DISCLAIMER: I personaggi sono miei, anche se Djevel rivendica il possesso di Asar -_-‘’.
Kian e Djevel sono di Pam_chan e ringrazio il mio amore per averli creati e per avermeli prestati ^*^. Una mosca di nome Asar dice che Djevel è suo, ma non fateci troppo caso -_-‘’
I Clan vampirici e tutte le 'regole' del mondo di tenebra sono copyright “Vampire The Masquerade” gioco di ruolo della White Wolf Game Studio.
NOTE1: Questa… cosa… non so come definirla altrimenti, è nata come seguito di Bring me to life, ma scrivendola ha preso una piega imprevista, e per ovviare al fatto che chi non ha letto l’atra non capirebbe un tubo, l’ho resa indipendente dalla prima, quindi chi la legge avendo letto l’altra potrebbe trovare delle cose che già conosce, e per questo mi scuso ^^
NOTE2: Piccolo riassunto sui termini ‘tecnici’. La frenesia è uno stato di incoscienza in cui la parte animalesca (denominata Bestia) che alberga in ogni essere vivente ed in particolar modo nei vampiri, in quanto in loro incarna il marchio che la morte ha lasciato per non aver potuto prendere le loro anime con il trapasso, prende il sopravvento sull’io cosciente portando ad una condizione in cui l’istinto ha il sopravvento e la ragione va a farsi benedire, lasciando che l’individuo che è in frenesia si comporti senza alcun freno, razionale o morale che sia.
Asar, così come Djevel, appartengono al clan Gangrel, ed una delle particolarità del loro clan è quella di venir marchiati dalla Bestia, dopo essere stati in frenesia, con un segno animalesco (coda, zoccoli, lingua da gatto o serpente, cosine di questo tipo insomma ^^). Le altre caratteristiche di questo clan sono la comprensione del linguaggio animale (con la possibilità di imitare i suoni da loro emessi e poterci quindi dialogare) e la trasformazione in vari elementi naturali tra cui nebbia e addirittura forma animale (le metamorfosi più usuali sono quelle che vedono il vampiro mutarsi in lupi o pipistrelli).
Il legame di sangue, inoltre, è un legame che si crea quando un vampiro beve il sangue di un’altra creatura della notte in tre notti differenti. Il rapporto che si crea è di dipendenza totale, di amore (quando è, come in questo caso) reciproco, ma può portare, anche ad odiare la persona a cui si è legati.
Per chi non lo ricordasse Asar è norvegese, e Vikna è la sua città natia.
NOTE3: Se voleste avere una colonna sonora per leggere questa storia vi consiglio “Superstiti” di Raf, oltre ad essere bellissima, è assolutamente perfetta come canzone che Djevel potrebbe dedicare a Asar.
RINGRAZIAMENTI: Un grazie specialissimo a Pam-amore che mi ha dato tutte le risposte di Djevel che trovate nella fic… tutta la sua saggezza è farina del sacco del mio amore *_*
Un altro ringraziamento grandissimo va a Tesla-cognatina e Carlo-tesoro perché hanno letto in anteprima la fic e mi hanno dato i loro preziosissimi consigli ^*^
DEDICHE: Alla mia piccola, in mostruoso ritardo per il nostro anniversario ^*^, perché questo sia stato il primo di lunghi, lunghissimi anni felici insieme, perché ora la mia vita ha davvero un senso.
For your eyes only
di Sakuya
Djevel è fuori a caccia, io sono davanti al computer…
Pochi mesi fa ero qui con qualcun altro… ed anni fa… con qualcun altro ancora…
Accendo la radio, giro per un po’, poi finalmente una canzone che però sta finendo.
Dopo qualche istante ecco partire le note di una nuova canzone…
Per un attimo mi blocco… Bring me to life…
No, è tutto passato, ormai non sento più niente, ormai… posso sorridere al ricordo…
Cento anni fa ho conosciuto un uomo, un vampiro come me…
Mi sono innamorato di lui e lui di me, ma… ogni volta che eravamo felici, ogni volta che mi sembrava di poterlo possedere davvero, lui se ne andava, scappava da me… da noi…
A suo modo mi amava, e mi ama tutt’ora credo, ma non era l’uomo adatto a me, nonostante io credessi che lui fosse il cuore che avevo perso con la morte.
Avevo 22 anni quando sono morto, la notte del 31 dicembre di 229 anni fa, il mio sire ha deciso che ero pronto, che dovevo essere consegnato all’eternità, senza che io volessi, senza che sapessi, senza che capissi. Per questo lo odio, ma soprattutto per quello che ha fatto dopo. Ha ucciso tutta la mia famiglia, i miei fratelli con le loro famiglie, anche i miei nipotini, e ovviamente i miei genitori e tutti i nostri servitori. Si è detto che era stata una disgrazia, perché, da persona intelligente, ha dato fuoco alla casa in cui la festa di capodanno si svolgeva, casa di mio fratello maggiore. E poi, come ciliegina sulla torta, chi è stato il mio primo pasto? Mio fratello minore…
Avevo un fratello ed una sorella maggiori, e poi c’era il piccolo di casa, Christian. Aveva solo 16 anni… era dolce, io l’adoravo…
Ero un conte, ero uno studente di veterinaria, avevo una famiglia, e all’improvviso… non avevo più nulla… solo… un corpo morto ma che si muoveva ancora, e l’eternità davanti, nessuna possibilità di fuga, niente se non la Morte Ultima… ma poi… come mi sarei giustificato con chi era morto per colpa mia?
E così… mi sono rimesso in piedi, ho aspettato che Kristof, il mio sire, mi dicesse che ero pronto per affrontare il mondo da solo, e poi ho cominciato a vagare… senza una meta precisa, in tutta l’Europa, tornando di tanto in tanto qui in Norvegia.
Ad un certo punto ho cominciato a frequentare un villaggio di pescatori che si trovava non troppo distante dalla tenuta, era gente a posto…
Dichiarai quel posto mio territorio di caccia, così da essere sicuro che nessuno facesse niente a quelle persone così gentili. Peccato che questo sia stato un errore, un errore molto grave. Kristof aveva, ed ha, diversi nemici, che si sono andati ad accumulare nei secoli. Lui non ha mai fatto mistero di quanto fosse orgoglioso di me, anche perché l’altro suo figlio, Eirik, era da tempo divenuto completamente indipendente e non voleva avere più niente a che fare con lui. Io ero un divertimento per lui. Facendosi forti di questo, tre suoi nemici si sono coalizzati e per lasciargli un avvertimento hanno distrutto il ‘mio’ villaggio, mentre io ero via per un viaggio.
Da quel momento ho capito che dovevo farmi giustizia da solo, nonostante il mio odio per Kristof fosse aumentato notevolmente. Sono riuscito a trovare uno di quei tre e ad ucciderlo... sono stato male per questo, ma solo perché le mie mani erano sporche di sangue, nonostante il desiderio di vendetta e l’odio fossero troppo forti per far nascere anche il minimo senso di colpa.
Ho trovato, dopo lunghe ricerche, uno dei due rimasti. Non avevo fatto i conti col fatto che potesse essere più vecchio e potente di me. Lo era.
Non so come sia riuscito a sopravvivere, ma l’ho fatto. Sono ‘solo’ andato in frenesia, poi in torpore per le ferite riportate. Al risveglio, dieci anni dopo, ho deciso di integrarmi con la società che cambiava, e intanto diventare più forte per poi prendermi una duplice vendetta.
Fu allora che conobbi lite (così lo chiamavo io) [Lite in norvegese significa piccolo ndSaku]… quello che credevo essere il mio cuore… credevo che lui fosse quel cuore che tanto disperatamente cercavo sin dalla mia morte.
Siamo stati insieme per novantotto anni, anche se in molti periodi siamo stati separati, perché lui pensava bene di andarsene e lasciarmi solo.
Ogni volta in cui mi svegliavo e lui se n’era andato, oppure quando lo vedevo cominciare a preparare le valige… quegli attimi sono stati sempre tremendi, soffrivo tantissimo. Ma ogni volta che lui tornava, ricominciava la nostra storia, che io credevo essere la sola strada che mi fosse concessa, credevo fosse quello l’amore.
Circa sette o otto mesi fa l’ho lasciato, dopo essere tornati insieme dopo una separazione di undici anni, per mettermi con un altro, un ragazzo che avevo conosciuto da pochi mesi e che credevo fosse la mia anima gemella.
Sbagliavo di nuovo, e molto.
Tutto è andato a rotoli, non so nemmeno bene perché, e non riesco ancora a capire da che punto le cose hanno cominciato a peggiorare.
Fatto sta che sono tornato qui, a casa mia, con la ferma intenzione di morire… e stavolta per sempre, così che non rimanesse altro che cenere di me, così che anche la mia anima sparisse per sempre.
Ora sono rinato, e tutto questo lo devo all’incontro con il mio Djevel.
Come se lo avessi evocato lui entra nella stanza e mi abbraccia da dietro, rimanendo in piedi alle mie spalle e guardando il computer come se fosse un mostro cattivo. E’ così dolce…
“Bentornato…”
“Grazie.”
“Senti… ti spiace se chiamo Kian? Poi sono tutto tuo… sai… ho sentito una canzone alla radio… era quella che…”
Lui non mi fa finire e mi bacia con la solita possessività e passionalità. E’ così travolgente da lasciarmi senza alcuna forza, ho solo la voglia di abbandonarmi tra le sue braccia, ed è questo che faccio.
“Tu sei mio.”
Semplice e chiaro, Djevel è così.
“Certo che sono tuo! Quindi ora sta buono un attimo e poi ti faccio vedere QUANTO sono tuo…”
Un sorriso malizioso mi increspa le labbra, ma lui quasi non lo nota, perso com’è a mangiarmi di baci ardenti e passionali sul collo, prima di gettarsi nuovamente sulle mie labbra e fonderle con le sue. Questa sarà una notte moooolto calda…
“Sbrigati…” Il suo tono roco e sensuale è tremendamente eccitante, e devo fare uno sforzo sovrumano per cercare di tenere a freno gli ormoni… quali ormoni poi, non lo so, ma nonostante sia morto lui li ha risvegliati tutti…
Prendo il cellulare e compongo il numero, ma niente, è irraggiungibile. Provo a casa, e non risponde nessuno.
O non c’è… oppure è impegnato con il suo Mattia, cosa che ritengo altresì molto probabile.
Faccio un mezzo sorrisino a me stesso e mi metto di nuovo davanti al portatile, deciso stavolta a mandargli una mail, ci metterò poco, sarò velocissimo e poi… e poi potrò trovare il mio posto, il mio completamento… facendo l’amore con l’uomo che amo e che ora so essere il mio unico, vero, e solo compagno, l’unico che mi fosse realmente destinato.
Un anno fa, meno di un anno fa, pensavo che tutto fosse cambiato, o che almeno parte della mia vita lo fosse, ed invece, no, non è cambiato nulla… almeno, non fino a qualche settimana fa.
Forse penserai che cambio idea facilmente, o forse, solo che voglio che tutto si sistemi, forse, penserai che voglio trovare una via d’uscita, o forse, solo qualcuno che attenda me, e me soltanto.
Ho creduto che questo fosse avvenuto per ben due volte, in due occasioni distinte e per due ragioni diverse sono stato sicuro di aver trovato il mio posto nel mondo, il luogo che attendeva solo per me per essere perfetto, e con esso, una persona la cui anima fosse in attesa della mia, per sentirsi, finalmente e pienamente, felice e completa.
Entrambe le volte ho sbagliato.
So bene, amico mio, che conosci alla perfezione queste cose, ti ho parlato molte, moltissime volte dei miei sentimenti, e ovviamente, dei pensieri ad essi collegati, ma stavo lavorando, ad un programma alquanto semplice per altro, e ho messo la musica… indovina un po’ cosa passavano alla radio?
Bring me to life degli Evanescence. Ti ricordi che ti avevo detto che era la canzone mia e di… quello lì? Sì… te l’avevo detto, e ti avevo raccontato cosa era successo quella sera nel locale in cui suonava. Beh… mettermi a pensare a tutto quello che è successo negli ultimi mesi è stato inevitabile, non trovi?
Ho provato a chiamarti ma a casa non ci sei e il cellulare dispensa quella vocetta artefatta che mi comunica che non sei raggiungibile… e allora perché non usare il computer per qualcosa che non sia lavorare?
Mi manchi sai? Non mi manca Venezia invece, è una città bellissima, ma… troppi ricordi, lo sai… non so se tornerò, più che altro perché temo che Djevel farebbe una strage, ma soprattutto perché lui non è fatto per vivere in città…
Non ti ho raccontato ancora nulla di lui, ti ho solo detto che stavolta ne sono certo, che questa è la volta buona, tu mi hai chiesto se ero felice, e al mio sì in risposta non mi hai fatto altre domande, ti avrei raccontato io tutto quanto quando fossi stato pronto, questo era sottointeso nel tuo silenzio.
Bene, ora sono pronto, pronto davvero.
Tempo fa mi dicevo che sarei andato incontro alla Luna vivendo notte dopo notte nella speranza che tutto continuasse così come era.
Ma perché aspettare e sperare in qualcosa di immutabile, quando il tempo per noi, non è altro che una sciocca convenzione? Vogliamo forse tediarci ed incattivirci, diventare uno di quegli anziani potenti ma tremendamente annoiati? Io non voglio, e credo che lo stesso valga per te, visto che penso di conoscerti benino signor Kian Delacroix.
Essere il mio migliore amico non è una gran cosa, mi spiace, soprattutto perché devi sorbirti tutte le mie lamentele, la mia depressione, i miei dolori, però se mi vuoi bene almeno la metà di quanto te ne voglio io a te, beh, allora sarai felice di sapere che per una volta ti parlo di felicità, gioia allo stato puro… sembra strano, ed effettivamente nei primi giorni è stato difficile, soprattutto per me, capire cosa esattamente stesse succedendo. Per Djevel no, lui ha avuto le idee chiare sin dall’inizio, da subito lui sapeva cosa voleva, e soprattutto, è come se lui abbia la soluzione per ogni cosa. So bene che non è così, ma è bello avere al proprio fianco qualcuno che sembra voler dimostrare con tutto se stesso che tiene a me con qualcosa di diverso dalle parole… anche perché… dubito di aver mai incontrato qualcuno che fa un così scarso uso delle parole e della sua voce.
Beh, del resto è ovvio. Vedi, lui era figlio di un cacciatore e da sempre, da quando è divenuto un vampiro, è vissuto nei boschi, raramente ha avuto a che fare con gli umani, e quando, come adesso, è in casa con me e guarda fuori dalla finestra, mentre la sua coda si agita nervosamente, so che quello che vorrebbe è uscire fuori e fondersi letteralmente con la terra, per ritornare al nostro elemento naturale, ma rimane qui con me… credi che uno di loro abbia mai messo se stesso dopo di me? Che io mi ricordi, no…
Ah… non ti avevo detto che Djevel ha la coda vero? Sì, una bellissima, folta e morbidissima coda da lupo, lascito della frenesia causata da un violento combattimento contro un fratello di clan. Io ho le orecchie a punta, lui la coda… dici che insieme formiamo un lupo intero?
Sono diventato scemo, vero? Sì, probabile… o forse è solo lui che mi fa bene…
Forse, farò una cosa noiosa, ma credo sia meglio ti racconti tutto dall’inizio…
FLASHBACK - Vikna, alcune settimane prima
Sono giorni che non mangio, ma che senso ha nutrirsi ora come ora? Non ne ha davvero nessuno.
Mi è successo tante volte, tante altre volte ho pensato di aver sbagliato, ho pensato che la persona che amavo se n’era andata e se questo era successo era stata solo colpa mia, ma stavolta… è tutto diverso.
Non so se sono io ad aver sbagliato, o forse sì, ho sbagliato, ma solo nello scegliere qualcuno così, solo nel tradire chi pensavo di amare e che ora mi sembra di odiare.
Si può odiare chi si è amato per quasi cento anni? Evidentemente sì, perché ora, quello che provo, è solo odio, amarezza, rancore e desiderio di porre una fine a tutto, a tutto quanto, niente escluso.
Voglio che il dolore passi, voglio che il nulla sparisca, voglio smettere di esistere.
E tutto questo perché? ‘Semplicemente’ perché mi sono accorto di aver commesso un errore gravissimo cercando di darmi via così, come fossi un pezzo di poco valore.
Non sono un cavallo di razza, sono un ronzino, o forse un mulo da soma, ancora devo capirlo bene, ma di certo, non merito di essere trattato così, come fossi un lebbroso… anche se forse questa è la punizione per tutto quello che fatto dalla notte della mia morte fino ad oggi.
Più di duecento anni di errori, uno dopo l’altro, una serie pressoché infinita di sbagli, verso la mia famiglia, che io ho contribuito a distruggere, verso le persone di cui mi sono nutrito, verso il villaggio che non ho protetto da tre pazzi che credevano bastasse prendersela con qualcosa che mi apparteneva, per colpire quel bastardo di Kristof, ma soprattutto, tutti quelli che ho fatto verso me stesso, donando la mia anima, o quello che ne era rimasto, a chi non la voleva davvero, credendo che bastasse regalarla perché qualcuno la possedesse. Sbagliavo. Se non si vuole qualcosa, non ha importanza che venga regalata o che la si conquisti, finirà comunque in un angolo.
Cosa è successo di così grave?
Nulla, semplicemente la persona che credevo di amare e che credevo mi amasse, quella che credevo essere stata creata appositamente per me, quella per cui ho tradito e lasciato quello che credevo essere il mio cuore, mi ha abbandonato sulla soglia di una chiesa che non riuscivo ad attraversare.
Troppa Fede, i sensi di colpa per quello che sono, ossia un abominio contro Dio e la Natura, sono stati più forti, ma lui doveva entrare… doveva seguire una pista, doveva rintracciare dei Cacciatori di cui non gli importava nulla… perché? Non lo so… ma fatto sta che ha scelto una battaglia senza motivo a me.
Colpa della sua natura egoista e combattiva? Forse… O forse, più probabilmente, colpa mia che non ho saputo capire.
Non era nemmeno lui.
Gli avevo regalato una catena con il lucchetto, come quella di Sid Visciuos, ed io avevo la chiave… quella chiave ora è nella mani di un corriere espresso che la sta riportando al suo legittimo proprietario, perché non ha senso possedere il cuore di qualcuno che lo rivuole indietro.
Quello stesso corriere porta anche due fedi, simbolo di un amore che forse non è mai esistito ad una persona che amavo ma che ora odio.
Pensieri senza senso i miei, dovrei decidermi a farla finita, dovrei chiudere per sempre con il passato, dovrei vedere l’alba, è così tanto che non la vedo… troppo…
Quando ero vivo mi svegliavo appositamente per poterla ammirare, e guardavo anche il sole scendere nel mare, perdersi nel suo blu, ammattandolo di rosso.
Ero affascinato dai mille colori del cielo al tramonto, lo ero dal sole che diveniva rosso… forse era un presagio, forse il mio destino già segnato rivendicava il suo marchio su di me, lanciandomi segnali che potessero farmi capire che la mia ‘vita’ sarebbe stata guidata dal sangue.
La mia mente vaga, libera ed incontrollata, tra pensieri e ricordi.
Sembra ieri quando incontrai il mio cuore… o dovrei chiamarlo ex-cuore? Un sorriso amaro mi sale alle labbra, e ricordo un ponte, una notte di luna e lui… i suoi occhi come stelle che sembravano voler illuminare la mia strada fino ad allora buia. Ha impiegato una sola settimana per rompere le mie resistenze, solo sette giorni perché pronunciassi la mia condanna a morte: “ti amo”.
E poi, quasi un secolo fatto di addii e partenze, fatto di baci, passione, attimi che credevo essere di gioia pura e poi dolore, dolore senza fine quando lui se ne andava, o quando ero solo e cercavo i suoi occhi perché credevo che in essi avrei trovato la soluzione.
Mai nessuna soluzione, mai una parola che fosse di reale conforto, di reale aiuto, nonostante sul momento mi sembrasse che ogni sillaba fosse Vangelo, è scaturita da quella bocca che credevo essere fatta di petali.
E adesso? Che fine ha fatto tutto quell’amore? Non lo so, si è perso nelle nebbie del tempo, o forse, si è tramutato in quello che un legame di sangue tramuta l’amore: un odio così forte da far paura.
Dubito che potrei mai nuocergli, ma spero di non rivederlo mai più, soprattutto spero di non vederlo piombare qui, una volta che avrà ricevuto le fedi, perché dubito che potrei sopportarlo.
Lui come vivrà tutto questo? Crede che tornerò strisciando da lui? Crede che fra un secolo o due sarà di nuovo tutto uguale, con lui che scappa quando crede che ormai siamo troppo legati, quando crede di perdere se stesso perché non c’è un limite tra dove finisco io ed inizia lui?
Che lo creda pure se questo lo fa stare tranquillo, dubito che accadrà mai, per due motivi principali: il primo è che non so se ‘vivrò’ ancora a lungo, il secondo è che, qualora per un qualche strano caso del destino decidessi di prolungare la mia agonia ancora, lo farei da solo, in perfetto ed assoluto isolamento, lontano da tutto e tutti.
Ci sono ancora due persone a cui tengo e che mi dispiacerebbe non vedere di nuovo, Kian, quello che in poco meno di un anno si è dimostrato essere un amico prezioso ed unico, e Kahir, il mio piccolo fratellino, quello che considero come un figlio, ma che ormai, considera un padre qualcun altro. L’ho affidato a nostro fratello maggiore, perché in queste condizioni non potevo prendermi cura di lui, ed ora sta bene a casa di Eirik. Del resto, è giusto così, l’ho trattato come un pacco postale, l’ho sballottato qua e là solo perché non avevo abbastanza forza per reagire e tirarmi su, almeno per lui, è giusto che abbia trovato la sua famiglia altrove. Non soffrirà poi molto se anche io muoio, e se anche lo facesse, ha molte persone che gli vogliono bene, adesso.
Kian… lui soffrirebbe di certo, ma ha il suo Mattia vicino, l’amore permette di superare ogni dolore ed ogni prova, e di sicuro, la perdita di un amico, o anche di un fratello, titolo che non credo di meritare, si può superare quando si ha il proprio compagno a fianco.
Quando penso a questo… invidio Kian, quell’invidia che ti prende quando vedi qualcosa che sai non potrai avere mai: stabilità, serenità, fiducia incondizionata… amore…
Ecco un altro sentimento meschino che si aggiunge alla lunga lista di quelli che sono i miei sentimenti attuali.
Sto scivolando sempre più giù… sempre più a fondo, in un abisso di disperazione dal quale non so se voglio tirarmi fuori.
Mi era già successo, mi è successo tante volte, ed in ogni altra occasione ho fatto finta che c’era ancora un motivo per andare avanti.
Ma ora?
Ora c’è ancora qualcosa che mi spinga, qualcosa per cui valga davvero la pena continuare ad esistere, in questo mondo di disperazione e dolore, dove tutto quello che mi prospetta il futuro è un tempo pressoché infinito fatto solo di ricordi amari, rimpianti per azioni non compiute o per altre che invece sono state fatte con la certezza di essere giuste, ma che si sono rivelate essere alcuni dei peggiori errori che si possano compiere?
Ho visto il mondo cambiare, ho visto gli amici rivelarsi solo fuochi di paglia, ho visto chi amavo morire, ho sentito dire che tutto passa, ma a volte il dolore, quello non passa.
Ho visto chi amavo tradirmi, in vari modi e per ragioni diverse, ed ho sempre trovato loro una giustificazione, ho visto le persone che contavano andarsene, lasciandomi come sempre solo, solo nel mare in tempesta che è la mia esistenza.
Piatto vuoto costellato solo di partenze...
Forse dovrei andare a fare un giro per questi boschi che circondano la mia tenuta, il luogo in cui, fin da bambino andavo a giocare e a nascondermi, teatro di ogni fase della mia vita… e anche del mio passaggio alla non-vita.
Forse dovrei dire addio agli alberi, agli animali, ad ogni cosa…
Di certo loro non sentiranno la mia mancanza, ma almeno, non potrò dire di non averlo fatto… ma non stasera… non oggi… domani…
Rimando forse perché, in fondo, so che non è ancora giunto il tempo di abbandonare ogni cosa, o forse, più probabilmente, perché da perfetto vigliacco quale io sono, ho ancora una scusa per dire che ancora non posso vedere l’alba… ancora… ma per quanto?
Apro gli occhi mentre una civetta canta sul ramo di un albero vicino. Tra poco si alzerà in volo, libera di andare dove vuole, senza nessun legame che la trattenga, senza nessun pensiero che l’angusti.
I lupi, i falchi, e tutti quegli animali che creano coppie stabili che durano tutta la vita… sono liberi anche loro, nonostante il fatto di avere un compagno che li segue fino alla fine dei loro giorni possa sembrare ad alcuni una peso immenso.
Io credo che siano i più fortunati. Una volta trovato il loro compagno, sanno che non lo lasceranno più andare, sanno che la loro vita avrà termine con la sua, ed allora sono liberi di fare tutto quello che vogliono, di dimostrare il loro amore in ogni modo, di proteggere il loro compagno, di restargli accanto ed aiutarlo.
So di stare applicando clichè ed idee umane a degli animali, a degli esseri meravigliosi, che peraltro, sono liberi da stupide convenzioni sociali, modelli di comportamento e per cui la vita è semplice, ma… non credo di essere un Gangrel a caso… solo di questo ringrazio Kristof, di appartenere all’unico clan che credo essere vagamente degno di infestare il mondo, forse perché i suoi membri, almeno all’apparenza, sono gli unici che pongono la Natura e la Terra prima di ogni altra cosa, compresi i loro stessi interessi.
Dovrei fare l’animalista o il veterinario, invece del programmatore informatico, ma… forse non ho abbastanza coraggio nemmeno per seguire la mia strada o anche solo i miei sogni.
Poco importa ora come ora, mentre mi alzo e mi preparo, jeans sdruciti e una maglia qualsiasi, un lungo cappotto a coprirmi e difendermi dal gelido inverno norvegese, un solo pensiero ha importanza… o forse, è un ricordo… il sole che si leva lentamente all’orizzonte, e con i suoi raggi rischiara ogni cosa, eliminando ombre ed oscurità, perché la sua luce da’ vita e purifica… quello che farà con me, purificando la mia anima lorda e ridandomi la vita che non ho più… almeno nella morte, forse, sarò libero…
Mi siedo ai piedi di un albero, chiudo gli occhi ed ascolto il rumore del silenzio, i fruscii del bosco, gli ululati dei lupi, tutto quanto mi sembra essere stato creato per uno scopo, fosse anche solo per spaventare gli incauti che si avventurano in una terra non loro.
Ed io? Che ragione ho io d’esistere?
Un rumore leggero attira la mia attenzione, apro stancamente gli occhi e davanti mi ritrovo un lupo, i denti in bella mostra, un ringhio sommesso e pericoloso, come ad avvertirmi che se non voglio pagarne le conseguenze, devo andarmene dal suo territorio.
Lo guardo negli occhi, così da stabilire il contatto visivo che mi permetterà di parlare con lui. Mi viene istintivo, come sempre quando mi trovo in presenza di un animale, mettermi i capelli dietro le orecchie mostrando in questo modo la loro punta allungata, non so perché, forse per sentirmi un po’ più animale.
“E’ il tuo territorio?”
Lui ringhia di nuovo e poi mi dice che sì, mi sono addentrato nel suo territorio e che devo andarmene.
“Non voglio farti del male… posso rimanere?”
“Vattene.” Dice lui di nuovo ringhiando. Dovrei davvero andarmene, ma al contempo ho così bisogno di parlare con qualcuno che persino un lupo va bene… non importa se comprenderà o meno ciò che dico…
“Ti prego…” Non so cosa esattamente queste parole suscitino in lui, perché si avvicina lentamente e con circospezione, annusando l’aria in cerca del mio odore, non so se sia un bene o meno, in questo frangente, non possederne alcuno.
“Sono stanco… di tutto, davvero…”
Lo dico con la mia voce, nel mio ‘linguaggio’, non ha importanza che non capisca, non capirebbe in ogni caso, io stesso fatico a comprendermi, a giustificare le mie stesse azioni…
“Se la tua compagna ti abbandonasse, ne troveresti un’altra? E se lo facessi, che faresti se anche lei ti tradisse? Pensi dica cosa senza senso, vero?”
Accenno un sorriso, non so nemmeno bene io perché ed il lupo comincia leccarmi piano una mano, forse ho conquistato la sua fiducia, anche se ancora non ho capito bene come possa aver fatto. Sorrido di nuovo e comincio ad accarezzargli il muso e la testa, era da tanto che non stavo così bene… mi sento improvvisamente rilassato, forse perché sono tornato al mio elemento naturale, ma è innegabile, che anche un solo pensiero basta a rompere questo fragile e delicato equilibrio.
“Tu non hai di questi problemi… e nemmeno io a dire il vero… ormai sono solo…”
Lui mi lecca il viso stavolta e io non posso fare a meno di pensare che se fossi un animale non avrei nessun problema del genere… probabilmente non ne avrei avuti nemmeno se non avessi ceduto un secolo fa… non mi erano mai interessati gli uomini… ma forse… era a questo che dovevo arrivare… all’annullamento totale… in fondo Asar Varg non è forse morto 229 anni fa?
“Mi tieni compagnia fino all’alba?” Appoggio la testa contro il tronco dell’albero reclinandola leggermente, e chiudo gli occhi, la mano continua ad accarezzare il pelo del lupo e lo sento avvicinarsi a me fino al viso, sento il suo respiro… mi manca respirare… e poi il nulla.
Faccio appena in tempo ad aprire gli occhi per vedere cosa sia successo, che due iridi dorate e selvatiche come quelle di un animale, ma inconfondibilmente umane mi fissano, senza espressione quasi, mentre delle labbra si poggiano sulle mie rivendicandone il possesso. Per un attimo non so che fare, sono così stupito da quello che sta succedendo, ed allo stesso tempo queste labbra screpolate e ruvide sembrano voler cancellare ogni falsità e menzogna…
Mi riprendo dopo un attimo di totale smarrimento e con una spinta sposto lontano da me quell’individuo.
“Bastardo figlio di puttana!”
Lui mi guarda rimanendo seduto a terra e poi si alza come se niente fosse, con una fluidità nei movimenti che non so se ho mai visto.
“Quando ero un lupo me lo facevi fare…”
Lo dice con una semplicità ed un’ovvietà che non fanno altro che farmi saltare maggiormente i nervi.
“Che cazzo dici stronzo! Perché ti sei presentato così?”
“Sei nel mio territorio.”
“No! Tu sei nel mio! Questo terreno è mio da secoli.”
Lui alza le spalle come se quello che ho appena detto non avesse alcun senso. Una rabbia cieca mi monta dentro, chi è e come si permette di trattarmi in questo modo??
“Sparisci immediatamente!”
“Vuoi combattere?”
La sua voce non cambia il tono piatto con cui mi ha parlato fino ad ora, ma mi sembra di aver visto una piccola luce brillare in quegli occhi dorati.
Voglio combattere? Che mi importa, tanto tra poco…
“Fatti sotto se ne hai il coraggio!” Prima ancora di riuscire a finire il pensiero mi sono ritrovato a parlare, senza che il cervello avesse dato il suo assenso, ed ora, mi rendo conto di avere gli artigli estratti, i canini in vista e non oso immaginare come siano i miei occhi, di certo scuri come la notte, come accade ogni volta in cui la rabbia prende il sopravvento, in cui la Bestia tenta di dominarmi. Le ho ceduto il passo una sola volta, e credo di aver distrutto tutto quello che avevo di fronte, ma ora non accadrà più…
Lui fa un sorrisino e si fa sotto.
Devo ammettere che ci sa fare parecchio, è veloce e scaltro, intuisce la maggior parte dei miei movimenti… sono fuori allenamento… sto conducendo una vita troppo da umano, non c’è che dire…
Mi sta per attaccare quando sparisco, fondendomi con la terra, così da poterlo cogliere di sorpresa, alle spalle.
E’ stato stranamente facile vincere… ma prima che possa portare a termine il mio colpo, mi ritrovo rovesciato a terra, con i suoi artigli puntati alla gola.
Lo guardo con rabbia e frustrazione, credevo di aver vinto… mi ero, per un attimo, sentito vivo…
“Finiscimi!”
Lui mi guarda, e semplicemente si alza ritirando gli artigli, poi mi porge la mano per mettermi in piedi a mia volta, ma io la schiaffeggio e mi tiro su, anche se dolorante e con qualche difficoltà, da solo.
“Perché?”
“Cosa?”
“Perché non mi hai finito??” Le mie parole sono veementi, se almeno mi avesse ucciso, sarei potuto morire degnamente…
“Non aveva senso.”
La sua voce è calma, come se mi stesse illustrando la più semplice e chiara delle cose, quasi io fossi un bambino a cui devono essere spiegate le più elementari regole di comportamento.
Stringo i pugni per impedirmi di colpirlo ancora, sono stato battuto, non ha senso accanirsi, semplicemente lo guardo diritto negli occhi e poi me ne vado, oltrepassandolo come se fosse un semplice sasso gettato a terra, anche… sono stato io ad essere gettato a terra come fossi un sassolino insignificante, ma del resto, cos’altro potevo aspettarmi?
Cammino così velocemente da sembrare stia correndo, ma non sto scappando, sto solo cercando di dare una risposta alla domanda che mi continua a vorticare in mente.
Perché?
Volevo morire, no? Che senso ha avuto questa lotta? Che senso ha rivendicare un territorio che presto lascerò… a chi?
Non voglio che uno di loro tocchi Lys (Lys = luce in norvegese, è il nome del castello ndSaku), non voglio che nessuno la tocchi… forse dovrei lasciare il castello e la terra a Kahir, e tutto il resto? Forse potrei lasciare la società di programmazione a Kahir, il castello a Eirik, che di certo sa come gestirne uno, e la casa di Venezia a Kian…
Sto forse ideando un testamento nella mia testa? Ho davvero ancora la forza di pensare a queste cose? Prima non mi passava lontanamente per la mente una cosa del genere, ma adesso… sembro quasi più lucido…
Che una semplice scazzottata possa aver fatto tanto? Ma non è stato solo questo, è stato qualcosa di diverso, come se… improvvisamente fosse comparso un briciolo di voglia di vivere e adesso stesse cercando di attaccarmi, per prendere il sopravvento e lasciarmi a vegetare in queste notti senza tempo… ma sarà davvero così?
Il richiamo di un falco che volteggia a poca distanza dalla mia testa mi fa voltare, e l’uccello, dopo avermi volato intorno per un paio di volte, si posa su un braccio che gli porgo come ‘trespolo’, gli artigli che si conficcano, seppur solo leggermente, nella carne, mi causano un certo dolore, ma mi basterà un sorso di sangue per rimarginare le ferite.
“Lupo, tu ora del branco, sai dove trovare lui.”
Lo guardo cercando di capire a chi si riferisca, ma il viso di quel tizio mi si dipinge prepotentemente in mente, tanto da lasciarmi perso nel ricordo del contatto ruvido e strano delle sue labbra, ma anche alla sua mano che mi veniva porta, quasi fosse un appiglio di salvezza…
Ringrazio il falco che riprende il volo, mentre io, cercando di capire cosa voglia dire che ora sono del branco, me ne torno a casa.
Non so perché apro nuovamente gli occhi, un’altra notte è passata e io sono ancora vivo… forse c’è qualcosa che non va.
In un lampo mi tornano in mente gli eventi di ieri sera, il lupo, il bacio, il combattimento… e poi il falco con quel messaggio.
Io non faccio parte di nessun branco, non voglio e non posso, io devo stare da solo, l’ho sempre saputo… sono un lupo solitario, e allora? Sono felice di esserlo… forse… in ogni caso è questo il mio destino, e mai nessun essere potrà farmi cambiare idea! Mi dispiace solo di non averlo guardato bene, ero troppo occupato ad essere arrabbiato… tanto da dimenticarmi che dovevo guardare il sole sorgere, troppo per cercare di imprimermi nella mente i suoi lineamenti.
So solo che aveva i capelli molto lunghi e gli occhi dorati, i vestiti sporchi di terra e laceri qua e là, non ho visto altro, ma lo potrei riconoscere in mezzo ad un miliardo di persone così.
I suoi occhi erano così… forti… fieri… così diversi dai miei…
Non so dove trovo l’energia per alzarmi, il cellulare giace, inutilizzato e spento da diversi giorni ormai, sul comodino.
Mi guardo intorno, questa camera è una delle innumerevoli che si trovano nel castello. Le stanze che appartenevano alla mia famiglia, ed a me quando ero vivo, le ho sigillate secoli fa, ho evitato accuratamente anche quelle che ho usato quando ero con loro due, non era davvero il caso di perdermi in altri ricordi.
Le foto che li ritraggono sono sparse qua e là, volevo toglierle ma non ne ho avuto la forza, così come non ne ho avuta di togliere i quadri fatti da lui, il mio demone personale con gli occhi viola.
Che farò stanotte? Posso ritentare quello che in cui ieri non sono riuscito, ma come faccio con quel tizio? Semplicemente mi basta andare in un altro luogo… forse dovrei chiamare prima Kahir e salutarlo… o forse Kian… si forse è meglio chiamare lui…
Accendo il cellulare e cerco di ignorare i messaggi per le chiamate che ho ricevuto in questi giorni, faccio uno dei numeri che si trovano tra le chiamate in uscita, ma che conosco a memoria.
Uno squillo… due… tre…
“ Pronto? Asar? Tesoro ti sto cercando da giorni!” La sua voce ansiosa e preoccupata mi fa sentire terribilmente in colpa, ma allo stesso tempo, sono egoisticamente felice che almeno qualcuno mi pensi…
“… Ciao… scusa…” Mi rendo conto che la mia voce risulta terribilmente bassa, ma non ho davvero la forza di sembrare ‘sereno’.
“Tesoro... che hai? Stavo pensando di raggiungerti... sono in pensiero! Come stai???”
“... Bene... sono ancora... morto, quindi credo bene....”
“...Asar... non stai bene... dimmi che hai o parto stasera stessa!” Ora è ancora più serio e preoccupato, io non voglio farlo stare male! Che ho chiamato a fare? Forse… perché volevo sentire la sua voce un’ultima volta… oppure… sentirla convincermi di non farlo…
“No! rimani dove sei! Sto... bene... sai... cosa è successo, no? Ho solo... avuto modo di pensare, ecco...”
“Ed allora tesoro?”
“Niente... voglio... che tutto finisca...”
“Tutto cosa? Il dolore?”
“... Sì...” … Voglio che la mia esistenza stessa finisca, altrimenti, il dolore non potrà passare… ma questo non lo dico…
“Tesoro mio vorrei davvero poterlo cancellare io quel dolore... non so come aiutarti e mi sento così inutile... ascolta domani sera vengo lì almeno non sei solo, d'accordo?” La dolcezza e la preoccupazione della sua voce mi fanno tenerezza, mi sento quasi bene…
“No tesoro… per favore... tu... non sei affatto inutile... ora so cosa devo fare...” Ed è vero… so seriamente cosa fare… devo andare nel bosco… scoprire se davvero posso appartenere a qualcosa…
Quando avrò avuto la conferma che non è così, allora potrò, finalmente, morire, ma fino ad allora… voglio darla vinta a quella disperata richiesta di vita e salvezza che mi batte nel petto…
“Cosa tesoro? Non vorrai commettere qualche sciocchezza vero?” Il tono allarmato con cui lo dice mi fa ancora più tenerezza. Crede che non c’abbia pensato?
Faccio una sorta di risatina, anche se la mia voce è un po' striminzita e amara “No... voglio solo... vedere se il branco mi vuole davvero...”
“Il branco?” Finalmente un po’ di sorpresa cancella la preoccupazione della sua voce.
“Sì… un branco… dici che posso… rimanere in mezzo ai lupi?”
“Si ovviamente! Ma... come, insomma, non capisco molto bene…” Ora c’è confusione nella sua voce, che dolce il mio tesoro… è davvero un amico unico…
“Domani… mi addentro nel bosco e poi… ti saprò dire, ok? Scusa… lo so che non ha senso per te questa telefonata, ma… per me ne ha molto… ora, so davvero cosa fare… grazie tesoro…”
“Tesoro ti prego sta attento e... chiamami, se non ti sento entro due giorni vengo a cercarti! Ti voglio bene...”
Sorrido lievemente, e so che anche se lui non può vedermi, di certo lo capirà dalla mia voce.
“Anche io Kian… ti voglio davvero tanto bene tesoro… ti chiamo domani, e grazie!”
“Di niente, buon riposo piccolo, a domani.”
Gli mando un bacio, lui fa lo stesso e poi chiudo. E’ dolce quando mi chiama piccolo, nonostante abbia solo settant’anni meno di lui… è protettivo, e di questo lo ringrazio…
Oggi mi riposerò, non so ancora cosa posso fare per far trascorrere la notte, ma qualcosa mi inventerò, magari uscirò a cavallo, tutto pur di non rimanere qui dentro. Potrei andare oggi, ma forse, ho bisogno di tempo per capire cosa esattamente gli dirò, ma soprattutto, cosa servirà perché mi convinca a rimanere in vita…
Quando arrivo nel punto dell’altra notte mi limito a fare una specie di verso, richiama molto quello di un lupo, ma è diverso. I lupi, se l’udiranno non verranno, e lui… se è da queste parti allora capirà che sono io…
Mi siedo ai piedi dello stesso albero dell’altro ieri, e proprio come la volta scorsa, dopo che ho reclinato la testa all’indietro, tenendo gli occhi chiusi, un fruscio attira la mia attenzione.
“Sei banale…”
Il lupo, uscito dal fitto della foresta, mi guarda un attimo e poi, sotto il mio sguardo riprende le sembianze dell’uomo dell’altra notte. Ora posso guardarlo meglio…
E’ alto più o meno come me, però sembra più muscoloso, agile e forte. Gli occhi, come ho visto bene, sono castani, ma è un colore strano, perché tende molto all’oro, un colore particolare, è davvero… bello…
Ma non sono solo le sue iridi ad esserlo, lui stesso, nonostante la rudezza con cui si pone, come fosse davvero un animale, è di una bellezza fuori dal comune. I capelli sono di una calda tonalità di marrone chiaro, lunghi fino alla fine della schiena credo, non riesco a vedere molto bene, ma si capisce chiaramente, dalle ciocche che si trovano davanti, quasi ad adornargli il volto, che devono essere lunghi pressappoco fino ai reni.
Solo ora un particolare, nemmeno troppo piccolo, colpisce la mia attenzione focalizzando, per un attimo, il mio sguardo su di esso.
Ha… una coda… una lunga, fluente e bellissima coda da lupo… dunque, è andato in frenesia come me… forse è un punto a suo favore… forse…
“Ora sei pronto ad accettare ciò che ti spetta? Ad assumere la tua vera natura ed a seguirla fedelmente come membro del branco?”
“Io non faccio parte di nessun branco e non ne diverrò membro, sono un lupo solitario.”
“I lupi solitari sono solamente creature che prima hanno accettato il destino che li spetta ma che non si trovano a proprio agio con quanto li circonda. Per te non è così, non hai sperimentato la vita di branco, non puoi sapere cosa si prova. Per poter affermare consapevolmente che sei un lupo solitario devi prima tentare una vita comune con gli altri membri. Quindi non puoi pronunciare simili parole così incoerentemente.”
Da dov’è uscito quest’uomo? Non credevo fosse così saggio, ma del resto… lui che ne sa di me? Tutti i suoi discorsi sono più che giusti… in generale… e forse lo sono anche per me, ma… lui che ne sa di tutto quello che ho passato? Che ne sa del fatto che non sono mai stato in grado di proteggere nessuno? Come posso io far parte di qualcosa di così… grande?
“Non posso, io non sono fatto per… il branco… e poi… sono stato battuto, perché mi hai detto che sono pronto? Nemmeno mi conosci…”
“Ti osservo da alcuni giorni anche se non ti ho affrontato immediatamente per capire la motivazione per cui invadevi il nostro territorio. Sei pronto perché ne hai bisogno ed hai accettato con dignità la sconfitta, riconoscendo che in quest'occasione ho mostrato una forza più grande di te.”
“Sai di essere più forte di me… si vede chiaramente, ed in ogni caso… ti ripeto che siete sul MIO territorio, non sono io ad aver invaso il vostro… andatevene.”
“Unisciti a noi e diventerà il nostro territorio comune.”
“Scordatelo, andatevene!”
Non so perché mi sto comportando così… voglio essere io a decidere, voglio essere io a capire… eppure… voglio anche lasciarmi andare, e dirgli che sì, mi unirò a loro… a lui…
“Mai... Prima o poi ti ravvedrai… quando lo farai cercami.”
Si volta e fa per andarsene ma in meno di un attimo sono su di lui, lo giro con tutta la forza che ho in corpo pronto a prenderlo a pugni fino a quando non chiederà pietà… non deve andarsene…
“Sarai pronto prima di quanto credessi… ne sono lieto.” Mi guarda con la stessa tranquillità con cui si è voltato, i suoi occhi si fermano nei miei, pronti a spazzare via ogni cosa, pronti a cancellare ogni incertezza… ma io… sono pronto?
La mia reazione però… non so se è quella che vorrei, in ogni caso gli tiro un pugno in pieno volto, forte, fortissimo credo, ma lui non barcolla, incassa e basta, senza dire niente.
Invece di arrabbiarsi un lieve sorriso gli increspa le labbra e la sua mano, che dovrebbe colpirmi, mi accarezza lievemente una guancia.
No! Avrebbe dovuto darmi un pugno! Questo… come posso reagire a questo?
Lo colpisco di nuovo, con ancora più forza e rabbia di prima… ma è rabbia verso di lui, o verso di me?
Lui sembra non curarsene affatto, anzi, sorride maggiormente e si volta pronto ad andarsene, lasciandomi qui, solo come un idiota. Fa un passo e poi si ferma, si volta di nuovo e con sguardo intenso mi fissa nuovamente negli occhi… e di nuovo mi sembra di bruciare…
“Mi piace la tua fierezza, sarai un ottimo elemento, potresti diventare persino il mio compagno...” La sua voce mi arriva direttamente nell’orecchio, il modo in cui l’ha bisbigliato… mi ha procurato un brivido intenso lungo tutta la schiena, e anche, non molto lusinghieramente, al basso ventre… di certo lui non può sapere che le orecchie sono la mia zona erogena, ma… non è solo il ‘luogo’… è il… modo… il modo in cui l’ha detto mi ha lasciato… senza… parole o forze…
Mentre lui si addentra nella foresta io mi lascio andare cadendo sulle ginocchia, imbambolato ed intontito… ma che diavolo è successo?
Durante tutto il tragitto verso casa e le due o tre ore che mi separano dal riposo diurno, i miei pensieri sono stati occupati solo da… da lui… non so come si chiami, ma… è fermo nella mia mente, deciso, forse, a non andarsene.
Improvvisamente mi ricordo di dover chiamare Kian, non so se voglio vederlo piombare qui preoccupato come non mai…
Il suo cellulare, oggi, squilla solo una volta.
“Tesoro?”
“Ciao.” Mi rendo conto di avere una voce strana, ma adesso… sono ancora in quel bosco… non so nemmeno come dovrei comportarmi…
“Asar? Che succede?” Kian è un po’ allarmato, lo sento chiaramente, ma come faccio a spiegargli tutto, soprattutto… come lo spiego a me stesso?
“Tesoro come stai?? Sei strano!” Eh… lo so che sono strano…
“... L'ho preso a pugni... e mi ha detto… che posso diventare il suo compagno...” Ho detto qualcosa di sensato? No, non mi pare…
“... Tesoro? Ma di chi parli?” Di chi parlo? Di un lupo… ecco di chi… credo…
“... Non so il suo nome... il capo branco...” Complimenti conte, una risposta davvero esauriente…
“... Ehm... com'è? E perché l'hai preso a pugni? Stai bene? Che è successo?” Kian, troppe domande e troppo in fretta, io devo ancora capire perché la sua voce mi ha fatto quell’effetto, figuriamoci se riesco a capire cosa esattamente sia successo prima…
“Bello... perché mi ha detto che devo provare la vita di branco prima di dire che sono un lupo solitario... sto bene... credo... è successo questo.” Questa risposta è ancora più esaustiva della precedente, non c’è che dire…
“Ok ma tu che provi?” Che domanda difficile…
“… Che dovrei provare?” Forse, il problema è che sento troppe cose, come faccio a spiegarle tutte?
“Non lo so sei strano…” Lo so che sono strano… sapessi qual è la soluzione a questa cosa, qualsiasi cosa sia, non sarei così…
“... Non lo so...”
“Cosa piccolo?” Tutto, mi sembra di non aver mai saputo niente…
“Non so che fare...”
“Perché tesoro dolce?” Perché? Mi chiedi perché?? Se ti sentissi come mi sento io… o se solo riuscissi a spiegartelo… allora non mi chiederesti perché…
“Come perché?”
“Non capisco… se non ti interessa starci ignoralo, se invece pensi che ti potrebbe far bene entrare nel branco, allora fallo.” Giusto e logico… e allora Asar, perché non fai come dice il fratellone?
“… Non lo so... non mi interessa del branco, ma di lui…”
“Lui?”
“Di lui... sì… forse...”
“Oh… Dimmi, com'è? Che impatto ha avuto su di te?” Troppo complicato da spiegare… come te le spiego le sensazioni che ti da il sole che sorge illuminando ogni cosa?
“Te l'ho detto com'è... e... beh... l'ho preso a pugni... ecco l'impatto...”
“ Asar... ti ha colpito fino al punto di non sapermi dire cosa provi?” Esatto… colpito ed affondato Kian…
“… Non lo so...”
“Vuoi che venga?”
“… No... devo... capire da solo...”
“D'accordo, tesoro... però lo sai che io ci sono sempre per te? Per qualsiasi cosa sono qui e posso raggiungerti quando vuoi piccolo.”
“Lo so... grazie... ti voglio bene”
“Ti voglio tanto bene anche io e non ringraziarmi, sei mio fratello lo sai.”
“E tu il mio...”
“Lo so e ringrazio il destino per questo.” Sono io doverlo ringraziare… ma se lo dico temo che non riuscirò più ad attaccare…
“... Grazie...”
“A te piccolo, fammi sapere ok?”
“Ok... buon riposo.”
Stavolta è lui a lanciarmi un bacio che io ricambio e poi…
Poi solo quegli occhi.
L’altro giorno pensavo che la mia esistenza è stata caratterizzata solo da partenze, ma… qualcuno è arrivato, qualcuno che non so chi sia, qualcuno che ha gli occhi di una bestia e l'odore del bosco, insomma qualcuno che sembra essere arrivato dal nulla sotto mentite spoglie, forse per ingannarmi anche lui.
Una volta, dal nulla, è giunto un angelo dagli occhi viola, un'altra volta, sempre dal nulla, è giunto un altro angelo, stavolta però ad essere viola erano i capelli.
Forse avrei dovuto capire che quel colore era il colore dell'Inferno, ma sono così abituato a viverci, che ormai nulla mi fa più effetto... tranne i ricordi.
I ricordi sì che mi colpiscono e mi uccidono, una volta di più, un'altra volta, ogni volta che ritornano.
Quest'essere sarà un angelo o un demone? Stavolta non c'è niente di viola, forse dovrebbe essere un segno, magari il segno di un cambiamento...
Non so perché penso così tanto a lui, forse perché non avevo mai incontrato nessuno così, tutti i fratelli di clan che conosco sono integrati con la società e nessuno è alienato dal mondo come lui, o forse... perché i suoi occhi selvatici mi hanno colpito dentro, bruciato quello che vi hanno trovato, anche se non so esattamente cosa ci sia dentro di me ora come ora.
Non sono triste, non credo almeno, forse non voglio più nemmeno vedere l'alba, ma dire addio a loro... questo sì, credo di volerlo...
Sono così stanco, vorrei solo che tutto questo non fosse mai iniziato, o forse vorrei poter dimenticare tutto, sottrarre quel dolore che si è solo aggiunto ad altro dolore, donandomi illusori attimi di serenità, senza però che essa arrivasse davvero.
Rivoglio me stesso indietro, quel me stesso che ho donato per due volte, a due persone sbagliate. Cosa ci farò poi? Non lo so, non lo so davvero, forse lo getterò via, oppure lo darò in pasto a quel lupo uscito dal bosco che rivendica la proprietà su tutto quello che si posa sul suo territorio...
Non ho davvero niente... nulla... nessuno a cui aggrapparmi... forse perché devo far forza solo su me stesso, questo razionalmente lo so, ma so anche se uno di loro entrasse da quella porta che mi sta di fronte forse ricomincerebbe tutto, o forse no, forse mi sto già aggrappando a qualcuno che non so se rivedrò mai più... capita una sola volta nella vita di vedere un animale raro, ed io sono già morto...
Sono belli i suoi occhi, fieri, determinati, selvaggi, appassionati, come quelli di un lupo, un capo branco che guida i suoi compagni conscio del fatto che tutti lo seguiranno perché sanno che lui vuole solo il loro bene.
Sono belli i suoi capelli, lunghi, incolti, ribelli, forse non sono morbidi al tatto, forse andrebbero lavati per esserlo, ma un lupo non si imbelletta con saponi profumati...
Le sue mani... mi sono sembrate così grandi e forti… tanto forti da uccidere un uomo solo stringendosi piano attorno al suo collo, tanto da stringere qualcuno tra le braccia rendendolo conscio che non può più scappare... ma chi è così pazzo da desiderare di scappare da qualcuno che riesce a dare così tanto calore e sicurezza pur essendo così rude e selvaggio?
... Non io...
Mi comporto da donnetta, forse come una cagnetta in calore, alla ricerca disperata di qualcuno che mi voglia, mi sta bene tutto, anche essere violentato, tutto purché questo dolore passi, tutto purché i ricordi scompaiano... voglio solo essere libero, di nuovo, e stavolta per sempre, voglio decidere di donarmi a qualcuno che non mi lasci andare, qualcuno che mi stringa anche se voglio scappare, qualcuno che mi faccia male pur di non vedermi andar via...
Non c'è mai stato nessuno così nella mia esistenza, mai... ma è solo di questo che ho bisogno, un bisogno disperato ed irrazionale... voglio solo appartenere a qualcuno.
Domani mi addentrerò nella foresta, alla disperata ricerca di un lupo che mi dilani il petto e mi mangi il cuore, se ancora ne ho uno...
Se il mio cuore non c'è allora, non potrò far altro che tornare da lui, perché lui lo possiede, lui lo è, ma se...
Se quel lupo trovasse qualcosa da divorare, anche solo dei minuscoli brandelli, a chi dovrei tornare? A nessuno, perché sarei padrone di me stesso... ma cosa posso farci, io, con qualcosa che disprezzo?
Per questo voglio che quel lupo mi divori, mi entri dentro e mi marchi a fuoco, perché sono certo che stavolta apparterrei a qualcuno, anche se solo a brandelli...
Ma non è solo questo, non voglio solo che qualcuno mi indichi la strada da seguire... voglio poter scegliere di nuovo da me cosa è giusto per me e cosa non lo è...
Voglio che mi entri dentro, voglio sentirlo spingere a fondo, voglio che mi stringa tra le sue braccia forti e mi faccia sentire fragile... ne ho così bisogno... voglio sentire la sua pelle che sfiora la mia, due corpi freddi che si uniscono sprigionando un calore senza pari.
Voglio sentire le sue mani su di me e voglio baciarlo, assaggiare il suo sapore, scoprire se ha la stessa essenza del bosco, voglio scoprire se la sua pelle è liscia o ruvida al contatto, voglio stringerlo forte, sentendo qualcosa di così duro da star male... non so perché ma credo sia molto dotato...
Nonostante mi stia perdendo in fantasie erotiche su di lui... vorrei davvero incontrare ancora una volta quel lupo e scoprire se la forza che esercita su di me è pura attrazione o qualcosa di ben più profondo e... mistico.
Domani, dunque, mi inoltrerò nel bosco, alla sua ricerca, non so se avrò fortuna oppure no, non so se tornerò mai indietro, ma se anche incontrassi il sole prima di poterlo vedere di nuovo, non sarebbe stato un viaggio vano, perché forse, cercando lui, troverò me stesso.
La notte è particolarmente ‘luminosa’. Le stelle brillano molto stasera, sembra quasi che tutti quei soli lontani vogliano far concorrenza a quello del nostro Sistema solare e rubargli il posto di primo astro nei nostri pensieri. Anche la Luna è particolarmente brillante, la sua luce pallida illumina la strada che mi si para davanti e fa sembrare la mia ombra ancora più lunga. Alzo per un attimo lo sguardo al cielo, chiedendomi se il mio piccolo Christian è lassù e mi guarda, se mi ha perdonato per aver bevuto il suo sangue, se è ancora felice di essere mio fratello...
Senza nemmeno accorgermene sono arrivato al limitare del bosco. Da qui in poi la luce della Luna e quella delle stelle si farà sempre più tenue, tanto che sarà impossibile vedere solo grazie ad essa. A quel punto, ossia tra pochi metri, userò la vista speciale che l’essere un vampiro mi ha donato e cercherò… cercherò di capire cosa voglio per davvero, a cosa dovrebbe portarmi questo ‘viaggio’, dove voglio arrivare, ma soprattutto… cosa voglio che quel lupo mi dia, e cosa sono disposto io a dare a lui.
Per cosa poi? Voglio di nuovo darmi via? Voglio di nuovo appartenere a qualcuno che non mi vuole?
Lui mi ha detto che potrei essere il suo compagno, ma… entrambi avevano detto di amarmi, entrambi avevano detto che ero importante per loro… non dovrei fidarmi di lui… non dovrei nemmeno continuare a camminare in questa direzione, dovrei tornare da dove sono venuto.
Voglio davvero ripercorrere la strada che mi ha portato fino a qui? Voglio che tutto ricominci, o voglio che tutto finisca? Ed andando oltre, tutto avrà termine, oppure, ci sarà un nuovo inizio? E se questo inizio fosse solo un giro a vuoto che mi riporterà sulla stessa strada che ho percorso fino ad ora?
Troppe domande, troppi interrogativi a cui non so dare risposta mi vorticano in mente, troppe, troppe domande ora… eppure, nonostante le incertezze, continuo a camminare, ad inoltrarmi sempre più nella vegetazione rigogliosa, i rumori che sempre si odono in un bosco di notte mi accompagnano…
Un altro ululato simile a quello di ieri sera… stavolta sono in piedi… e poi… attendo il mio destino… qualunque esso sia… o forse… cerco di oppormi ad esso creandone uno mio, con le mie stesse mani, con le MIE decisioni, con le mie scelte… e poi… si vedrà…
Devo aspettare qualche minuto, solo qualche attimo e poi… lui esce dalla parte sinistra della radura in cui mi trovo, mi volto e lo guardo, perdendomi nei suoi occhi dorati, lui mi fissa a sua volta, senza parlare per qualche attimo poi schiude lievemente le labbra… e io vorrei sapere cosa si prova ad assaggiarle…
“Mi hai chiamato?”
“Come ti chiami?”
“Djevel…” La voce profonda, un nome… bello, bellissimo… Demone… un vero demone… ne avrà solo il nome o sarà realmente una creatura degli Inferi giunta fino a qui per punirmi e condurmi tra fiamme ardenti e getti di zolfo? (In norvegese Djevel significa demone ndSaku)
“Asar… io sono Asar…”
Fa un lieve cenno col capo, come per dirmi che ha capito e poi la sua voce ha un tono lievemente curioso quando mi parla. “Ebbene, volevi solo sapere il mio nome?”
Non gli rispondo e mi avvicino, così vicino da essere ad un solo passo da lui, e poi… compio anche quel passo e lo guardo diritto negli occhi, e poi, senza che me ne renda conto, il mio sguardo cade sulle sulla labbra.
Lui rimane in silenzio, non dice nulla, solo… cattura una ciocca dei miei capelli con le dita e l’accarezza per un istante prima di passare il dito, lieve e lento, sul contorno di un mio orecchio.
Questo semplice gesto… ha il potere di farmi impazzire. Un gemito alto mi sfugge dalle labbra e mi lascio andare contro di lui, non perché lo voglia, non proprio almeno, è il mio corpo a decidere per me…
Djevel… mi piace chiamarlo per nome… mi guarda sorpreso, quasi senza capire, poi… poi mi serra tra le braccia, forte e protettivo, catturando le mie labbra in un bacio profondo e possessivo.
Mi fa impazzire… la sua lingua che lambisce la mia, che tocca ogni angolo della mia bocca, che rivendica il possesso di qualcosa che non ha mai visto prima, mi fa dimenticare dove finisce lui e dove inizio io…
Lo ricambio con una passione che non credevo di poter provare… non per uno sconosciuto, ma… è come se lui… non fosse affatto uno sconosciuto…
Continuo a baciarlo a lungo, lasciando che sia lui a guidare ogni cosa, perdendomi tra le sue braccia e lasciandomi guidare dal suo ritmo e dal modo in cui mi bacia, seguendo i suoi movimenti ed adeguandomi a quelli che sembrano essere i suoi desideri.
Non so per quanto le nostre bocche rimangono fuse, so solo che quando si stacca mi sento all’improvviso svuotato… cosa succederà quando uscirà dal mio corpo? Perché ho come l’assoluta certezza che questo accadrà… prima o poi…
Mi guarda negli occhi ed un leggero sorriso gli increspa le labbra.
“Benvenuto nel branco, mio compagno…”
“Cosa hai detto?”
“Mio compagno.”
Credo che i miei occhi ora sembrino delle palle, perché si sono allargati per lo stupore.
“Cosa? Perché?”
“Perché ti ho scelto come tale, molto semplice.”
Molto semplice?? Molto semplice per chi? Ma stiamo scherzando! Io l’ho appena conosciuto!
“Non mi conosci… un bacio non… non vuol dire certo che sono tuo!” Stavo per dire che non significa niente… invece significa… e questo… ha significato molto per me…
“Sei il primo essere che bacio, e l’ho fatto perché ti ho scelto come mio.”
Stop, rewind… sono il primo… ma scherziamo? Quello non era un bacio… era… un orgasmo con le labbra…
“Sii serio… e poi… perché mi avresti scelto come tuo?”
“Perché sei bello, eccitante, forte, determinato… ed anche se sembravi aver smarrito la strada per qualche attimo, l'altra sera quando ci battevamo, ho visto in te una scintilla che ha acceso un fuoco in me, quindi voglio coltivare quell'incendio e fondermi con te.”
Un brivido intenso mi attraversa la schiena, e mi rendo conto di essere ancora tra le sue braccia. Ma che sto facendo? Mi arrendo così? Non dovevo non darmi via? Eppure… sto così bene qui…
Istintivamente mi stringo a lui e gli appoggio le mani sui fianchi, non lo abbraccio, ma… vorrei farlo…
“Non posso…”
Il suo abbraccio si stringe, improvvisamente mi sembra quasi di starmi per fondere con lui, le sue braccia… sono davvero forti come immaginavo… davvero mi stringe anche se voglio scappare…
“Stai calmo, ti abituerai presto.” Il sussurro con cui pronuncia queste parole è lieve, appena udibile, ma mi sembra di sentirlo forte come il rumore di una bomba che esplode…
“Abituarmi? Stare calmo? Ma che dici?” Eppure… la mia voce e il mio corpo sono calmi… non sembro riluttante come vorrei apparire, anzi, appaio, forse, fin troppo arrendevole. Ma che mi prende?
Sono queste braccia… la loro stretta mi impedisce di ragione, di agire come vorrei… o forse… mi incoraggia a farlo…
“Mmm si...”
“Ma che risposta è?”
“In che senso?” Il suo sopracciglio inarcato mi dice chiaramente, come se non bastasse il suo tono incuriosito, che non ha capito a cosa mi stia riferendo.
“Ti ho detto che non capisco cosa dici… perché dovrei essere il tuo compagno?” Sta attendo Djevel… da questo dipende molto…
“Perché ho avvertito un senso di comunanza mai provata con nessuno nemmeno con gli animali… ed è come se... non lo so, avessi trovato tutti i dettagli per poter essere completo, ora mi sento un vero lupo, un autentico... essere... in pace…”
Bene.. mi paragona ad un animale… dovrebbe essere un complimento… un senso di comunanza… già… un essere completo… io non mi ci sono mai sentito… un essere autentico… in pace… con me stesso? Con il mondo? Tutte cose che non ho mai provato…
“Ed io? Perché dovrei volerlo?”
“Perché anche tu hai avvertito lo stesso, hai capito che dobbiamo stare insieme perché così doveva essere.” La sorpresa del suo sguardo e della sua voce mi lasciano attonito e senza parole. E’ così che doveva essere? Ma… l’amore? Il decidere da sé con chi si vuole passare la vita? Non voglio abbandonarmi alle onde del destino…
“E l’amore? Voglio scegliere io con chi stare, quando, come e perché…”
“L'amore? Cos'è l'amore? E sono sicuro che lo sceglierai anche tu... ti basta del tempo per capirlo.”
“Me lo chiedi perché non lo sai o perché non credi esista?” Ed io? Ci credo ancora all’amore io?
“Perché voglio sapere cosa intendi tu con tale termine.”
“Fedeltà… rispetto, fiducia, stima, dolcezza, tenerezza, affetto… solidarietà… e tante altre cose…” Lo guardo, ma non credo di vederlo davvero, forse… non voglio vederlo… non voglio sapere cosa pensa, non voglio essere preso per un idiota… voglio solo…
Che cosa voglio veramente?
Mi basta che qualcuno mi possegga? Perché lui mi vuole, lo sa… ma io… lo voglio? E se sì… perché? Solo perché è in grado di tenermi con sé, solo perché mi sa stringere forte tra le braccia, oppure… per cos’altro? Non so nulla di lui, se non il suo nome, conosco la sua bellezza, ho visto la sua forza, compreso la sua saggezza e la sua fierezza, la sua somma risolutezza, la possessività… ed allora? Lo conosco anche dopo così poco? Oppure questa è solo la superficie?
“Fedeltà? Tra compagni mi sembra ovvia! Altrimenti è semplicemente un qualcosa che non si considera tale con tutto se stessi, fiducia? Te l'ho già donata o non ti avrei permesso di rivedermi e non ti avrei baciato, stima? Ugualmente. Dolcezza, tenerezza ed affetto verranno con il tempo e con una maggiore intimità... quindi io ti amo?” Mi pone questa domanda come se io dovessi fargli capire la risposta. Mi ama? Ma non diciamo assurdità!
“Questo devi saperlo tu, non posso dirtelo io e poi… - per un attimo è come se mille aghi mi trafiggessero il cuore - io non sono fedele… ho tradito chi amavo… quindi… mi vuoi davvero pur senza conoscermi? Senza sapere chi sono? Quello che ho fatto o quello che mi ha condotto qui?” Tra le tue braccia, vorrei aggiungere, ma taccio, in attesa che questo abbraccio, che mi sembra quello di un sogno, si sciolga, così da alzare gli occhi e specchiarmi nei suoi pieni di sdegno.
Non sai con chi hai a che fare Djevel… non illuderti io sia qualcosa di puro, perché mai lo sono stato e mai lo sarò…
L’attimo di silenzio mi disorienta, alzo lo sguardo titubante, ma quello che vedo.. è solo un sorriso…
“Potrai aver anche tradito la persona con cui stavi, ma lo hai fatto perché non era quella adatta a te. Io sono il compagno che aspettavi, perciò non conta ciò che hai fatto, quando sarai mio non mi tradirai, ho la massima fiducia in questo.”
Non so se ridere, piangere o cos’altro…
Non ho mai incontrato qualcuno di così deciso e che avesse le idee così chiare… o forse, l’ho anche fatto, ma mai parole mi hanno colpito più profondamente…
All’improvviso mi ritrovo a ridere e le mie mani si muovono da sole andando a stringersi attorno alla sua vita, mentre la testa si appoggia da sola sulla sua spalla e la mia voce… continua a levarsi in una risata liberatoria…
“Sei pazzo!”
“No, affatto… E’ bella la tua risata…” La sua voce lievemente dolce e la sua mano che mi accarezza i capelli mi fanno stare bene… benissimo…
E rido ancora, di nuovo… e poi piango… non so che mi stia prendendo, ma scoppio in un pianto dirotto e disperato sulla spalla di un pazzo che mi ha detto che sarò il suo compagno senza nemmeno conoscermi… un pazzo che mi ha stretto così forte da farmi pensare, anche se solo per un attimo, che sia questo il mio posto, quello che cerco da sempre…
Lui non fa niente, credo sia spiazzato, ma io non posso fare a meno di piangere… e poi… le sue mani forti e grandi mi sfiorano il viso e dolcemente, con una dolcezza di cui non sembrano poter essere capaci, cancellano le lacrime una ad una, togliendo quelle strie di sangue dal mio viso.
“Mostrare i propri sentimenti è segno di grande forza, e questa è la prima dimostrazione che avevo ragione su di te. Ora però andiamo, ti porto a bere qualcosa, devi riprendere il sangue che hai lasciato scivolare da te per perdere brutti momenti.”
Io scuoto forte la testa e lo stringo maggiormente… se ora mi muovo… non so se poi rimarrò intero o se cadrò a pezzi… anche se… forse… se lui mi stringerà a sé, questo non accadrà, perché sarà lui stesso ad impedirlo…
Lui mi serra forte, sento le sue braccia stringersi attorno ai miei fianchi, così come avevo… sperato? Sì, avevo sperato lo facesse, e poi comincia a farmi camminare verso non so dove.
Mi rendo conto solo ora che ha detto una cosa particolare…
Ha detto che piangendo ho mandato via il sangue che conteneva le mie sofferenze… ma com’è possibile? Il dolore è ancora lì, al suo posto, nel luogo ove un tempo c’era il cuore…
Camminiamo per qualche centinaio di metri fino ad una grotta, arrivati lì mi porta al suo interno, e poi, arrivati chissà dove mi fa sedere, c’è una cassa nelle vicinanze, molto vecchia e rude. Lui la apre e prende delle sacche di sangue, quelle in cui si conserva il sangue in ospedale e che ho utilizzato tante volte per nutrirmi, e poi le apre e me le fa bere.
Non so quante sono quelle che ingurgito, un discreto numero comunque. Adesso mi sento meglio… forse…
Lo guardo titubante, senza sapere cosa aspettarmi dal suo sguardo, e soprattutto, senza sapere come comportami esattamente.
Lui mi guarda per un attimo e poi la sua lingua lecca una goccia di sangue sfuggita al controllo della mia bocca e che io stesso stavo per asciugare, ripulendo così un angolo delle labbra.
“Sai fonderti con la terra?”
“Sì…” Credo sia molto vecchio, nonostante abbia l’aspetto di un ventenne…
“Allora dormiamo insieme qui.”
Lo guardo per un attimo, non so perché, e poi annuisco e basta. Lui mi accarezza dolcemente il viso e poi si fonde con la terra, invitandomi a fare lo stesso.
E’ la prima volta, dopo moltissimi anni, che trascorro il giorno in questo modo... è una sensazione piacevole, che credevo di aver dimenticato, ma che invece torna prepotente in me, riempiendomi e dandomi nuove forze.
Il sole tramonta senza che io me ne renda conto, perso nelle spire che mi avvolgono come sempre durante il torpore quotidiano, ma è ormai il tempo di uscire da questo piacevole giaciglio, tornare all’esterno, cercando di riprendere la giusta dimensione di me stesso.
Riemergo dal terreno e mi siedo, appoggiando la schiena alla parete di nuda e fredda roccia… fredda, ma così accogliente… è un paragone insolito lo so, ma queste sono le sensazioni che mi comunica. Mi guardo intorno in cerca di Djevel o di un suo passaggio, ma niente mi fa capire se dorme ancora o se è già fuori. Che devo fare ora? Come devo comportarmi con lui?
Un rumore mi fa voltare verso il punto in cui ricordo vagamente esserci l’esterno, così mi incammino in quella direzione, rendendomi conto che tutto il tragitto che ho compiuto ieri notte, non sono stati che meno di cento metri.
Una visione, che credo essere di sogno o paradisiaca, si offre al mio sguardo. Credo di non essere abbastanza puro per poter guardare, e se continuo a farlo, la luce che l’immagine che ho di fronte sprigiona, di certo mi ferirà gli occhi fino a rendermi cieco.
Djevel è in piedi, sul ciglio della grotta, le braccia incrociate , appoggiato alla parete con una spalla, i capelli gli ricadono, esattamente come ieri, lungo la schiena e la coda si muove ogni tanto, come a saggiare la consistenza dell’aria.
Ma la cosa davvero meravigliosa, sono i suoi occhi, persi a guardare la luna che si fa strada tra le cime degli alberi ed illumina la radura di fronte a cui si pare la grotta.
Come se sapesse perfettamente che stavo arrivando, Djevel si volta e colma i pochi passi che ci separano e prima ancora che io possa dire qualsiasi cosa, mi prende tra le braccia dandomi un lungo e passionale bacio, che ha lo stesso effetto di ieri, mi eccita e mi fa rabbrividire dal piacere… e poi… è come se gli appartenessi…
“Ben svegliato… quanti anni hai?”
La domanda mi spiazza un po’, non avevo pensato al fatto che essendo più giovane avrei dovuto svegliarmi prima di lui, forse non l’ho fatto perché non avevo tantissimo sangue in corpo…
“229, perché?”
“Ecco perché ti svegli dopo di me. Io sono nato nella seconda metà dell'800 non ricordo precisamente l'anno, e avevo una ventina d'anni su per giù quando incontrai il mio sire.”
Un attimo… fatemi capire… lui è più giovane, ma molto più potente di me?
Lo guardo confuso e anche un po’ stranito, come fa a non ricordare in che anno è nato?
“Djevel ma dici davvero? Come fai a non ricordare in che anno sei nato e quanti anni avevi? Io… ricordo ogni cosa…” Una nota di tristezza si impossessa della mia voce ed abbasso lo sguardo, perso nei ricordi di compleanni passati ed ‘anniversari’ della mia morte…
“Non sono gli anni esatti a dar l'importanza al nostro passato od al nostro presente. Siamo creature eterne, gli anni sono lievi istanti su un filo senza fine, e ciò che ti reca dolore non si placa semplicemente sapendolo collocare cronologicamente. Il fatto che ti porta sofferenza non svanisce solamente conoscendone la data, non credi?”
“Non credo… di averci mai pensato…” Ed è vero… non ho mai concepito le cose in questo modo… forse, perché non ho mai assimilato davvero che vivrò, forse, in eterno, e ricordare il giorno in cui sono nato, o quello in cui sono morto, ha sempre reso più reale il mio dolore.
Ma è davvero così?
Il dolore se ne andrebbe se non sapessi che sono morto il 31 dicembre del 1775? No, non credo…
Ora… mi sembra quasi di stare bene, ma non so che giorno sia, ho perso il conto diverso tempo fa… perché… non avevano importanza i giorni, il dolore era troppo forte. Ed ora? E’ il dolore a non concedermi di conoscere lo scorrere del tempo? O forse è la consapevolezza che sapere la data di oggi non cambia il fatto che quest’uomo mi sta entrando dentro senza fare nulla di particolare?
“Ed ora, cosa pensi? Cosa senti per tutto questo?”
“Per cosa?” Cosa penso? Non lo so…
“Lascia chiusa la mente e porta il tuo istinto in primo piano, cosa provi?”
Lasciare chiusa la mente… usare l’istinto… è così tanto che non lo faccio…
Cosa provo ora? Chiudo gli occhi e cerco di capirlo, e senza rendermene conto mi appoggio a lui.
“Sto… bene… la terra… mi mancava… le tue braccia… sono forti… sono… a casa…”
Cosa ho detto? Cosa sto provando? Non voglio riaprire gli occhi… ho paura di svegliarmi da un sogno… ho paura di ritrovarmi a Lys… da solo… o con qualcuno che non sia Djevel… ma che mi ha fatto?
“Bene, basta questo.”
“Questo cosa?”
“Il fatto che tu non abbia nominato il dolore ed abbia detto di star bene.” Mi accarezza i capelli e allora mi decido ad aprire gli occhi per guardarlo. Lui mi guarda a sua volta e mi accorgo che scodinzola… già, sta scodinzolando. Alzo gli occhi per puntarli nei suoi, ma lui mi sta fissando le orecchie… “Avrei voglia di toccarle…”
“Se le tocchi… impazzisco…”
“Non mi dispiacerebbe affatto sentirti gemere come ieri… però temo che perderei il controllo e mi accoppierei con te, invece voglio che prima tu ti accorga di provare le mie stesse sensazioni perché non voglio che il ricordo della prima volta in cui i nostri corpi si uniranno, fondendosi in uno, rimanga in te come un frammento nebuloso in cui tu non eri sicuro di quello che facevi e della motivazione per cui lo facevi.”
E questo cosa significherebbe? No, forse lo so… ma è ovvio che sia così… è logico che non voglia farlo.
Ma voglio davvero fare sesso con lui? O forse… voglio fare l’amore? E se fosse così… no, non se fosse… è così…
Tutto assume una connotazione diversa… se voglio fare l’amore con lui, è giusto che ci sia complicità prima, è giusto che ci sia amore, o almeno affetto… ma adesso cosa c’è da parte mia? E che significa che devo provare le sue stesse sensazioni? Non può amarmi davvero! E poi… dubito che qualcuno possa farlo per davvero…
“Accoppiarci eh? Sei proprio un lupo… vero? Ed io? Cosa ti sembro? E poi… cosa provi tu? Perché vuoi aspettare se nemmeno mi abbracci?”
Cosa sono io? Chi sono? Uno più giovane di me è così potente e saggio… ma che razza di stupido ragazzino sono? Davvero mi porto due secoli e mezzo sulle spalle? Che bisogno ho di andare al letto con lui? Per sentirmi di qualcuno forse? Non serve questo… almeno credo… non lo so cosa serva, perché non sono mai stato davvero di nessuno, non sono mai appartenuto a nessun luogo, a niente ed a nessuno, e tanto meno ho mai posseduto qualcuno o qualcosa, se non rabbia e dolore… cosa posso saperne io di quello che significa donarsi a qualcuno?
“...Si sono un lupo e ne sono fiero. Comunque, tu mi sembri il mio compagno, ovvero ciò che sei e sarai per sempre.” Mi abbraccia mentre parla e mi sembra di essere di nuovo a casa, ma sarà davvero così oppure è solo una vana illusione costruita dalla mia mente?
“E poi… voglio aspettare perché non volevo spaventarti con questo...” Sento i suoi fianchi avvicinarsi ai miei e… un nuovo brivido mi attraversa la schiena. Si preme piano contro di me, quel tanto che gli basta per farmi capire che è molto eccitato, e questo non può che far andare in tilt i miei neuroni e quella poca autostima che ancora avevo è completamente andata in frantumi. Adesso potrei stendermi a terra implorandolo di prendermi, ma temo che così farei solo la figura del disperato, assetato solo di sesso e chissà cos’altro… eppure… lo vorrei così tanto…
Lascio sfuggire dalle labbra solo un mugolio, quel poco che possa fargli capire che apprezzo molto la situazione, ed anzi, lo ricambio appieno. La sola risposta che ho è un nuovo, intenso e passionalissimo bacio, che mi porta in un vortice di sensazioni così profonde che dubito riuscirei mai a distinguerle le une dalle altre, ed allo stesso tempo, non credo di voler rovinare la magia di questo attimo con i pensieri… devo solo chiudere la mente... e lasciare andare l’istinto…
Se lo facessi però… altro che accoppiamento… tutto il mio corpo grida per avere il suo, per sentirlo maggiormente vicino, per sentirlo entrare dentro con potenza, violenza quasi…
Non mi sono mai piaciuti i rapporti violenti, passionali sì, ma violenti no. Però adesso… non sarebbe violento nel vero senso del termine, più… animalesco credo, e la cosa non mi dispiacerebbe affatto…
Non so cosa mi stia prendendo e non so nemmeno perché voglia così tanto fare l’amore con lui… quindi adesso Asar, calmati, lascia che il sangue smetta di ribollire, fa abbassare quella cosa lì che ti svetta come l’asta di una bandiera tra le gambe, e goditi il piacere che può dare un abbraccio… un abbraccio che non avevi mai ricevuto prima…
Lo guardo e gli sorrido leggermente, come a dirgli che ho capito e che apprezzo quello che ha detto e fatto.
La sua mano si leva ad accarezzarmi i capelli, e mi sento bene… bene davvero…
Mi sposta una ciocca di capelli e mi parla sussurrando piano, con una voce che… mi mette i brividi ovunque… perché ha sempre quest’effetto su di me?
“Quando i nostri corpi si uniranno in uno, spingendo fino a completarsi, vedrai che sarà un'esperienza unica, perché ci darà modo di comprendere quanto entrambi apparterremo l'uno all'altro.”
Vuole farmi impazzire, non trovo altra risposta… Nuovi brividi, sempre più intensi mi attraversano, e la calma che ero riuscito a riacquistare svanisce di colpo, spazzata via da un desiderio irrefrenabile, dalla voglia assurda di sperimentare se davvero, i nostri corpi uniti, mi faranno capire che gli appartengo... e che lui appartiene a me…
Un altro mugolio mi sfugge dalle labbra, e da stupido quale sono, lascio che l’istinto, che dovrebbe starsene a cuccia, prenda il sopravvento sulla razionalità facendo muovere i miei fianchi in cerca dei suoi, alla disperata scoperta di quanto un contatto, seppur lieve e mediato dalla stoffa dei pantaloni di entrambi, possa essere di sollievo, ed allo stesso tempo contribuisca a far bruciare più in fretta la miccia che mi separa dalla follia totale.
Questo gran bastardo! Invece di allontanarmi si struscia a sua volta, il contatto ruvido della stoffa sui pantaloni mi fa uno strano effetto… ma voglio di più… molto più di questo…
Reclino leggermente la testa all’indietro, lasciando uscire un gemito minuscolo, mentre il mio bacino di spinge ancora, e stavolta più forte contro il suo… altro che aspettare… lo voglio, e subito!
“Presto i nostri corpi si uniranno completamente nudi, ed allora sarà per l'eternità ed oltre…”
“… Ti voglio…” la mia voce in un sussurro roco si unisce alla sua, le sue parole mi hanno… lo voglio… lo voglio dentro di me come non ho mai voluto nessuno, voglio che mi entri dentro… e forse… non voglio ne esca mai più…
Perché mi sta succedendo questo? Che significa? Io… dovrei amarlo prima… ma che senso ha l’amore? Che senso ha dirsi ‘ti amo’ se poi non lo si dimostra? Che senso ha baciare qualcuno, donargli la propria anima, e poi, vedersela restituire indietro?
Se la donassi a lui… forse terrebbe qualcosa che io non voglio più… oppure… mi insegnerebbe a volerla a mia volta... così da possedere la mia e la sua, così da fargli possedere la sua e la mia… contemporaneamente… non sarebbe perfetto se potesse esistere un rapporto come questo? Se esistesse davvero una relazione in cui ognuno si da’ all’altro senza perdersi, non sarebbe l’ideale? Ma a me potrà mai essere concesso tanto?
Un lievissimo mugolio esce dalle sue labbra… non sono perfette, sono screpolate, come di chi è sempre stato in mezzo al bosco, di chi non si è mai preoccupato di apparire diverso da ciò che è… sono labbra capaci di incantare ad un solo sguardo… dopo un solo sguardo. I suoi occhi poi… mi guardano con una possessività che non ho mai visto, mai rivolta verso di me… ed io… io mi sento perso…
“Se ora continuiamo ti marchierò mio per sempre, quindi devi essere sicuro di quanto fai... perché non ti permetterò più di allontanarti da me anche se sarebbe meraviglioso lasciare che i nostri corpi si trovino proprio qui sulla terra che ci ha donato l'esistenza e che ogni notte ci accoglie materna…”
“Ho paura… Paura di… di…” Mi appoggio a lui e stringo le mani attorno alla sua maglia lacera, sentendo i suoi capelli sfiorarmi le dita… ho paura di tutto… anche lui mi lascerà, anche lui mi manderà via… lo so… lo sento… o forse ne ho solo paura, non posso averne la certezza, ma… ho troppa paura…
Le sue mani cominciano a muoversi lentamente sulla mia schiena accarezzandola con dolcemente ed in un modo che mi farebbe rilassare… se non fosse che percorrono tutta la schiena fino a giungere giù, quasi sul fondoschiena, ma senza toccarlo.
“Non devi fare nulla, non voglio obbligarti a niente, quando ti sentirai pronto ad accettare la realtà, ovvero che sei mio e che era così che deve essere, potremo andare oltre le barriere della conoscenza per giungere finalmente all'appartenenza reciproca e totale.”
Appartenenza reciproca e totale…
“Credi che basti fare l’amore per appartenere a qualcuno? Credi che basti questo? Credi che basti dirlo per appartenere davvero ad un altro essere? Cosa credi sia l’appartenenza? Io non lo so cosa significa! Nessuno mi ha mai voluto e io ho cercato… ho cercato di appartenere a loro.. ad entrambi, ma… non mi hanno voluto… credi basti dare il proprio cuore a qualcuno per appartenergli? No! Non serve a niente… a noi non è concesso essere felici… non ci è concesso nulla, nemmeno appartenere a chi si ama! E tu non mi ami! Nessuno… nessuno può…”
Sono patetico… sto per piangere di nuovo… ma chi voglio ingannare? Il dolore, ecco l’unica cosa che mi si addice, ecco tutto quello che mi è concesso…
La sua risposta è un bacio lento, un bacio dato con calma, senza necessità di avere altro in cambio.
“Cosa provi quando le nostre labbra si sfiorano e le nostre lingue si accarezzano? Perché io intravedo te... quello che è racchiuso qui - le sue dita si appoggiano sul mio petto, dove dovrebbe esserci il cuore… ma ne ho davvero ancora uno? - il dolore, la solitudine e la paura che ti porti dietro e che non hai mai superato. Sento come se potessi vederti davvero... quindi sono certo che ti comprenderei definitivamente entrando in te, e toccherei la tua anima per poi farla unire indelebilmente alla mia in modo da iniziare a costruire un futuro da compagni che guidano il branco e lo aiutano ad attraversare quest'eternità densa di sofferenza.”
“Parli di cose che… io… non capisco… non so cosa vuoi dire… e poi… mi vedi davvero? Perché… io invece… non mi vedo affatto… Vuoi sapere cosa provo? Non lo so… mi sembra di stare bene, mi sembra di essere sereno, ma… mi è già capitato… e poi ho sempre perso tutto… ed ho paura come allora…”
“La paura è indice di saggezza, chi non ne prova è sconsiderato e non pensa semplicemente alla propria esistenza come preziosa e da salvaguardare, in questo caso però cosa dovresti proteggere Asar?”
E’ bello il mio nome pronunciato dalla sua voce… ma io? Lo sono altrettanto? La paura indice di saggezza… no, è solo indice di… non lo so… non ho mai amato la paura, mi fa sentire troppo vulnerabile…
“Te stesso appartiene a te, questo non cambierà mai, tu sei tuo, non c'è nessuno che può farti perdere. Quando diventi il compagno di qualcuno gli permetti di entrare in comunione con il tuo io più profondo e nascosto, gli concedi di porgerti una mano in caso di bisogno, nonostante tu sia consapevole che possa rialzarti ed andare avanti da solo. E' come riconoscere che quel qualcuno è parte di te e che sai che puoi contare su di lui senza doverne dipendere, perché eternamente avrai te stesso su cui far affidamento. Non credo di riuscire a spiegarmi facilmente, non parlo così tanto da.... mai credo.”
Davvero? Io… ho davvero me stesso? Dov’è allora questo me stesso che non ho mai visto? Per quale motivo vado avanti? Vendetta, amore, vendetta, amore… e poi? Poi null’altro…
“Vendetta e amore… questo mi spinge… non me stesso… ora non ho più l’amore… mi resta solo la vendetta… l’amore non è per me… io non sono per nessuno, nessuno mi vuole… nemmeno tu, non davvero…”
Sembro un bambino… Djevel ha ragione, ma che senso ha appartenere a qualcuno se poi si è sempre padroni di se stessi? Io… non voglio… non ce la faccio… non ho mai avuto la forza… perché tutto questo non esisteva quando ero vivo?Perché sono morto? Perché continuo ad esistere? Non voglio più… voglio solo… il nulla… voglio di nuovo che tutto passi… e come posso far passare tutto da solo?
“… Non voglio… non… da solo… non ce la faccio…”
“Tu ti sei aggrappato a questi motivi per andare avanti in modo da non riconoscere che al di là di tutto VOLEVI andare avanti, altrimenti avresti da tempo scritto la parola fine sulla tua esistenza. La vendetta è un forte motivo per migliorarsi, di notte in notte, al fine di portarla a compimento, ma da sola non basta per farti vivere... e l'amore? Se prima non sei consapevole di te stesso e di ciò che sei, non puoi, credo, definirlo davvero autentico, visto che le sensazioni che mi hai descritto tu come facenti parte di questo sentimento non possono nascere senza una coscienza precisa di se stessi e di quel che si ammira realmente. Se tu non riesci ad intravedere qualcosa di sicuro in te, come puoi trovarlo in qualcun altro?”
Non far crollare ogni mia certezza… non lasciarmi affondare in me stesso… con quel tono curioso, come se io avessi le risposte…
Mi stacco dall’abbraccio, lo guardo e sento le lacrime pungermi gli angoli degli occhi, un nodo alla gola, come se fossi ancora vivo… ma non lo sono da tanto, troppo tempo… lo sono stato mai? Lo sono stato negli attimi in cui credevo di esserlo?
Ed adesso? Ora lo sono? Devo morire di nuovo per vivere una vita che non ho mai vissuto? E questo demone? E’ davvero un demone o è un angelo reale, stavolta? Ed io chi sono? Dove sono io?
Non far crollare certezze che ho costruito con fatica, non far crollare quello che credevo essere reale… qual’è la realtà, ora?
Ho mai amato nessuno fino ad ora? So davvero cos’è l’amore, oppure l’ho solo immaginato? Io… non so più niente…
“Io… non… io… ho mai amato? Io… chi sono, io?”
Adesso sento le lacrime scorrere di nuovo, adesso non riesco più a trattenerle… adesso… mi sento inutile, stupido, vuoto, patetico, ridicolo, insulso, inesistente.
Mi lascio cadere a terra... che senso ha rimanere in piedi? Che senso ha esistere? Io non lo so, forse non l’ho mai saputo, mi sono solo lasciato trascinare dal vento e dagli eventi… ma Asar, dov’è stato Asar fino ad ora? E’ mai esistito davvero? Oppure è morto quella notte? E se è morto allora, io chi sono?
Sento Djevel abbassarsi e sedermisi di fronte, le sue mani cominciando ad accarezzarmi i capelli… ma è di questo che ho bisogno?
“Prendi del tempo, per te stesso, per conoscerti, per guardarti dentro, per scoprire quel che io ho potuto vedere tramite uno sguardo più critico e privo di impedimenti che tu hai costruito a causa del dolore che fa parte di te. Libera tutto, fai defluire da te ogni singolo sentimento e ricomincia dall'inizio. Prenditi ore, giorni, mesi, anni, per te stesso per definire di nuovo quell'Asar che io ho osservato vivere qualche notte fa e che mi ha completamente affascinato portandomi a sceglierlo come compagno. Disperati, gioisci, fai tutto quello che ti può essere necessario a riacquisire la giusta dimensione di te stesso. Crea una nuova identità, quella reale, e poi vivi... lascia che sia il tuo istinto ad indicarti come fare.”
Devo stare di nuovo solo? Ancora? E’ davvero questo il mio destino?
“Solo… no… io… non ce la faccio… non voglio…”
Ho paura di guardarmi dentro e scoprire che non c’è niente… ho paura di trovare qualsiasi cosa, perché non so cosa ci sia davvero dentro di me… e questo mi spaventa… ho paura di me stesso come un bambino ne ha del buio.
In me ci sono dei mostri che non voglio affrontare, non ne ho la forza, non credo di averla…
Creare una nuova identità… quella reale… ma come? L’istinto… come può guidarmi se la mente ha il sopravvento?
“Solo non sei mai. - Mi prende il viso e mi fa guardare quello che ci circonda, poi lo lascia andare e mi guarda di nuovo - La natura ti è accanto e ti da’ la forza di crescere ed andare avanti, non senti come tu sia parte di un qualcosa di grande, immenso e meraviglioso? Il creato ci dona tanti esempi continuamente... apriti a lei come fa il fiore che si schiude timidamente e capirai, sentirai i suoi suoni, comprenderai di appartenere ad un universo intero e di essere parte di esso, con tutte le contraddizioni che ne derivano e le domande che nascono per questo... Tu non sei solo, non lo sarai mai e non credere che io ti abbandonerò. Devi solo trovare le tenebre che ti avvolgono per poi sconfiggerle con la luce che conservi quasi gelosamente nel tuo cuore e nella tua anima sofferente. Potrei donarti l'illusione di essere io a darti la forza e la chiave per vincere questa lotta, ma non lo farò perché sarebbe meschino da parte mia e non comprenderesti il vero te stesso. Ma per rapportarti a qualcosa, io ci sarò.”
Dice che non mi lascia da solo… dice che ci sarà… dice che devo guardare la natura… dice… parole che non comprendo ma che mi entrano nell’anima e la dilaniano, lasciandone solo brandelli e la disperazione della ricostruzione… ricostruire cosa?
Io non lo so…
Troppe parole… io non capisco… io non lo so… dove sono io? Fondermi con la natura mi servirà a rinascere?
Potrò davvero scoprire chi sono, ricreare me stesso e trovare la mia dimensione… da solo?
Dalle labbra di Djevel esce un suono basso, un richiamo credo, ma non ci faccio troppo caso, ormai sono perso in un mondo che non conosco e che temo di non aver mai conosciuto.
Un dolce peso, un calore lieve ma intenso mi fa aprire gli occhi che avevo chiuso mentre Djevel parlava, e sul mio grembo c’è un cucciolo di lupo che si è acciambellato come fosse questo il suo posto.
Guardo Djevel senza parlare, solo uno sguardo interrogativo a porre una nuova domanda, che si aggiunge a quelle senza fine che mi vorticano nella mente.
“Si affida a te trasmettendoti il suo calore con una semplicità unica non trovi? E' istintivo e comprende che non gli farai del male perché appartieni al suo ambiente. Imitalo, prendi esempio dalle creature che ti circondano ed abbandonati al silenzio ed alla natura e così facendo troverai il te stesso che desidera emergere prepotentemente e che vuole tornare a guardare la luna che ci avvolge dall'alto con la sua luce tiepida e pura.”
Lo guardo di nuovo e poi, automaticamente quasi, il mio sguardo si sposta sul cucciolo che ho in grembo. Comincio ad accarezzarlo e il calore che mi dona è davvero senza pari… faccio parte del suo ambiente?
Davvero c’è un me stesso che vuole emergere? Perché io non me ne sono accorto? Perché non so chi sia e dove si trovi? Perché solo lui lo vede? Chi è lui per farlo?
“Come fai a leggermi dentro? Come fai a conoscere cose di me che io ignoro? Chi sei tu?”
“Sono il tuo compagno, colui che è destinato ad esserlo e ti ho guardato dentro assaggiando la dolcezza delle tue labbra sulle mie, l'intensità che ogni parte di te comunica al mio essere e la passione che ti trascina e travolge, simbolo di quel te stesso che tu non vedi o più semplicemente hai paura di guardare.”
Il mio compagno… che risposta banale… che risposta… mi ha… colpito, le sue parole, di nuovo, una volta di più, mi sono entrate dentro, alla ricerca di qualcosa che non sapevo esistesse, per colpire ciò che io non vedo e donargli una vita nuova…
Su una cosa non posso che dargli ragione… ho paura di guardarmi dentro, perché non sono sicuro di riuscire ad affrontare quello che troverò, mentre lui sembra essere certo che tutto quello che ci sarà sia solo luce… come fa ad esserne così certo?
“Come fai a saperlo?”
“Lo sento, lo vedo e lo percepisco nei tuoi occhi che sono un'anticipazione dello splendore della tua anima, e lo sento nella voce che esce quando i nostri corpi si sfiorano… è una melodia che si fonde con quella che vibra dentro di me, formando un'armonia piacevole e definitiva che parla di noi.”
I miei occhi sono fissi nei suoi, specchi dorati e luminosi che sembrano incitarmi a trovare una luce tutta mia, una luce che nei miei occhi color del cielo non c’è, e forse, non c’è mai stata.
Sei tu colui che può donarmela? Oppure mi condurrai solo fin sulla soglia, e sarò io ad over entrare in una stanza senza pareti dove tutto ciò che vi regna è una luce senza pari?
“Mi… fonderò con la terra per un po’…”
Djevel annuisce alle mie parole, mi accarezza una guancia e mi sorride un po’ prima di sfiorarmi le labbra con le sue. Questo è il suo saluto.
Non gli chiedo se mi attenderà perché so che lo farà, per la prima volta ne sono certo, e non so se questo sia già un primo cambiamento…
Prendo il cucciolo e gli sorrido dolcemente prima di metterlo sulle gambe di Djevel, che prontamente lo accarezza per farlo rilassare.
Lo guardo durante tutto il tempo che il mio corpo impiega per entrare in contatto con la terra, per cambiare la sua sostanza e tramutarsi in altro, nella speranza, che una volta uscito, anche io possa essere mutato radicalmente.
DIECI GIORNI DOPO
Alti schizzi di terreno vanno a ricoprire le pareti di roccia, nessun rumore a parte la terra che esplode, per rigettarmi fuori, nonostante mi abbia accolto per tutto questo tempo senza mai lamentarsi della mia presenza.
Gli alberi, la pioggia che filtrava attraverso le cavità della roccia, ho sentito tutto… ogni cosa… e… ho creduto di essere parte integrante di tutto.
Sento di avere una forza nuova in me, nonostante appena riapro gli occhi, in piedi e perfettamente sveglio, al di sopra del giaciglio che mi ha ospitato fino ad ora, i ricordi e le riflessioni si sono riversati su di me come se un turbine violento di vento mia abbia avvolto. Con i suoi tentacoli a spirale ha cercato di precipitarmi in un vortice di pensieri che mi si sono rovesciati addosso con una prepotenza capace di stordirmi e lasciarmi in balia dei loro giochi crudeli, ma… è come se la nera e morbida terra, la Madre che mi ha accolto nel suo ventre per questo periodo, stia cercando ancora di difendermi e proteggermi dalle spire di un serpente che vuole fare di me il suo gioco preferito.
In questo Djevel aveva ragione, la Terra ha un grande potere su di noi, perché da essa deriviamo e ad essa torneremo.
Djevel… dove sarà ora lui? Apro gli occhi alla sua ricerca, della sua figura, dei suoi capelli e delle sua mani forti, ma soprattutto, dei suoi occhi profondi… perché mi sento un po’ meno indegno di guardarlo, e spero lui lo capisca…
Mi guardo intorno e faccio alcuni passi, sento una gran sete… ho bisogno di sangue, ed anche urgentemente, ma prima… voglio vedere Djevel…
Faccio un solo passo e mi accorgo che molte sacche di sangue sono a terra, accanto al luogo in cui ho riposato fino ad ora. Djevel deve aver pensato anche a questo. Faccio un sorriso e comincio a berle, una ad una, la fame comincia a saziarsi, ma sempre più forte aumenta il desiderio di trovare e vedere Djevel.
Lo trovo esattamente dove l’ho lasciato, con il lupacchiotto in braccio. Il cucciolo mi vede e mi corre incontro, mi abbasso per prenderlo in braccio, ma il mio sguardo torna immediatamente su di lui… sul demone dagli occhi dorati che sembra avermi aspettato senza muoversi dal luogo in cui l’ho lasciato, in modo che potessi trovare facilmente la strada per tornare da lui.
Lui segue il lupacchiotto con lo sguardo e poi mi sorride mentre mi guarda e si alza con gesto unico, fluido come un torrente che scorre nel suo letto…
Si avvicina deciso, e ad ogni passo mi sembra che tutto vada un po’ meglio, anche se so che tra poco, quando dovrò ricominciare a pensare a tutto quello che è successo e succederà, quando ricorderò a me stesso che ho parlato solo tre volte con quest’uomo eppure già lo considero… una parte di me, cadrò improvvisamente da un alto dirupo, ma la cosa più difficile sarà il passo successivo, ossia la risalita.
Essere in comunione con la madre terra mi ha concesso la somma grazia di capire che posso farcela, che sarò in grado di scalare ogni vetta, uscire dalle tenebre e tornare alla luce… da solo…
Le sue mani si allungano e sto per appoggiarmi a lui, ma prima Djevel mi toglie il lupo dalle braccia e lo lascia a terra, dove il cucciolo comincia a correre intorno a noi in cerca di considerazione.
Ora… sento le sue braccia stringermi a sé e lo vedo avvicinarsi… poi sento solo le nostre bocche fuse, in un bacio passionale e che mi comunica anche tutta la sua possessività… ora sembra un vero lupo che marca il territorio, ricordando ai rivali che lui è il padrone incontrastato delle lande in cui passa.
Io glielo lascio fare, non ho capito ancora perché, ma mi sta bene che sia così con me, e non è solo il bisogno di appartenere a qualcuno, è qualcosa che va oltre, perché ha vinto ogni mia riserva con il suo sorriso, il bacio è solo una logica conseguenza… logica conseguenza di quale premessa però, ancora devo capirlo davvero.
Mi mancava questa sensazione, brividi di piacere ed eccitazione che mi percorrono la schiena e raggiungono parti del mio copro che non credevo nemmeno di possedere…
Mentre continuo a baciarlo una cosa mi colpisce… sento qualcosa di forte e… peloso avvolgermi la vita, e mi rendo con che è… la sua coda…
Istintivamente l’accarezzo con una mano, mentre con l’altra continuo ad abbracciarlo e mentre le nostre labbra continuano ad essere unite.
Ora, se mi chiedesse cosa provo quando le nostre lingue si toccano, e quando le nostre bocche si fondono, gli risponderei che sento qualcosa che non avevo mai provato… come se una nuova linfa vitale scorresse in me… ma non è il bacio in sé, o il fatto che sia Djevel a darmelo… è come se questo fosse questo quello che stavo aspettando… ed aspettava me… ma credo che prima di capire davvero, devo far luce su molte altre cose…
Quello che però segue le mie carezze è qualcosa che non mi aspettavo e che… mi fa letteralmente impazzire… come solo lui è stato, fino ad ora, in grado di fare.
Sento Djevel mugolare profondamente, pur senza staccarsi dal bacio… bacio che diventa selvaggio quasi… così passionale da non poter essere descritto, così intenso, forte, bruciante, da lasciarmi inebetito ed in cerca disperata di un contatto sempre più profondo, come un umano che nel deserto, una volta trovata l’acqua, è all’ansiosa ed impaziente ricerca di un’intera oasi.
Sento il suo corpo muoversi contro il mio, i suoi fianchi spingersi contro i miei con forza e desiderio, lo stesso che si sta espandendo dentro di me come un incendio che brucia rabbioso tutto ciò che incontra.
Un mugolio, stavolta mio, fa seguito al suo, ed intensifico il bacio ed il contatto, anche con la sua coda che un briciolo di razionalità mi suggerisce essere il suo punto debole.
Senza che possa far niente per impedirlo il bacio si interrompe bruscamente, lo fisso e fisso soprattutto le sue labbra, con desiderio, ne sono certo, lo stesso bruciante e devastante desiderio che scorgo nelle sue iridi dorate e lucenti. Ma è solo questo? E’ solo sesso?
No… non credo… so che non è così…
Con loro, all’inizio l’attrazione sessuale è stata così forte da non farmi ragionare, ma ora so bene che è meglio smettere qui, nonostante ogni frazione infinitesima del mio corpo mi chieda, mi urli, di fondermi con lui in un solo essere…
“Asar… - la sua lingua compie un gesto ipnotico accarezzando le sue stesse labbra… vorrei catturarla ma lo lascio parlare - non continuare o ti faccio stendere su questo morbido tappeto di erba umida e unisco il mio corpo al tuo in modo talmente profondo da non capire dove finisce il mio ed inizia il tuo... Sei riuscito a toccare una corda che non credevo di possedere in me e la sento risuonare con una forza ed un'urgenza che non so quanto possa tenerla celata in me senza lasciarla esplodere totalmente.”
Se fossi ancora vivo deglutirei a vuoto, per cercare di riportare la salivazione in bocca. La saliva c’è, ma è tutto comandato dal mio cervello, con azioni volontarie, quindi, non ho bisogno di questo sciocco gesto per cercare di calmarmi.
Ho toccato una corda in lui… e lui in me… una corda che risuona con la sua, le fa eco e risponde ad ogni suo richiamo…
“Scusa… è meglio se… ci sediamo…”
Djevel annuisce e mi accarezza delicatamente il naso, questo stupidissimo naso all’insù che mi ritrovo… una delle tante cose del mio aspetto che odio… fa un mezzo sorriso poi si siede aspettando che io faccia lo stesso e semplicemente mi guarda aspettando che parli… ma come spiego tutto quello che ho provato?
Mi siedo al suo fianco e mi avvicino un po’ a lui, sento un suo braccio cingermi le spalle e allora mi lascio andare contro il suo corpo appoggiando la testa sulla sua spalla… è comodo rimanere qui… potrei anche non parlare, so che lui non mi forzerebbe, ma credo di essere io ad averne bisogno…
“E’ stato… bello… essere parte di qualcosa di molto più grande di tutto quello che ho mai incontrato… ed ora so… so che posso farcela… per questo sono uscito…
“Quanto tempo è passato? A me è sembrato un soffio, eppure… sono riuscito a riprendere contatto con qualcosa che credevo di aver perso… sai di cosa parlo?”
“Si, è entrare in comunione con ciò che ci ha permesso secoli fa di nascere, è ritornare ad essere parte della madre terra per comprenderne la meravigliosità e la pace che sempre infonde, per poi sentirsi pieni di essa e pronti ad affrontare tutto quello che gli uomini ogni giorno contribuiscono a creare. Sono certo che ora tu sia in grado di combattere contro ogni tuo dolore e di vincerlo, pacificarlo e renderlo parte di te in modo che ti fortifichi e ti renda ancor più speciale. Sono trascorsi dieci giorni, in soli dieci giorni sei pronto per rinascere ed accettare di divenire ciò che nascondevi in una parte soffocata di te stesso. Sei un vero lupo ora.”
Gli sorrido molto dolcemente, una dolcezza che non credevo di possedere… è forse questo che dovevo fare? Una specie di rito di rinascita? Una sorta di accettazione della mia natura animale? Oppure di riscoperta di me stesso, sotto una nuova luce, creata e generata da me stesso?
Mi risuonano in mente le parole di Djevel e senza volerlo scoppio a ridere.
Un vero, stupendo e meraviglioso sorriso, dotato persino di una certa dose di qualcosa che sembra dolcezza, gli si disegna sulle labbra, dopo il primo attimo di smarrimento, causato dalla mia risata apparentemente insensata.
“Non mi chiedi perché rido?” Non so se ha capito bene, perché sto cercando di soffocare le risate… non mi capitava di ridere così da tanto, ma l’ho fatto due volte in pochi giorni… ed entrambe le volte è stato solo grazie a lui… che voglia dire qualcosa?
“Se davvero me lo vuoi rivelare non serve una mia domanda, altrimenti la tua confidenza sarebbe una forzatura ed io non farò mai nulla per costringerti a fare qualcosa, essere il tuo compagno non implica che io debba opprimerti in qualsiasi senso per fare qualcosa che mi aggrada ma che magari tu non vuoi.”
Per un attimo rido più forte, ma le risa si sedano piano, mentre cerco di calmarmi e riprendere l’abituale controllo di me stesso. Sono belle le sue parole, sempre… se non mi chiede qualcosa non è perché non gli interessa, ma perché vuole che sia io a rivelargli, spontaneamente, ogni cosa di me… io non sono così… ma è bello trovare qualcuno così diverso eppure così uguale.
“Ridevo… perché sono tornato in contatto con la mia anima… ma le tue parole sono state, come sempre, meravigliose e capaci di segnarmi profondamente…”
“Avevo frainteso, a volte tendo a pensare che tutti vedano le cose come me - inclina leggermente la testa sul petto, quasi volesse studiarmi, i capelli gli ricadono lievi sul petto, ed io non posso fare a meno di cominciare ad accarezzarglieli - è una cosa molto bella quella che ti ha donato la terra non credi? Dovrebbe essere permessa a tutti l'entrata in comunione con ciò che a volte tendiamo a nascondere per svariate motivazioni e soprattutto per le ferite del passato e per la quotidianità del presente.”
“Anche le tue parole erano veritiere, perché sono entrato in comunione anche con la madre terra… però… credo che entrare in comunione con se stessi sia una cosa che non tutti vogliono fare… ed io ero tra quelli che volevo girare alla larga dalla propria anima… Tu sei così… diretto, schietto e sicuro di te che non credo abbia mai avuto problemi a guardarti dentro, soprattutto perché, non mi sembra che tu nasconda niente in te… ma io invece...
“Ho sempre avuto paura di scoprire cosa regnava in me, di affrontare i demoni del passato e quelli del presente… Essere in unione con la terra, con la natura, mi ha fatto ricordare che si deve aver paura solo di se stessi, ma che una volta che si riesce a scontrarsi con la propria anima, capendo di cosa è fatta e di cosa si nutre, allora si può vivere in pace, senza avere timore del passato o del futuro… e meno che mai… del presente… Non conosco il mio presente, né il mio futuro, ma conosco il mio passato, quindi credo di dover iniziare da quello, vero?”
“Esatto, sai già cosa devi fare senza che te lo dica io... e non trovo ci sia nulla che vada celato, se è accaduto fa parte di noi e ha contribuito a renderci ciò che siamo quindi non c'è ragione alcuna perché resti nascosta. Ora tu riuscirai a costruirti un presente ed un futuro sereno ne sono sicuro.”
Tu ne sei sicuro… ma io? Io non sono sicuro di niente, anche se forse l’incertezza fa parte di questo nuovo cammino che sto intraprendendo…
Sono belli i suoi capelli al tatto, mi piace affondarci le mani come sto facendo ora…
“Cosa devo fare? Parlarne con te? Cosa? Io non so come continuare a camminare su questo sentiero… puoi aiutarmi a capire? E poi… vorrei essere certo di quello che mi attende come lo sei tu…”
“Io posso rivelarti la strada che percorrerei io e che sentieri sceglierei per me, tu devi trovare i tuoi da soli, sapendo che ovunque tu vada ed in qualunque modo tu scelga di percorrerli al loro termine troverai il tuo presente, il tuo futuro e me ad attenderti.”
“Puoi indicarmeli? Vorrei solo un consiglio, un punto di partenza per capire dove trovare la mia via. Però se… alla fine di tutto questo io decidessi che non sei il compagno per me? Come puoi essere certo che io sarò per te?”
La sua certezza di un futuro insieme mi disorienta e mi lascia senza parole. Io non ho mai dato per certo e scontato niente, invece lui…
Ma non è solo questo, non sottovaluta i miei pensieri, non da’ per certe decisioni non prese, e non lo fa a cuor leggero. E’ come se Djevel conoscesse il futuro, come se avesse già tutte le risposte, come se avesse compreso, in un modo che non capisco, quale sarà il luogo a cui tutto questo mi porterà… come se sapesse che la mia vita mi avrebbe portato da lui…
“Affronta un ricordo alla volta, combattilo, comprendi le ragioni che ti portano a considerarlo amaro, triste od al contrario bello e sereno e poi, comprendi come poterli vincere totalmente. Cerca la strada per essere te stesso, senza finzioni né mezze misure… allora vedrò nuovamente la scintilla che ti ha reso vivo e... avvolto di fuoco bruciante e solo mio, e vedrai, come me, che noi siamo uguali e che dobbiamo stare insieme.”
Affrontare un ricordo alla volta… rivivere tutta la mia esistenza… e poi?
Scoprire che siamo uguali e dobbiamo stare insieme…
Ogni sua parola, ogni suo sguardo, mi entra dentro, mi colpisce l’anima, la libera dal passato ma l’avviluppa in nuove catene invisibili, che mi serrano in una morsa da cui so che non riuscirò più a fuggire… forse perché questo, è il filo rosso del destino che tesse, insieme alle Parche sue creatrici, la sua ragnatela attorno a me e a quello che mi attende… ma soprattutto… intorno a me e colui che mi attenderà sulla soglia di casa, di ritorno dal viaggio che mi porterà in me stesso…
“Rimarrai con me? Oppure devo essere solo?”
“Sarò sempre al tuo fianco.”
“Devo parlare o rimanere in silenzio? Se piangessi… tu che faresti? Mi parlerai? Io… vorrei.. rivivere tutto nella mia mente… va bene?”
“Se piangessi ti asciugherò le lacrime, e ti abbraccerò per farti sentire la mia presenza e puoi far tutto quello che preferisci.”
“Posso abbracciarti?”
La sua risposta non arriva a parole, ma le sue braccia mi stringono sollevandomi e ponendomi al sicuro sulle sue gambe, stretto in una morsa che sembra essere così stretta da soffocarmi… ma io non respiro.. quindi tutto quello che possono fare queste braccia, mentre due labbra dolcemente si posano sulla mia tempia, sono solo impedirmi di cadere più in basso, oppure, mostrarmi quanto manca per arrivare in cima, dopo aver scalato il burrone in cui sto per precipitare.
Senza nemmeno rendermene conto comincio a parlare di me, della mia storia, racconto ogni cosa, dal giorno in cui sono nato, a quello in cui sono morto.
Parlo di quanto mi sembrasse caldo il sangue di Christian, di quanto abbia pianto dopo aver visto la casa di mio fratello ridotta ad un cumulo di macerie.
Improvvisamente mi ritrovo nella seconda metà del 1700, alla corte di Danimarca, oppure a quella di Norvegia, sono di nuovo un ragazzino ribelle ma educato e composto, uno che sa stare in società.
L’attimo dopo mi ritrovo a tornare da un viaggio, un lungo viaggio che mi aveva fatto stare lontano un anno… avevo visitato l’America, i non ancora nati Stati Uniti, ed al mio ritorno, il villaggio che si trovava al limitare della mia proprietà, un villaggio di pescatori di poco più di duecento anime, era stato distrutto, erano tutti morti o fuggiti, l’odore acre del sangue mischiato alla paura ed al fuoco regnavano incontrastati.
Nessun umano seppe mai cos’era successo, ma io sì. C’era un carillon, sembrava lasciato appositamente lì, ed infatti era così. Un omaggio da portare a Kristof, perché si ricordasse che i suoi nemici poteva colpirlo anche tramite il suo amato figlio, la sua ossessione.
E dal quel momento l’odiato ancora di più, come se odiando lui e chi aveva ucciso quelle persone che io proteggevo, dichiarandole mie prede, potesse farmi sentire di nuovo vivo, come se l’odio fosse l’unica cosa che potesse spingermi a continuare ad esistere, come se fosse l’unica miccia che potesse accendere un cuore altrimenti morto.
In un istante però tutto questo sparisce, mi ritrovo su uno dei ponti che unisce le due sponde del fiume Tevere, a Roma, in Italia. Ero lì per affari, perché avevo deciso che mentre cercavo quegli individui, dovevo vivere con gli umani, forse per illudermi di essere ancora uno di loro.
Avevo trovato le tracce di uno di loro ed ero riuscito a scontrami con lui uccidendolo, ma una volta trovato il secondo… fu lui a portarmi in punto di morte, tanto da farmi andare in frenesia, cosa che ero sempre riuscito, anche se non so con quali forze, ad evitare. La Bestia mi lasciò in dono le orecchie a punta che ora cerco di nascondere con tutto me stesso, perché sono il segno che ho ceduto, che potevo morire combattendo e non l’ho fatto, sono il segno che ho fallito la mia vendetta.
Dopo di allora ero stato in torpore per molti anni, dieci se non mi sbaglio… e poi… su quel ponte… lui…
Era il 1905 quando un individuo dagli occhi viola, in una notte di luna, mi chiese di fargli da modello. Accettai... e fu l’inizio della fine. Solo dopo una settimana scoprii che era un vampiro come me… mi arrabbiai, cerca di mandarlo via, gli dissi che non volevo più vederlo, ma invece… feci l’amore con lui e lui mi disse di amarmi.
Amare… me? Come poteva? Non sapeva nulla di me… non sapeva chi ero, quello che avevo fatto… eppure… diceva che io potevo salvarlo dall’oscurità, che io ero il suo unico appiglio per ritrovare e conservare la luce.
Cedetti, credetti che quello fosse il mio posto, credetti che lui potesse davvero avere bisogno di me, e forse, era così…
Passammo degli anni felici, credo 18 o 20… e poi… lui si invaghì di un altro e se ne andò.
Avevo cominciato a chiamarlo lite… il mio piccolo…
Quella fu la prima volta. Quando lo vidi tornare, anni dopo, credetti che era stato solo un errore, che tutti potevano sbagliare, che in fondo, io e lui eravamo legati da molti di più di un semplice legame di sangue, eravamo legati l’uno all’altro indissolubilmente attraverso i nostri sentimenti, ero convinto che lui fosse il mio cuore…
E’ successo innumerevoli volte nel corso degli anni, lite si invaghiva di qualcuno, si incapricciava di qualcosa, e se ne andava… poi, dopo anni, tornava da me e tutto ricominciava…
Mi ritrovo improvvisamente nell’elisio (luogo di ritrovo per i vampiri di una città ndSaku) di Venezia. Un anno e mezzo fa, lo vedo… e tutto… si fa confuso…
Sento qualcosa di caldo colarmi lungo il viso…
Come fa il sangue ad essere caldo se sono morto? Forse sono solo io a sentirlo così, forse è gelido esattamente come il mio corpo, o come quello di Djevel che mi stringe forte e asciuga le mie lacrime con dita lievi.
Non mi rendo conto molto di quello che succede, è come se fossi avvolto nelle nebbie del tempo, avviluppato dai ricordi che sono vividi e reali, quasi li stessi vivendo di nuovo, oppure… come se osservassi tutto con occhi esterni, come se io non fossi più io… ma io chi sono? Ancora devo capirlo…
Due giorni ed io e lite eravamo di nuovo insieme, in quella che credevo essere una vita felice, ma che era solo la parodia di una relazione campata in aria. Gli regalai persino due fedi, una per me, ed una per lui… in oro bianco… lui la portava ad una catenina che gli arrivava sul cuore… cosicché avessi potuto stare al mio posto, ossia nel suo cuore…
Patetico… non lui, ma io che ci credevo… volevo e dovevo credere che quella fosse la realtà…
Poi, una notte, è arrivato lui… sembrava uno di quegli orsacchiotti dimenticati in soffitta… cercava solo amore… per questo ho cominciato a chiamarlo proprio orsacchiotto.
I capelli sparati in aria di un tremendo viola, orecchini e pearcing dappertutto, assurde magliette senza maniche e anfibi portati sopra i pantaloni. Bellissimi occhi castani pieni di dolore e tristezza malcelati dietro una cortina di indifferenza e rabbia.
Credevo di aver abbattuto quel muro, mi sono lasciato andare alla convinzione che fossimo anime gemelle, ma che il mio vero amore fosse qualcun altro. E poi? Poi l’ho tradito… mentre lite non c’era sono andato a letto con quell’orsacchiotto, con la mia presunta anima gemella, e poi credevo che tutto potesse concludersi lì. Sbagliavo, come sempre avevo fatto fino a quel momento del resto. Anche lite mi aveva tradito, credevo di poterci passare sopra, io avevo fatto lo stesso… ma non lo sopportavo…
Poi, non so come tutto sia precipitato, so solo che mi sono ritrovato a regalare ad un finto orso di pezza una catena con un lucchetto e a tenerne la chiave… mentre al dito portavo ancora la fede…
E’ stato quello il punto più basso a cui potessi arrivare… illudere me stesso che tutto sarebbe potuto essere uguale a prima…
Poi… poi non lo so, lite è andato a Parigi, io sono rimasto a Venezia con l’orsacchiotto che mi consolava e faceva finta di sorreggermi, credevo davvero di amare entrambi, perché entrambi mi davano cose che volevo avere… ma li amavo davvero?
Non lo so più… forse non l’ho mai saputo…
In tutto questo era arrivato a Venezia Kahir, il mio fratellino minore…
L’ho mandato a Parigi perché ero troppo depresso per occuparmi di lui, nonostante non mi considerasse solo un fratello, ma un padre…
Due persone mai incontratesi prima che sviluppano in così poco tempo un rapporto così profondo…
Ho distrutto anche quello…
Tornato da Parigi è rimasto per un po’ con me, ma le cose non andavano bene, ero troppo concentrato sul fatto che mi facessi schifo per occuparmi di lui che aveva bisogno solo di affetto. L’ho mandato qui in Norvegia da nostro fratello maggiore…
Li ho visti di sfuggita quando sono arrivato qui il mese scorso... lo ha chiamato papà…
Non so cosa sia successo poi, so solo che tutto è andato sgretolandosi, muri di cartone che crollavano al soffio del vento.
Semplicemente, l’orsacchiotto mi diceva che ero suo, ma… non riusciva a mettere il suo egoismo dopo di me. E’ cominciata una ‘caccia ai cacciatori’, non so perché lui volesse parteciparvi, forse per movimentare la sua non vita altrimenti monotona…
E io l’ho seguito, non potevo permettere gli accadesse nulla… però… lui ha lasciato accedesse a me.
Doveva scegliere tra lo buttarsi in grembo ad acqua santa e cacciatori, oppure cercare di ricordarmi che seppur morto, avevo qualcuno che mi amava, e che la Fede che imperniavano il luogo in cui ci trovavamo, erano nulla se avessi ricordato a me stesso che l’eternità era fatta solo per me e per lui… solo per stare insieme… (La Vera Fede è uno dei peggiori nemici per i vampiri, riesce a creargli sensi di colpa, rendendoli improvvisamente consapevoli degli abomini di cui si macchiano quotidianamente esistendo ndSaku)
Ha scelto i cacciatori… non ricordo nemmeno come ho fatto a tornare a casa… lui ha rischiato di incontrare la Morte Ultima… e io non l’ho difeso…
E tutto si è sgretolato di nuovo, e sono scappato, sono tornato qui, per cercare di capire se la Morte fosse la mia unica salvezza, e se ci fosse davvero l’amore nella mia non vita.
Ecco tutto quello che ho fatto in duecentocinquanta anni.
Niente.
Ho solo sguazzato in un dolore senza fine, convinto che quello fosse il mio destino, certo che quello fosse tutto ciò che mi meritavo e che mi spettava di diritto, come pegno per le vite che non avevo contribuito, in vari modi e tempi, a preservare.
E poi… cominciano una sequela quasi insensata ed infinita di sentimenti, emozioni e dolore, dolore senza fine, tutto quello che ho provato fino a quando non ho incontrato Djevel, ed anche dopo.
Descrivere i sentimenti che ho provato in questo periodo è impossibile, non riesco ad essere coerente, sento solo un grandissimo caos, immagini, flash, ricordi, emozioni, sensazioni, dolore, gioia, dolore ed ancora dolore, inadeguatezza, senso di mancanza, tanta tristezza… se mi riuscissi a vedere dall’esterno, credo che proverei pena per me stesso, o forse disprezzo, sì… disprezzo… un patetico ed inutile essere raggomitolato su stesso, che cerca un calore che non potrà avere mai più… un essere fragile come un cristallo che cerca di trovare riparo e pace tra due braccia forti che lo stringono come se da questo dipendesse la vita di chi è in piedi, forte e sicuro di sé, come se quell’essere fatto di forza e dolcezza, non potesse più esistere se quel fagotto tremante ed inutile cessasse di esistere e liberasse il mondo dalla sua ingombrante ed insignificante esistenza.
Dovrei forse attaccarmi a queste braccia come sto facendo ora? Oppure dovrei far forza su di esse per alzarmi in piedi e camminare con le mie sole gambe?
Non so cosa mi guidi, non so quale energia mi spinga ad uscire da questo rifugio sicuro. Eppure, sforzandomi di non cedere al calore inesistente di queste braccia, lo faccio.
Barcollo, mi appoggio, cerco di non cadere, tutto da solo… per la prima volta, davvero cosciente che solo io posso darmi la forza necessaria per andare avanti, solo io posso uscire per sempre da questo baratro, solo io posso trovare la luce.. e poi… forse.. donarla, od unirla a quella di qualcuno di cui sento la presenza, ma di cui non sono certo conoscere la vera identità.
Sono io, oppure è un altro me stesso? Oppure ancora… è solo un essere che compie un cammino accanto al mio, un sentiero che si unisce al mio e che potrebbe essere, se solo lo volessi, illuminato dalla luce?
Esco fuori da un tunnel lungo… lunghissimo…
E ad attendermi… la luce della luna, una pioggia torrenziale che lava via il sangue che sgorga dagli occhi e la mia voce, alta e roca che urla.
Sento una mano sulla spalla, mi stringe leggermente, ma solo quando ho smesso di urlare, quando la gola mi fa male per averlo fatto. Sono morto, è vero, ma il mio cervello prova ancora dolore per certe azioni, come questa ad esempio, ed il fatto di non aver mai avuto una voce particolarmente potete ha una certa influenza.
Mi volto seguendo i movimenti che gentilmente queste dita mi stanno invitando a compiere e i miei occhi sporchi di sangue e velati di rosso mi fanno riflettere in quelli dorati e benevoli di Djevel.
E’ bagnato fradicio, proprio come me, questa pioggia è davvero torrenziale, ma non me ne sono reso conto prima, ed anche ora, non è un peso sentire le singole ed innumerevoli gocce che cadono su di me ed intorno a me, è una sorta di rinascita anche questa, come se la natura tutta fosse in attesa del mio risveglio, ed ora stesse lavando via tutti i ricordi e le lacrime inutili.
I suoi occhi sono fissi nei miei, uno sguardo intenso e pieno di parole non dette, uno sguardo che finalmente riesco a sostenere.
“Bentornato alla vita. Quando ti dimostrerò che non sei responsabile per le colpe di cui ti accusi, sarai definitivamente pronto a chiudere un cancello sui ricordi, per lasciarli in un giardino sempreverde che non ha bisogno di cure. Allora sarai finalmente pronto a varcare la soglia del futuro che ci si prospetta davanti, camminando con me attraverso i boschi infiniti che costelleranno il nostro cammino, attraversando prati, siepi ed osservando l'estendersi della natura che sempre ci guiderà con la sua silenziosa ed immutabile presenza.”
Lo vedo avvicinarsi fino a che le sue labbra si posano, dolci e lievi sulle mie, in un tenero saluto di benvenuto… benvenuto al mondo…
Gli sorrido, un sorriso che non porta rimpianti o ripensamenti.
Ancora non so se davvero non ho alcuna colpa, forse il mio errore più grave è stato non credere abbastanza in me stesso, lasciarmi andare al dolore senza capire che prima di farlo, dovevo assolutamente trovare una nuova dimensione, dovevo accettare la perdita, ed andare avanti per superare la sofferenza, così da rendere omaggio e giustizia a chi era morto. Io, che potevo, e posso ancora, camminare, se degnamente o meno non sta a me giudicarlo, su questa terra, dovevo e devo onorare la memoria di chi è morto e ricordare… perché l’unico modo per non perdere qualcuno è ricordarlo. Banale, ma reale.
Ora lo so, credo di saperlo almeno, e questa nuova convinzione mi fa stare meglio, molto meglio.
Fino ad ora ho ricordato, è vero, ma ricordavo il cadavere di Christian, non i suoi sorrisi, e lo stesso dicasi per tutti coloro che sono morti.
Per quanto riguarda lite e l’orsacchiotto invece… loro sono un discorso profondamente diverso.
Il mio errore è stato uno solo: cercare il mio compagno in chiunque credevo potesse avere anche un solo requisito per esserlo.
Dovevo solo attendere, ed alla fine lui sarebbe giunto.
Non so se è davvero Djevel, nonostante lui sia sempre più convinto di questo, voglio davvero essere cauto e vivere questa relazione, di qualsiasi tipo essa sia, seguendo solo l’istinto. Ho sempre ragionato troppo, stavolta voglio lasciarmi andare.
Sono certo che l’istinto saprà indicarmi la strada da seguire, e soprattutto, il giusto modo di intraprenderla.
Mi avvicino e ricambio il suo bacio, questo è il primo che gli do per mia iniziativa, un bacio leggero e dolce, che io stesso trasformo in qualcosa di molto più profondo, nonostante non ci sia passione estrema, ma solo dolcezza e voglia di assaporare ogni attimo, ogni sensazione che questo gesto dona sia a me che a lui.
“Ho aperto quel giardino… ora devo solo richiuderlo… e sì, hai ragione. Non sono completamente colpevole di tutto… è la prima volta che lo dico… è un buon inizio, vero?” Sorrido di nuovo. E’ davvero la prima volta che ammetto una cosa del genere, ma non sono ancora arrivato in cima, sono solo a metà del percorso, accantonare i ricordi credo sia la parte più difficile, farne tesoro e non farsi soffocare da essi, questo devo imparare a farlo, in questo mi impegnerò da ora in avanti, fino a quando non sarò riuscito a comprendere come fare. Allora potrò dire che Asar Varg è davvero rinato… o forse… è venuto finalmente al mondo.
“Ottimo.” Solo una parola e poi, solo azioni, solo gesti dolci e delicati, la sua mano sulla mia fronte e tra i capelli, e le sue labbra ovunque sul mio viso, su ogni centimetro di esso, come fosse un bene prezioso… e forse lo è davvero…
Gli sorrido chiudendo gli occhi e godendomi ogni tocco, lieve e delicato, cosa verrà dopo? Non lo so… voglio abbandonarmi ad ogni sensazione che lui mi darà…
Non so per quanto rimango tra le sue braccia, riesco solo a percepire i baci e le carezze, la dolcezza e la delicatezza di ogni suo gesto, il resto… sembra essere scomparso.
“Ti va di… andare a casa mia? Credo sia importante affronti anche il castello e tutto quello che c’è dentro…”
“Si certo... ma... castello?” Mi guarda perplesso come avessi detto una cosa strana.
“Sì, il castello in cima alla collina... è mio… Anche questa grotta… tutto il bosco fa parte della mia tenuta…”
“Oh... non sono abituato a queste cose...”
“In che senso?”
“Nel senso di… abitazioni…”
“Oh… è un problema? Se… se non ti va… vado da solo… mi puoi aspettare qui o dove vuoi…” Non lasciarmi solo…
“No, vengo con te, voglio vedere il tuo mondo. Devo entrare a farne parte, no?”
Non lo so… devi? Non ne fai già parte? Serbo questo pensiero per me, perché forse non è come credo, non ancora almeno, non per lui…
Gli sorrido e accenno un sì con la testa e poi lo prendo per mano, convinto che ogni passo che compio sia un passo in più verso la libertà, nonostante senta i piedi tremendamente pesanti e le gambe mi reggano sempre un po’ meno…
Stringo la mano a Djevel e faccio forza su me stesso, io sarò l’artefice del mio destino, così come lo sono stato del mio passato. E’ ora di affrontarlo, accettarlo, ed infine, superarlo.
Cammino non molto a lungo, anche se il tragitto mi è sembrato interminabile, ed eppure brevissimo. Da una parte voglio che tutto finisca, dall’altra non ho il coraggio di affrontare quello che so stare lì ad aspettarmi… ma devo, e voglio…
Mi fermo davanti al castello e lo guardo, lì ci sono draghi, mostri ed un inferno senza fine, ma ci sono anche risa, scherzi, corse a perdifiato… lì c’è tutta la mia esistenza.
“Ora che tu sai come vivo è giusto che io sappia come agivi tu, no? Voglio che... tutto sia perfetto che le nostre realtà si fondino diventando una solo nostra.”
Mi volto verso Djevel e lo guardo, sorpreso per le sue parole, rincuorato perché quello di prima è stato solo un pensiero negativo. Credo che lui sappia più che bene che fa parte della mia esistenza ormai, è soprattutto grazie a lui se sto compiendo questo percorso, è lui che mi ha indicato la giusta strada da seguire, senza però rivelarmi i bivi e le trappole nascoste, cosicché potessi trovare da solo il giusto sentiero da intraprendere.
Non so se diverrà realmente il mio compagno, credo che sarà per sempre qualcosa oltre a questo.
Se anche diventerà l’uomo con cui passerò l’eternità, sarà comunque anche la giuda che ha riportato al gregge la pecorella smarrita, e questo nessuno potrà mai cambiarlo… per questo sarà sempre l’essere più importante della mia intera esistenza…
Un sorriso, piccolo ma sincero, mi nasce sulle labbra, convinto che lui apprezzerà e capirà. Stringo di nuovo la sua mano, un nodo alla gola, creato dall’aspettativa ed anche dalla paura, mi impediscono di parlare.
La sua presa sulle mie dita si fa ferrea, stringe la mia mano con forza e sicurezza, la stessa che so vuole trasmettermi e comunicarmi, così che io possa prenderne da lui qualora la mia non fosse sufficiente.
“Il fiero lupo che rientra alla tana dopo aver compiuto un'azione degna di se, varca la soglia a testa alta e sguardo deciso, insieme al proprio compagno... voglio quegli stessi occhi visto che puoi riuscirci e sento che lo vuoi.”
Sì, lo voglio… sto varcando la soglia insieme al mio compagno? Forse… forse è davvero così, mi sto lasciando convincere… il mio istinto comincia a suggerirmi che Djevel non mente, non può mentire proprio su questo…
Lo guardo e gli sorrido, alzo il mento e guardo diritto davanti a me, gli occhi fissi sul portone. Stringo la sua mano, poi mi volto e gli sfioro le labbra con le mie.
Di nuovo il pesante portone di legno massiccio mi attende, lo scure assi mi si parano davanti, proteggendo i miei occhi dagli scenari che so attendermi all’interno…
Ma io sono più forte, stringo di nuovo la mano a Djevel e poi, con una decisione che non ho mai avuto, salgo i quattro scalini e poi… varco la soglia di quell’Inferno che tramuterà la mia esistenza in vita, prima di condurmi al Paradiso.
Un’ondata di sentimenti, pensieri, emozioni, ricordi, sogni e disillusioni immediatamente mi colpiscono, all’improvviso rivivo di nuovo, per la seconda volta stanotte, tutta la mia esistenza, ma stavolta, accanto al dolore, ci sono anche ricordi felici.
“Vorrei… aprire le stanze della mia famiglia… e poi… rimettere i loro ritratti, distruggere i quadri di… quelli che ha fatto… colui a cui il mio sangue è legato, ma… a cui io… non appartengo più…”
Djevel mi accarezza i capelli ed annuisce. “Sono qui, lo sai.”
“Sì, lo so…” Gli sorrido dolcemente e una nuova carezza tra i miei capelli mi fa sentire un po’ più leggero, so che quello che mi aspetta non è affatto una passeggiata nei boschi, ma se c’è Djevel allora…
I miei piedi si muovono da soli, camminano senza sosta verso una meta che apparentemente non conosco, poiché non ho detto dove sto andando, ma d’altro canto è più che ovvio che sto compiendo un viaggio nel tempo, ogni singolo passo mi riconduce sempre più indietro, ogni angolo ha un ricordo, ogni parete un arazzo o un quadro che sono stati tolti, ogni singolo vaso, specchio, suppellettile… tutto mi fa ricordare quello che ero, quello che c’era in questa casa, chi viveva in questo castello, ed ora, è morto.
Io per primo, io che sto compiendo un viaggio nella memoria e in me stesso, sono morto, ma per la prima volta da quando questo è accaduto non lo sento come un peso.
Che sia la mano di Djevel che stringe la mia ad aiutarmi? Forse, anche se non ho la percezione esatta di dove finiscano le sue dita ed inizino le mie. Sarà sempre così? Non ci sarà mai limite tra noi due?
E’ quello che ho sempre voluto… che davvero un sogno lontano e ormai dimenticato si stia per realizzare?
Ogni stanza racchiude in sé un numero impressionante di ricordi.
Nelle stanze dei miei genitori non mi era permesso entrare, non fin quando sono stato un bambino… poi non credo di esserci mai voluto andare io. Non erano genitori nell’accezione moderna del termine, erano conti del settecento che badavano a stento ai figli, e che raramente si ricordavano di averne. Mia madre faceva parte dell’ormai ininfluente nobiltà norvegese, mio padre di quella in auge in quel periodo, ossia la nobiltà danese. Un ottimo matrimonio per entrambi, ovviamente. (1) E poi nacque Erik, mio fratello maggiore, un vero nobile fin a piccolissimo, dicevano questo di lui. Poi Freya, una vera contessina… e io, la pecora nera della famiglia, quello che giocava con il figlio dello stalliere a nascondino, quello che andava a cavallo fin dove non aveva il permesso di arrivare, quello che a sedici anni era stato fidanzato con una marchesina danese ma che aveva visto solo quella volta, quando lei aveva appena otto anni, e poi basta… io ero quello che aveva voluto studiare veterinaria… che cosa ignobile! E poi era arrivato Christian, il cucciolo di casa, che fin troppo presto però, aveva cominciato a prendere le brutte abitudini del fratello, faceva solo piccole marachelle, suonava il violino divinamente ed insieme facevano dei lunghi e bellissimi duetti, violino e pianoforte, ma niente, era testardo come Asar.
Lo adoravo.
Sento le lacrime ricominciare a scorrere e la cosa davvero preoccupante è che sono ancora all’inizio…
Mani lente e dolci mi accarezzano appena i capelli e la schiena, rassicuranti gesti che mi ricordano che non è necessario cadere in un abisso di disperazione per affrontare i propri demoni, e questo… è proprio un demone a dirmelo, un bellissimo lupo dalla chioma fluente, la coda forte, la sento avvolgermi la vita e stringerla, così come mi stringono le sue braccia, il suo petto è un rifugio in cui abbandonarmi, in cui riposare prima di ripartire per questo viaggio.
Ed infatti così faccio. Lascio che tutte le lacrime finiscano, non sono le prime, non saranno le ultime, si aggiungono ad altre già versate e sono anticipazioni di altre che verranno e che so, proprio come accade ora, passeranno. Mi alzo e faccio un lieve sorriso a Djevel, lui lo ricambia e poi, prendendolo nuovamente per mano, lo conduco fino ad un’altra stanza, dove nuovi ricordi mi assalgono, memorie di un tempo lontano che ora, finalmente, ho deciso di affrontare e accettare come parte integrante di me.
L’alba ci coglie quando siamo nella stanza che era di mia sorella, siamo entrambi troppo assorti, io nei miei ricordi, Djevel nel prendersi cura di me, per accorgercene e spostarci così altrove.
E’ stata una delle notti più lunghe della mia intera esistenza, ma non è che l’inizio. Sono forse giunto a metà della china, ora non rimangono che tre stanze, tre ricordi di tre persone che ho amato, in maniere molto differenti ma che hanno rappresentato dei punti chiave nella mia esistenza.
Se supererò anche loro, allora… allora sarò rinato davvero…
Il giorno passa con una rapidità che non credo abbia mai avuto, che la terra abbia cominciato a girare più velocemente? Non lo so, non mi interessa molto…
Djevel è in piedi, di fronte alla finestra aperta, assapora il vento che entra e che fa danzare le tende come fossero dame che volteggiano alla musica di un valzer. Senza che io dica nulla si volta e mi guarda, mi sorride e dopo essersi avvicinato mi bacia appena sulle labbra. Io sorrido lievemente a mia volta e quando sto per parlare lui me lo impedisce posandomi un dito sulle labbra.
“Le parole dopo. Quel che è stato ti attende, cosicché il futuro possa accoglierti a braccia aperte, poiché è in attesa solo della tua rinascita.”
Come sempre le sue parole mi colpiscono nell’anima, lasciando però una consapevolezza: lui non mi dice mai cosa devo fare, eppure io so sempre come devo agire dopo aver parlato con lui.
Annuisco e bacio il suo dito ancora appoggiato sulla mia bocca, mi alzo e dopo essermi sistemato appena lo prendo per mano conducendolo alla stanza in fondo al corridoio. Ho evitato la mia, ma credo che quella sia l’ultima che devo visitare, così da poter mettere la parola fine nello stesso luogo in cui tutto è iniziato.
Entrare nella stanza di Christian sortisce in me lo stesso effetto che suscita il vedere la sua tomba nel piccolo cimitero che si trova non troppo distante dal castello. Una morsa mi stringe il cuore e in un attimo rivedo il suo sorriso e risento il sapore del suo sangue tra le labbra.
Era dolce, delicato, non credo di aver mai assaggiato un sangue così dolce… era buono…
Questo pensiero mi tormenta e fa crescere, ogni volta che la mia mente lo formula, i sensi di colpa che inesorabilmente mi colpiscono.
Ma stavolta no, stavolta è tutto diverso.
Compio un’enorme sforzo su me stesso e non scappo, non corro lontano dalle mie azioni.
Ero affamato quella notte, Kristof non mi aveva dato che poche gocce del suo sangue, lo stretto indispensabile per non farmi morire e per non farmi andare in frenesia.
La stanza era completamente buia, non vedevo niente. Sentivo un respiro lento, stentato, un colpo di tosse interrompere quel respiro. Odore di sangue… era forte, intenso, bruciante. Mi entrava nel naso e arrivava direttamente al cervello, non capivo niente, sapevo solo che quella era la strada, dovevo andare dove quell’odore mi conduceva. Su un letto, o forse era solo una branda, un corpo sottile era steso e sanguinava, ma non molto, aveva numerose ferite, potevo percepirlo pur senza vederlo.
Non c’era la ragione a guidarmi, solo l’istinto, un istinto che non conoscevo, il più antico di tutti: la volontà di sopravvivere. Non ero Asar, o forse ero la parte più antica ed animalesca di me, in ogni caso, nessuno mi aveva detto cosa fare, ma io sapevo lo stesso che dovevo chinarmi su quel corpo. Il resto…
Non ricordo come feci ad estrarre i canini la prima volta, mi venne automatico credo, non so nemmeno dove lo morsi, ma credo che il rumore del sangue che pulsava nella giugulare fosse talmente assordante, in quel silenzio irreale che mi circondava, da essere riuscito a bere da quell’arteria senza bisogno di alcuna indicazione.
Non bevvi tutto il suo sangue, quindi, tecnicamente almeno, non lo uccisi io, ma non mi ricordo se richiusi i fori del mio morso.
Non so se morì per l’emorragia causata dal mio morso, o per le ferite provocategli dalle percosse di Kristof. Ricordo a stento che quel liquido rosso mi scorreva nella gola ed io ero felice, sazio, appagato e mi sentivo libero.
Credo che anche questo abbia influito molto sui miei sensi di colpa. Non sapevo che era Christian, ed in ogni caso non mi importava di compiere un’azione che inconsciamente sapevo avrebbe potuto uccidere un altro essere vivente, perché la mia sopravvivenza, in quel momento, era la sola cosa che capivo e che conoscevo, non c’era altro in me. Ora mi rendo conto, ma forse l’ho sempre saputo, pur senza averlo mai ammesso, che anche se avessi saputo chi c’era in quella stanza, il mio istinto avrebbe preso il sopravvento.
Questa consapevolezza mi illumina improvvisamente, come se d’un tratto avessi compreso la mia intera esistenza. Semplicemente la parte atavica che risiede in ogni essere umano ed in ogni altra bestia, ha avuto la meglio sulla ragione, sulla razionalità e su ogni moralismo, inibizione e consapevolezza.
Volevo vivere.
E ancora oggi… tutto quello che voglio… è solo vivere, continuare a vivere in eterno, solo questo.
Guardo Djevel ma non lo vedo perché questa nuova consapevolezza ha aperto nella mia mente mille interrogativi.
Chi sono io veramente? Perché ho fatto quello che ho fatto fino ad ora? Cosa mi spinge a desiderare di vivere? E cosa, invece, mi ha spinto, fino ad oggi, a credere di desiderare il contrario? Avrò ancora sensi di colpa ora che so che ho consapevolmente messo la mia sopravvivenza avanti a quella di una persona che amavo? Sono davvero degno di ricevere amore e di provarne? Oppure, tutto quello che sto pensando non sono altro che stupide illusioni imposte da una morale che ormai non mi appartiene più? Che io sia tutt’altra persona da quella che ho sempre pensato di essere? Probabilmente sì…
Prendo Djevel per mano e lo porto con me, diretto in quelle stanze che mi attendono e che ora so essere il solo brevissimo ed ultimissimo passo che mi divide dalla non vita… o più probabilmente… dalla vita…
Lite… la stanza che ho condiviso per anni con lui… è tutto intatto…
Cercavo solo qualcuno che mi amasse, qualcuno che potesse accettarmi benché io non lo sapessi fare, qualcuno che potesse accettare i miei difetti, qualcuno che mi facesse sentire vivo.
Andava bene chiunque, trovai lui. Credetti di poter vivere nell’illusione di aver trovato il mio posto quando dentro di me sapevo perfettamente che non era affatto la mia strada quella che mi si parava davanti.
E’ stato questo il primo errore: darmi via in attesa che qualcuno mi accettasse cosicché io non dovessi sforzarmi di farlo.
Mi sento leggero, quasi come se potessi volare, un sorriso insensato mi si dipinge sulle labbra e quasi di forza prendo Djevel e lo porto in un’altra stanza.
I passi non sono più di piombo, ma vanno alleggerendosi, quasi i miei piedi sapessero che conducendomi in quella stanza potrò trovare la risposta finale.
Entro… una stanza diversa, quella dell’orsacchiotto, uno stile diverso nell’arredamento, più moderno, uno stereo, nell’altra numerosi quadri adornavano le pareti, qui niente di tutto questo…
Sapevo di sbagliare, non vedevo i suoi difetti, non volevo vederli. Ero alla ricerca di qualcuno che mi amasse, di nuovo, perché cominciavo a rendermi conto che l’illusione in cui continuavo a vivere non poteva resistere ancora a lungo, ma invece di squarciare ogni menzogna, ho continuato ad ingannarmi, volevo solo vedere delle somiglianze minuscole in due caratteri profondamente diversi, aggrapparmi ad esse e credere che fossero solide fondamenta su cui costruire un’intera esistenza.
E poi… una notte, ero convinto di voler morire, ma tutto quello che volevo era solo vivere. Mi sono addentrato nel bosco alla ricerca di un lupo che mi divorasse ed invece… come speravo, pur senza ammetterlo… ho trovato me stesso.
Mi volto e guardo Djevel, un nuovo me stesso a riflettersi nei suoi occhi. Ora so per certo di essere degno di sostenere il suo sguardo e quello di chiunque altro, ma soprattutto, posso guardarmi allo specchio con la consapevolezza di chi sono, da dove vengo e dove sto andando… ma soprattutto… posso vedere il colore dei miei occhi, senza più nubi ad oscurarli…
“Vieni…”
Lui annuisce, so bene che ha capito che c’è qualcosa di nuovo in me.
Niente più lacrime, nessun rimpianto, nessun rimorso… non più…
La mia stanza… un passato che ora ricordo alla perfezione, come è sempre stato del resto, ma che, finalmente, non rappresenta più un peso di cui liberarsi, un fardello che opprime la mente, il cuore e l’anima…
“Fa l’amore con me, ora, qui… sarò il tuo compagno… vada come vada…”
“E sia… mio per l’eternità.”
Per l’eternità… tuo…
Il mio posto? E’ questo? Le mie braccia si muovono da sole e vanno a stringersi attorno al suo collo… perché non prendo l’iniziativa? Ho voglia di… lasciarmi andare… di perdermi nelle sue braccia… voglio vedere se riesce a farmi dimenticare ogni cosa, così come ha fatto fino ad ora…
Non devo aspettare neanche un secondo per sentire le sue mani che cominciano a vagare su tutto il mio petto e la schiena, toccando con rudezza ma con passionalità e desiderio… mi desidera… e io?
Io desidero lui… voglio continuare a sentire le sue labbra che si uniscono alle mie in baci sempre più passionali, in cui la sua possessività aumenta sempre di più. Nessuno mi ha mai baciato in questa maniera, e io non mi sono mai sentito così… caldo… eccitato… è come se… all’improvviso fossi tornato umano.
Il sesso con loro è sempre stato eccezionale, ma… siamo ancora a prima dei preliminari e già mi sento andare a fuoco, solo perché Djevel mi tocca, solo perché mi bacia, solo perché fa volare la mia maglia chissà dove…
La sua lingua comincia a toccare ogni centimetro del mio torace, ed ogni tocco è così… eccitante… ma non è solo questo… è come se volesse assaggiarmi, ma soprattutto volesse… marchiarmi, definire il mio corpo come suo territorio, come se volesse trovare e cancellare per sempre l’odore e il sapore di chiunque altro lo abbia fatto.
Sono davvero una bambolina che si fa scopare da chiunque? Non dovrei essere un lupo che ha un solo compagno?
Le mie mani tra i suoi capelli gli fanno aumentare l’intensità e la frequenza delle singole lappate e io mi sento andare a fuoco ogni istante di più.
C’è mai stato davvero qualcun altro che mi ha anche solo sfiorato? Davvero il mio corpo si è fuso con quello di qualcun altro? Perché io davvero non lo ricordo. All’improvviso i loro volti sono confusi, le sensazioni che mi davano sono lontane, difficili da ricordare, tutto sembra così annebbiato… perché? Non li amavo forse? Ed allora perché mi sembra di non aver mai fatto l’amore prima di stanotte?
Stavolta sono io a baciarlo, con urgenza, necessità, passione, desiderio… alla disperata ricerca di qualcosa. Ma di cosa?
Amore… ecco cosa…
La sua mano mi si poggia sulla nuca e mi fa reclinare la testa all’indietro ed in un attimo il bacio è molto più profondo, è come se sentissi che non solo le nostre lingue sono unite, ma noi stessi lo siamo…
Noi… ho detto noi…
Smette di baciarmi e mi sento tremendamente solo, ma la sua espressione, mentre si lecca le labbra, sembra dirmi che ha assaggiato un nettare dolce e sublime, qualcosa che non aveva mai assaggiato prima, qualcosa che non assaggerà mai più.
“Mio ora e sempre, eternamente insieme, eternamente compagni, eternamente amanti... eternamente l'uno dell'altro, eternamente ‘noi’.”
… Noi…
Sento le lacrime ricominciare a scorrermi lungo le guance. Ma perché? Perché lui ha detto una cosa che io ho pensato? Beh, ma lo ha sempre detto che sono il suo compagno, no? Che senso ha commuoversi? Perché lo sto facendo? Perché mi sento così fragile? Perché mi sento così forte?
I suoi pollici mi corrono lungo le guance, facendo il percorso inverso delle lacrime, e le asciugano, cancellandole di nuovo dal mio viso. Djevel si fissa un pollice assorto, come se stesse meditando sulla vera essenza del mio sangue, o forse, per comprendere il motivo assurdo delle mie lacrime.
“Un giorno berrò te, la tua essenza, per ora, voglio trovarla mettendo a nudo la mia nel momento in cui i nostri corpi si uniranno, perciò non piangere ora...”
La mia essenza? Non è nulla di che… credo…
“Non voglio che ti leghi a me… io non posso legarmi… ed in ogni caso… l’amore vero non ha bisogno di legami…” Non voglio ripetere l’errore, non perché penso che Djevel non sia quello giusto, ma perché credo realmente che se l’amore è vero non ha bisogno di un legame che impone l’amore, non ha bisogno di una catena che imbriglia i sentimenti in qualcosa di imposto e prefissato.
La sua anima… vorrei davvero vederla, eppure ho anche paura, perché quel poco che ho visto mi ha completamente accecato. Mi chiedo allora, se la vedessi nella sua interezza, potrei davvero sentirmi realmente alla sua altezza? Adesso credo di essermi avvicinato a lui, ma se scoprissi che Djevel è, come credo, qualcosa di talmente speciale da non poter essere descritto, davvero la mia anima potrebbe fondersi alla sua? Oppure resterebbe relegata in angolo, nella muta osservazione di uno spettacolo talmente magnifico da non poter essere turbato in alcun modo?
“Sarebbe un ulteriore modo per essere vicini, ma è presto per parlarne, non è ancora tempo, concentriamoci sull'unica cosa che conta adesso, io e te, noi, noi due insieme, noi due nell'altro.”
Gli sorrido e lo abbraccio mentre lo bacio di nuovo. Ad ogni sua parola mi rendo sempre più conto di quanto la sua anima sia bella, ma… per la prima volta da quando esisto… non sono certo di non esserne all’altezza. Certo, ho paura che questa si riveli essere la realtà e non solo una paura, ma… è comunque un cambiamento che agli occhi di molti può sembrare inesistente, ma che per me è radicale…
I suoi baci… passionali… eccitanti… possessivi… tanti…
Non so per quanto continuiamo a baciarci, ma mi sembra un tempo inimmaginabilmente lungo, eppure, allo stesso modo, incredibilmente breve, so solo che all’improvviso mi ritrovo steso a terra, mentre le sue mani mi accarezzano dappertutto, con una dolcezza che non credevo Djevel avrebbe usato in questo frangente.
Non c’è ‘tecnica’ nei suoi modi, è solo istintivo, segue le regole dettate dal desiderio, impulsivo, rozzo quasi, niente a che vedere con loro… e forse nemmeno con me, ma proprio per questo è… stupendo, non trovo altro modo per definirlo, anche perché niente e nessuno mi ha mai fatto eccitare e smaniare così… lo voglio, lo voglio così tanto da star male…
Sono un sollievo le sue mani che molto sbrigativamente mi slacciano i pantaloni, e vedo chiaramente il suo sguardo interdetto di fronte ai boxer, chiaramente lui non porta biancheria, cosa che mi fa desiderarlo ancora di più. Lo fermo e comincio a spogliarlo, così lentamente da farlo impazzire, e in fatto una specie di ringhio di frustrazione gli esce dalle labbra. Sorrido e basta mentre mi accingo, molto sbrigativamente a dire il vero, a togliergli i pantaloni, così da poter ammirare, e rimarrei senza fiato se solo respirassi ancora, la sua eccitazione, viva e pulsante e… grande… non lo facevo così dotato… credo che avrò parecchi problemi a camminare…
Gemo leggermente guardandolo e lui mi sfila boxer e pantaloni senza troppi complimenti. E così… ora… siamo solo noi… nudi e completamente in balia dell’altro…
Non è la prima volta che mi trovo nudo di fronte a qualcuno, un attimo prima di fare l’amore con lui, ma è la prima volta che non provo nessun imbarazzo da celare. Non è molto lusinghiero per un uomo… un vampiro di 229 anni, ma… ho sempre provato una sorta di… inadeguatezza… mi sono sentito sempre non abbastanza bello, eccitante, ben fatto e bravo… ma ora… l’unica cosa che provo è il desiderio incontrollabile di baciare Djevel e sentirlo in me… solo questo… solo noi…
Sentire il corpo di Djevel sul mio mi suscita un’insieme di sensazioni ed emozioni che non possono essere descritte, sono così tante che nemmeno riesco a percepirle tutte. Anche il solo sentirlo contro di me, fermo, appoggiato sul mio corpo, le sue mani che mi sfiorano, le mie che accarezzano la sua schiena… tutto questo mi fa gemere piano. Non sono uno che ha mai espresso molto quello che provava tramite gemiti e ansiti, ma stanotte… credo che urlerò…
Djevel comincia a muoversi contro di me, strusciandosi su di me, e io continuo a gemere mentre spingo il bacino contro il suo, in cerca di un contatto sempre maggiore, in cerca di un calore che non possediamo ma che in questo momento sento chiaramente inondare ogni singola cellula del mio essere, ogni parte del mio corpo e della mia anima. Quando ho cominciato a desiderarlo così? Da quando il mio unico desiderio è sentire i nostri corpi uniti? Da quando sento il cuore battere solo perché lui mi sfiora e mi bacia?
Djevel lascia le mie labbra per scendere sul collo e poi sul petto, e tutti i miei muscoli sono tesi verso di lui, verso il suo corpo, alla ricerca del suo, perché le sue labbra non li abbandonino, non li lascino improvvisamente senza qualcosa di indefinito ma che assomiglia molto alla loro parte mancante.
Un gemito alto segue le labbra di Djevel che cominciano a baciare la mia erezione mentre la sua lingua la lecca con tocchi leggeri ma sensuali e passionali, cosa che fa aumentare a dismisura la mia eccitazione e il mio desiderio. E lui? Cosa proverà lui ora?
Non ho tempo di riflettere, perché ogni pensiero non riesce a rimanere nella mia mente per più di un secondo, spazzato via da nuove emozioni, da nuove sensazioni… dalla sua bocca che continua a torturarmi, senza intenzione di farlo, solo nel tentativo di farmi gemere più forte, così come sto facendo, con la precisa intenzione di spingermi sempre di più verso di lui, così come il mio corpo fa tendendosi contro il suo, in cerca del suo.
Comincio ad accarezzarlo come posso, ovunque le mie mani arrivino, in qualsiasi luogo riesca a poggiarle, perché tutto quello che voglio è sentirlo, in qualsiasi modo, ogni centimetro di pelle, ogni più piccola parte del suo corpo…
Le sue labbra che improvvisamente mi abbandonano mi fanno gemere di frustrazione, ma la mia rimostranza è subito messa a tacere da un suo bacio violento, pieno di passione e possessività che mi fa dimenticare ogni cosa fino a quando…
Urlo di dolore, mi sento spaccare, è come se all’improvviso andassi a fuoco, è diventato tutto buio… solo lui… lui dentro di me… mi ha penetrato a fondo, con forza, senza attenzione né altro… e fa male, fa dannatamente male…
Djevel mi prende il viso tra le mani per farsi guardare e con qualche sforzo riesco ad aprire gli occhi, chiusi alcuni istanti fa per il dolore immenso che ho provato. Le sue sopracciglia sono leggermente corrugate, come in una muta domanda. Il suo sguardo, lui, anche senza parole, sembra chiedermi: che ho fatto? Già… per lui questa è la prima volta… e in un certo senso anche per me…
Ero vergine quando sono morto, ed ogni notte mi sveglio nuovamente vergine… quindi… per tutta l’eternità farà male come la prima volta… per tutta l’eternità sarà la mia prima volta… e forse… sarà con Djevel…
“Non… non preoccuparti…” cerco di sorridere ma le mie labbra si piegano in una specie di smorfia, mentre la mia voce, la sento, è stentata e spezzata quasi.
Lui non dice di nuovo nulla, comincia a leccarmi il viso, come se volesse curarmi, come se volesse cancellare il dolore con questo gesto… e il cuore… quello non mi fa più male… mi sorprende quanto Djevel si comporti da lupo… e io… mi sento un lupo anche io per la prima volta…
Djevel mi guarda un attimo e poi, molto lentamente, lo sento tirarsi indietro. Ma io non voglio che tutto finisca così. Il dolore è più che sopportabile, mi è capitato già di superarlo, e poi… ci sono state cose che mi hanno fatto molto più male… questo… questo è solo un piccolo inconveniente che mi permetterà però di arrivare sulla soglia del paradiso… di questo ne sono certo…
“Grazie…” E’ il mio invito a ricominciare, e Djevel lo capisce, ma adesso… i suoi movimenti sono lenti, si spinge piano in me, cercando di non farmi di nuovo male, cercando di non commettere lo stesso ‘errore’ di prima…
Istintivamente lo stringo piano dentro di me, voglio sentirlo a fondo, anche se fa male, perché ogni volta che entra mi sento come se… per la prima volta… fossi completo… e quando esce… sono di nuovo solo…
Le spinte diventano sempre più intense, meno lente di prima, più a fondo, più forti… la sua parte animalesca ha di nuovo preso il sopravvento, ed il mio istinto… il mio istinto mi dice solo di seguirlo, così seguo i suoi movimenti, mi muovo contro di lui, lo cerco, lo assecondo, lo spingo più a fondo, mentre i miei gemiti diventano sempre più alti, unendosi ai suoi mugolii intensi ma bassi, profondi e passionali… non ho mai gemuto così tanto e così forte… e lui… beh, i lupi quando si accoppiano non gemono, no?
Non so quando comincia, ma… il piacere diventa intossicante, forte, intenso… sempre più forte… sempre di più… e lui… sempre più in me… sempre più noi… e urlo… per il piacere, perché ne voglio ancora, ne voglio di più… voglio lui… voglio… noi…
Un rumore… un suo gemito, il primo gemito che sento provenire dalle sua labbra, la sua voce, già normalmente bassa e profonda, è ancora più bassa, sembra provenire dalle viscere della terra, da un luogo oscuro eppure così luminoso da riuscire ad abbagliare chiunque giunga a vederlo… e poi… un nuovo urlo, perché il piacere che provo continua a crescere… ed un altro suo gemito profondo…
E’ come se rispondesse ad un richiamo, io urlo e lui geme… e il mio piacere diventa specchio del suo… che a sua volta, non è altro che un riflesso del mio… continuiamo a darci piacere, a cercarci… a volerci… a trovarci in noi… nei nostri corpi uniti…
Ora so… ora so quello che voleva dire, quello che voleva intendere.
Un urlo… vengo… e in lui in me… e la sua voce… un gemito molto alto, simile ad un ululato soddisfatto…
Sento il suo sangue inondarmi il corpo, arrivarmi fin dentro le ossa, senza fermarsi alla carne, e il mio si sparge tra noi, sporcandoci e marchiandoci… unendoci… (Non mi ricordo dove, ma come avevo detto, i vampiri eiaculano sangue non possedendo più fluidi corporei, saliva ed umor acqueo esclusi. NdSaku).
“Eternamente mio… per sempre uniti…”
La voce di Djevel è bassa, mentre la sua testa si poggia sul mio petto ed io comincio ad accarezzargli i capelli lentamente, non ho parole per descrivere questo attimo, non trovo nemmeno i sentimenti dentro di me… non riconosco nessun limite tra me e Djevel, non so dove sono i miei sentimenti, se in me od in lui… perché è come se fossimo una sola cosa… per la prima volta nella mia esistenza… mi sento parte di qualcosa… di qualcuno…
“L’alba non è lontana… qui il sole filtra attraverso gli scuri, andiamo di là?”
Lui annuisce e basta, si alza e io faccio lo stesso, ma una forte fitta di dolore mi colpisce la parte bassa schiena, impedendomi di fare alcun movimento e provocandomi un piccolo gemito di dolore.
Un attimo dopo sono completamente appoggiato a Djevel, mentre un suo braccio mi stringe, protettivo e rassicurante, i fianchi. Mi appoggio a lui, da lui mi lascio condurre nella stanza che ho utilizzato fino ad oggi, i vestiti dimenticati in terra nella mia vecchia stanza… il passato che torna e va via di nuovo… il presente, il futuro… si affacciano alla porta con il sole che sta per sorgere…
Durante il dormiveglia, in quel momento in cui i sensi cominciano a risvegliarsi dopo il torpore quotidiano imposto dal sorgere del sole, percepisco chiaramente due occhi puntati su di me, e so perfettamente a chi appartengono.
Apro gli occhi lentamente e la prima cosa che vedo è il viso di Djevel, il suo sguardo sempre serio, nessun sorriso a darmi il ben svegliato… del resto però… che altro dovrei aspettarmi? Abbiamo fatto l’amore ieri e io sono stato zitto, non gli ho detto niente, lui ha deciso che saremo uniti per sempre e il mio non parlare non era una semplice e muta accettazione di una sua imposizione, era il tentativo di assaporare quell’attimo, farlo mio esattamente come aveva fatto lui, metabolizzare quello che era successo e capire se era davvero quello che volevo anche io.
“Uniti per sempre…”
I suoi occhi stupiti mi fanno sorridere felice, perché vedere quei meravigliosi pozzi d’oro illuminarsi per un qualsiasi sentimento, e sapere che sono stato io a crearlo… mi fa stare bene come mai prima ero stato. Però, la cosa che maggiormente mi rende felice è… vedere le sue labbra piegarsi in un sorriso stupendo, forse un po’ sorpreso, ma anche appagato… ed io… scoppio di felicità…
Si china su di me e mi bacia, con quella passionalità che riesco a sentire solo in lui e quella possessività che… che mi fa impazzire come sempre, perché mi fa sentire sempre più suo e tutto quello che voglio è solo appartenergli, ora più che mai ne sono certo.
Ieri potevo ancora essere in dubbio, potevo credere che fosse solo il mio bisogno di sentirmi parte di qualcosa, ma è molto più di questo. E’ come dice Djevel. Lui è il mio compagno, quello vero, quello che aspettavo da sempre, quello che ho a lungo cercato, quello che mi accompagnerà nella strada che mi separa dall’eternità senza chiedere nulla in cambio, null’altro che la mia felicità, che il nostro amore…
Mi stacco improvvisamente dal bacio e Djevel mi guarda confuso, al contrario io sono tutto fuorché confuso: per la prima volta so esattamente quello che voglio, quello che provo, quello che desidero…
Rido, rido felice e a voce alta come non credo di aver mai fatto prima, rido così tanto da sentire la pancia dolermi e le mascelle farmi male. E’ una risata leggera, non sguaiata la mia, eppure alta, serena, cristallina… felice…
Lo so quello che voglio, lo so dal primo momento in cui ho visto Djevel.
Voglio lui, voglio me, voglio noi… lo amo…
Mentre rido, nonostante fatichi a tenere gli occhi aperti, vedo lo sguardo di Djevel illuminarsi e guardarmi… incantato? Sì, forse, ma del resto io lo guardo sempre in questo modo, me ne rendo conto ora, vedendo nel suo sguardo quello che io so rivolgere costantemente a lui. Un nuovo sorriso, questa volta molto dolce, gli illumina il viso, facendogli piegare dapprima solo gli angoli delle labbra e poi tutta quella sua meravigliosissima bocca.
“E’ bello sentire una risata come la tua… è… pura. Mi insegnerai? Non credo di sapere come si fa… ma… penso che con te, con il mio compagno, possa riuscirci, mi hai fatto persino sorridere...”
“Io… questa è la prima volta che rido in questo modo, non l’ho mai fatto, nemmeno da vivo… e sei stato tu a farmelo fare, cioè… avendoti accanto questa risata è nata da sola… sei stato tu a tirarla fuori, ad insegnarmi. Quindi, credo che in qualità di tuo compagno io possa fare lo stesso visto che… tu sei il mio…”
Mi sento la testa leggera, il cuore felice che salta qua e là all’interno del petto, l’anima… l’ho ritrovata e tutto quello che voleva era solo… sentirsi come adesso… riscaldata dalla sola presenza di qualcuno… del mio compagno…
Un nuovo bacio mi accarezza le labbra, la sua lingua comincia ad insinuarsi nella mia bocca, con una dolcezza ed una tenerezza di cui non credevo Djevel capace. Ogni istante scopro nuovi sentimenti, nuove emozioni che lui mi fa provare e nuovi lati del suo carattere, del suo essere lupo, che mi affascinano e mi lasciano senza fiato e senza parole, con solo un gran calore al centro del petto, ed un amore che so star crescendo di attimo in attimo, dopo essere nato nonostante il dolore che avevo dentro, nonostante non me ne fossi accorto.
Dopo l’attimo iniziale, la passione prende il sopravvento su entrambi e le nostre labbra si fondono in un’unione che so esserne preludio ad un’altra che mi porterà di nuovo a toccare le vette del paradiso, perché di nuovo sarò un sol essere con l’uomo che amo.
Il suo corpo che si appoggia improvvisamente sul mio mi strappa un mugolio di sorpresa ed apprezzamento, mentre le sue mani che cominciano a toccarmi, possessive, passionali, piene di impeto, forza mescolata a dolcezza… amore… mi conducono sull’orlo di un baratro ben diverso da quello che ho visto fino a poche notti fa. Mi sento parte di un essere perfetto… un essere che solo noi due insieme, parti di un’unica anima, possiamo formare.
Comincio a toccarlo nello stesso modo, desideroso di dargli lo stesso piacere che lui da a me, convinto che questa pelle, questi muscoli che si tendono, questa voce che esce roca e sommessa in piccolissimi mugolii, mi appartengono, così come io appartengo a loro. Quasi per caso, mentre gli sfioro appena il fondoschiena, la mia mano risale verso la sua coda e la sfioro appena. Un solo attimo, poche dita che accarezzano un pelo ruvido, niente di più…
La sua reazione però… è tutto tranne che banale. La sua voce si leva in un gemito alto e profondo, mentre si spinge contro di me, mi bacia con forza, impellenza, violenza quasi, e i suoi fianchi si muovono ritmicamente contro i miei, con intensità ed impeto. Lo voglio… voglio sentirlo in me… ora… mentre gemo a mia volta e mi spingo contro di lui, mentre sadicamente ma con una nuova passione comincio a toccargli la coda ripetutamente… a me le orecchie, a lui la coda… siamo davvero lupi… e questo… mi rende felice.
Una sola spinta, un attimo di dolore intenso, un suo gemito altissimo, un mio urlo… e sono appagato… lui è in me, siamo di nuovo un solo essere, sono di nuovo parte di lui e lui di me, ora anche fisicamente e non solo spiritualmente…
Djevel getta la testa all’indietro, gli occhi chiusi, le labbra dischiuse, sul viso un’espressione di puro piacere, la stessa che so esserci sul mio, accompagnata da desiderio e passione e… amore… anche se non so se ora lui potrebbe accorgersene…
Un bacio intenso e passionale mi travolge mentre i suoi fianchi cominciano a dondolare contro i miei, facendolo entrare sempre più a fondo in me, per un attimo la nostra pelle si tocca e poi si separa di nuovo mentre lui si tira indietro per una nuova spinta, è tutto così… intenso… non trovo le parole per descriverlo, i pensieri… sono incoerenti, sono abbandonato come non mai…
La sua coda è diventata ormai una specie di calamita per le mie mani che la toccano e la sfiorano di continuo, causando al suo possessore gemiti alti, mugoli intensi e reazioni molto… animalesche… spinte sempre più forti, più profonde… potrebbe spaccarmi in due se volesse, potrebbe fare di me ciò che vuole, gli appartengo completamente, ma… so… lo sento… che per lui è lo stesso, potrei fare di lui tutto quello che voglio, ma, tutto ciò che desidero ora è solo che questo attimo di assoluta perfezione non finisca mai.
Non concepisco più il tempo né lo spazio, sento solo la passione, il desiderio e l’appagamento crescere sempre di più, mentre continuiamo a fare l’amore selvaggiamente, mentre le nostre anime continuano a fondersi insieme ai nostri corpi.
“Ti amooo!!” il mio urlo sorprende anche me, vengo con una forza che non aveva mai avuto nessun orgasmo e lui fa lo stesso, il suo sangue che si sparge in me è… e poi… le mie labbra sul suo collo, i miei denti… il suo sangue tra le labbra, mi scende in gola, mi riempie la bocca col suo sapore ferroso e amaro, con quell’essenza di bosco che ha la sua pelle, qualcosa che non gli appartiene, perché noi non possediamo alcun odore, eppure gli si attacca addosso perché è ciò che siamo… animali di bosco…
Il suo sangue è in me, in ogni luogo, si sparge scendendo dalla gola e risalendo dal bassoventre… ed io… io sono finalmente io, sono ciò che dovevo essere… sono un lupo… ed ho il mio compagno…
Sento i suoi canini affondare nel mio collo, in un gesto usuale eppure sempre nuovo, qualcosa che fa parte della nostra natura di predatori, ma che esula dalla natura stessa… noi che la ricerchiamo… siamo i primi a non farne parte… ma solo nella visione degli altri, perché noi siamo parte della natura e lei di noi… e questo… me lo ha insegnato questo lupo che beve con gusto il mio sangue, mentre io gemo e sento le ultime gocce di quel liquido rubino che tanto bramiamo, bagnarmi la carne.
La sua voce arriva roca alle mie orecchie con un’intensità che mi fa vibrare l’anima, mentre un brivido mi percorre il corpo.
“Anche io.” Due semplici parole e il paradiso si affaccia alla finestra con i raggi della luna che stanotte brilla in maniera incredibile, nonostante miliardi di stelle provino a farle concorrenza.
FINE FLASHBACK
Rileggo velocemente la mail, forse ho inserito un po’ troppi particolari, ma mi sono sempre fermato prima di raccontargli proprio ogni cosa… non credo gli interessi sapere quanto sono ardenti le nostre notti…
Sollevo lo sguardo e Djevel è ancora davanti alla finestra, perso a fissare la luna, la notte, le stelle, il bosco, ad ascoltare tutti i rumori che da esso provengono. Sento chiaramente la voce del bosco chiamarlo, e forse, chiamare un po’ anche me.
Premo invio e poi spengo tutto, mi alzo raggiungendolo e abbracciandolo da dietro. Nonostante sia più muscoloso di me, raggiungiamo entrambi il metro e novanta e lo superiamo di pochi centimetri, così da poterci sempre guardare negli occhi, senza doversi alzare od abbassare all’altezza dell’altro, perché noi siamo allo stesso livello in tutto, siamo alla pari in ogni cosa perché siamo compagni…
Un lieve bacio sul collo e le mie braccia che lo stringono forte, ora che l’ho trovato non voglio farlo scappare, ed anche se so benissimo che non se ne andrà, è sempre meglio ribadire più volte il concetto…
Lui si gira nell’abbraccio e mi stringe a sua volta baciandomi e sorridendomi lievemente.
“Sei strano… tutto bene amore?” Adoro chiamarlo così…
“No, ascoltavo solo il bosco.”
“Ti manca tanto, vero?”
“No, mi basta farvi ritorno con te ogni tanto, ora sei tu il mio branco, è questa la mia tana.”
Un sorriso leggero mi increspa le labbra. La sua… la nostra tana… il suo branco sono io… e lui è il mio…
“Ti amo tanto, lo sai?”
Lui annuisce e sorride… nient’altro… ed io… distolgo lo sguardo cominciando a fissare a mia volta il bosco che si staglia al di là della finestra, alle spalle di Djevel.
“Djev… perché tu non me lo dici mai? Cioè… se ti da fastidio non lo dico più… se pensi che sia… inutile ecco…” Per un momento il panico si impossessa di me, il terrore di sentirgli dire che è inutile mi invade. So che mi ama, lo so perfettamente, ma ho ancora così bisogno di sentirglielo dire…
“Io vivo in comunione con te, il nostro rapporto di comprensione reciproca è totale, a volte comunicandotelo a voce mi sembra quasi di sminuire l'intesa perfetta che ci fa parlare pur rimanendo in silenzio... Non so se mi spiego, ma noi dialoghiamo con le nostre menti e con i nostri sentimenti, non credi?”
“Sì… certo…” Ha ragione, non abbiamo bisogno di parole per parlare, anche i gesti a volte sono superflui, perché le nostre anime sanno esattamente cosa prova, pensa e sente l’altra, perché sono le due metà di un’unica entità. Ma allora perché mi sento così strano? Gli nascondo il viso sul collo per impedirgli di vedere la delusione nei miei occhi e la paura che tutto quello che faccio sia sbagliato. A volte, nonostante tutto, ancora ritorna… per pochi attimi, ma mi fa tremare…
“Ti amo. La voglia che hai di esprimerlo a voce alta, è una semplice manifestazione del tuo essere puro ed aperto... non ti vorrei diverso. Tu vuoi diverso me?”
“No, certo che no…” Il mio abbraccio si fa più serrato mentre il mio viso scompare completamente sul suo collo.
“Guardami.” La sua voce è ferma, come sempre, e le sue dita si appoggiano sul mio mento facendomi sollevare il viso… lo avrei fatto anche senza questo gesto, lui lo sa… ma è il suo modo per incoraggiarmi…
“Cosa ti rende inquieto?”
“Ho paura… lo so che mi ami, lo so perfettamente, ma… ho paura che ti dia fastidio se te lo dico troppo spesso, ma non dirtelo… mi fa star male… e sapere che tu non me lo dici… tu hai ragione, non abbiamo bisogno di parole, ma… perché io invece a volte ne sento la necessità?”
“Perché il tuo cuore è candido come la neve e trasparente come una goccia di rugiada. Questa è una delle cose che maggiormente il mio animo ama in te, quindi continua così... ed anche io ora lo dirò più spesso perché è giusto ti ricambi con la medesima trasparenza, mio lupo.”
“Ma non devi forzarti! Davvero! Continua a sopportarmi e mi renderai felice.” Sorrido, stavolta sereno e molto più felice di prima. Mi bastano solo poche parole per trovare la mia dimensione, per ricordare a me stesso che ora ho un posto…
“Non mi forzo mai con te, non rientra nel mio carattere e non sarebbe giusto per noi, abbiamo un rapporto speciale e non voglio rovinarlo.”
Mi bacia dolcemente la tempia e io mi sento di nuovo in pace col mondo intero.
“Fai l’amore con me?”
Nessuna parola, solo le sue mani che mi si appoggiano sui fianchi, i suoi occhi puntati nei miei mentre mi spinge, facendomi camminare all’indietro così da non interrompere il contatto tra i nostri sguardi, fino al letto.
Stavolta però sono io a fermarmi e a guardarlo sorridendo.
“No, non qui…”
Il suo sguardo interrogativo si fissa nel mio e stramente non sono solo i suoi occhi a parlare, ma è anche lui stesso a farlo. “Dove?”
“Vedrai…” Sorrido e prendendolo per mano comincio a condurlo verso il portone e poi… fuori dal castello, verso il bosco… nella nostra vera casa, nel luogo che ci ha fatto da madre, il posto in cui ci siamo conosciuti.
Mi fermo in mezzo alla radura e solo ora mi volto a guardarlo sorridendo. “Qui…”
Lui sorride a sua volta e poi mi bacia con molta dolcezza, quella stessa dolcezza che mi fa impazzire e che so essere l’inizio della passione che ci porterà a fonderci in un solo essere, quale noi siamo.
“Fondiamoci l'uno nell'altro, diventiamo uno…” La sua voce roca mi sussurra queste parole all’orecchio prima di leccarlo intensamente e farmi gemere. I suoi fianchi contro i miei e poi… di nuovo la sua voce…
“Prendimi, fammi sentire cosa provi ogni volta che sono in te, rendimi consapevole totalmente di noi…”
Mi allontano di mezzo passo e lo fisso negli occhi, sorpreso, eccitato, sconvolto e felice.
“Che dici? Sei… sicuro? Djev… amore… non voglio farti male… e poi… se non ti piacesse…”
“Sei tu che entri me, che possiedi ancor più totalmente la mia anima ed il mio corpo, che riversi in me te stesso ed il tuo amore... come potrebbe non piacermi o farmi male?”
Sorrido felice e lo stringo così forte da stritolarlo. Non è per l’atto in sé è… che in questo modo… non lo so, credo che così la nostra unione sarà perfetta, indissolubilmente perfetta per l’eternità intera.
Comincio a baciarlo lentamente, piano, ovunque, su tutto il viso, con dolcezza e amore. Non so per quanto riuscirò ad essere dolce, per quanto riuscirò a non far prendere il sopravvento al mio lato animalesco che, ora più che mai, prova ad uscire, tenta di concretizzarsi in un atto che poterà la piena felicità nella mia esistenza.
“Qui, nella nostra vera casa, sotto il cielo, uniamoci di nuovo, come faremo ora e sempre in un ciclo che ci porterà ad essere per sempre l'uno dell'altro.”
“Sì… per sempre…”
Parlo mentre lo guardo negli occhi e sorrido. C’è una luce intensa nel suo sguardo, ed anche nel mio.
Mentre uscivo di casa, quasi per caso, mi sono guardato allo specchio che c’è nell’ingresso, uno di quegli specchi grandissimi con la cornice in oro.
Ero… sono diverso. Il mio sguardo brilla, i miei occhi sono luminosi, azzurri come il cielo d’estate, quando l’aria è tersa, limpida, pulita e fresca.
Ho pensato: “Benvenuto al mondo Asar Varg!”
Adesso, tutto quello che riesco a pensare è solo che la mia vita… finalmente… è una vita...
FINE
NOTA:
1- Nel 1380, a causa di una crisi economica, la Norvegia si trovò a stipulare un trattato di collaborazione e di unione con la Danimarca. A causa della superiorità economica danese, quella che era iniziata come una monarchia condivisa (con eguali poteri al sovrano norvegese e a quello danese), si tramutò ben presto in una netta supremazia della sovranità danese, tanto che la monarchia e la nobiltà norvegese rimasero come tali solo nominalmente, perdendo così ogni sorta di importanza politica. La Norvegia rimase sotto il ‘dominio’ danese fino al 1814, anno in cui venne ceduta alla Svezia, dalla quale si separò, pacificamente, nel 1905.
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