"Potresti almeno variare le tue
scuse!!!".
"Ho finito la vodka…".
Yohji non ci mise molto ad individuare
Schuldig, una volta entrato nel locale: il tedesco era seduto ad un
tavolino e stava bevendo una birra.
Lo raggiunse e si sedette davanti a lui,
accendendosi una sigaretta per tenere occupate le mani; stava per
chiedergli cosa diavolo volesse, quando si avvicinò una cameriera.
"Cosa desidera?" chiese la
ragazza, sollecita.
Era carina, magra e con i capelli corti
e scuri; in un altro tempo, che sembrava spaventosamente lontano, il più
anziano dei Weiss l’avrebbe sicuramente guardata con molta attenzione…
"Un caffè amaro" si limitò a
rispondere, invece, gentilmente.
<Aspettiamo che arrivi il tuo caffè
per parlare… non mi va che ci siano altre interruzioni…>.
Yohji sussultò: sentire la voce di
Schuldig direttamente nel cervello era qualcosa di fastidioso… di
invasivo, anche se era una considerazione quasi infantile…
Ma lo Schwarz aveva ragione, lo sapeva;
fortunatamente in quel locale il servizio si rivelò veloce e il caffè
arrivò in pochi minuti.
Quando furono di nuovo soli, Yohji
iniziò: "Che vuoi, Schwarz?" in tono piuttosto duro.
L’altro sorrise, per poi andare dritto
al punto: "Lo ami molto, vedo".
Balinese quasi sobbalzò sulla sedia:
"Eh?!" esclamò, sentendosi subito dopo molto ridicolo; ma non
era facile abituarsi al potere del tedesco.
"Sai di chi parlo…" precisò
il giovane dai capelli aranciati.
<Non fai che pensare a lui…non fai
che volere lui…e hai addirittura deciso di svelargli i tuoi sentimenti…>.
Yohji provò un brivido di inquietudine:
non lo rendeva contento il fatto di aver intuito come ci fosse un motivo
personale dietro a quell’incontro!
"Mi deludi, Weiss…anche tu con
questo disagio per la mia telepatia: credevo avessi i nervi più
saldi!".
Schuldig aveva parlato stavolta, forse
perché le parole dette ad alta voce suonavano più umilianti.
Il biondo si morse un labbro,
imponendosi di non palesare troppo il nervosismo, e decise di ignorare la
frecciata dell’altro ragazzo, rispondendo invece all’altra
osservazione.
"E anche se fosse? Non ti
riguarderebbe comunque!".
Schuldig posò la sua birra, dopo averne
bevuto un sorso e gli lanciò un’occhiata incredibilmente seria:
"Sì, invece. Tutto quello che concerne Aya mi riguarda…".
Yohji guardò il numero due degli
Schwarz con odio: "Spero che questo sia uno scherzo di dubbio gusto!
Uno come te non potrebbe mai amare Aya!!" scattò. Questa volta fu il
turno di Mastermind di accigliarsi: "Perché no?".
Yohji assunse un tono di sufficienza:
"Sei uno degli Schwarz…hai sterminato la sua famiglia, in passato
e, anche di recente, non hai esitato a metterti contro di lui. Come puoi
dire di amarlo?".
Schuldig non rispose subito, preferì
bere un altro sorso di birra e poi parlò di nuovo con quel tono serio che
sembrava così strano nella sua voce. E inquietante, perché faceva capire
che c’era dell’altro dietro la facciata di superficiale ironia.
"Balinese, tu pensi che io sia
fortunato ad avere il mio potere telepatico?" chiese
inaspettatamente.
"Penso che ti dia una sensazione di
onnipotenza manipolare i pensieri delle persone" rispose Yohji, senza
celare il suo disprezzo.
L’altro annuì: "Questo è vero!
C’è una certa soddisfazione nel portare allo scoperto i più segreti
pensieri e desideri della gente, non lo nego… e anche nello spezzare il
velo del moralismo… Ma hai idea di come siano molte persone? Hanno
pensieri banali e noiosi, fantasie scontate e un cervello pieno di idee
che non sono neanche le loro. Le hanno sentite da qualche parte e le hanno
incamerate passivamente. Si piangono addosso per la monotonia della loro
vita, ma poi si dimenticano tutto piuttosto facilmente. Si dimenticano
perfino del dolore…si abituano. Aya non è così, io lo so. È
autentico…" Mastermind non volle aggiungere altro davanti al suo
rivale, anche se avrebbe avuto molto da dire; ad esempio che, leggendo i
suoi pensieri, aveva visto il vero Aya, o meglio il vero Ran… che
aveva scorto il groviglio di sentimenti che il gattino rosso celava dietro
la sua facciata imperturbabile: sofferenza, desiderio di vendetta, biasimo
verso se stesso… la certezza di non meritare né perdono né amore,
eppure, nel profondo, un insopprimibile e mai ammesso bisogno di riaverli,
e il perdono e l’amore.
E, insinuandosi ancora di più nella sua
mente, Schuldig poteva ritrovare anche Ran come era stato fino al giorno
dello sterminio della famiglia: un ragazzo un po’ timido e introverso,
ma buono e gentile, molto legato a sua sorella e sempre pronto ad
accontentarla.
Schuldig amava entrambi, sia Ran che Aya
"Abyssinian" Fujimiya.
"So anche io che quella freddezza
è solo una maschera, credevi che non me ne fossi accorto?".
La voce tesa di Kudoh riportò
Mastermind alla loro conversazione, distogliendolo dal pensiero di Aya; lo
Schwarz osservò il biondo ex-investigatore privato e scrollò le spalle:
"So che te ne sei accorto. So tutto quello che ti passa per la testa…
- rimarcò, sapendo di irritarlo-…E’ solo che io lo so in modo
diverso!" affermò con sicurezza, facendo capire che non si stava
riferendo soltanto ai suoi poteri.
A quel punto, Yohji decise che si era
stancato di quella conversazione: "Questo non è vero!!! Comunque…
se volevi farmi sapere che saremo rivali, hai raggiunto il tuo scopo. Il
nostro dialogo finisce qui!" disse seccamente, alzandosi in fretta.
"Non bevi il tuo caffè? Ormai si
sarà raffreddato…" gli fece notare placidamente Schuldig.
<Scambiare quattro chiacchiere con me
ti fa diventare addirittura inappetente?>.
Con un moto di irritazione, come per non
dargliela vinta, Yohji si portò la tazzina alle labbra e bevve tutto d’un
fiato quel liquido scuro, amaro e freddo, poi lasciò sul tavolino qualche
moneta per pagare la sua ordinazione e se ne andò senza dire una parola,
raggiunto dall’ "Auf wiedersehen!" del tedesco.
Schuldig ebbe un lieve sorriso: si
vedeva che Yohji Kudoh era un Weiss… era un assassino come lui, ma si
permetteva di guardarlo dall’alto in basso solo perché lui apparteneva
agli Schwarz… come se i cadaveri lasciati a terra da lui fossero meno
morti dei suoi!!! Come se sapesse tutto quello che c’era dietro…
Era convinto che solo Aya avrebbe potuto
capire: un passato non dissimile, scelte diverse.
"E’ tutto a posto, signore?"
si sentì chiedere dalla cameriera.
Schuldig le rivolse uno di quei suoi
bellissimi sorrisi, un po’ maliziosi e sfrontati, in grado di far
arrossire chiunque.
"Ja, danke…".
Yohji rientrò nel Koneko no Sume Ie
fumando nervosamente una sigaretta e si diresse di fretta verso la cucina,
ignorando i richiami solleciti di Ken e Omi che erano assediati da
ragazzine che chiedevano piante e mazzetti di fiori nei casi migliori,
mentre le più audaci si spingevano a domandare esplicitamente un
appuntamento.
Il giovane afferrò direttamente tutta
la brocca di caffè americano che era stata lasciata sulla credenza e
iniziò a versarne nella sua tazza con l’intenzione di finirlo.
L’incontro con Schuldig lo aveva
scosso più di quanto volesse ammettere e, inoltre, aveva cambiato le
carte in tavola: da principio aveva creduto che il tedesco, e quindi con
lui gli Schwarz, fosse implicato nelle non chiare attività di Hal Emerick…
ma se Mastermind si fosse fatto trovare lì soltanto per vedere Aya e per
farsi scorgere da lui?
Schuldig voleva parlare con lui, era
chiaro.
Già… non poteva essere altro… uno
Schwarz non si sarebbe mai scoperto tanto, vero? Non avrebbe rischiato di
compromettere una missione per motivi personali… vero? Quindi questo
eliminava gli Schwarz dal numero dei possibili colpevoli, giusto?
Eppure la sensazione che Brad Crawford
fosse la regia cui si dovevano quei delitti rimaneva fortissima e,
dopotutto, bisognava ricordare anche che Schuldig non era esattamente una
persona normale o che ragionasse in modo normale.
Yohji bevve con una smorfia la quarta
tazza di caffè e ripensò alla conversazione avuta con il ragazzo
tedesco.
Mastermind era interessato ad Aya, non c’erano
dubbi, e aveva voluto metterlo davanti all’evidenza di avere un rivale.
Ma come si fa a competere con chi può
leggere e manipolare il pensiero?
Un secondo dopo aver formulato questa
idea, Yohji si irrigidì dandosi dello stupido!
Non c’è nessuna competizione! Lui è
l’assassino della sua famiglia e Aya non lo perdonerà mai… e poi non
voglio pensare a quello Schwarz e neanche alla missione, adesso non
contano…
Yohji si alzò e posò la sua tazza nel
lavabo, poi fece capolino nel negozio; le ragazzine sembravano essere
tornate a casa o a scuola per i corsi di recupero e Ken e Omi potevano
godersi un attimo di respiro.
"Dov’è Aya?" chiese subito
Balinese, non scorgendo in giro il suo gattino rosso.
"E’ nel suo appartamento, è
salito non appena i clienti se ne sono andati" rispose Omi con un
sorriso, mentre innaffiava le grandi piante a foglia larga.
"Yohji, sono arrivate parecchie
ordinazioni…" tentò Ken, ma il compagno lo ignorò.
"Devo parlare con lui" disse
brevemente e sparì, lasciando i due Weiss più giovani a bocca aperta.
"Ma che sta prendendo a quei due?!
Anche Aya era strano!!!" scattò Siberian, un po’ irritato.
Omi lo guardò scuotendo la testa, come
a dire che non lo sapeva, e poi fissò con preoccupazione le scale che
portavano agli appartamenti dei suoi amici.
Quando aprì la porta di casa dopo aver
sentito bussare, Aya non si aspettava di trovarsi davanti Kudoh, anche se
si disse che avrebbe dovuto saperlo.
"Problemi al negozio?" chiese
con voce inespressiva.
"No. Devo parlarti" spiegò
Yohji; il biondo sperava di sembrare tranquillo come suo solito, anche se
il suo cuore aveva assunto un battito più accelerato.
Ma non sarebbe tornato indietro, sentiva
che quello era il momento giusto per provare a spiegare ad Aya che i suoi
sentimenti erano cambiati, che non erano più quelli di un collega di
lavoro.
Lo guardò per qualche istante: il
gattino rosso si era cambiato e indossava jeans neri e una maglietta nera
senza maniche; quel colore scuro contrastava con il candore della pelle e
poi… bastavano quegli occhi violetti a dare luminosità e tutta la sua
figura aggraziata! E anche i capelli rosso scuro erano lucenti…
Yohji avrebbe voluto affondarci le mani,
per sapere se erano così morbidi come sembravano essere…
"Allora?".
Il tono leggermente teso del ragazzo lo
fece tornare con i piedi per terra e solo allora si accorse che Aya si era
scansato per farlo entrare nel suo appartamento.
"Scusa, ero soprappensiero"
spiegò, facendo qualche passo fino ad arrivare al centro della stanza.
Si guardò intorno: osservò il divano
su cui il gattino rosso si sdraiava per leggere, con ancora un libro
poggiato sui cuscini, il tavolino con un vaso di fiori freschi, il
comodino con la piccola pila di libri, il letto in cui Aya dormiva…
Yohji si sentì un po’ stupido, ma non
poté fare a meno di cercare con gli occhi Shion, la pericolosa katana del
leader dei Weiss: non sembrava a portata di mano, meglio…
"Allora?" ripeté Abyssinian,
con una voce ancora più dura.
"Ah…ehm…" ecco, adesso che
era arrivato il momento, che fine aveva fatto tutto lo spirito da uomo di
mondo di Balinese? Non che servisse, con qualcuno come Aya…
Ma allora, cosa potrebbe servire con
lui? Forse solo la sincerità, senza giri di parole…
Yohji sistemò i suoi occhiali da sole
sulla testa e sedette sul divano, poi guardò il gattino rosso con un
sorriso: "Perché non vuoi mai venire a bere qualcosa con me?".
Ehm… ok, forse era stato troppo
diretto!!!
Gli occhi violetti di Aya si dilatarono
leggermente nell’udire questa domanda.
Non gli era sfuggita l’insistenza con
cui ogni giorno il compagno lo invitava da qualche parte e aveva temuto
che, prima o poi, l’altro avrebbe chiesto il perché del suo continuo
diniego, ma non avrebbe mai creduto che la richiesta di spiegazioni
sarebbe arrivata tanto presto!
E ora? Come farglielo capire? Non c’era
modo… non per un carattere orgoglioso come il suo. No, non avrebbe mai
fatto intuire a Yohji Kudoh quanto lo spaventasse l’idea che qualcuno
potesse incrinare il muro di solitudine con cui si era circondato per non
soffrire più!
Aya rimase apparentemente
imperturbabile, mentre rispondeva: "Io non sono un tipo che vada per
bar, a bere".
Una risposta secca.
Sperava che questo facesse desistere
Kudoh, ma non avvenne.
"Aya, detto così sembra che voglia
trascinarti nel vortice dell’alcolismo! Potremmo bere un succo di
frutta, forse questo ti sembrerebbe più innocuo" aggiunse con un
sorriso, sperando che l’altro si ammorbidisse alla sua battuta. In
realtà il ragazzo si sentì quasi preso in giro, così lo squadrò
freddamente e replicò: "Non sono una persona a cui piaccia andare in
giro per locali".
Ed era vero, anche se quando era stato
solo Ran Fujimiya aveva lavorato come cameriere. O, forse, proprio per
quello: gli avrebbe ricordato troppo la vita normale che aveva condotto
fino ai diciotto anni, quella che non sarebbe mai potuta tornare.
Yohji respirò profondamente, prima di
sprofondare nello schienale del divano, con il volto velato di amarezza:
"Ok, ho sbagliato tutto…" sospirò.
Aya si accigliò: "Sbagliato
cosa?".
Balinese lo guardò intensamente, mentre
l’altro se ne stava in piedi, rigido, con la schiena appoggiata al muro
e le braccia incrociate, come quando ascoltava le indicazioni per una
nuova missione.
Poteva essere davvero la mossa peggiore
della sua vita, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro.
"Volevo avvicinarmi a te e pensavo
che quello fosse un buon inizio: è evidente che mi sono sbagliato"
ammise.
Il cuore di Aya cominciò a battere più
velocemente a quelle parole e, per quanto gli costasse una gran fatica
parlare, non poté fare a meno di chiedere: "Perché volevi
avvicinarti a me?".
Stavolta il sorriso di Yohji si fece
gentile… quasi dolce.
"Non lo immagini?".
E le difese di Aya reagirono.
"No. Sarà meglio che tu te ne
vada" concluse, bruscamente.
Non avrebbe dovuto fare quella domanda!!
Avrebbe preferito che tutto restasse come prima, davvero!!!
Davvero? Forse no…
Voltò le spalle a Yohji e fece per
andare ad aprire la porta del suo appartamento per sottolineare meglio il
concetto di voler restare da solo, quando rimase bloccato dalla domanda
del compagno.
"Come puoi voler vivere sempre con
tanta freddezza? In tanta solitudine? Non posso credere che non ti pesi
mai…".
Kudoh aveva parlato con una voce grave
che prima non gli aveva mai sentito; Aya si voltò lentamente verso di
lui, incontrando il suo sguardo serio e il suo volto teso.
Era arrabbiato. Sentiva molta rabbia
dentro di sé e sperò di riuscire a controllare il suo timbro di voce nel
dirgli: "Non mi interessa quello che tu credi o non credi. Io ho
deciso di vivere così…".
Sapevo a cosa andavo incontro… e l’ho
voluto lo stesso…
C’era una decisione disperata e
sofferta, eppure definitiva, negli occhi violetti, mentre il gattino
ribadiva la sua scelta e Yohji non poté impedirsi di scuotere la testa,
mostrando allo stesso tempo comprensione e disapprovazione.
"So come ti senti…".
"No, non lo sai".
Non fu tanto il sibilo letale di Aya ad
interrompere Yohji, quanto la luce assassina che aveva scorto nelle sue
iridi; una luce sinistra che Balinese aveva visto altre volte, quando
Abyssinian era in missione.
Ma anche lui era un killer
professionista e non sarebbe indietreggiato.
"Sì che lo so! Hanno ucciso i tuoi
genitori e ridotto in coma tua sorella e tu sei sopravvissuto per
miracolo. Ti hanno strappato via la tua vita senza che tu potessi far
nulla per impedirlo e ti senti ancora pieno di odio e di desiderio di
vendetta… non importa aver ucciso Takatori, vero? Ti ha dato sollievo,
ma non quanto credevi… Sai che cosa ero io, prima di entrare nei Weiss?"
gli chiese, guardandolo intensamente.
"Un investigatore privato"
disse, gelidamente, Aya.
"Già- annuì il biondo- A quell’epoca
lavoravo con una ragazza di nome Asuka… che era anche la mia
ragazza…- aggiunse dopo un attimo di esitazione-…durante una missione
di lavoro, la uccisero sotto ai miei occhi, senza che io potessi far
niente. Quindi… non credi che possa capirti?".
Fino all’ultimo Yohji era stato molto
indeciso se nominare Asuka o meno, ma alla fine aveva prevalso la volontà
di aprirsi completamente, nonostante la paura per la possibile reazione
negativa di Aya.
Il gattino rosso sentiva su di sé le
occhiate apprensive del compagno più grande, mentre cercava di assimilare
ciò che l’altro gli aveva raccontato; certo, sapeva già di Asuka…
sapeva che era esistita e come era morta, aveva anche ascoltato dei
racconti bisbigliati da Ken e Omi a riguardo. Ma sentir dire tutto da
Yohji era diverso, gli faceva un altro effetto.
Fa male… in qualche modo mi fa male…
Se lo ripeteva mentalmente anche se il
suo bel viso era impassibile mentre diceva: "Va bene, forse mi puoi
capire, ma questo non cambia nulla".
Il biondo sentiva di star perdendo la
sua flemma e alzò la voce, cosa più unica che rara per lui: "Cambia
tutto, invece!!! Aya, ti sto solo chiedendo di poterti aiutare a tornare
ad una vita un po’ più normale!!".
Il più anziano dei Weiss vide di nuovo
quella luce assassina negli occhi violetti, mentre il compagno stringeva i
pugni e rispondeva con controllato livore: "Io non ho bisogno dell’aiuto
di nessuno! E poi perché dovrei accettare il tuo? E perché tu dovresti
aiutarmi?".
"Perché per me sei
speciale!".
Questa risposta giunse come un fulmine a
ciel sereno per Kudoh stesso, che non aveva programmato di dirlo in quel
modo, con quelle parole, con quel tono lento e calmo, ben lungi dal
rappresentare la sua agitazione interiore.
Per qualche attimo l’espressione
fredda di Aya sembrò incrinarsi, lasciando il posto ad una sorpresa
assoluta e totale, ma fu così rapido da ricomporsi subito e sibilargli
contro: "Non è vero".
Yohji sbatté le palpebre.
Si era aspettato una minaccia con la
katana, non l’incredulità.
"Perché dici questo?- gli chiese,
preoccupato, ma poi, notando che l’altro rimaneva nel suo impenetrabile
silenzio, continuò- Lo dici perché ti ho parlato di Asuka? Mi credi
ancora innamorato di lei? Lei è il passato… è stata importante, ma
questo non toglie niente a ciò che ora provo per te…".
Aya continuava a fissarlo con diffidenza
e Yohji si alzò, facendo qualche passo verso di lui: "Per tanto
tempo ho vissuto come un playboy, lo so, ed è stata anche una reazione
alla sua morte, lo ammetto: passavo pomeriggi e serate nei bar, con donne
il più possibile diverse da lei… ma poi quello che provo per te ha
fatto cambiare tutto! E tutto è stato di nuovo intenso e vivo e, per la
prima volta, il passato mi è sembrato realmente passato, realmente
lontano. Aya, ti prego… vuoi darmi una possibilità?".
Gli occhi verdi di Balinese erano
gentili e dolci nel guardarlo, nel parlargli; il cuore di Aya batteva
furiosamente, eppure il ragazzo riuscì a soffocare alla perfezione il
piccolissimo moto di contentezza che aveva provato alle parole dell’altro.
"Io non merito l’affetto di
nessuno" disse, invece, con convinzione.
Yohji gli si fece più vicino:
"Anche io sono un assassino… e il mio non è affetto, è qualcosa
di più. Sei davvero convinto che nessuno di noi si meriti un po’ di
gioia? Un po’ di amore? Va bene, siamo solo degli assassini e questo non
si può cambiare, la nostra colpa è la stessa. Ma non credo che questo
sia un buon motivo per privarci della felicità che potremmo trovare
insieme".
Aya strinse di più i pugni,
conficcandosi le unghie nelle mani: era evidente che Yohji non riusciva a
capirlo, ad intuire quel sentimento soffocante di… indegnità…
sì, indegnità. Eppure le sue parole erano insinuanti, pericolosamente
convincenti, in grado non di intaccare ma comunque di graffiare le difese
che Fujimiya aveva eretto con tanta cura attorno a se stesso e lui era
furioso per questo.
Non poteva permettersi di lasciarsi
andare, di abbandonarsi ad un sentimento che non fosse quello semplice e
schematico di due colleghi di lavoro. Voler bene a qualcuno significava
correre il pericolo di perderlo, essere vulnerabile…
Ad ogni missione i Weiss rischiavano la
vita: avrebbe dovuto caricarsi anche di questa angoscia? Sentirsi sempre
in bilico?
Non posso ricadere in tutto questo…
Una via d’uscita, tuttavia, c’era:
mandarlo via, con volto sereno e voce atona, con quella impassibilità che
gli veniva dal codice di comportamento che aveva assimilato a Sendai.
"Vai via" gli disse
gelidamente.
Yohji lo guardò fisso e si mosse verso
di lui: "Non ancora…" e, prima che Aya potesse reagire, lo
abbracciò di sorpresa e lo baciò.
Il gattino rimase impietrito: avrebbe
dovuto spintonare via il compagno, lo sapeva, e i lunghi allenamenti
quotidiani con la katana gli avevano dato la forza necessaria per farlo, e
poi avrebbe dovuto puntargli la suddetta katana alla gola per fargli
passare la voglia di tentare altre mosse simili!
Eppure… un braccio di Yohji gli
cingeva possessivamente la vita, l’altra sua mano era affondata fra i
suoi capelli, sulla nuca, e lo accarezzava… e la bocca di Yohji premeva
desiderosa contro la sua e aveva uno strano sapore virile di tabacco e di
caffè… ed era calda…
Quanto tempo era che Aya non provava un
calore simile? O un bagliore così luminoso di serenità? Istintivamente,
il gattino rosso cinse con le braccia le spalle di Yohji, chiudendo gli
occhi e abbandonandosi per un attimo a quello sconvolgente contatto, a
quell’illusione di semplicità…
Finché...
Che diavolo sto facendo?
Aya recuperò il contatto con la realtà
e la sua mente fu attraversata da questa domanda; con uno sforzo, puntò
le mani sulle spalle dell’altro e lo spinse lontano da sé. I due si
guardarono negli occhi: quelli di Abyssinian erano quasi sgranati e lo
restarono per qualche secondo, prima di tornare gelidi; quelli di Yohji
erano caldi e innamorati, il suo respiro era un po’ affannato, il suo
volto sorridente con appena qualche traccia di esitazione (come avrebbe
reagito il gattino?).
"Sei impazzito?!" sibilò Aya.
Balinese scosse il capo: "No, e non
sperare che ti lasci andare dopo questo bacio…".
"Io non ti voglio, io non ti
amo" replicò Aya, con durezza.
La mia è stata solo una reazione
fisica, nient’altro… non potrebbe essere altro. Yohji è pigro,
superficiale, vive con troppa leggerezza.
Eppure sapeva che non era esattamente
così… e poi, adesso, c’era quel bacio, c’era quell’abbraccio…
Kudoh sembrò riflettere, poi gli disse:
"D’accordo, sta accadendo tutto troppo in fretta per te. Voglio che
tu possa conoscermi un po’ meglio, voglio passare del tempo con te senza
che ci siano di mezzo il Koneko o le missioni! Facciamo un patto: da
domani andremo e torneremo dal corso a piedi…. Passeggeremo, parleremo…
ci ritaglieremo qualche momento solo per noi, ok? E se continuerai a non
amarmi…".
"Non ne parleremo più"
concluse per lui Aya, risoluto.
Ma Balinese scosse il capo:
"Assolutamente no! In quel caso, cambierò tattica di
conquista!" esclamò, usando di nuovo il suo tono placido e un po’
divertito; gli rivolse un ultimo sorriso e aprì la porta.
Avrebbe voluto baciare il gattino un’altra
volta, ma si rendeva conto che non era il caso.
"Per te non sta accadendo tutto
troppo in fretta?" gli chiese Aya, lentamente, prima di chiudere la
porta.
"No. È da quando ti ho conosciuto
che penso a te".
Una volta rimasto solo, Aya sedette sul
letto per recuperare il suo solito, perfetto controllo di sé.
Perché diavolo non aveva rifiutato
quello stupido patto?! Sarebbe bastato dire un semplice ‘no’ e invece…
non lo aveva detto!!!
E' da quando ti ho conosciuto che penso
a te, aveva detto Yohji. E lui?
Ricordava bene il loro primo incontro,
quando si era svegliato indolenzito e con un gran mal di testa nel letto
del compagno più grande, che aveva un volto sorridente e che, in quella
occasione, lo aveva chiamato per primo Aya.
Ricordava anche quanto lo avessero
innervosito quei modi leggeri e da playboy mentre parlava di Birman…
Eppure quello stesso giovane lo aveva vegliato mentre era stato male e
aveva avuto un lampo strano negli occhi verdi quando lui si era dichiarato
d’accordo nell’essere chiamato Aya…
Forse era stato allora che aveva capito
che Yohji Kudoh non era tutto in quella sua aria facilona e di chi sa
stare al mondo che ostentava.
E allora, forse, non era stato uno
sbaglio dargli quella possibilità e cercare un contatto un po’ diverso,
seguendo quel desiderio frustrato di avere qualche legame un po’ più
normale, un po’ più… stretto…dopo tanto tempo…
Forse, non possiamo chiedere più di
tanto a noi stessi…
Yohji si era abbassato gli occhiali sul
volto per nascondere l’espressione estatica che aveva da quando era
uscito dall’appartamento del gattino rosso. Baciare Aya era stato…
fantastico!!! Le sue labbra erano morbide e sapevano di miele e quel bacio
gli aveva fatto comprendere che non avrebbe mai rinunciato ad Abyssinian…
Balinese sedette dietro il bancone del
Koneko no Sume Ie per prendere le prenotazioni telefoniche e potersene
stare seduto, mentre Ken e Omi, affannati, correvano da una parte all’altra
del negozio. Nel complesso, era un ottimo sistema per poter pensare
indisturbato ad Aya…
Si ritrovò a pensare a quando lo aveva
visto la prima volta, ferito, nel negozio sottosopra dopo la rissa con Ken:
lo aveva deposto nel suo letto e lo aveva vegliato; ricordava la
sensazione di fragilità che gli aveva ispirato quella creatura eterea, a
dispetto dei muscoli che si intravedevano sotto la maglietta. Forse per l’espressione
tormentata che aveva sul bel viso, anche nel sonno, o forse per la sua
voce che invocava spesso quel nome… "Aya…".
Yohji rammentava anche quel che aveva
pensato quando il ragazzo aveva approvato di essere chiamato in quel modo.
…Davvero vuoi
iniziare una vita di assassinii portando il nome di una persona che ami?…
E poi c’era stato quel senso di vuoto
che aveva provato quando il gattino rosso se ne era andato e lui si era
disteso sul suo letto: vi avvertiva ancora il suo tepore, ma lui non c’era
più…
Già, era cominciato tutto allora.
"Yohji, questa è una
ordinazione?!".
La voce alterata di Ken distolse
Balinese dai suoi pensieri e gli fece alzare lo sguardo sull’ex-calciatore.
"Aha… problemi con la mia
scrittura?" ironizzò il più anziano dei Weiss.
Aya entrò nel Koneko in quel momento,
mettendosi un grembiule per potersi occupare delle piante e dei fiori.
"No- continuò Ken- Ho problemi con
quello che hai scritto: che significa ‘mimose’? Chi mai potrebbe
volere delle mimose in questo periodo dell’anno?".
"Qualcuno che non se ne
intende?" ipotizzò Yohji, accendendosi una sigaretta.
"Avresti dovuto farglielo
notare!".
"Neanche io me ne intendo".
Dal suo angolo, mentre si accingeva a
preparare una nuova composizione, Aya non poté trattenere un lieve
sorriso.
>>><<<
Crawford era molto soddisfatto del
lavoro di ricerca svolto da Prodigy: adesso non solo aveva tutte le
informazioni necessarie per poter rilevare la società entrata nel loro
mirino, ma aveva anche pronto un bell’elenco di persone da eliminare da
dare a Schuldig. Tanto per lui indurre quel tizio a farne fuori una o tre
non avrebbe fatto alcuna differenza…
Diede un’altra occhiata ai nomi che
comparivano sul foglio che avevano stampato e poi chiese a Nagi: "Dov’è
Farfarello?".
"In camera sua" rispose il
ragazzino giapponese, un po’ tristemente. Già, quel giorno l’irlandese
era stato un po’ nervoso e solo verso sera si era tranquillizzato.
"E Schuldig?" domandò ancora
Oracle; gli era sembrata quasi una domanda superflua: probabilmente il
ragazzo tedesco era uscito per il suo giro per discoteche e night-club, in
cerca di facili conquiste per la notte…
La risposta di Nagi, quindi, gli giunse
del tutto inaspettata.
"Anche Schuldig è in camera sua,
credo".
Crawford si accigliò: era tornato molto
tardi anche quella sera e, non vedendolo, aveva dato per scontato che il
numero due degli Schwarz fosse impegnato in una delle sue scorribande
notturne. Cosa poteva averlo trattenuto? Non gli piaceva che i suoi
sottoposti si esponessero troppo, ma lo inquietava anche questa versione
‘casalinga’ di Mastermind.
Che il pensiero di Ran Fujimiya fosse
già così importante per lui da farlo rinunciare ai suoi svaghi facili e
della durata di una notte?
Con un insolito senso di inquietudine,
il leader degli Schwarz si diresse verso la stanza di Schuldig e bussò
alla porta, che si aprì poco dopo.
L’americano rimase perplesso per
qualche istante vedendo uno Schuldig in procinto di andare a dormire: il
tedesco era a torso nudo, indossava solo un paio di pantaloni bianchi che
mettevano in risalto la sua leggera abbronzatura, si era tolto gli
occhiali da sole e la fascia e aveva legato i suoi lunghi capelli in una
coda… soltanto qualche ciocca più ribelle era sfuggita e gli
incorniciava il bel viso.
"Pronto per dormire?" si
stupì Crawford.
"Dovresti essere contento di questo
orario più regolare, mein führer" sorrise il compagno, per
poi continuare mentalmente <Sto dando una bella prova di disciplina
tedesca, non credi, Oracle?>.
Crawford preferì sorvolare sull’argomento
e gli porse il foglio con i nomi delle prossime vittime, senza bisogno di
spiegare nulla.
"Questi li considero già morti,
Schuldig" lo avvertì l’americano, fissandolo negli occhi.
"Ma certo: pochi giorni e lo
saranno".
Il leader degli Schwarz distolse lo
sguardo da lui, dopo aver fatto un cenno di assenso.
Mentre si recava nel suo studio,
Crawford si ritrovò a pensare che stava davvero cambiando qualcosa nella
testa del tedesco, lo percepiva fin troppo bene, e che questo metteva a
rischio il fragile equilibrio raggiunto dagli Schwarz dopo la morte di
Takatori.
Bisognava mettere definitivamente fuori
gioco i Weiss al prossimo faccia a faccia, decise, sedendosi dietro alla
sua scrivania.
Poco distante, nella sua stanza,
Schuldig fissava il panorama notturno di Tokyo, e il suo sguardo indugiava
in direzione della casa di Aya; poi si distese sul letto e chiuse gli
occhi: se si fosse concentrato abbastanza, anche da quella distanza
sarebbe riuscito ad insinuarsi fra i pensieri di Aya… non per
manipolarli… voleva conoscerli, prima di tutto… sarebbe stato un modo
per essergli vicino…
"Sto per arrivare da te, mein
Kätzchen" mormorò, un attimo prima di concentrarsi per
sfruttare al massimo il suo potere.
Fine della terza parte ^^