mi unisce a te più strettamente dell’amore stesso e che la tua incoscienza stringe come l’acqua fa col cuoio. Te lo chiedo ancora una volta: Perché fai così, Bernard? Per ottenere il mio amore ti basterebbe molto meno…

***

- Che ne dici di cominciare a riscaldarti, Jacques? Questa sera siamo di spettacolo!-

La stretta di una mano su una spalla ed uno sguardo torvo lo ridestarono di colpo dalle sue meditazioni. Quel ragazzo biondo, dai capelli troppo folti comicamente impomatati e dalle esili membra color della porcellana aveva sempre provato soggezione nei confronti di Monsieur Malvaux. Alto, grosso, baffi neri, voce profonda e muscoli scolpiti da lunghi anni di esercizi, incarnava perfettamente l’ideale dell’atleta da circo. Lo aveva preso di malavoglia, lui che da un circo concorrente era fuggito.

Se sei scappato significa che non faceva per te

Questa frase era stata il suo incubo durante i primi due mesi lì. Era la pura verità, non poteva negarlo. Ma Bernard gli aveva fatto cambiare idea. Lo chiamavano “Albatro” per via del suo modo di volteggiare sul trapezio, con salti lunghi e movenze calibrate. Perfetto in ogni movimento. Perfetto da rimanere senza fiato. Perfetto come lui non sarebbe mai stato. Lui, il rachitico Jacques, “la marionetta”, come lo prendevano in giro. Un ragazzino effeminato dagli occhi troppo grandi e le braccia troppo lunghe, con un’ espressione malinconica che lo faceva somigliare ad un timido Pierrot. Un ragazzino che viveva in un mondo che amava e temeva allo stesso tempo, e che stava per essere travolto dal suo stesso folle sogno. Due ali, però, lo salvarono. Due ali lo aiutarono a volare oltre quel cupo periodo di depressione. Le ali di un albatro ironico e scostante che solo con quel ragazzino sembrava riuscire a trovare un po’ di calma. Una vita al limite, quella di Bernad. Salito su un trapezio troppo presto per capire che non era un gioco. Con quella magia di corda e legno lui ci dialogava come (e più) di un domatore coi suoi animali.

Il trapezio è una donna e lui ci fa l’amore

Questo pensavano di lui i colleghi ed il pubblico sotto a quel tendone. Ma lui le donne non le voleva, sapevano di profumo scadente e polvere. Non voleva neanche gli uomini, perché lui era un solitario e di litigare con altre “primedonne con gli attributi” proprio non gli andava. Però aveva voluto quello “scrocchia-zeppi”, come lo chiamava in maniera poco gentile il suo istruttore. E lo aveva conquistato a suo modo. Lo aveva provocato per stanarlo e poi si era precipitato su di lui come il più esperto dei rapaci. Jacques era il suo topolino, ne aveva bisogno per sfamare i suoi istinti. Come quella sera dopo lo spettacolo. Come le sere precedenti. Come tutte le sere in cui lui ne avrebbe avuto voglia.

- Dovresti ingrassare un po’ di più, sai? Rosicchiare ossa non è il mio forte!-
- Bene, allora prova a mordere un bicipite di Monsieur Malvaux! E’ lui che mi ordina di mangiare poco! Dice che più si pesa e più si fa fatica a fare gli esercizi!-
- Capirai, per quattro capriole! E se si fosse trattato di fare il trapezista che t’avrebbe detto, di campare d’aria? Ah, Jacques, tu gli dai troppo retta!-

Ma Jacques non rispondeva. Lo stava fissando con espressione severa, come mai aveva osato fare prima.

- Che c’è, ragazzo? Ti sei offeso?-
- Non mi piace.-
- Cosa?-
- Il trapezio. Non mi piace. Anzi, per essere più esatti, lo detesto.-
- Jacques, non ci provare. Non mollo il mio strumento per i capricci di un mocciosetto.-
- Allora il mocciosetto ti mollerà per i capricci di un pezzo di legno. Mi fa male vederti tutte le volte là sopra.-
- E a me fa ancora più male quando fai il cretino come adesso!-
- Addio, Bernard.-
- Piantala, idiota!-

La morsa della sua mano era sempre troppo forte, la pressione delle sue labbra insostenibile. Il copione si ripeté per l’ennesima volta.

- Ti odio quando fai così, Bernard.-
- Anch’io.-
- Perché mi fai tutto questo?-
- Perché io voglio tutto. E’ così che ha sempre funzionato.-
Già, era proprio così. Bernard non aveva mai saputo rinunciare a nulla, e tutto aveva preso (e preteso) con egoistica insolenza.

- E se io mi opponessi?-
- Non puoi farlo.-
- Come fai a dirlo?-
- Lo so punto e basta.-

Jacques cominciò a piangere sommessamente. Purtroppo, in cuor suo, sapeva che era vero. Non poteva opporsi a Bernard, perché era così che in cuor suo voleva. Pensare solo a se stesso gli faceva male, la solitudine aveva già rischiato di ucciderlo una volta. Ma non poteva neanche permettere che tutto andasse perduto senza fare nulla.

- Bernard?-
- …-
- Dicevi sul serio prima?-
- …-
- Davvero mi vorresti con te sul trapezio?-
- Davvero tu mi seguiresti fin lassù?-
- Se fosse l’unico rimedio per non soffrire più… ebbene sì, lo farei.-

Una mano gli arruffò i capelli scomponendone la ridicola scriminatura da una parte. I riccioli biondi, liberi dalle loro catene di brillantina gli solleticarono il petto.

- E’ facile, Jacques. Più di quanto tu non creda-
- Lo sai che ho fiducia in te.-
- Dovrai solo sentirti leggero, il resto verrà da sé con la pratica.-

Jacques annuì piano. L’idea di avere Bernard come maestro oltre che come amante lo riempiva di una gioia che non avrebbe mai creduto possibile. Riusciva davvero a “sentirsi leggero”, adesso.

- Ricorda: in volo, come nella vita.-

Bernard gli aveva letto nel pensiero…

- In volo, come nella vita.-

Il giovane acrobata ripeté quelle parole piano, cedendo lentamente al sonno. Il trapezio, ora, non era un più un suo nemico. Lo sentiva già una parte del suo mondo. Il suo silenzioso, ritmico oscillare cullava i suoi sogni come e più di una dolce ninna-nanna. Somigliava tanto ai battiti del suo cuore. Aveva lo stesso ritmo del suo respiro. Il respiro di chi dice “ti amo”. Il respiro di chi dorme lontano dalle ombre.