Nuovo cambio di pairing! No, scherzo…^_^ Ormai questa fic è e rimarrà una Schuldig x Aya! Però fino a questo momento mi sono dimenticata di precisare un particolare, anche se chi conosce la serie lo avrà già notato: Aya-chan non è stata rapita ancora e probabilmente non lo sarà. Mi prendo questa libertà rispetto alla trama dell’anime, perché sinceramente penso che condizionerebbe troppo le vicende sentimentali di Aya, che invece sono quelle che mi stanno a cuore! ^^ Dedicato a Greta, perché tutta la fic è per lei, a Ria che si è sollevata molto quando ha saputo che avevo cambiato il pairing e a Calipso, che mi fa da beta pure sulle fic di una serie che non le piace…^^


Fiori tra le dita

Parte III

di Nausicaa

 

Capitolo terzo.- Parole

Le prime lezioni di Hal Emerick scivolarono via relativamente tranquille, per quanto potessero esserlo, considerato il loro contenuto.

I due Weiss sospettavano che il professore si servisse anche dell’ipnosi perché le sue parole fossero più incisive sulle menti maggiormente predisposte e, in un certo senso, avevano ragione, le cose andavano proprio così, soltanto che era Schuldig a fare questo lavoro in realtà.

In quelle giornate il tran-tran di Yohji e Aya era stato sempre lo stesso: arrivavano al corso ognuno con la propria macchina, seguivano la lezione con la massima attenzione, studiando professore e partecipanti per cogliere ogni minima relazione con la serie di delitti; poi, al termine, Yohji proponeva qualcosa, in genere di andare in un caffè, cui Aya rispondeva puntualmente di no. Nel quarto giorno, però, ci fu un cambiamento al corso.

Pur stando seduti piuttosto lontani dalla cattedra, ai due Weiss non sfuggì l’espressione compiaciuta con cui Emerick entrò nell’aula ad emiciclo.

L’uomo di sistemò in modo da avere una visuale completa della stanza e parlò più teatralmente del solito: "Signori, vi annuncio che da oggi aggiungeremo una parte pratica alle nostre lezioni. Non dovrebbe crearvi problemi, visto che finora ho insistito molto sulla teoria…e se qualcuno non avesse ancora capito, cosa sarebbe?".

"Un grandissimo imbecille!" rispose alla domanda (retorica) un giovane dalla prima fila. Uno di quelli che avevano commentato entusiasticamente le convinzioni dell’americano.

"Proprio così, Tokugawa-san: vedo che non ha più paura di usare le parole giuste e di chiamare le cose con il loro nome" commentò il professore, annuendo con approvazione.

Tokugawa-san annuì di rimando: "Può scommetterci! Provi a chiedere a quegli idioti dei miei colleghi…".

Gli occhi di Emerick si fecero più sottili nel fissarlo: "Bene, bene…tra qualche giorno avrà modo di dimostrarci i suoi progressi. Oggi, però, voglio mettere alla prova altre due persone…" tacque e si guardò intorno per diversi secondi.

Dal suo posto, Aya stava seguendo ogni sua mossa: il leader dei Weiss era convinto di sapere chi stesse per essere chiamato…era troppo palese, ad occhi esperti come i suoi nello scrutare, che Emerick avesse già un nome in testa: stava fingendo di dover ancora scegliere solo per accrescere la tensione.

"Uhm…Kisugi-san…e…Hizawa-san…qui vicino a me!".

Ovvio…i due giovani che aveva messo l’uno contro l’altro fin dal primo giorno; e Kisugi-san era pure cambiato, almeno un minimo: era passato dagli occhiali alle lenti a contatto…

I due si alzarono e si fecero avanti, sistemandosi uno alla destra e uno alla sinistra del docente, che iniziò a dare le sue istruzioni: "Molto bene, ora chiudete gli occhi: ricordatevi tutto quello che vi ho detto e poi pensate l’uno all’altro…a quello che l’altro rappresenta per ognuno di voi e poi sfogatevi…sfogatevi come meglio credete. E ora, aprite gli occhi!".

I due giovani obbedirono, poi furono davvero uno contro l’altro, intenti a guardarsi come se volessero uccidersi a vicenda.

Cominciò per primo Hizawa-san: sferrò un pugno diritto sul naso del suo avversario e poi parlò con disprezzo: "E’ dalla prima volta che ti ho visto che ho voglia di spaccarti la faccia! Io non li sopporto i tipi come te…".

L’altro giovane, più basso e di corporatura più debole, si asciugò un rivolo di sangue che scendeva dal labbro spaccato e sibilò: "Ma chi ti credi di essere? Pensi di essere tanto migliore di me?!".

Altro pugno, in pieno stomaco.

"Io SONO migliore di te! Perché so cosa sei TU: un pauroso impiegatuccio che vuole tenersi stretto il suo patetico posto di lavoro…sei un miserabile che dà sempre la colpa agli altri, vero? Te lo si legge in faccia, la colpa è del tuo capo, dei tuoi colleghi, dei genitori, del governo, di chiunque pur di non ammettere che, se sei solo uno sfigato, non è colpa degli altri ma tua, perché sei una nullità!".

Kisugi-san ebbe un lampo pericoloso negli occhi e poi sferrò un gancio alla mascella del suo avversario: "Parli tu!! Ma se si vede lontano un miglio che vuoi avere successo soltanto per poterti comprare bei vestiti e macchine potenti e tutto quello che possa servire a nascondere lo schifo che sei!!!".

E, a quel punto, furono veramente pugni, dati senza pensare cosa colpissero o quanto male facessero.

Con grande stupore di Yohji e Aya, anche le altre persone presenti cominciarono a fare il tifo per l’uno o per l’altro, incitando i due a massacrarsi in modo sempre più sanguinario.

Dal suo angolo nell’ombra, Schuldig era contento all’idea di non dover faticare troppo in questo specifico caso: i due tizi erano già abbastanza coinvolti di loro, senza che lui dovesse intervenire condizionandone la mente.

Inoltre, questo gli permetteva di non dover distogliere l’attenzione da Aya.

Non aveva bisogno dei suoi poteri per capire quanto il gattino rosso fosse disgustato da quello spettacolo di violenza gratuita e, a dire il vero, ne era seccato anche lui, anche se per motivi diversi: la violenza che usavano i Weiβ aveva un fine punitivo…quella degli Schwarz era motivata dall’interesse personale…

Ma questa?

Non serviva assolutamente a niente; oddio, un minimo magari serviva per poter suggestionare il tipo che aveva preso di mira!

Il ragazzo tedesco chiuse gli occhi e si concentrò per qualche istante, sondando i pensieri della sua vittima e agendo su di essi perché l’uomo si esaltasse sempre di più di fronte ad uno scenario di violenza.

Bene…ormai i tempi erano maturi per lui…ancora pochi giorni e gli Schwarz avrebbero potuto mettere a punto il piano.

Shuldig distolse presto la sua attenzione da quella persona per riportarla su Aya e sul combattimento; proprio quando i suoi occhi tornarono ad osservare la scena, Kisugi-san venne atterrato dall’ultimo pugno di Hizawa-san, tra il clamore quasi da stadio della folla.

Emerick si avvicinò nuovamente ai due e parlò per primo allo sconfitto: "Molto bene: al di là del risultato finale, la vostra aggressività verbale è davvero a buon punto! Per il resto, non temete: il mondo è talmente grande che, presto, potrete prendervi la rivincita su chi, quando e quanto vorrete".

Kisugi-san si tamponò il naso con un fazzoletto, nel rispondere sinistramente: "Potete giurarci!".

Il professore annuì compiaciuto, prima di voltarsi verso Hizawa-san.

"Quanto a lei, direi che ha passato a pieni voti questo piccolo test…vedrà, andando avanti rimarrà sempre più stupito di se stesso!".

La risposta del giovane fu un sorriso soddisfatto, che segnò anche la fine della lezione.

Mentre osservava Yohji e Aya che lasciavano i loro posti, Shuldig decise che era giunto il momento di scuotere le acque e che un bel faccia a faccia con Kudoh sarebbe stato l’ideale per raggiungere lo scopo.

Sapeva che sarebbe stato rischioso per la buona riuscita del piano di Crawford, eppure era fermamente convinto che per Abyssinian valesse la pena di osare.

 

I due Weiss raggiunsero stancamente le loro macchine, parcheggiate vicine, ad una certa distanza dal palazzo dove ‘lavorava’ Emerick per non creare sospetti sulla loro conoscenza reciproca.

Aya stava per aprire la sua portiera, quando Yohji gli mise una mano sulla spalla facendolo sussultare.

Il gattino rosso si voltò verso di lui con una luce interrogativa negli occhi violetti e il movimento fece dondolare il lungo orecchino d’oro, su cui si rifletteva la luce del sole.

Yohji si rese conto di guardarlo più del dovuto, ma non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua bellezza e Aya colse la luce diversa che brillava nello sguardo di Balinese, che in quel momento oltretutto aveva gli occhi liberi dallo schermo degli occhiali da sole.

Il ragazzo ne rimase turbato: cominciava a pensare che forse c’era stato davvero un cambiamento di Yohji nei suoi confronti, che non era la sua immaginazione, ma questo pensiero non lo faceva stare meglio, anzi. Continuava a pensare di non saper gestire una simile, insolita situazione e di non avere neanche voglia di farlo.

Aya si mosse leggermente, riscuotendo finalmente il compagno.

Yohji lo guardò sforzandosi di sorridere in modo naturale: "Questo tizio sarebbe degno di una missione anche se non fosse invischiato nel caso di quegli omicidi, vero? A costo di sembrare ripetitivo…vuoi venire a bere o a mangiare qualcosa con me?" e nel dirlo si abbassò gli occhiali scuri sugli occhi, senza notare il lampo di disappunto che comparve sul bel viso di Aya.

Abyssinian sentì risuonare nella mente un campanello d’allarme. Chiaro. Inequivocabile. Ne avvertiva i segnali: stava per abbassare le sue difese, stava per provare qualcosa di molto simile all’affetto per il giovane dai capelli biondi e dalla battuta ironica sempre pronta.

Ed era qualcosa che non poteva permettersi.

Non poteva e non voleva ricaderci: aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai più caduto nella trappola dei vincoli affettivi, del doversi preoccupare per qualcuno, del dover di nuovo provare il terrore che a questo qualcuno potesse succedere qualcosa…

Se lo era ripromesso osservando la figura fragile e addormentata di sua sorella, il suo volto apparentemente sereno che contrastava con l’ago della flebo infilato nel braccio; se lo era ripromesso durante i lunghi mesi a Sendai, quando aveva imparato la via della spada e con essa la via al distacco e all’impassibilità. Non avrebbe buttato al vento tutto questo!!

"A costo di essere ripetitivo…no!" rispose con più fermezza del dovuto, pentendosene subito dopo: aveva scorto uno sguardo deluso e meravigliato da parte di Balinese, che sicuramente si stava chiedendo come mai la sua solita domanda quel giorno avesse suscitato una risposta tanto dura nel tono.

Durò poco, però: il giovane si riprese e abbozzò un sorriso, anche se più tirato rispetto a quelli che gli rivolgeva di solito.

"Ok… sai che sono un tipo paziente. Uhm… paziente forse no, ma tenace sì!" esclamò il più anziano dei Weiss, prima di allontanarsi per dirigersi verso la sua macchina; sapeva capire quando arrivava il momento di andarsene e l’ultima cosa che voleva era irritare Aya.

Il gattino rosso lo guardò per qualche istante, poi salì a bordo della sua vettura e mise in moto.

Solo quando vide la macchina di Aya allontanarsi, Yohji si permise di assumere l’espressione triste che sentiva di avere.

Forse stava sbagliando tutto, gli sembrava di rimanere sempre fermo nello stesso punto! Magari la cosa più giusta da fare, anche se molto azzardata, sarebbe stata smetterla con quegli stupidi e falsi inviti ‘amichevoli’ per parlare più chiaramente con Aya…a costo di… sì, anche a costo di ritrovarsi con una katana alla gola!

Forse nella vita del gattino rosso c’era bisogno proprio di un bello scossone emotivo. Positivo, questa volta.

O almeno così sperava, ma la possibile reazione di Aya ad una sua dichiarazione rimaneva un’incognita…

Yohji stava aprendo lo sportello della sua macchina, ripetendosi mentalmente che tutto sarebbe andato bene e che non avrebbe avuto un incontro ravvicinato con la katana di Abyssinian, quando la sua attenzione fu attirata da una figura familiare, ferma davanti al grattacielo dal quale era appena uscito. Un ragazzo molto alto, dai lunghi capelli rossi…no, non proprio rossi…la sua era piuttosto una tonalità arancio, strana…con una fascia a coprirgli la fronte, gli occhiali da sole sulla testa e un sorriso ironico.

E guardava lui.

Yohji lo riconobbe subito: era Schuldig, uno degli Schwarz, e trovarlo in quel luogo non faceva che confermare che le ex- guardie del corpo di Reiji Takatori non erano state con le mani in mano, dopo la morte del loro datore di lavoro, ma avevano trovato il modo per crear danno anche da soli…

Soltanto che…

Perché’? Perché mostrarsi? Perché uscire allo scoperto? Una sfida, forse… che Schuldig si sentisse tanto sicuro di sé?

Balinese stava per muoversi verso di lui, deciso ad affrontarlo, quando il ragazzo tedesco scomparve all’interno dell’edificio, veloce come ne era uscito.

L’altro per un attimo fu indeciso se inseguirlo o meno, ma poi prevalsero le ragioni dei Weiss: se si fosse gettato in un inseguimento alla cieca, da solo, in quel grattacielo, avrebbe rischiato di compromettere la loro copertura. Emerik stesso avrebbe potuto notarlo e insospettirsi. Quindi, decise di lasciar perdere. Yohji guidò nervosamente fino a casa e parcheggiò la macchina nel garage del Koneko no Sume Ie; stava per tornare al lavoro, quando si sentì osservato: si voltò e vide di nuovo Schuldig, fermo dall’altra parte della strada.

Lo Schwarz aveva un’espressione terribilmente seria in volto e, dopo essersi assicurato che il Weiss lo avesse visto e riconosciuto, camminò fino ad entrare nel Cafè più vicino.

Yohji si accigliò.

Aveva capito che il nemico non era lì per Emerik o per la missione, ne era sicuro; lo sentiva a pelle: Schuldig non era uno stupido e, se si era esposto al punto da avvicinarsi al rifugio dei Weiss da solo , poteva essere soltanto per un motivo personale. E questo motivo… ce ne era uno… uno solo cui fosse così legato dagli avvenimenti del passato…

"Cosa diavolo fai lì, Yohji?! Aya è già tornato da quasi venti minuti!".

La voce fastidiosamente nervosa di Ken fece voltare Balinese verso la porta del negozio di fiori. Kudoh ebbe la tentazione di rispondere a tono a Ken, ma poi si trattenne per non dare il via ad una discussione che gli avrebbe soltanto fatto perdere tempo.

"Ho finito le sigarette…" annunciò, guardandolo di sfuggita e accingendosi ad attraversare la strada.

Era talmente teso che badò appena al rimprovero di Syberian.

"Potresti almeno variare le tue scuse!!!".

"Ho finito la vodka…".

 

Yohji non ci mise molto ad individuare Schuldig, una volta entrato nel locale: il tedesco era seduto ad un tavolino e stava bevendo una birra.

Lo raggiunse e si sedette davanti a lui, accendendosi una sigaretta per tenere occupate le mani; stava per chiedergli cosa diavolo volesse, quando si avvicinò una cameriera.

"Cosa desidera?" chiese la ragazza, sollecita.

Era carina, magra e con i capelli corti e scuri; in un altro tempo, che sembrava spaventosamente lontano, il più anziano dei Weiss l’avrebbe sicuramente guardata con molta attenzione…

"Un caffè amaro" si limitò a rispondere, invece, gentilmente.

<Aspettiamo che arrivi il tuo caffè per parlare… non mi va che ci siano altre interruzioni…>.

Yohji sussultò: sentire la voce di Schuldig direttamente nel cervello era qualcosa di fastidioso… di invasivo, anche se era una considerazione quasi infantile…

Ma lo Schwarz aveva ragione, lo sapeva; fortunatamente in quel locale il servizio si rivelò veloce e il caffè arrivò in pochi minuti.

Quando furono di nuovo soli, Yohji iniziò: "Che vuoi, Schwarz?" in tono piuttosto duro.

L’altro sorrise, per poi andare dritto al punto: "Lo ami molto, vedo".

Balinese quasi sobbalzò sulla sedia: "Eh?!" esclamò, sentendosi subito dopo molto ridicolo; ma non era facile abituarsi al potere del tedesco.

"Sai di chi parlo…" precisò il giovane dai capelli aranciati.

<Non fai che pensare a lui…non fai che volere lui…e hai addirittura deciso di svelargli i tuoi sentimenti…>.

Yohji provò un brivido di inquietudine: non lo rendeva contento il fatto di aver intuito come ci fosse un motivo personale dietro a quell’incontro!

"Mi deludi, Weiss…anche tu con questo disagio per la mia telepatia: credevo avessi i nervi più saldi!".

Schuldig aveva parlato stavolta, forse perché le parole dette ad alta voce suonavano più umilianti.

Il biondo si morse un labbro, imponendosi di non palesare troppo il nervosismo, e decise di ignorare la frecciata dell’altro ragazzo, rispondendo invece all’altra osservazione.

"E anche se fosse? Non ti riguarderebbe comunque!".

Schuldig posò la sua birra, dopo averne bevuto un sorso e gli lanciò un’occhiata incredibilmente seria: "Sì, invece. Tutto quello che concerne Aya mi riguarda…".

Yohji guardò il numero due degli Schwarz con odio: "Spero che questo sia uno scherzo di dubbio gusto! Uno come te non potrebbe mai amare Aya!!" scattò. Questa volta fu il turno di Mastermind di accigliarsi: "Perché no?".

Yohji assunse un tono di sufficienza: "Sei uno degli Schwarz…hai sterminato la sua famiglia, in passato e, anche di recente, non hai esitato a metterti contro di lui. Come puoi dire di amarlo?".

Schuldig non rispose subito, preferì bere un altro sorso di birra e poi parlò di nuovo con quel tono serio che sembrava così strano nella sua voce. E inquietante, perché faceva capire che c’era dell’altro dietro la facciata di superficiale ironia.

"Balinese, tu pensi che io sia fortunato ad avere il mio potere telepatico?" chiese inaspettatamente.

"Penso che ti dia una sensazione di onnipotenza manipolare i pensieri delle persone" rispose Yohji, senza celare il suo disprezzo.

L’altro annuì: "Questo è vero! C’è una certa soddisfazione nel portare allo scoperto i più segreti pensieri e desideri della gente, non lo nego… e anche nello spezzare il velo del moralismo… Ma hai idea di come siano molte persone? Hanno pensieri banali e noiosi, fantasie scontate e un cervello pieno di idee che non sono neanche le loro. Le hanno sentite da qualche parte e le hanno incamerate passivamente. Si piangono addosso per la monotonia della loro vita, ma poi si dimenticano tutto piuttosto facilmente. Si dimenticano perfino del dolore…si abituano. Aya non è così, io lo so. È autentico…" Mastermind non volle aggiungere altro davanti al suo rivale, anche se avrebbe avuto molto da dire; ad esempio che, leggendo i suoi pensieri, aveva visto il vero Aya, o meglio il vero Ran… che aveva scorto il groviglio di sentimenti che il gattino rosso celava dietro la sua facciata imperturbabile: sofferenza, desiderio di vendetta, biasimo verso se stesso… la certezza di non meritare né perdono né amore, eppure, nel profondo, un insopprimibile e mai ammesso bisogno di riaverli, e il perdono e l’amore.

E, insinuandosi ancora di più nella sua mente, Schuldig poteva ritrovare anche Ran come era stato fino al giorno dello sterminio della famiglia: un ragazzo un po’ timido e introverso, ma buono e gentile, molto legato a sua sorella e sempre pronto ad accontentarla.

Schuldig amava entrambi, sia Ran che Aya "Abyssinian" Fujimiya.

"So anche io che quella freddezza è solo una maschera, credevi che non me ne fossi accorto?".

La voce tesa di Kudoh riportò Mastermind alla loro conversazione, distogliendolo dal pensiero di Aya; lo Schwarz osservò il biondo ex-investigatore privato e scrollò le spalle: "So che te ne sei accorto. So tutto quello che ti passa per la testa… - rimarcò, sapendo di irritarlo-…E’ solo che io lo so in modo diverso!" affermò con sicurezza, facendo capire che non si stava riferendo soltanto ai suoi poteri.

A quel punto, Yohji decise che si era stancato di quella conversazione: "Questo non è vero!!! Comunque… se volevi farmi sapere che saremo rivali, hai raggiunto il tuo scopo. Il nostro dialogo finisce qui!" disse seccamente, alzandosi in fretta.

"Non bevi il tuo caffè? Ormai si sarà raffreddato…" gli fece notare placidamente Schuldig.

<Scambiare quattro chiacchiere con me ti fa diventare addirittura inappetente?>.

Con un moto di irritazione, come per non dargliela vinta, Yohji si portò la tazzina alle labbra e bevve tutto d’un fiato quel liquido scuro, amaro e freddo, poi lasciò sul tavolino qualche moneta per pagare la sua ordinazione e se ne andò senza dire una parola, raggiunto dall’ "Auf wiedersehen!" del tedesco.

Schuldig ebbe un lieve sorriso: si vedeva che Yohji Kudoh era un Weiss… era un assassino come lui, ma si permetteva di guardarlo dall’alto in basso solo perché lui apparteneva agli Schwarz… come se i cadaveri lasciati a terra da lui fossero meno morti dei suoi!!! Come se sapesse tutto quello che c’era dietro…

Era convinto che solo Aya avrebbe potuto capire: un passato non dissimile, scelte diverse.

"E’ tutto a posto, signore?" si sentì chiedere dalla cameriera.

Schuldig le rivolse uno di quei suoi bellissimi sorrisi, un po’ maliziosi e sfrontati, in grado di far arrossire chiunque.

"Ja, danke…".

 

 

Yohji rientrò nel Koneko no Sume Ie fumando nervosamente una sigaretta e si diresse di fretta verso la cucina, ignorando i richiami solleciti di Ken e Omi che erano assediati da ragazzine che chiedevano piante e mazzetti di fiori nei casi migliori, mentre le più audaci si spingevano a domandare esplicitamente un appuntamento.

Il giovane afferrò direttamente tutta la brocca di caffè americano che era stata lasciata sulla credenza e iniziò a versarne nella sua tazza con l’intenzione di finirlo.

L’incontro con Schuldig lo aveva scosso più di quanto volesse ammettere e, inoltre, aveva cambiato le carte in tavola: da principio aveva creduto che il tedesco, e quindi con lui gli Schwarz, fosse implicato nelle non chiare attività di Hal Emerick… ma se Mastermind si fosse fatto trovare lì soltanto per vedere Aya e per farsi scorgere da lui?

Schuldig voleva parlare con lui, era chiaro.

Già… non poteva essere altro… uno Schwarz non si sarebbe mai scoperto tanto, vero? Non avrebbe rischiato di compromettere una missione per motivi personali… vero? Quindi questo eliminava gli Schwarz dal numero dei possibili colpevoli, giusto?

Eppure la sensazione che Brad Crawford fosse la regia cui si dovevano quei delitti rimaneva fortissima e, dopotutto, bisognava ricordare anche che Schuldig non era esattamente una persona normale o che ragionasse in modo normale.

Yohji bevve con una smorfia la quarta tazza di caffè e ripensò alla conversazione avuta con il ragazzo tedesco.

Mastermind era interessato ad Aya, non c’erano dubbi, e aveva voluto metterlo davanti all’evidenza di avere un rivale.

Ma come si fa a competere con chi può leggere e manipolare il pensiero?

Un secondo dopo aver formulato questa idea, Yohji si irrigidì dandosi dello stupido!

Non c’è nessuna competizione! Lui è l’assassino della sua famiglia e Aya non lo perdonerà mai… e poi non voglio pensare a quello Schwarz e neanche alla missione, adesso non contano…

Yohji si alzò e posò la sua tazza nel lavabo, poi fece capolino nel negozio; le ragazzine sembravano essere tornate a casa o a scuola per i corsi di recupero e Ken e Omi potevano godersi un attimo di respiro.

"Dov’è Aya?" chiese subito Balinese, non scorgendo in giro il suo gattino rosso.

"E’ nel suo appartamento, è salito non appena i clienti se ne sono andati" rispose Omi con un sorriso, mentre innaffiava le grandi piante a foglia larga.

"Yohji, sono arrivate parecchie ordinazioni…" tentò Ken, ma il compagno lo ignorò.

"Devo parlare con lui" disse brevemente e sparì, lasciando i due Weiss più giovani a bocca aperta.

"Ma che sta prendendo a quei due?! Anche Aya era strano!!!" scattò Siberian, un po’ irritato.

Omi lo guardò scuotendo la testa, come a dire che non lo sapeva, e poi fissò con preoccupazione le scale che portavano agli appartamenti dei suoi amici.

 

Quando aprì la porta di casa dopo aver sentito bussare, Aya non si aspettava di trovarsi davanti Kudoh, anche se si disse che avrebbe dovuto saperlo.

"Problemi al negozio?" chiese con voce inespressiva.

"No. Devo parlarti" spiegò Yohji; il biondo sperava di sembrare tranquillo come suo solito, anche se il suo cuore aveva assunto un battito più accelerato.

Ma non sarebbe tornato indietro, sentiva che quello era il momento giusto per provare a spiegare ad Aya che i suoi sentimenti erano cambiati, che non erano più quelli di un collega di lavoro.

Lo guardò per qualche istante: il gattino rosso si era cambiato e indossava jeans neri e una maglietta nera senza maniche; quel colore scuro contrastava con il candore della pelle e poi… bastavano quegli occhi violetti a dare luminosità e tutta la sua figura aggraziata! E anche i capelli rosso scuro erano lucenti…

Yohji avrebbe voluto affondarci le mani, per sapere se erano così morbidi come sembravano essere…

"Allora?".

Il tono leggermente teso del ragazzo lo fece tornare con i piedi per terra e solo allora si accorse che Aya si era scansato per farlo entrare nel suo appartamento.

"Scusa, ero soprappensiero" spiegò, facendo qualche passo fino ad arrivare al centro della stanza.

Si guardò intorno: osservò il divano su cui il gattino rosso si sdraiava per leggere, con ancora un libro poggiato sui cuscini, il tavolino con un vaso di fiori freschi, il comodino con la piccola pila di libri, il letto in cui Aya dormiva…

Yohji si sentì un po’ stupido, ma non poté fare a meno di cercare con gli occhi Shion, la pericolosa katana del leader dei Weiss: non sembrava a portata di mano, meglio…

"Allora?" ripeté Abyssinian, con una voce ancora più dura.

"Ah…ehm…" ecco, adesso che era arrivato il momento, che fine aveva fatto tutto lo spirito da uomo di mondo di Balinese? Non che servisse, con qualcuno come Aya…

Ma allora, cosa potrebbe servire con lui? Forse solo la sincerità, senza giri di parole…

Yohji sistemò i suoi occhiali da sole sulla testa e sedette sul divano, poi guardò il gattino rosso con un sorriso: "Perché non vuoi mai venire a bere qualcosa con me?".

Ehm… ok, forse era stato troppo diretto!!!

Gli occhi violetti di Aya si dilatarono leggermente nell’udire questa domanda.

Non gli era sfuggita l’insistenza con cui ogni giorno il compagno lo invitava da qualche parte e aveva temuto che, prima o poi, l’altro avrebbe chiesto il perché del suo continuo diniego, ma non avrebbe mai creduto che la richiesta di spiegazioni sarebbe arrivata tanto presto!

E ora? Come farglielo capire? Non c’era modo… non per un carattere orgoglioso come il suo. No, non avrebbe mai fatto intuire a Yohji Kudoh quanto lo spaventasse l’idea che qualcuno potesse incrinare il muro di solitudine con cui si era circondato per non soffrire più!

Aya rimase apparentemente imperturbabile, mentre rispondeva: "Io non sono un tipo che vada per bar, a bere".

Una risposta secca.

Sperava che questo facesse desistere Kudoh, ma non avvenne.

"Aya, detto così sembra che voglia trascinarti nel vortice dell’alcolismo! Potremmo bere un succo di frutta, forse questo ti sembrerebbe più innocuo" aggiunse con un sorriso, sperando che l’altro si ammorbidisse alla sua battuta. In realtà il ragazzo si sentì quasi preso in giro, così lo squadrò freddamente e replicò: "Non sono una persona a cui piaccia andare in giro per locali".

Ed era vero, anche se quando era stato solo Ran Fujimiya aveva lavorato come cameriere. O, forse, proprio per quello: gli avrebbe ricordato troppo la vita normale che aveva condotto fino ai diciotto anni, quella che non sarebbe mai potuta tornare.

Yohji respirò profondamente, prima di sprofondare nello schienale del divano, con il volto velato di amarezza: "Ok, ho sbagliato tutto…" sospirò.

Aya si accigliò: "Sbagliato cosa?".

Balinese lo guardò intensamente, mentre l’altro se ne stava in piedi, rigido, con la schiena appoggiata al muro e le braccia incrociate, come quando ascoltava le indicazioni per una nuova missione.

Poteva essere davvero la mossa peggiore della sua vita, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro.

"Volevo avvicinarmi a te e pensavo che quello fosse un buon inizio: è evidente che mi sono sbagliato" ammise.

Il cuore di Aya cominciò a battere più velocemente a quelle parole e, per quanto gli costasse una gran fatica parlare, non poté fare a meno di chiedere: "Perché volevi avvicinarti a me?".

Stavolta il sorriso di Yohji si fece gentile… quasi dolce.

"Non lo immagini?".

E le difese di Aya reagirono.

"No. Sarà meglio che tu te ne vada" concluse, bruscamente.

Non avrebbe dovuto fare quella domanda!! Avrebbe preferito che tutto restasse come prima, davvero!!!

Davvero? Forse no…

Voltò le spalle a Yohji e fece per andare ad aprire la porta del suo appartamento per sottolineare meglio il concetto di voler restare da solo, quando rimase bloccato dalla domanda del compagno.

"Come puoi voler vivere sempre con tanta freddezza? In tanta solitudine? Non posso credere che non ti pesi mai…".

Kudoh aveva parlato con una voce grave che prima non gli aveva mai sentito; Aya si voltò lentamente verso di lui, incontrando il suo sguardo serio e il suo volto teso.

Era arrabbiato. Sentiva molta rabbia dentro di sé e sperò di riuscire a controllare il suo timbro di voce nel dirgli: "Non mi interessa quello che tu credi o non credi. Io ho deciso di vivere così…".

Sapevo a cosa andavo incontro… e l’ho voluto lo stesso…

C’era una decisione disperata e sofferta, eppure definitiva, negli occhi violetti, mentre il gattino ribadiva la sua scelta e Yohji non poté impedirsi di scuotere la testa, mostrando allo stesso tempo comprensione e disapprovazione.

"So come ti senti…".

"No, non lo sai".

Non fu tanto il sibilo letale di Aya ad interrompere Yohji, quanto la luce assassina che aveva scorto nelle sue iridi; una luce sinistra che Balinese aveva visto altre volte, quando Abyssinian era in missione.

Ma anche lui era un killer professionista e non sarebbe indietreggiato.

"Sì che lo so! Hanno ucciso i tuoi genitori e ridotto in coma tua sorella e tu sei sopravvissuto per miracolo. Ti hanno strappato via la tua vita senza che tu potessi far nulla per impedirlo e ti senti ancora pieno di odio e di desiderio di vendetta… non importa aver ucciso Takatori, vero? Ti ha dato sollievo, ma non quanto credevi… Sai che cosa ero io, prima di entrare nei Weiss?" gli chiese, guardandolo intensamente.

"Un investigatore privato" disse, gelidamente, Aya.

"Già- annuì il biondo- A quell’epoca lavoravo con una ragazza di nome Asuka… che era anche la mia ragazza…- aggiunse dopo un attimo di esitazione-…durante una missione di lavoro, la uccisero sotto ai miei occhi, senza che io potessi far niente. Quindi… non credi che possa capirti?".

Fino all’ultimo Yohji era stato molto indeciso se nominare Asuka o meno, ma alla fine aveva prevalso la volontà di aprirsi completamente, nonostante la paura per la possibile reazione negativa di Aya.

Il gattino rosso sentiva su di sé le occhiate apprensive del compagno più grande, mentre cercava di assimilare ciò che l’altro gli aveva raccontato; certo, sapeva già di Asuka… sapeva che era esistita e come era morta, aveva anche ascoltato dei racconti bisbigliati da Ken e Omi a riguardo. Ma sentir dire tutto da Yohji era diverso, gli faceva un altro effetto.

Fa male… in qualche modo mi fa male…

Se lo ripeteva mentalmente anche se il suo bel viso era impassibile mentre diceva: "Va bene, forse mi puoi capire, ma questo non cambia nulla".

Il biondo sentiva di star perdendo la sua flemma e alzò la voce, cosa più unica che rara per lui: "Cambia tutto, invece!!! Aya, ti sto solo chiedendo di poterti aiutare a tornare ad una vita un po’ più normale!!".

Il più anziano dei Weiss vide di nuovo quella luce assassina negli occhi violetti, mentre il compagno stringeva i pugni e rispondeva con controllato livore: "Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno! E poi perché dovrei accettare il tuo? E perché tu dovresti aiutarmi?".

"Perché per me sei speciale!".

Questa risposta giunse come un fulmine a ciel sereno per Kudoh stesso, che non aveva programmato di dirlo in quel modo, con quelle parole, con quel tono lento e calmo, ben lungi dal rappresentare la sua agitazione interiore.

Per qualche attimo l’espressione fredda di Aya sembrò incrinarsi, lasciando il posto ad una sorpresa assoluta e totale, ma fu così rapido da ricomporsi subito e sibilargli contro: "Non è vero".

Yohji sbatté le palpebre.

Si era aspettato una minaccia con la katana, non l’incredulità.

"Perché dici questo?- gli chiese, preoccupato, ma poi, notando che l’altro rimaneva nel suo impenetrabile silenzio, continuò- Lo dici perché ti ho parlato di Asuka? Mi credi ancora innamorato di lei? Lei è il passato… è stata importante, ma questo non toglie niente a ciò che ora provo per te…".

Aya continuava a fissarlo con diffidenza e Yohji si alzò, facendo qualche passo verso di lui: "Per tanto tempo ho vissuto come un playboy, lo so, ed è stata anche una reazione alla sua morte, lo ammetto: passavo pomeriggi e serate nei bar, con donne il più possibile diverse da lei… ma poi quello che provo per te ha fatto cambiare tutto! E tutto è stato di nuovo intenso e vivo e, per la prima volta, il passato mi è sembrato realmente passato, realmente lontano. Aya, ti prego… vuoi darmi una possibilità?".

Gli occhi verdi di Balinese erano gentili e dolci nel guardarlo, nel parlargli; il cuore di Aya batteva furiosamente, eppure il ragazzo riuscì a soffocare alla perfezione il piccolissimo moto di contentezza che aveva provato alle parole dell’altro.

"Io non merito l’affetto di nessuno" disse, invece, con convinzione.

Yohji gli si fece più vicino: "Anche io sono un assassino… e il mio non è affetto, è qualcosa di più. Sei davvero convinto che nessuno di noi si meriti un po’ di gioia? Un po’ di amore? Va bene, siamo solo degli assassini e questo non si può cambiare, la nostra colpa è la stessa. Ma non credo che questo sia un buon motivo per privarci della felicità che potremmo trovare insieme".

Aya strinse di più i pugni, conficcandosi le unghie nelle mani: era evidente che Yohji non riusciva a capirlo, ad intuire quel sentimento soffocante di… indegnità… sì, indegnità. Eppure le sue parole erano insinuanti, pericolosamente convincenti, in grado non di intaccare ma comunque di graffiare le difese che Fujimiya aveva eretto con tanta cura attorno a se stesso e lui era furioso per questo.

Non poteva permettersi di lasciarsi andare, di abbandonarsi ad un sentimento che non fosse quello semplice e schematico di due colleghi di lavoro. Voler bene a qualcuno significava correre il pericolo di perderlo, essere vulnerabile…

Ad ogni missione i Weiss rischiavano la vita: avrebbe dovuto caricarsi anche di questa angoscia? Sentirsi sempre in bilico?

Non posso ricadere in tutto questo…

Una via d’uscita, tuttavia, c’era: mandarlo via, con volto sereno e voce atona, con quella impassibilità che gli veniva dal codice di comportamento che aveva assimilato a Sendai.

"Vai via" gli disse gelidamente.

Yohji lo guardò fisso e si mosse verso di lui: "Non ancora…" e, prima che Aya potesse reagire, lo abbracciò di sorpresa e lo baciò.

Il gattino rimase impietrito: avrebbe dovuto spintonare via il compagno, lo sapeva, e i lunghi allenamenti quotidiani con la katana gli avevano dato la forza necessaria per farlo, e poi avrebbe dovuto puntargli la suddetta katana alla gola per fargli passare la voglia di tentare altre mosse simili!

Eppure… un braccio di Yohji gli cingeva possessivamente la vita, l’altra sua mano era affondata fra i suoi capelli, sulla nuca, e lo accarezzava… e la bocca di Yohji premeva desiderosa contro la sua e aveva uno strano sapore virile di tabacco e di caffè… ed era calda…

Quanto tempo era che Aya non provava un calore simile? O un bagliore così luminoso di serenità? Istintivamente, il gattino rosso cinse con le braccia le spalle di Yohji, chiudendo gli occhi e abbandonandosi per un attimo a quello sconvolgente contatto, a quell’illusione di semplicità…

Finché...

Che diavolo sto facendo?

Aya recuperò il contatto con la realtà e la sua mente fu attraversata da questa domanda; con uno sforzo, puntò le mani sulle spalle dell’altro e lo spinse lontano da sé. I due si guardarono negli occhi: quelli di Abyssinian erano quasi sgranati e lo restarono per qualche secondo, prima di tornare gelidi; quelli di Yohji erano caldi e innamorati, il suo respiro era un po’ affannato, il suo volto sorridente con appena qualche traccia di esitazione (come avrebbe reagito il gattino?).

"Sei impazzito?!" sibilò Aya.

Balinese scosse il capo: "No, e non sperare che ti lasci andare dopo questo bacio…".

"Io non ti voglio, io non ti amo" replicò Aya, con durezza.

La mia è stata solo una reazione fisica, nient’altro… non potrebbe essere altro. Yohji è pigro, superficiale, vive con troppa leggerezza.

Eppure sapeva che non era esattamente così… e poi, adesso, c’era quel bacio, c’era quell’abbraccio…

Kudoh sembrò riflettere, poi gli disse: "D’accordo, sta accadendo tutto troppo in fretta per te. Voglio che tu possa conoscermi un po’ meglio, voglio passare del tempo con te senza che ci siano di mezzo il Koneko o le missioni! Facciamo un patto: da domani andremo e torneremo dal corso a piedi…. Passeggeremo, parleremo… ci ritaglieremo qualche momento solo per noi, ok? E se continuerai a non amarmi…".

"Non ne parleremo più" concluse per lui Aya, risoluto.

Ma Balinese scosse il capo: "Assolutamente no! In quel caso, cambierò tattica di conquista!" esclamò, usando di nuovo il suo tono placido e un po’ divertito; gli rivolse un ultimo sorriso e aprì la porta.

Avrebbe voluto baciare il gattino un’altra volta, ma si rendeva conto che non era il caso.

"Per te non sta accadendo tutto troppo in fretta?" gli chiese Aya, lentamente, prima di chiudere la porta.

"No. È da quando ti ho conosciuto che penso a te".

 

Una volta rimasto solo, Aya sedette sul letto per recuperare il suo solito, perfetto controllo di sé.

Perché diavolo non aveva rifiutato quello stupido patto?! Sarebbe bastato dire un semplice ‘no’ e invece… non lo aveva detto!!!

E' da quando ti ho conosciuto che penso a te, aveva detto Yohji. E lui?

Ricordava bene il loro primo incontro, quando si era svegliato indolenzito e con un gran mal di testa nel letto del compagno più grande, che aveva un volto sorridente e che, in quella occasione, lo aveva chiamato per primo Aya.

Ricordava anche quanto lo avessero innervosito quei modi leggeri e da playboy mentre parlava di Birman… Eppure quello stesso giovane lo aveva vegliato mentre era stato male e aveva avuto un lampo strano negli occhi verdi quando lui si era dichiarato d’accordo nell’essere chiamato Aya…

Forse era stato allora che aveva capito che Yohji Kudoh non era tutto in quella sua aria facilona e di chi sa stare al mondo che ostentava.

E allora, forse, non era stato uno sbaglio dargli quella possibilità e cercare un contatto un po’ diverso, seguendo quel desiderio frustrato di avere qualche legame un po’ più normale, un po’ più… stretto…dopo tanto tempo…

Forse, non possiamo chiedere più di tanto a noi stessi…

 

Yohji si era abbassato gli occhiali sul volto per nascondere l’espressione estatica che aveva da quando era uscito dall’appartamento del gattino rosso. Baciare Aya era stato… fantastico!!! Le sue labbra erano morbide e sapevano di miele e quel bacio gli aveva fatto comprendere che non avrebbe mai rinunciato ad Abyssinian…

Balinese sedette dietro il bancone del Koneko no Sume Ie per prendere le prenotazioni telefoniche e potersene stare seduto, mentre Ken e Omi, affannati, correvano da una parte all’altra del negozio. Nel complesso, era un ottimo sistema per poter pensare indisturbato ad Aya…

Si ritrovò a pensare a quando lo aveva visto la prima volta, ferito, nel negozio sottosopra dopo la rissa con Ken: lo aveva deposto nel suo letto e lo aveva vegliato; ricordava la sensazione di fragilità che gli aveva ispirato quella creatura eterea, a dispetto dei muscoli che si intravedevano sotto la maglietta. Forse per l’espressione tormentata che aveva sul bel viso, anche nel sonno, o forse per la sua voce che invocava spesso quel nome… "Aya…".

Yohji rammentava anche quel che aveva pensato quando il ragazzo aveva approvato di essere chiamato in quel modo.

Davvero vuoi iniziare una vita di assassinii portando il nome di una persona che ami?…

E poi c’era stato quel senso di vuoto che aveva provato quando il gattino rosso se ne era andato e lui si era disteso sul suo letto: vi avvertiva ancora il suo tepore, ma lui non c’era più…

Già, era cominciato tutto allora.

"Yohji, questa è una ordinazione?!".

La voce alterata di Ken distolse Balinese dai suoi pensieri e gli fece alzare lo sguardo sull’ex-calciatore.

"Aha… problemi con la mia scrittura?" ironizzò il più anziano dei Weiss.

Aya entrò nel Koneko in quel momento, mettendosi un grembiule per potersi occupare delle piante e dei fiori.

"No- continuò Ken- Ho problemi con quello che hai scritto: che significa ‘mimose’? Chi mai potrebbe volere delle mimose in questo periodo dell’anno?".

"Qualcuno che non se ne intende?" ipotizzò Yohji, accendendosi una sigaretta.

"Avresti dovuto farglielo notare!".

"Neanche io me ne intendo".

Dal suo angolo, mentre si accingeva a preparare una nuova composizione, Aya non poté trattenere un lieve sorriso.

 

>>><<<

 

Crawford era molto soddisfatto del lavoro di ricerca svolto da Prodigy: adesso non solo aveva tutte le informazioni necessarie per poter rilevare la società entrata nel loro mirino, ma aveva anche pronto un bell’elenco di persone da eliminare da dare a Schuldig. Tanto per lui indurre quel tizio a farne fuori una o tre non avrebbe fatto alcuna differenza…

Diede un’altra occhiata ai nomi che comparivano sul foglio che avevano stampato e poi chiese a Nagi: "Dov’è Farfarello?".

"In camera sua" rispose il ragazzino giapponese, un po’ tristemente. Già, quel giorno l’irlandese era stato un po’ nervoso e solo verso sera si era tranquillizzato.

"E Schuldig?" domandò ancora Oracle; gli era sembrata quasi una domanda superflua: probabilmente il ragazzo tedesco era uscito per il suo giro per discoteche e night-club, in cerca di facili conquiste per la notte…

La risposta di Nagi, quindi, gli giunse del tutto inaspettata.

"Anche Schuldig è in camera sua, credo".

Crawford si accigliò: era tornato molto tardi anche quella sera e, non vedendolo, aveva dato per scontato che il numero due degli Schwarz fosse impegnato in una delle sue scorribande notturne. Cosa poteva averlo trattenuto? Non gli piaceva che i suoi sottoposti si esponessero troppo, ma lo inquietava anche questa versione ‘casalinga’ di Mastermind.

Che il pensiero di Ran Fujimiya fosse già così importante per lui da farlo rinunciare ai suoi svaghi facili e della durata di una notte?

Con un insolito senso di inquietudine, il leader degli Schwarz si diresse verso la stanza di Schuldig e bussò alla porta, che si aprì poco dopo.

L’americano rimase perplesso per qualche istante vedendo uno Schuldig in procinto di andare a dormire: il tedesco era a torso nudo, indossava solo un paio di pantaloni bianchi che mettevano in risalto la sua leggera abbronzatura, si era tolto gli occhiali da sole e la fascia e aveva legato i suoi lunghi capelli in una coda… soltanto qualche ciocca più ribelle era sfuggita e gli incorniciava il bel viso.

"Pronto per dormire?" si stupì Crawford.

"Dovresti essere contento di questo orario più regolare, mein führer" sorrise il compagno, per poi continuare mentalmente <Sto dando una bella prova di disciplina tedesca, non credi, Oracle?>.

Crawford preferì sorvolare sull’argomento e gli porse il foglio con i nomi delle prossime vittime, senza bisogno di spiegare nulla.

"Questi li considero già morti, Schuldig" lo avvertì l’americano, fissandolo negli occhi.

"Ma certo: pochi giorni e lo saranno".

Il leader degli Schwarz distolse lo sguardo da lui, dopo aver fatto un cenno di assenso.

Mentre si recava nel suo studio, Crawford si ritrovò a pensare che stava davvero cambiando qualcosa nella testa del tedesco, lo percepiva fin troppo bene, e che questo metteva a rischio il fragile equilibrio raggiunto dagli Schwarz dopo la morte di Takatori.

Bisognava mettere definitivamente fuori gioco i Weiss al prossimo faccia a faccia, decise, sedendosi dietro alla sua scrivania.

Poco distante, nella sua stanza, Schuldig fissava il panorama notturno di Tokyo, e il suo sguardo indugiava in direzione della casa di Aya; poi si distese sul letto e chiuse gli occhi: se si fosse concentrato abbastanza, anche da quella distanza sarebbe riuscito ad insinuarsi fra i pensieri di Aya… non per manipolarli… voleva conoscerli, prima di tutto… sarebbe stato un modo per essergli vicino…

"Sto per arrivare da te, mein Kätzchen" mormorò, un attimo prima di concentrarsi per sfruttare al massimo il suo potere.

 

Fine della terza parte ^^


 

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