NOTE: dei tre personaggi di cui si parla qui, due sono miei, Cesare
soprattutto mi *appartiene*. Erich, invece, è della Marvel a cui vorrei
rapirlo (tanto loro lo trattano male!), ma fino ad allora i diritti
spetteranno ancora tutti a loro.
Fortunato
di Dhely
Ch'io cadrò morto a
terra
ben mi accorgo;
ma qual vita pareggia
il morir mio.
Sono fortunato.
Nel nulla che mi circonda, nel vuoto scuro squarciato solo qui e là di
piccoli e flebili puntini di luce io mi sento l'uomo più fortunato sulla
faccia della terra.
Stanotte ho fatto un sogno.
Stanotte t'ho sognato.
I tuoi occhi, i tui capelli. Bello, impossibile e impassibile come sempre,
colui che fu mio padre, mio amico, mio confidente, il mio dio, mi passò a
meno di un soffio e, sfiorandomi, non si voltò neppure.
Il suo sguardo di ghiaccio non si posò su di me, non diede neppure
impressione di avermi notato. Come sempre. Quante volte mi sono domandato
cosa fossi per lui? Nulla, a scrutar certi comportamenti, ma io so . . io ho
visto cosa brucia sul fondo di quegli occhi.
E nonostante avrei dovuto provare la solita angoscia disperata, affondando
contro l'iceberg del tuo non notarmi, nel sogno ero leggero. Non provavo
angoscia né dolore. Tu eri lì, potevo vederti . .
Aperti gli occhi, ho compreso.
Ti ho rivisto dopo tanti anni, eppure non sei cambiato di una virgola. Sei
sempre bello, sempre arrogante, sempre irraggiungibile per chiunque di noi.
Irraggiungibile per me.
Io che posso limitarmi a guardarti da lontano, sollevando gli occhi da terra
e cercare in quel cielo siderale una luce fredda e forte come quella che si
sprigionava da te.
Dal tuo spirito.
Dai tuoi occhi trasparenti, alieni, diamanti appena azzurrati dietro ai
quali esplodeva perenne una supernova.
Sono fortunato, perché io, quegli occhi li ho visti davvero. Non li ho solo
sognati. Non li ho solo immaginati. Non li ho solo intuiti.
Erano lì, a un passo da me.
E a volte hanno bruciato per me e su di me.
Gli occhi azzurri di tua nipote non possono neppure lontanamente pareggiare
i tuoi. Come paragonare una fonte di montagna con un'acqua venduta in
bottiglie di plastica in un discount. Certo, sempre acqua è . . sempre
occhi azzurri sono, ma . . ma manca lo spirito, questo lo sai.
Questo tu lo sapevi.
Lo sapevi anche prima che capitasse tutto, prima che mi prostrassi ai tuoi
piedi chiedendoti perdono perché quel che provavo dentro era sbagliato,
osceno. E tu che già non potevi più rispondermi . .
Ti sei limitato a passarmi accanto senza guardarmi, senza voltarti.
Quanto tempo è passato da allora? Dall'ultima volta in cui non mi hai
guardato?
Anni.
Anni lunghi, eterni, che sono passati in un soffio, che mi hanno portato ai
quattro angoli della terra e anche più in là, eppure ora sono ancora qui,
sono sempre qui.
Al tuo cospetto. Al cospetto del tuo ricordo, se non del tuo corpo, e
attendo, come sempre, un commento che mi indichi se ciò che ho fatto è
secondo i tuoi desideri o se ho sbagliato. Ma la tua voce non viene.
Mi passi accanto e non ti volti.
Ma io sono fortunato.
Perché quei capelli chiari come fili di platino io li ho visti davvero. Ho
passato una mano fra di loro, non ho solo immaginato di farlo. Non li ho
intravisti sul fondo di un corridoio luccicare appena nella penombra.
Li ho avuti qui, sulle dita. Ho sentito la loro morbida consistenza.
L'unica volta in cui ti ho visto . . fragile? No, non eri fragile. Eri a
terra, senza vita, ma non eri fragile.
Non eri neppure sconfitto. Sul tuo bel volto era disegnato un sorriso di
vittoria, soddisfatto.
Eri solamente . . dove volevi essere.
Ti ho tenuto fra le braccia, io.
Le mie mani hanno stretto il tuo corpo forte.
Le mie dita hanno carezzato quel volto disteso.
Le mie labbra hanno sfiorato le tue, ancora calde.
E ho pianto, ma non per te. No.
Ho pianto per me.
Una volta sola la fortuna m'aveva concesso di averti fra le braccia, e
sapevo, con assoluta certezza, che non ci sarebbe mai stato un seguito.
Il sogno mi si stava dissolvendo fra le dita e non potevo far nulla per
trattenerlo. Era come cercare di afferrare la nebbia.
E ho pianto per me, perché non potevo trattenerti a me.
Per l'ultima volta tu m'eri passato accanto, e non t'eri voltato.
Non i tuoi occhi su di me, no.
Non il tuo respiro addosso, no.
Non le tue mani a sfiorarmi, no.
Nulla, solo io a stringere un sogno, un desiderio fatto di vento e di
palpiti di cuore.
Ora ho un uccellino fra le braccia, ossa sottili e leggere, occhi luminosi,
sorrisi lenti e lunghi e risate . . sì. Risate. Per me e con me.
Lui ride e io sorrido, ogni tanto.
Quell'uccellino è dolce e leggero. Ci sono le sue mani su di me, i suoi
baci, le sue carezze. Ma non basta il suo tocco a cancellare il desiderio.
Non basta lui, la sua bellezza incantata per far dileguare gli spettri, il
passato.
La sua luce è troppo flebile.
Vorrei farti sentire quanto è inutile questo assurdo dolore che mi buca il
petto, a volte.
Poi ci penso, e lo so di essere stato fortunato.
E lo penso e il fiato mi muore nei polmoni, e la gola mi si stringe in un
nodo, e gli occhi troppo aridi aspettano una lacrima che non verrà, e alle
mani salde sfugge un tremito. E sorrido.
Sorrido al nulla che ho di fronte a me e a tutto quello che riempie il mio
cuore.
Sono fortunato, io. Ho ricordi, tuoi.
Ho momenti, nascosti dentro di me, che tesaurizzo come fossero più preziosi
dei diamanti.
Ho l'eco della tua voce nelle orecchie. Ho, impressi nelle retine, i tuoi
gesti rari e secchi. Ho ancora il tuo profumo nelle narici, sulle mani, sul
corpo.
Il tuo ricordo è una catena che mi tiene legato, è una benda che mi
avvolge togliendomi il fiato, è una nebbia incantata che mi possiede
sempre, giorno e notte.
Sono fortunato.
I tuoi occhi, il tuo corpo, il tuo peso, il tuo profumo . . ti ho tenuto fra
le braccia . . queste mie mani ti hanno toccato . . ho parlato con te. Tu
hai parlato con me.
E tremo anche ora al ricordo.
E le stelle, fuori da questa ampia vetrata scintillano con più forza.
Improvvisamente il cuore mi si fa leggero. Di colpo. Come quando cambia il
vento in primavera. Come quando, a Roma, il travertino assume una sfumatura
rosa e incantevole, simile al corallo più pallido solo perché una nuvola
leggera ha velato per un attimo il sole d'ottobre. Come una gitana che danzi
e danzi su una musica densa e ritmata che spacca il cuore.
Il mio angelo, ora, dietro di me, mi chiama. La sua voce è gentile e
sottile, educata e sorridente. La sua mano mi sfiora leggera una spalla.
Non mi serve voltarmi per sapere che lui è lì, per essere sicuro del suo
amore, per sapere che non mi lascerà mai, per *fidarmi* di lui.
E non mi volto. Non gli rivolgo la parola. Non lo guardo. Non lo tocco.
Non ho bisogno di guardare quegli occhi per conoscerli. Non ho bisogno di
passare una mano fra quei capelli, non sento necessità di sentirlo parlare,
o di rispondergli.
Tutto è, semplicemente, come deve essere.
Gli passo accanto e non mi volto.
Sono fortunato.
FINE
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original Fictions
|
|