Il professor Hal Emerick
rimase qualche momento in silenzio, mentre osservava rapidamente Yohji e
Aya, ovvero Kei Matsudaira e Hari Sakamoto, in piedi di fronte a lui.
"Il corso è
iniziato ieri" disse con voce incolore e sguardo indecifrabile; era
un uomo alto e bruno, vestito elegantemente e immerso in un ambiente
lussuoso nella sua sobrietà: quel tipo di ricchezza che non salta subito
agli occhi, ma che deve essere scrutata a lungo per essere assaporata.
"Sì, be’…"
tentò di dire Yohji, istintivamente, ma tacque ad un cenno della mano di
Emerick.
"Vi darò un
anticipo della lezione, signori…mai, mai giustificarsi con qualcuno
delle proprie azioni! E comunque la mia era una semplice considerazione,
non voglio certo impedirvi di partecipare… E il motivo per cui avete
deciso di venire qui è…?" chiese l’uomo rimanendo in attesa.
Ma Yohji rispose a tono,
facendo un sorriso un po’ obliquo: "Perché dovrei dirglielo?"
ironizzò, ripagandolo con il suo stesso gioco.
Emerick annuì con
evidente autocompiacimento: "Bene, bene…lei è già entrato nello
spirito del corso, Matsudaira-san…Allora, potete andare nella sala delle
lezioni, è la seconda porta sulla sinistra. Io arriverò fra cinque
minuti".
I due Weiss uscirono
dallo studio e si diressero verso l’altra stanza; non parlarono fra
loro, ma Yohji poteva percepire benissimo la tensione che emanava dal
ragazzo accanto a lui.
"Nessuna domanda…è
stato molto facile…" considerò Balinese, ma dal gattino che gli
camminava al fianco non giunse risposta.
Yohji lo scrutò con la
coda dell’occhio: le lunghe ciocche rosse della frangetta gli velavano
gli occhi violetti, così non poteva tentare di interpretarne lo sguardo,
cosa per altro già difficile in sé…vedeva solo il profilo candido e
perfetto e le labbra serrate.
Aya era nervoso.
Non per la missione in se
stessa, ma per l’anticipo di lezione che aveva avuto in quello studio
arredato elegantemente, in stile occidentale e con qualche tocco esotico.
Quelle parole, il loro significato, non gli erano piaciute affatto…e
quello era solo l’inizio!
La stanza in cui
avrebbero ascoltato il famoso corso si rivelò essere un piccolo emiciclo,
come le aule universitarie, con i banchi in legno scuro dalla lieve
pendenza e, sul fondo, una cattedra su cui poggiava anche un televisore.
Erano già sedute diverse
persone…una trentina, ad occhio e croce: erano per lo più uomini, ma
qualche donna era comunque presente.
Yohji ed Aya sedettero
vicini, ma senza parlare fra di loro, e rimasero in attesa che arrivasse
il professor Emerick; non dovettero aspettare a lungo: dopo appena un paio
di minuti, l’uomo entrò e si fermò esattamente al centro della stanza,
avendone di fronte tutta la visuale.
Non ci furono
convenevoli, né saluti; Hal Emerick sorrise in un modo un po’
antipatico e iniziò a parlare con voce alta ma calma, senza fretta.
"Visto che abbiamo
diversi nuovi iscritti, rispetto a ieri, eccezionalmente mi ripeterò sull’argomento
del corso, giusto per amore di precisione. Dunque…’Empatia’…conoscete
questa parola, vero?".
Nessuno rispose. Yohji e
Aya ascoltavano con la massima attenzione.
Ma probabilmente Emerick
non si aspettava risposte, perché riprese subito a parlare dopo una
brevissima pausa ad effetto.
"Empatia deriva dal
greco…empàtheia…ed è alla base della comprensione del prossimo, è
lo sforzo di immedesimarsi nei suoi sentimenti, di capirli e condividerli…
E’ l’empatia a frenare la nostra aggressività, perché se sappiamo
intuire il dolore degli altri non cercheremo mai di far loro del male. Ed
è proprio qui il punto: per essere veramente competitivi bisogna essere
aggressivi e per poterlo essere bisogna liberarsi dell’empatia e
affidarsi al suo contrario: la disempatia. Questo è il succo del mio
corso, in poche parole. Ora dovrei dare il benvenuto ai nuovi iscritti, ma
non lo farò! E il motivo è semplice…anche i saluti sono una forma
convenzionale di gentilezza verso il prossimo, un riguardo nei loro
confronti, per così dire…ma se siete qui è perché volete disimparare
tutto questo! E smettere di sentirsi in obbligo di dover dare il
buongiorno o il benvenuto a gente che si vorrebbe vedere sotto terra se si
potesse, è il primo passo… Ricordate che il mio e vostro fine non è il
bene del vostro prossimo, ma esclusivamente il vostro!!! Il vostro bene ha
la priorità assoluta".
Altra pausa ad effetto.
"Del resto, credete
veramente che una società ipocrita come la nostra meriti questo sforzo da
parte di qualcuno? –proseguì il professore, imperturbabile- A parole si
dicono tante cose…e la forma viene prima di tutto…ma poi, a guardare i
fatti, com’è davvero la società?".
L’uomo accese il
televisore che era posto sulla cattedra e inserì una vhs nel
videoregistratore, poi si spostò con un movimento quasi teatrale.
Sullo schermo scorsero
una serie di immagini che più o meno tutti avevano già avuto modo di
vedere al telegiornale: fumo denso e nero che fuoriusciva dagli impianti
industriali, traffico impazzito nelle metropoli e problema dell’ozono
sempre più grave…
"Un esempio banale,
signori: conosciamo tutti i rischi a cui sta andando incontro l’equilibrio
del nostro pianeta a causa dell’inquinamento e a parole tutti si
preoccupano e protestano e vengono fatte leggi apposite…eppure poi ci
incoraggiano a comprare più macchine per far aumentare la produzione
delle industrie…è una società dai messaggi contraddittori, questa. E,
lo vedo dai vostri sguardi, voi vi state chiedendo se sia giusto tutto
questo".
Non era una domanda
retorica.
I due Weiss si accorsero
che Emerick doveva aver notato alcune persone in particolare e che adesso
le stava fissando intensamente; dovettero accorgersene anche i diretti
interessati, perché si ritrovarono ad annuire, chi più timidamente e chi
con più decisione.
Un’ombra di
compatimento passò negli occhi bruni dell’uomo.
"Magari state anche
pensando che sarebbe giusto trovare il coraggio di ribellarsi,
vero?".
Questa volta giunse
qualche incerto ‘sì’ in risposta; Yohji e Aya non avevano visto chi
lo avesse mormorato, forse la ragazza della prima fila, ma lo avevano
comunque sentito.
E sentirono anche le
successive parole di Emerick, che provocarono loro un sussulto.
"NO, SBAGLIATO!
Dovete smetterla con questa idea di cambiare il mondo, non è questo che
imparerete a fare, seguendo questo corso! Anzi, imparerete ad accettarlo,
a trovarvi talmente bene con le sue regole da volgerle tutte a vostro
vantaggio!!! La mia intenzione è far cadere dai vostri occhi il velo che
avete quando parlate di ‘civiltà’…e farvi prendere coscienza del
fatto che non c’è veramente la civiltà. La civiltà è una maschera…
Ho iniziato il mio discorso, poco fa, spiegando l’etimologia di una
parola che deriva dal greco e ora devo rifarlo. Penso che conosciate tutti
la famosa definizione dell’uomo quale zoòn politikòn…sul
termine ‘sociale’ ci sarebbe molto da discutere, ma sul fatto che l’uomo
sia prima di tutto un animale non ci sono dubbi!!! Siamo parte del regno
animale e, in quest’ambito, l’unica legge valida è quella della
giungla. In altre parole: la legge del più forte. E la legge del più
forte non prevede l’empatia; se il leone la provasse per le gazzelle che
uccide, ad esempio, morirebbe di fame, ma questo non accade grazie ad un
meccanismo facilissimo che si chiama ‘istinto di sopravvivenza’. Tutti
ne sono dotati…anche noi…anche quelli che se ne vanno in giro a dire
che loro non alzerebbero le mani su un altro essere umano neanche sotto
minaccia… Già, perché per certi aspetti, l’uomo è l’animale più
intelligente del pianeta, per altri è il più stupido…e masochista…perché,
invece di seguire il suo istinto, si è inventato il concetto di ‘altruismo’
e così lede la sua autoconservazione. E non vede quello che sono in
realtà le altre persone: un peso."
Yohji si accigliò
lievemente mentre ascoltava, pur sforzandosi di mantenere un’espressione
neutra; anche se era una considerazione banale, quel discorso non gli
piaceva neanche un po’.
Per un attimo si disse
che forse un Weiss non avrebbe avuto il diritto di indignarsi tanto, non
qualcuno con le mani sporche di sangue come le aveva lui…ma in fondo
aveva già pronta una replica: i loro bersagli erano marci, corrotti…erano
persone che non si potevano punire secondo le naturali vie della
giustizia. Qui era diverso, si parlava di calpestare qualunque persona
venisse vista come un ostacolo, anche inconsapevole.
A prima vista, nel suo
cinismo assoluto, sembrava anche logico il discorso di Hal Emerick, eppure…non
gli sembrava un granché come motivo di vanto il voler assomigliare il
più possibile al mondo animale, per quanto lui amasse gli animali…
Yohji stava continuando a
fissare il professore che parlava con piglio sicuro, quando non poté fare
a meno di percepire una crescente tensione accanto a sé.
Aya.
Spontaneamente, si
incupì ancora di più: nei mesi passati era riuscito a mettere insieme
diversi pezzi del passato di Abyssinian e quindi poteva immaginare cosa
significasse per lui dover ascoltare un simile discorso…
Non sbagliava.
Aya stava pensando che
soltanto grazie a ciò che aveva appreso nel Sendai e al continuo
allenamento fisico e mentale a cui si sottoponeva non era ancora sceso per
mettere a tacere quel tizio, anche senza l’aiuto della katana.
Il ragazzo rimaneva
immobile, con lo sguardo degli occhi violetti fisso avanti a sé, senza
muovere un muscolo del bel viso; ma a questa compostezza esteriore si
contrapponeva un malessere intenso e crescente dentro di lui…
Nessun dubbio che quest’uomo
potesse avere a che fare con gli Schwarz…il suo era un tipico discorso
da Schwarz e da Takatori…già…non dovevano essere molto dissimili da
questi i pensieri che aveva avuto durante tutta la sua vita Reiji Takatori.
Questo è un buon metodo per ottenere potere? Applichiamolo! Un inutile
banchiere mi intralcia la strada? Uccidiamo lui e la sua famiglia, che
importa…è la legge della giungla…
Era per colpa di quella
legge che Aya non era più Ran Fujimiya e che sua sorella giaceva
immobilizzata all’ospedale, in coma; ripensò al funerale dei suoi
genitori, al volto pallido, incorniciato dalle trecce, di Aya-chan…si
ritrovò a pensare anche a se stesso, a come fosse cambiato, a cercare di
scoprire se in lui, nel profondo, potesse ancora esserci una scintilla di
come era Ran…forse…molto lontano…
Aya si ritrovò a
stringere i pugni, mentre si vedeva sbattere in faccia con la massima
disinvoltura il ragionamento che gli aveva distrutto la vita.
>><<
Schuldig era piuttosto
annoiato quando era entrato nella stanzetta attigua a quella dove Hal
Emerick teneva le sue lezioni.
Certo, bisognava
ammettere che Brad Crawford aveva un fiuto infallibile per gli affari e
che in questo caso aveva dato una gran prova di sé, ma lui cominciava a
stancarsi.
L’idea era stata
semplice: un amico americano di Crawford era un esperto di antropologia e
di psicologia e aveva elaborato questo training autogeno rivoluzionario a
partire dai suoi studi su certi riti praticati nella foresta amazzonica;
lui e Crawford non avevano impiegato molto a capire che poteva rendere
bene…sarebbe bastato toccare le corde giuste, come quelle della
competitività e dell’aggressività necessaria nel mondo del lavoro, per
richiamare molte persone.
E qui era entrato in
gioco lui, Schuldig.
Da quella stanzetta
limitrofa e socchiusa aveva una visuale di tutta la grande aula ad
emiciclo e soprattutto aveva una visuale delle menti dei partecipanti al
corso: poteva capire chi si fosse lasciato suggestionare di più, chi
avesse quindi la mente più debole e più predisposta ad essere
manipolata.
Da lui, ovviamente.
Doveva solo esasperare i
loro pensieri già contorti, doveva portarli ad un punto di non ritorno:
finora aveva fatto un buon lavoro, ne era compiaciuto.
I soggetti che aveva
scelto si erano rivelati quelli giusti, avevano poi ucciso i loro
superiori tirannici e, nello scompiglio azionario e borsistico che segue
sempre simili situazioni, Crawford aveva potuto rilevare quelle società
senza problemi.
Tutto perfetto, dunque.
Peccato che Schuldig si
stesse annoiando: tutti i giorni la stessa strada, la stessa stanzetta e
gli stessi stupidi pensieri di quelle persone al di là del muro…
Quel giorno, in
principio, non gli era sembrato diverso dagli altri, ma quando aveva
iniziato a scandagliare la mente degli uomini e delle donne poco distanti
da lui non aveva potuto trattenere un sussulto.
Erano…pensieri che lui
conosceva…ricordi di un altro che aveva già vissuto…ricordi in cui c’era
anche lui…
Il tedesco si sentì
percorrere da un brivido e si accostò in silenzio alla porta socchiusa
con il cuore che gli batteva velocemente; sapeva di non doversi far
scorgere e infatti rimase nell’ombra, ma nonostante questo il suo
sguardo veloce ed indagatore scorse l’oggetto della sua ricerca.
Mein Kätzchen…
Era veramente il suo
gattino rosso!
Era seduto compostamente
in una delle file mediane, con il suo bellissimo viso un po’ più
pallido del solito e la frangia rossa a velare l’espressione di ghiaccio
degli occhi violetti.
Unica pecca: accanto a
lui era seduto quel rompiscatole di Yohji Kudoh.
Schuldig si concesse un
sorriso; che stesse diventando anche lui capace di prevedere il futuro?
Dopotutto aveva voluto talmente tanto ritrovarsi nuovamente di fronte ai
Weiss, o meglio a un Weiss, da essersi convinto che sarebbe stato
possibile e infatti era successo.
Preveggenza improvvisa?
Crawford non ne sarebbe stato contento…
Il ragazzo tedesco si
concentrò il più intensamente possibile per sondare tutti e due gli
avversari e non rimase sorpreso da quello che lesse nella mente di Yohji:
il biondo playboy amava il gattino rosso…un rivale, dunque.
Non appena la sua testa
formulò questa definizione, Schuldig si morse un labbro. Fino a quel
momento si era limitato a pensare a Ran Fujimiya da lontano, cosa per
altro abbastanza strana per lui, ma a quanto pareva era arrivato il
momento del cambiamento.
Sapere di avere un rivale
era una buona cosa: bisogna conoscere il nemico per affossarlo meglio,
questa era una delle sue massime di vita…
Il suo sguardo tornò a
fissarsi su Aya, la sua concentrazione aumentò e il suo sorriso divenne
più tirato.
Non erano belli i
pensieri di Aya in quel momento…erano carichi del dolore soffocato con
cui conviveva da anni e, soprattutto, erano ancora carichi di rancore
verso i Takatori, verso gli Schwarz e verso di lui…per averlo
imprigionato in una vita di vendetta e di morte e un po’ anche per se
stesso, per averla voluta a tutti i costi quella vendetta, perfino se il
prezzo da pagare era stato diventare una persona che Aya-chan non avrebbe
approvato!
Erano pensieri rapidi e
intesi e carichi di odio contro il professor Emerick, che agli occhi del
ragazzo con i capelli rossi stava trasformandosi nell’incarnazione di
tutto ciò che lo avesse più ferito al mondo.
Per la prima volta da un
tempo imprecisato, Schuldig provò un senso di disagio.
Era abituato da tempo
alla disapprovazione altrui, ormai gli scorreva addosso come l’acqua…non
che, nell’attività che svolgeva con gli Schwarz gli capitasse
frequentemente di incontrare persone che potessero permettersi di
disapprovarlo, ma sapeva fin troppo bene cosa pensasse la maggior parte
della gente di quelli come lui…
Si divertiva anche a
riderne; a riderne davvero, non come chi ride per non mostrarsi ferito.
Però…essere associato
a cose assolutamente negative da Aya…non era piacevole, ecco…non
quando dentro di sé sentiva quel sentimento crescente per il gattino
rosso! Da principio aveva creduto che fosse attrazione fisica, del resto
chi non avrebbe desiderato svegliarsi accanto al corpo di Ran Fujimiya? Ma
poi qualcosa era cambiato senza che se ne accorgesse, pian piano, fin
quasi a diventare una ossessione.
E ora, la fortuna gli
gettava Abyssinian quasi fra le braccia…be’, forse stava correndo
troppo!! Il leader dei Weiss era seduto a pochi metri da lui e basta!
Nella mente di Yohji Kudoh poteva leggere tutte le preoccupazioni che
stava vivendo l’ex-investigatore privato nel cercare un modo giusto per
avvicinarsi al ragazzo.
Lui non poteva farlo, non
esisteva un ‘modo giusto’, non quando il primo incrocio fra i loro
sguardi era avvenuto sulle rovine fumanti che seppellivano i corpi senza
vita dei suoi genitori e quello ormai incosciente di sua sorella!
Schuldig rimase sorpreso
di poter provare rimpianto: era qualcosa che pensava di aver bandito dalla
sua vita…e magari anche in questo caso era un sentimento egoistico, era
il rimpianto non per l’azione in sé ma per le conseguenze che aveva per
lui…però questa sensazione c’era.
Il ragazzo tedesco
ritornò nell’ombra, spostandosi in modo tale da poter comunque vedere
Aya, e scuotendo leggermente la testa.
L’occhiata che rivolse
al suo gattino era troppo intensa per poterla definire: desiderio,
passione, malizia ma anche un sottofondo di tenerezza…
"Stai avendo una
cattiva influenza su di me, mein Kätzchen" disse, con una buona dose
di autoironia, prima di tornare a concentrarsi sul suo lavoro.
Il dottor Emerick si
guardò intorno, per saggiare l’effetto che le sue parole avevano avuto
sul suo pubblico, poi parlò di nuovo con voce stentorea.
"Non si alza un
fiato…non vi sarete per caso sconvolti per quello che ho detto?! È
tutto talmente ovvio da essere banale…forse necessitate di un piccolo
esempio pratico per capire che non è poi così difficile! Per esempio…voi
due…sì, voi della seconda e terza fila…appena prima che io entrassi
in aula vi siete scambiati di posto. Come mai?" chiese l’uomo,
fissando insistentemente gli occhiali da vista del ragazzo in seconda
fila.
Fu l’altro a parlare.
"Gli ho soltanto
chiesto se volesse sedere al posto mio per…".
Ma non fece in tempo a
finire la frase che l’uomo lo precedette: "Perché è cieco come
una talpa e così sarebbe stato più vicino…".
"Io non ho detto che…"
tentò il giovane, imbarazzato.
"Non avete detto che
questo qui è una talpa, ma potevate anche farlo: è la pura verità. No
no, non ci siamo! Ma come? Venite ad un corso sulla disempatia e poi vi
abbandonate a gesti di cortesia? È proprio quello che non dovreste fare
più!!!" disse Emerick, squadrando i due.
Il ragazzo con gli
occhiali, sentendosi accusato, provò a difendersi: "Non mi sembrava
grave…" mormorò a bassa voce.
Emerick alzò un
sopracciglio: "Ah, no?".
"Vuoi stare zitto
una volta per tutte, stupido cecato?! Sono stato rimproverato per colpa
tua!! Per caso hai miope anche il cervello?!" scattò il suo compagno
di corso, alle sue spalle.
A quel punto, anche l’altro
parve sbottare in un modo che non ci si sarebbe aspettati da lui:
"Guarda che è partito tutto da te! La prossima volta risparmiami la
tua gentilezza ipocrita e vattene al diavolo, tu e le tue orecchie a
sventola!".
Emerick osservava i due
con un sorriso compiaciuto e solo a quel punto decise di rimettersi in
mezzo: "Va bene, basta così…- la sua voce improvvisamente
autoritaria fece zittire i due litiganti all’istante- …era soltanto un
piccolo esempio per far vedere a tutti quanto sia facile, in realtà,
disempatizzare con il nostro cosiddetto ‘prossimo’. È solo l’inizio…scoprirete
che ci si può spingere ancora oltre…".
A queste parole, Yohji e
Aya dovettero reprimere l’impulso di scambiarsi un’occhiata.
‘Disgustoso’ era il
termine più adatto a definire quanto avessero ascoltato; prendere di mira
dei difetti fisici di un’altra persona per attaccarla e mortificarla non
poteva trovare altra definizione.
E il tutto era anche
molto pericoloso.
I due Weiss non avevano
notato una voce discorde, qualcuno che si agitasse a quel vergognoso
spettacolo: sembravano tutti, anzi, molto presi ed interessati e alla fine
quasi dispiaciuti che non fosse scoppiata una rissa.
E quelle reazioni così
immediate, rispetto ai soliti standard…
Aya si chiese se per caso
Emerick non avesse in qualche modo ipnotizzato i due, quando si era
avvicinato loro; dopotutto, non sarebbe stata neanche la cosa più strana
cui avessero assistito nella loro vita da Weiss!
Fu un sollievo quando l’uomo
annunciò la fine della lezione per quel giorno; sia Yohji che Aya non
vedevano l’ora di uscire all’aperto per respirare l’aria fresca e
liberarsi da quelle sgradevoli sensazioni, e infatti fu così: la luce del
sole e l’aria primaverile li avvolsero, mentre raggiungevano in silenzio
le loro macchine.
Erano parcheggiate vicine
e non avrebbero dovuto fare altro che mettere in moto e tornare al Koneko
No Sume Ie, ma Yohji era titubante…
Anche lui aveva vecchie
ferite e la visione di una persona amata che cadeva, uccisa sotto i suoi
occhi: dopotutto, le idee che andava teorizzando Hal Emerick dovevano
essere già state nella testa delle persone che avevano sparato ad Asuka…a
questo pensiero, provò un moto di rabbia che aumentò quando pensò alla
famiglia Fujimiya. Rabbia…e desiderio di protezione.
Si volse verso Aya, che
stava prendendo le chiavi della sua macchina, e vide il bel viso teso,
tirato…e non lo sopportava…
Gli si avvicinò,
arrischiandosi a posargli una mano sulla spalla facendolo sussultare.
Il ragazzo non si scostò
bruscamente, come aveva temuto, ma si voltò a guardarlo con diffidenza,
in silenzio.
"Aya, perché non
andiamo a bere qualcosa? Un tè, un succo di frutta…credo…che farebbe
bene a tutti e due…" disse a bassa voce Yohji, sforzandosi di
controllarsi quando quel bellissimo sguardo violetto si puntò nel suo.
Ma era un invito molto
diverso da quello che gli aveva rivolto poche ore prima, stavolta non c’era
il puro intento di instaurare un rapporto diverso…c’era il desiderio
di rilassarsi insieme da qualcosa che li aveva turbati entrambi; Aya lo
intuì, perché non rifiutò con uno dei suoi ‘hn’, ma scosse
leggermente il capo mormorando: "Meglio di no…è la missione,
dobbiamo abituarci".
Per un po’ tacquero,
uniti dalla consapevolezza che ognuno aveva intuito cosa provasse l’altro;
erano Weiss. Erano abituati ad esserlo e ad avere le mani sporche di
sangue.
Le persone che uccidevano
erano colpevoli, anche se questo non sempre era consolante.
Aya se lo ripeteva spesso
e aveva ben chiari in mente tutti i motivi che lo avevano portato a
scegliere quella vita: la vendetta contro i Takatori, la sicurezza che
tutte le necessità mediche di Aya-chan fossero tutelate dal denaro dei
Kritiker.
Abyssinian sapeva che, se
fosse tornato indietro, avrebbe rifatto le stesse scelte, non aveva dubbi
a riguardo. Tuttavia…
Tuttavia, a volte, era
più difficile convivere con tutto questo e ora era proprio uno di quei
periodi…aveva scelto lui di mettere al primo posto la salvezza di sua
sorella, anche a costo di vedere svanire a poco a poco il vecchio Ran
Fujimiya, eppure a volte il dolore che gli pizzicava l’anima era più
pungente…
Gli occhi violetti del
gattino rosso si velarono appena mentre pensava a questo e fu solo il
rumore del traffico cittadino a ridestarlo; la mano di Yohji era ancora
sulla spalla e per qualche inspiegabile motivo lui lo trovò confortante…forse
perché lo faceva sentire meno solo…
Alzò uno sguardo
interrogativo verso il compagno, che ebbe un sorriso diverso dai suoi
soliti, un po’ più dolce e un po’ più triste.
"Lo so…- disse
Yohji-…quell’uomo, in questo momento, incarna tutto ciò che ci ha
portato a diventare Weiss…".
Aya non rispose, guardò
il biondo in modo meno distaccato del solito per fargli capire che lo
aveva compreso benissimo e poi si scostò, per entrare nella sua macchina
e mettere in moto.
L’atmosfera del Koneko
No Sume Ie ebbe un effetto benefico sui due giovani: vedere i fiori
colorati e il gatto acciambellato sulla sedia era qualcosa di
tranquillizzante…la presenza di Ken, poi, fu terapeutica per Yohji…
"Perché ci avete
messo tanto?!" li aggredì il ragazzo bruno, non appena li vide
entrare nel negozio.
Yohji lo guardò stupito
per la domanda: "La lezione è appena finita, non potevamo andarcene
prima, tu che dici?".
Ken si morse un labbro
nervosamente: "Mentre non c’eravate, sono arrivate delle
ordinazioni per domani: ben tre composizioni! E tra poco ci sarà l’invasione
delle ragazzine, visto che stanno per finire le lezioni…temevo di dover
fare tutto da solo!" spiegò, chinandosi a prendere un annaffiatoio
per dissetare un po’ le grandi piante disposte sul marciapiede.
"Ah, be’…però
dovresti abituarti, KenKen, ad affrontare queste emergenze da solo: non si
sa mai cosa potrà capitare…sono le cose della vita…" replicò
Yohji, sfoderando il suo lato più filosofico, proprio quello che sapeva
dare più sui nervi al suo compagno di lavoro.
Ken si allontanò
borbottando, mentre il biondo ex-investigatore privato si dirigeva nella
piccola cucina; nel frigorifero trovò un cartone di succo di frutta…era
fresco, sembrava buono…prese due bicchieri e ce lo versò. Certo, bere
qualcosa di alcolico in un locale magari era meglio, ma non in quel
momento…
Balinese si avvicinò ad
Aya, che stava leggendo i dettagli sulle composizioni da realizzare, e gli
porse uno dei due bicchieri; Abyssinian sembrò stupito.
C’era qualcosa di
diverso in Kudoh…ed era qualcosa che lo spiazzava, che non riusciva a
decifrare…eppure, nonostante la sua diffidenza, sentiva che non c’era
bisogno di sentirsi in pericolo…
"Grazie" gli
disse, accettando la gentilezza del giovane e prendendo il bicchiere.
Yohji gli sorrise:
"Figurati…".
"Sentite, non ci
sono problemi se questo pomeriggio me ne vado al campetto da calcio,
vero?" chiese Ken, rientrando in quel momento con uno sguardo molto
speranzoso in volto.
Ora, il più anziano dei
Weiss era anche il più pigro e non gli piaceva l’idea che uno di loro
mancasse proprio nella fascia oraria più critica! Ma mentre stava ancora
facendo mente locale per trovare una risposta negativa, Aya lo precedette
con un semplice e lapidario:
"Va bene".
Neanche lui ne era
entusiasta, ma a dispetto delle apparenze il gattino rosso era una persona
sensibile e, dopotutto, non gli andava di negare ad un compagno qualche
ora si svago, lui che poteva averla…
Yohji fece una smorfia,
ma non disse niente, limitandosi a sistemarsi dietro la cassa, giusto per
far capire che da lì non si sarebbe alzato neanche se poi le ragazze
avessero buttato giù il Koneko.
Ken rivolse un sorriso di
gratitudine al leader dei Weiss, poi chiese: "Allora, com’è
andata?" riferendosi alla missione.
Aya era tornato a
scorrere il foglio che aveva davanti e non alzò neanche gli occhi:
"Vi racconteremo stasera, quando saremo tutti e quattro".
Già, Omi non era ancora
tornato da scuola…
"Sì, per carità,
non farcelo ripetere due volte!" sbadigliò Yohji, stiracchiandosi e
sistemandosi poi gli occhiali da sole sugli occhi
"Ok!! Ah, sono
arrivate le rose…" annunciò il brunetto, indicando i bellissimi
fiori che riempivano quattro vasi del negozio.
Aya si voltò a
guardarle. Il suo fiore…
Domani ne porterò un po’
ad Aya-chan…chissà che il loro profumo non riesca a raggiungerla…
"Però quest’ordinazione
è strana! Ma i gigli sono di questa stagione?!".
Il gattino rosso si
voltò a guardare i suoi compagni che si punzecchiavano accusandosi
reciprocamente di ignoranza botanica, un Ken sempre nervoso quando si
trattava del negozio e uno Yohji più sbadigliante che mai…
Non lo avrebbe mai dato a
vedere, ma lo facevano stare bene.
Forse, non era poi così
ingiusto che perfino degli assassini come loro fossero riusciti a
ritagliarsi il loro piccolo mondo di serenità…
Quella sera, dopo cena, i
Weiss si ritirarono tutti e quattro nel loro rifugio sotterraneo per fare
il punto della nuova missione.
Yohji e Aya raccontarono
brevemente i discorsi che avevano udito fare da Hal Emerick, lasciando
perplessi Ken e Omi.
Soprattutto il ragazzo
più giovane sembrava molto impressionato.
"Ma non è
istigazione alla violenza? E lui lo può fare così tranquillamente?"
chiese, turbato.
"Pare".
Bombay scosse il capo,
avvilito, ma si riprese subito, animato da una nuova volontà: quest’uomo
era malvagio e andava fermato; il ragazzo non sapeva se fosse lo stesso
per gli altri tre Weiss, ma spesso traeva forza ed energia per affrontare
i sensi di colpa che rischiavano di soffocarlo proprio nel pensare non
tanto ai cattivi che uccidevano quanto agli innocenti che salvavano dalle
loro trame malvagie.
Non pensare a chi uccidi, pensa a chi
stai salvando.
Spesso, funzionava.
"Mi fai un esempio
pratico di disempatia? Non credo che quest’uomo abbia comunque istigato
subito all’omicidio…" si informò.
Yohji e Aya si
scambiarono una occhiata veloce, prima di iniziare a parlare.
"Credo che la sua
politica sia di andare per gradi" disse Abyssinian, appoggiandosi
meglio al muro alle sue spalle; teneva le braccia incrociate sul petto,
come quasi sempre quando si parlava delle missioni, e aveva il viso serio
come suo solito.
"Sì, inizia con dei
semplici insulti…cose personali, che magari uno non direbbe mai anche
solo per semplice educazione…" aggiunse Yohji, inspirando a pieni
polmoni dalla sua sigaretta.
"Ad esempio?"
insistette Ken, curioso, parlando dal divano in cui era sprofondato,
ancora stanco dopo il pomeriggio passato a giocare a calcio.
Il biondo si strinse
nelle spalle e disse con noncuranza: "Ad esempio…KenKen, come mai l’arma
più stupida del nostro team ce l’hai tu? Un guanto artigliato…che
cosa idiota!!!".
Il brunetto arrossì
violentemente, sentendosi offeso: "Che cosa?! Ma come ti permetti, tu
con i tuoi fili del cavolo!!" disse a voce troppo alta, come se non
avesse sentito un semplice esempio, ma una vera e propria derisione…
"Calma, Siberian, ne
ho anche per Omi: posso sapere finalmente perché ti ostini ad indossare
quegli stupidi calzoncini che ti fanno sembrare un chibi dell’asilo? Cos’è,
per attirare i maniaci?" continuò Kudoh con tranquillità, incurante
del rossore imbarazzato di Omi e dello sguardo assassino di Siberian.
"Oi, dacci un
taglio, sai?!" si alterò quest’ultimo.
Be’, si era arrabbiato
più per lo sgarbo ad Omi che per quello fatto a lui, notarono
separatamente sia Yohji che Aya.
"Ok, ho esagerato…ma
era per applicare quello che è stato l’insegnamento di oggi…" si
giustificò il più grande dei Weiss; oddio, non era proprio vero: lui
pensava seriamente che l’arma di Ken fosse la più cretina del gruppo e
che Omi avrebbe potuto sforzarsi di indossare dei pantaloni lunghi, ma
sicuramente non lo avrebbe detto in quel modo.
Dopotutto vivevano
insieme e lavoravano insieme da quanto? Più di due anni…tre, forse?
Erano i suoi amici, perfino Ken a modo suo…e lui avrebbe fatto quelle
osservazioni scherzando e ridendo, con battute simpatiche, non certo in
quel modo antipatico!
"Tu hai scoperto
qualcosa, Omi?" intervenne Aya, per riportare il discorso su un piano
più costruttivo.
"Sì: che tutte le
società che erano entrate in crisi per l’uccisione dei loro dirigenti
sono state rilevate da una medesima società…però è stato fatto uso
dei prestanome, ovviamente e di molti accurati accorgimenti economici per
non scoprirsi troppo, quindi non so dire ancora a chi si debba
risalire" spiegò il ragazzo.
Era stato al computer
buona parte della serata per avere quelle informazioni e ora si sentiva
gli occhi stanchi e arrossati, ma sapeva anche che lo aspettava un’altra
notte di lavoro…
"Intanto
assicuriamoci che ci sia davvero una connessione tra questo corso e gli
omicidi. Non c’è molto margine di incertezza, ma non possiamo
permetterci dubbi…poi penseremo a questa misteriosa società…"
disse Aya, in tono deciso, per poi avviarsi su per la scala a chiocciola,
indicando così che la loro piccola riunione era terminata.
"A che ora dobbiamo
andare domani?" lo raggiunse la voce di Yohji.
Il gattino rosso si
fermò per le scale, per rispondergli.
"Alla stessa ora di
oggi" e poi riprese a salire.
Aya la considerava una
debolezza, ma si rese conto che l’idea di dover ascoltare altri discorsi
simili avendo vicino Yohji lo faceva sentire sicuro…non da un punto di
vista fisico, ovviamente: con l’addestramento che aveva avuto, con o
senza katana, in sua presenza erano gli altri a doversi sentire insicuri…ma
la sua vicinanza quel giorno si era rivelata confortante…e questo lo
turbava…
>><<
Schuldig tornò alla
villa che divideva con gli altri Schwarz di buonissimo umore. La mattinata
era stata entusiasmante grazie all’incontro con Aya Fujimiya…il resto
della giornata un po’ meno, ma gli aveva dato modo di pensare mentre
svolgeva il suo lavoro, che tutto sommato non era difficile.
Aveva individuato chi
fosse la persona con la mente più debole fra quelle presenti, quello su
cui sarebbe stato più facile intervenire, e lo aveva seguito fino al
luogo di lavoro; non era stato difficile intrufolarsi nel palazzo e
ascoltare in diretta tutte le ingiurie che, molto educatamente ma
ferocemente, i suoi colleghi e il suo capo riversavano su di lui…
E la sua mente stava per
scoppiare, era vicinissima al punto di rottura…
Schuldig non doveva fare
altro che insinuarsi nei suoi pensieri ed esasperarli fino a portarlo all’inevitabile.
Facile.
Troppo facile con uno
spirito così esacerbato.
Ma era il suo compito e
voleva svolgerlo bene, se non altro per non dover sentire le lamentele di
Crawford!
Adesso, terminati i suoi
doveri giornalieri, poteva esaminare per bene la situazione in cui si
trovava.
Il primo problema si
chiamava Yohji Kudoh.
Se il gattino avesse
lavorato in incognito da solo, sarebbe stato molto meglio e lui avrebbe
potuto avvicinarglisi più…facilmente? No, non sarebbe mai stato facile
avvicinarsi ad Aya Fujimiya…
Più liberamente?
Neanche…lui non era
come gli altri ragazzi che aveva conosciuto…
Forse più
spontaneamente.
Ecco, questo sì, è
invece c’era un ostacolo da dover aggirare. Ma vi avrebbe provveduto
presto…
Il secondo problema si
chiamava Brad Crawford.
In verità, Schuldig non
aveva nessuna voglia di raccontare al suo leader della presenza dei due
Weiss alle lezioni di Hal Emerick, anche se questo significava un pericolo
per gli Schwarz.
Se lo avesse scoperto
subito, Crawford avrebbe imposto i suoi provvedimenti a riguardo, la sua
carica di leader degli Schwarz glielo consentiva e lui non avrebbe potuto
opporsi, essendo un suo sottoposto.
In un altro caso, non
avrebbe avuto problemi: avrebbe obbedito agli ordini di Oracle con un’alzata
di spalle e un sorriso ironico sulle labbra, lasciando semplicemente i
malcapitati al loro destino…
Ma stavolta era troppo
coinvolto: il sentimento che provava per Aya si era accresciuto troppo per
volersi ostinare ad ignorarlo oltre…era giunto il momento di far
qualcosa, ma per farlo non avrebbe dovuto avere gli altri Schwarz fra i
piedi.
Mentre parcheggiava la
macchina nel garage della villa che divideva con i suoi compagni, Schuldig
aveva già deciso che per il momento avrebbe taciuto a Crawford il fatto
che i Weiss stavano investigando su Emerick e sul suo corso. Certo, Oracle
poteva prevedere sprazzi di futuro…e se, nel corso di una di queste
visioni, avesse compreso che il ragazzo tedesco gli aveva taciuto un
particolare così importante? Le conseguenze avrebbero potuto essere
spiacevoli. Ma anche questa consapevolezza non bastò a fargli cambiare
idea. Dovevano essere soltanto lui e Aya…
Già Yohji Kudoh era di
troppo…non voleva assolutamente che altre persone si immischiassero.
Se si fosse rivelato
inevitabile, se la sarebbe vista con Crawford…
Schuldig entrò in casa
complessivamente contento della giornata e desideroso di rilassarsi. Ormai
si era fatta l’ora di cena, anzi, era leggermente in ritardo: non che
avessero orari fissi, ma Farfarello e Nagi dovevano aver già cenato.
E, infatti, il più
giovane degli Schwarz si affacciò al corridoio, dopo aver sentito i suoi
passi, e lo salutò: "Bentornato, Schu! Tutto a posto?".
Il tedesco era abituato
ai modi gentili del ragazzino giapponese; Nagi li salutava sempre con
gentilezza e con qualcosa di molto simile all’affetto…un sentimento un
po’ fuori luogo, forse, per un gruppo di assassini che si erano
conosciuti per caso e con il solo fine di uccidere e far soldi…
Ma stavolta, anche grazie
al suo buon umore, Schuldig non rispose con uno dei suoi sorrisi derisori
e si limitò ad una tranquilla conferma: "Tutto bene".
Nagi annuì, come se ne
fosse contento, poi aggiunse: "Hai di nuovo una bella scorta di birra
tedesca nel frigorifero, Schu, però stamattina ti sei dimenticato di
dirmi cosa volevi mangiare per cena, quindi non ti ho ancora cucinato
niente, ma lo farò sub…" Prodigy tacque di fronte ad un cenno
della mano del compagno più grande.
"Oh, non importa…ci
penso io…".
Nagi sgranò gli occhi:
da quando Schuldig sapeva cucinare? E, soprattutto, come mai questo
improvviso desiderio di dimostrarlo?
Da quando era stato
abbastanza grande per farlo, si era sempre occupato Nagi dei pasti e della
cucina e, alla fine, più che un dovere era diventato un hobby…qualcosa
in cui non avessero parte la telecinesi o i computer; un pomeriggio era
perfino andato con Farfarello a comprare un paio di libri di ricette e
aveva aggirato la perplessità dell’irlandese facendogli notare che
anche la carta era materiale tagliente…e si era sentito un po’ in
colpa, dopo: Farfarello non aveva certo bisogno di simili, indiretti
suggerimenti…
Anche se dei
miglioramenti, negli ultimi tempi, c’erano stati: le punizioni adesso
erano spesso preventive, quasi di ammonimento, e poi, soprattutto quando
era in sua compagnia, talvolta non c’era bisogno di legargli le mani.
Comunque…
Come mai quella sera Schu
voleva cucinare da solo? Che fosse uno stratagemma per lasciare il gas
aperto e farli saltare per aria?
<Stupido…se volessi
liberarmi di voi per andarmene, sceglierei un metodo molto meno banale,
dovresti saperlo…>.
Nagi sussultò, sentendo
la voce divertita del suo compagno direttamente nella sua mente, poi lo
riprese: "E tu dovresti sapere che non mi piace quando leggi nei miei
pensieri senza il mio permesso!".
Schuldig rise: "Se
dovessi aspettare il tuo permesso…" e fece per andare verso la sua
camera.
"Crawford?"
chiese, prima di girare per il corridoio, sapendo che l’altro continuava
ad osservarlo e ad ascoltarlo.
"Non è ancora
tornato, io e Farfarello abbiamo cenato da soli" disse Nagi, e si
poteva percepire una nota di rammarico nella sua voce.
D’accordo, gli Schwarz
erano quello che erano, ma si trattava comunque delle persone che gli
erano più vicine: possibile che, colazione a parte, dovessero ritrovarsi
tutti insieme solo per mettere a punto nuovi piani?
<Mi spiace, chibi, ma
non siamo le persone più adatte per giocare alla famiglia felice!>.
Nagi si morse le labbra a
queste parole di Schuldig, anche se si sorprese nel notare che vi era
molta meno ironia del solito, come se ne provasse anche lui un velato
dispiacere, e poi scosse il capo, quasi a voler scacciare quella
sensazione di disagio.
"Lo so, lo so…- lo
disse in tono deciso, sforzandosi di essere convincente, cosa comunque
difficile con uno che ti legge nel pensiero-…comunque, sei convinto di
voler cucinare tu?".
"Ti stupirà, ma
sì, dico sul serio!" e, affermato questo, Schuldig voltò le spalle
al compagno più giovane e riprese la via del corridoio.
Una volta nella sua
camera, si cambiò e decise di indossare qualcosa di più pratico: un paio
di pantaloni bianchi e una semplice camicia color verde-militare sarebbero
andati bene…dopotutto quella sera sarebbe rimasto a casa…
Mentre si dirigeva verso
la cucina, passò di fronte alla sala-computer, praticamente il regno di
Nagi, e lo raggiunsero le voci di Nagi e di Farfarello impegnati in un
videogioco.
Era stata decisamente una
buona idea quella di far appassionare il ragazzo albino a quel passatempo…soprattutto
ai giochi in cui per vincere bisognava uccidere il più alto numero di
pedoni: era una violenza virtuale che però agiva come sfogo su di lui…E,
dopotutto, non poteva fargli che bene anche la compagnia di Nagi: il
tedesco non poté evitare di pensare che, per quanto fosse uno Schwarz, il
ragazzino giapponese era anche un’anima pia nel sopportare il compagno
irlandese.
Quando arrivò in cucina,
Schuldig si guardò intorno, nonostante la vedesse tutti i giorni: era un
ambiente spazioso e luminoso, dal mobilio funzionale e colmo di accessori
e di comodità. Un insieme molto pratico e moderno: il tocco di Crawford
si riconosceva anche in quella stanza!
Il giovane aprì il frigo
e sorrise; c’era un motivo per cui voleva prepararsi la cena da solo:
aveva voglia di mangiare qualcosa di tipicamente tedesco che fosse
cucinato a dovere…e lui era in grado di farlo, anche se si era sempre
ben guardato dal dirlo agli altri. Non aveva intenzione di alzare un dito
sul fronte-pasti e non aveva intenzione di far trapelare qualcosa che
invece potesse portarvelo!
Non sapeva perché, ma
vedere Aya ogni volta lo faceva pensare alla sua Germania; era da tanto
che non sentiva più i suoi sapori, l’odore dei cibi al mercato…ma
ogni tanto ricomparivano, accompagnati da un pizzico di nostalgia. Forse
accadeva perché leggere nella mente di Aya significava immergersi nel suo
passato e, per uno strano meccanismo, questo lo faceva pensare al proprio
passato…
Il suo sorriso si fece
più largo quando individuò le confezioni di crauti e di würstel,
ordinatamente riposti in un angolo del frigorifero.
Bere un buon whisky non
appena tornato in casa era una di quelle sane abitudini americane cui
Crawford non avrebbe mai rinunciato, neanche vivendo in Giappone.
L’elegante carrello dei
liquori era sempre ben fornito, ma la sua predilezione andava al liquido
ambrato che stava assaporando.
Era stata una giornata
complessivamente positiva e tranquilla: le quotazioni di borsa erano
andate bene, aveva cenato in uno dei suoi ristoranti preferiti e la casa
sembrava pacifica, una volta tanto…
L’unico particolare
insolito era l’odore che avvertiva e che doveva provenire dalla cucina;
Crawford annusò l’aria con più attenzione, per poi decidere di andare
a vedere cosa stesse succedendo.
<Ti stai gustando la
tua Coca-Cola serale, da bravo americano?>.
La voce divertita di
Schuldig lo sorprese, ma fu solo per un istante: il tedesco doveva aver
sentito il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva…
Crawford si appoggiò
allo stipite della porta, continuando a reggere il bicchiere colmo di
whisky e sistemandosi meglio gli occhiali sul naso; la scena che stava
osservando era decisamente inusuale: uno Schuldig vestito in modo normale
si stava servendo dei cibi che sembrava aver cucinato da solo!
Ma l’americano non era
tipo da restare stupito troppo a lungo, quindi replicò alla battuta che l’altro
aveva fatto poco prima: "Sai benissimo che non bevo la
Coca-Cola".
Il ragazzo tedesco si
voltò verso di lui, scostandosi i lunghi capelli rossi dal volto:
"Già…troppo plebea per te, vero?" rise.
Crawford decise di non
farci caso: era abituato alle battutine sarcastiche del tedesco…
"Sono felice di
constatare che allora hai degli abiti normali nel tuo armadio!- disse
invece- Dovresti metterti questi, quando vai in missione, invece di quei
modelli da night-club!".
Schuldig si mise a sedere
per iniziare la sua cena e gli rivolse uno sguardo fintamente stupito:
"Scherzi?! Questi sono i miei vestiti da casa…".
Il leader degli Schwarz
sospirò appena, di irritazione e di rassegnazione, prima di scostare la
sedia all’altro capo del tavolo e di sedersi anche lui; i suoi occhi si
fissarono sul piatto da cui stava mangiando il suo sottoposto e si
accigliò.
"Che roba è
quella?!" chiese seccamente.
"Crauti, würstel e
patate…roba tedesca…" rispose Schuldig, complimentandosi
mentalmente con se stesso per l’ottima riuscita della sua prova
culinaria.
L’altro non poté
trattenere una leggera smorfia che non passò inosservata.
<Non è un piatto
abbastanza fine per il tuo palato, vero Crawfie? Concordo! Non temere, i
miei gusti non sono sempre così rozzi…vedrai quando darò fondo al
caviale e al salmone!>.
questa battuta fece
accennare un sorriso ad Oracle, che poi chiese: "Come mai te li sei
cucinati, allora?".
Mastermind scrollò le
spalle con noncuranza: "Era un modo come un altro per sentire l’aria
di casa…" disse, senza riflettere molto, e Oracle tornò ad
accigliarsi: era una risposta strana, che poteva avere molte sfumature…
Mastermind gli sembrava
di nuovo sfuggente…e non era la sua solita aria da
mi-scivola-tutto-addosso…no, era come se fosse davvero lontano…
Il ragazzo tedesco
sembrava molto preso dai suoi pensieri, dietro la facciata di cinica
spensieratezza, e questo fatto lo innervosiva profondamente.
"Schuldig!" lo
chiamò, quasi bruscamente.
"Sì, mein
führer?" di nuovo il tono ironico tanto familiare…
"Com’è andata
oggi?" domandò Crawford, prima di bere un altro sorso di whisky.
"Benissimo!" e
l’altro iniziò il resoconto su chi fosse la persona che aveva preso di
mira, dove lavorasse, chi fosse il capo della società di cui era
dipendente.
Crawford annuì
compiaciuto, pensando che questo ‘colpo’ gli avrebbe reso un enorme
guadagno: il malcapitato prescelto lavorava in una azienda molto
importante che spesso era stata anche rivale della sua, intralciandolo.
<Come diavolo fai a
fare i conti così in fretta?! Hai già calcolato quando ne ricaverai…tu
hai l’economia nelle vene, non il sangue!>.
"Lo prendo per un
complimento" replicò Oracle.
Aveva detto milioni di
volte a Mastermind di non leggergli nella mente, perché lo irritava
moltissimo, ma in quel momento se ne sentì quasi sollevato perché
indicava il comportamento del solito Schuldig, come se il tedesco gli
sembrasse meno sfuggente e tornasse ad essere quello di prima, quello di
sempre, prima che la sua mente si concentrasse su ‘qualcuno’…
"Il piano procede
bene, Mastermind: concentrati su di noi" gli disse,
osservandolo mentre l’altro beveva una sorsata di birra fresca.
Schuldig gli lanciò un’occhiata
divertita: "Agli ordini, mein führer: lo sai che nessuno si
concentra bene quanto me!".
Aya sistemò meglio il
vaso di rose sul tavolo della sua camera.
Erano veramente belle: si
ripromise di andare a trovare sua sorella il prima possibile per portarne
anche a lei, ma quella sera i suoi pensieri non riuscivano a fissarsi su
Aya-chan e questo lo sconcertava e lo turbava.
Non riusciva a capire
perché quel giorno avesse provato quelle improvvise e impreviste
sensazioni nell'avere vicino Yohji, come se fra loro si fosse stabilito un
filo sottile e di comprensione che non aveva con gli altri compagni.
Forse perché gli era
sembrato che Balinese potesse intuire quanto grandi fossero la sua rabbia
e il suo dolore, sotto la facciata di impassibilità, a dover sentire quei
discorsi; forse perché aveva avvertito vera preoccupazione nella voce del
più grande dei Weiss, mentre gli chiedeva di andare a bere qualcosa con
lui per distrarsi…preoccupazione non per l’ Abyssinan che doveva
portare a termine una missione, ma per…per Ran! Possibile?
O forse, semplicemente,
sono io che non sto ragionando e i miei dubbi potrebbero essere del tutto
inutili…io non ho mai saputo capire le persone, forse sto fraintendendo
tutto anche questa volta…e, del resto, chi potrebbe voler essere mio
amico? Amico di un assassino… anche lui è un assassino e in me vedrebbe
i suoi stessi demoni…
Quella dolorosa
sensazione di inadeguatezza si fece più pungente, mentre sfiorava i
petali delle rose che gli riempivano gli occhi con la loro bellezza.
Fiori fra le sue dita,
vuoto dentro di lui…
Fine della seconda parte
(continua…)