Eccoci alla seconda parte!!! Con un cambio di pairing: non più Yohji x Aya, ma Schuldig x Aya!!! ^^ Temo che sarà una fic più lunga del previsto… Un piccolo avviso: io preferisco di gran lunga Aya come è rappresentato nel manga e quindi faccio riferimento soprattutto a quello: mi sembra meno distaccato, più tormentato e anche più uke, il che non guasta!!! ^^ Ok, non è per questo, diciamo che nel complesso lo preferisco presentato in quel modo, anche se mi piace pure nell’anime, visto che è il mio personaggio preferito dei Weiss. Anche per l’uccisione della famiglia e per il ferimento di sua sorella farò riferimento al manga! Il tutto sempre dedicato in primis a Greta (Buon compleanno!)e poi a Calipso e Ria!!! ^_^


Fiori tra le dita

Parte II 

di Nausicaa

 

Capitolo secondo.- Disempatia

 

Il professor Hal Emerick rimase qualche momento in silenzio, mentre osservava rapidamente Yohji e Aya, ovvero Kei Matsudaira e Hari Sakamoto, in piedi di fronte a lui.

"Il corso è iniziato ieri" disse con voce incolore e sguardo indecifrabile; era un uomo alto e bruno, vestito elegantemente e immerso in un ambiente lussuoso nella sua sobrietà: quel tipo di ricchezza che non salta subito agli occhi, ma che deve essere scrutata a lungo per essere assaporata.

"Sì, be’…" tentò di dire Yohji, istintivamente, ma tacque ad un cenno della mano di Emerick.

"Vi darò un anticipo della lezione, signori…mai, mai giustificarsi con qualcuno delle proprie azioni! E comunque la mia era una semplice considerazione, non voglio certo impedirvi di partecipare… E il motivo per cui avete deciso di venire qui è…?" chiese l’uomo rimanendo in attesa.

Ma Yohji rispose a tono, facendo un sorriso un po’ obliquo: "Perché dovrei dirglielo?" ironizzò, ripagandolo con il suo stesso gioco.

Emerick annuì con evidente autocompiacimento: "Bene, bene…lei è già entrato nello spirito del corso, Matsudaira-san…Allora, potete andare nella sala delle lezioni, è la seconda porta sulla sinistra. Io arriverò fra cinque minuti".

I due Weiss uscirono dallo studio e si diressero verso l’altra stanza; non parlarono fra loro, ma Yohji poteva percepire benissimo la tensione che emanava dal ragazzo accanto a lui.

"Nessuna domanda…è stato molto facile…" considerò Balinese, ma dal gattino che gli camminava al fianco non giunse risposta.

Yohji lo scrutò con la coda dell’occhio: le lunghe ciocche rosse della frangetta gli velavano gli occhi violetti, così non poteva tentare di interpretarne lo sguardo, cosa per altro già difficile in sé…vedeva solo il profilo candido e perfetto e le labbra serrate.

Aya era nervoso.

Non per la missione in se stessa, ma per l’anticipo di lezione che aveva avuto in quello studio arredato elegantemente, in stile occidentale e con qualche tocco esotico. Quelle parole, il loro significato, non gli erano piaciute affatto…e quello era solo l’inizio!

La stanza in cui avrebbero ascoltato il famoso corso si rivelò essere un piccolo emiciclo, come le aule universitarie, con i banchi in legno scuro dalla lieve pendenza e, sul fondo, una cattedra su cui poggiava anche un televisore.

Erano già sedute diverse persone…una trentina, ad occhio e croce: erano per lo più uomini, ma qualche donna era comunque presente.

Yohji ed Aya sedettero vicini, ma senza parlare fra di loro, e rimasero in attesa che arrivasse il professor Emerick; non dovettero aspettare a lungo: dopo appena un paio di minuti, l’uomo entrò e si fermò esattamente al centro della stanza, avendone di fronte tutta la visuale.

Non ci furono convenevoli, né saluti; Hal Emerick sorrise in un modo un po’ antipatico e iniziò a parlare con voce alta ma calma, senza fretta.

"Visto che abbiamo diversi nuovi iscritti, rispetto a ieri, eccezionalmente mi ripeterò sull’argomento del corso, giusto per amore di precisione. Dunque…’Empatia’…conoscete questa parola, vero?".

Nessuno rispose. Yohji e Aya ascoltavano con la massima attenzione.

Ma probabilmente Emerick non si aspettava risposte, perché riprese subito a parlare dopo una brevissima pausa ad effetto.

"Empatia deriva dal greco…empàtheia…ed è alla base della comprensione del prossimo, è lo sforzo di immedesimarsi nei suoi sentimenti, di capirli e condividerli… E’ l’empatia a frenare la nostra aggressività, perché se sappiamo intuire il dolore degli altri non cercheremo mai di far loro del male. Ed è proprio qui il punto: per essere veramente competitivi bisogna essere aggressivi e per poterlo essere bisogna liberarsi dell’empatia e affidarsi al suo contrario: la disempatia. Questo è il succo del mio corso, in poche parole. Ora dovrei dare il benvenuto ai nuovi iscritti, ma non lo farò! E il motivo è semplice…anche i saluti sono una forma convenzionale di gentilezza verso il prossimo, un riguardo nei loro confronti, per così dire…ma se siete qui è perché volete disimparare tutto questo! E smettere di sentirsi in obbligo di dover dare il buongiorno o il benvenuto a gente che si vorrebbe vedere sotto terra se si potesse, è il primo passo… Ricordate che il mio e vostro fine non è il bene del vostro prossimo, ma esclusivamente il vostro!!! Il vostro bene ha la priorità assoluta".

Altra pausa ad effetto.

"Del resto, credete veramente che una società ipocrita come la nostra meriti questo sforzo da parte di qualcuno? –proseguì il professore, imperturbabile- A parole si dicono tante cose…e la forma viene prima di tutto…ma poi, a guardare i fatti, com’è davvero la società?".

L’uomo accese il televisore che era posto sulla cattedra e inserì una vhs nel videoregistratore, poi si spostò con un movimento quasi teatrale.

Sullo schermo scorsero una serie di immagini che più o meno tutti avevano già avuto modo di vedere al telegiornale: fumo denso e nero che fuoriusciva dagli impianti industriali, traffico impazzito nelle metropoli e problema dell’ozono sempre più grave…

"Un esempio banale, signori: conosciamo tutti i rischi a cui sta andando incontro l’equilibrio del nostro pianeta a causa dell’inquinamento e a parole tutti si preoccupano e protestano e vengono fatte leggi apposite…eppure poi ci incoraggiano a comprare più macchine per far aumentare la produzione delle industrie…è una società dai messaggi contraddittori, questa. E, lo vedo dai vostri sguardi, voi vi state chiedendo se sia giusto tutto questo".

Non era una domanda retorica.

I due Weiss si accorsero che Emerick doveva aver notato alcune persone in particolare e che adesso le stava fissando intensamente; dovettero accorgersene anche i diretti interessati, perché si ritrovarono ad annuire, chi più timidamente e chi con più decisione.

Un’ombra di compatimento passò negli occhi bruni dell’uomo.

"Magari state anche pensando che sarebbe giusto trovare il coraggio di ribellarsi, vero?".

Questa volta giunse qualche incerto ‘sì’ in risposta; Yohji e Aya non avevano visto chi lo avesse mormorato, forse la ragazza della prima fila, ma lo avevano comunque sentito.

E sentirono anche le successive parole di Emerick, che provocarono loro un sussulto.

"NO, SBAGLIATO! Dovete smetterla con questa idea di cambiare il mondo, non è questo che imparerete a fare, seguendo questo corso! Anzi, imparerete ad accettarlo, a trovarvi talmente bene con le sue regole da volgerle tutte a vostro vantaggio!!! La mia intenzione è far cadere dai vostri occhi il velo che avete quando parlate di ‘civiltà’…e farvi prendere coscienza del fatto che non c’è veramente la civiltà. La civiltà è una maschera… Ho iniziato il mio discorso, poco fa, spiegando l’etimologia di una parola che deriva dal greco e ora devo rifarlo. Penso che conosciate tutti la famosa definizione dell’uomo quale zoòn politikòn…sul termine ‘sociale’ ci sarebbe molto da discutere, ma sul fatto che l’uomo sia prima di tutto un animale non ci sono dubbi!!! Siamo parte del regno animale e, in quest’ambito, l’unica legge valida è quella della giungla. In altre parole: la legge del più forte. E la legge del più forte non prevede l’empatia; se il leone la provasse per le gazzelle che uccide, ad esempio, morirebbe di fame, ma questo non accade grazie ad un meccanismo facilissimo che si chiama ‘istinto di sopravvivenza’. Tutti ne sono dotati…anche noi…anche quelli che se ne vanno in giro a dire che loro non alzerebbero le mani su un altro essere umano neanche sotto minaccia… Già, perché per certi aspetti, l’uomo è l’animale più intelligente del pianeta, per altri è il più stupido…e masochista…perché, invece di seguire il suo istinto, si è inventato il concetto di ‘altruismo’ e così lede la sua autoconservazione. E non vede quello che sono in realtà le altre persone: un peso."

Yohji si accigliò lievemente mentre ascoltava, pur sforzandosi di mantenere un’espressione neutra; anche se era una considerazione banale, quel discorso non gli piaceva neanche un po’.

Per un attimo si disse che forse un Weiss non avrebbe avuto il diritto di indignarsi tanto, non qualcuno con le mani sporche di sangue come le aveva lui…ma in fondo aveva già pronta una replica: i loro bersagli erano marci, corrotti…erano persone che non si potevano punire secondo le naturali vie della giustizia. Qui era diverso, si parlava di calpestare qualunque persona venisse vista come un ostacolo, anche inconsapevole.

A prima vista, nel suo cinismo assoluto, sembrava anche logico il discorso di Hal Emerick, eppure…non gli sembrava un granché come motivo di vanto il voler assomigliare il più possibile al mondo animale, per quanto lui amasse gli animali…

Yohji stava continuando a fissare il professore che parlava con piglio sicuro, quando non poté fare a meno di percepire una crescente tensione accanto a sé.

Aya.

Spontaneamente, si incupì ancora di più: nei mesi passati era riuscito a mettere insieme diversi pezzi del passato di Abyssinian e quindi poteva immaginare cosa significasse per lui dover ascoltare un simile discorso…

Non sbagliava.

Aya stava pensando che soltanto grazie a ciò che aveva appreso nel Sendai e al continuo allenamento fisico e mentale a cui si sottoponeva non era ancora sceso per mettere a tacere quel tizio, anche senza l’aiuto della katana.

Il ragazzo rimaneva immobile, con lo sguardo degli occhi violetti fisso avanti a sé, senza muovere un muscolo del bel viso; ma a questa compostezza esteriore si contrapponeva un malessere intenso e crescente dentro di lui…

Nessun dubbio che quest’uomo potesse avere a che fare con gli Schwarz…il suo era un tipico discorso da Schwarz e da Takatori…già…non dovevano essere molto dissimili da questi i pensieri che aveva avuto durante tutta la sua vita Reiji Takatori. Questo è un buon metodo per ottenere potere? Applichiamolo! Un inutile banchiere mi intralcia la strada? Uccidiamo lui e la sua famiglia, che importa…è la legge della giungla…

Era per colpa di quella legge che Aya non era più Ran Fujimiya e che sua sorella giaceva immobilizzata all’ospedale, in coma; ripensò al funerale dei suoi genitori, al volto pallido, incorniciato dalle trecce, di Aya-chan…si ritrovò a pensare anche a se stesso, a come fosse cambiato, a cercare di scoprire se in lui, nel profondo, potesse ancora esserci una scintilla di come era Ran…forse…molto lontano…

Aya si ritrovò a stringere i pugni, mentre si vedeva sbattere in faccia con la massima disinvoltura il ragionamento che gli aveva distrutto la vita.

 

 

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Schuldig era piuttosto annoiato quando era entrato nella stanzetta attigua a quella dove Hal Emerick teneva le sue lezioni.

Certo, bisognava ammettere che Brad Crawford aveva un fiuto infallibile per gli affari e che in questo caso aveva dato una gran prova di sé, ma lui cominciava a stancarsi.

L’idea era stata semplice: un amico americano di Crawford era un esperto di antropologia e di psicologia e aveva elaborato questo training autogeno rivoluzionario a partire dai suoi studi su certi riti praticati nella foresta amazzonica; lui e Crawford non avevano impiegato molto a capire che poteva rendere bene…sarebbe bastato toccare le corde giuste, come quelle della competitività e dell’aggressività necessaria nel mondo del lavoro, per richiamare molte persone.

E qui era entrato in gioco lui, Schuldig.

Da quella stanzetta limitrofa e socchiusa aveva una visuale di tutta la grande aula ad emiciclo e soprattutto aveva una visuale delle menti dei partecipanti al corso: poteva capire chi si fosse lasciato suggestionare di più, chi avesse quindi la mente più debole e più predisposta ad essere manipolata.

Da lui, ovviamente.

Doveva solo esasperare i loro pensieri già contorti, doveva portarli ad un punto di non ritorno: finora aveva fatto un buon lavoro, ne era compiaciuto.

I soggetti che aveva scelto si erano rivelati quelli giusti, avevano poi ucciso i loro superiori tirannici e, nello scompiglio azionario e borsistico che segue sempre simili situazioni, Crawford aveva potuto rilevare quelle società senza problemi.

Tutto perfetto, dunque.

Peccato che Schuldig si stesse annoiando: tutti i giorni la stessa strada, la stessa stanzetta e gli stessi stupidi pensieri di quelle persone al di là del muro…

Quel giorno, in principio, non gli era sembrato diverso dagli altri, ma quando aveva iniziato a scandagliare la mente degli uomini e delle donne poco distanti da lui non aveva potuto trattenere un sussulto.

Erano…pensieri che lui conosceva…ricordi di un altro che aveva già vissuto…ricordi in cui c’era anche lui…

Il tedesco si sentì percorrere da un brivido e si accostò in silenzio alla porta socchiusa con il cuore che gli batteva velocemente; sapeva di non doversi far scorgere e infatti rimase nell’ombra, ma nonostante questo il suo sguardo veloce ed indagatore scorse l’oggetto della sua ricerca.

Mein Kätzchen…

Era veramente il suo gattino rosso!

Era seduto compostamente in una delle file mediane, con il suo bellissimo viso un po’ più pallido del solito e la frangia rossa a velare l’espressione di ghiaccio degli occhi violetti.

Unica pecca: accanto a lui era seduto quel rompiscatole di Yohji Kudoh.

Schuldig si concesse un sorriso; che stesse diventando anche lui capace di prevedere il futuro? Dopotutto aveva voluto talmente tanto ritrovarsi nuovamente di fronte ai Weiss, o meglio a un Weiss, da essersi convinto che sarebbe stato possibile e infatti era successo.

Preveggenza improvvisa? Crawford non ne sarebbe stato contento…

Il ragazzo tedesco si concentrò il più intensamente possibile per sondare tutti e due gli avversari e non rimase sorpreso da quello che lesse nella mente di Yohji: il biondo playboy amava il gattino rosso…un rivale, dunque.

Non appena la sua testa formulò questa definizione, Schuldig si morse un labbro. Fino a quel momento si era limitato a pensare a Ran Fujimiya da lontano, cosa per altro abbastanza strana per lui, ma a quanto pareva era arrivato il momento del cambiamento.

Sapere di avere un rivale era una buona cosa: bisogna conoscere il nemico per affossarlo meglio, questa era una delle sue massime di vita…

Il suo sguardo tornò a fissarsi su Aya, la sua concentrazione aumentò e il suo sorriso divenne più tirato.

Non erano belli i pensieri di Aya in quel momento…erano carichi del dolore soffocato con cui conviveva da anni e, soprattutto, erano ancora carichi di rancore verso i Takatori, verso gli Schwarz e verso di lui…per averlo imprigionato in una vita di vendetta e di morte e un po’ anche per se stesso, per averla voluta a tutti i costi quella vendetta, perfino se il prezzo da pagare era stato diventare una persona che Aya-chan non avrebbe approvato!

Erano pensieri rapidi e intesi e carichi di odio contro il professor Emerick, che agli occhi del ragazzo con i capelli rossi stava trasformandosi nell’incarnazione di tutto ciò che lo avesse più ferito al mondo.

Per la prima volta da un tempo imprecisato, Schuldig provò un senso di disagio.

Era abituato da tempo alla disapprovazione altrui, ormai gli scorreva addosso come l’acqua…non che, nell’attività che svolgeva con gli Schwarz gli capitasse frequentemente di incontrare persone che potessero permettersi di disapprovarlo, ma sapeva fin troppo bene cosa pensasse la maggior parte della gente di quelli come lui…

Si divertiva anche a riderne; a riderne davvero, non come chi ride per non mostrarsi ferito.

Però…essere associato a cose assolutamente negative da Aya…non era piacevole, ecco…non quando dentro di sé sentiva quel sentimento crescente per il gattino rosso! Da principio aveva creduto che fosse attrazione fisica, del resto chi non avrebbe desiderato svegliarsi accanto al corpo di Ran Fujimiya? Ma poi qualcosa era cambiato senza che se ne accorgesse, pian piano, fin quasi a diventare una ossessione.

E ora, la fortuna gli gettava Abyssinian quasi fra le braccia…be’, forse stava correndo troppo!! Il leader dei Weiss era seduto a pochi metri da lui e basta! Nella mente di Yohji Kudoh poteva leggere tutte le preoccupazioni che stava vivendo l’ex-investigatore privato nel cercare un modo giusto per avvicinarsi al ragazzo.

Lui non poteva farlo, non esisteva un ‘modo giusto’, non quando il primo incrocio fra i loro sguardi era avvenuto sulle rovine fumanti che seppellivano i corpi senza vita dei suoi genitori e quello ormai incosciente di sua sorella!

Schuldig rimase sorpreso di poter provare rimpianto: era qualcosa che pensava di aver bandito dalla sua vita…e magari anche in questo caso era un sentimento egoistico, era il rimpianto non per l’azione in sé ma per le conseguenze che aveva per lui…però questa sensazione c’era.

Il ragazzo tedesco ritornò nell’ombra, spostandosi in modo tale da poter comunque vedere Aya, e scuotendo leggermente la testa.

L’occhiata che rivolse al suo gattino era troppo intensa per poterla definire: desiderio, passione, malizia ma anche un sottofondo di tenerezza…

"Stai avendo una cattiva influenza su di me, mein Kätzchen" disse, con una buona dose di autoironia, prima di tornare a concentrarsi sul suo lavoro.

 

 

 

Il dottor Emerick si guardò intorno, per saggiare l’effetto che le sue parole avevano avuto sul suo pubblico, poi parlò di nuovo con voce stentorea.

"Non si alza un fiato…non vi sarete per caso sconvolti per quello che ho detto?! È tutto talmente ovvio da essere banale…forse necessitate di un piccolo esempio pratico per capire che non è poi così difficile! Per esempio…voi due…sì, voi della seconda e terza fila…appena prima che io entrassi in aula vi siete scambiati di posto. Come mai?" chiese l’uomo, fissando insistentemente gli occhiali da vista del ragazzo in seconda fila.

Fu l’altro a parlare.

"Gli ho soltanto chiesto se volesse sedere al posto mio per…".

Ma non fece in tempo a finire la frase che l’uomo lo precedette: "Perché è cieco come una talpa e così sarebbe stato più vicino…".

"Io non ho detto che…" tentò il giovane, imbarazzato.

"Non avete detto che questo qui è una talpa, ma potevate anche farlo: è la pura verità. No no, non ci siamo! Ma come? Venite ad un corso sulla disempatia e poi vi abbandonate a gesti di cortesia? È proprio quello che non dovreste fare più!!!" disse Emerick, squadrando i due.

Il ragazzo con gli occhiali, sentendosi accusato, provò a difendersi: "Non mi sembrava grave…" mormorò a bassa voce.

Emerick alzò un sopracciglio: "Ah, no?".

"Vuoi stare zitto una volta per tutte, stupido cecato?! Sono stato rimproverato per colpa tua!! Per caso hai miope anche il cervello?!" scattò il suo compagno di corso, alle sue spalle.

A quel punto, anche l’altro parve sbottare in un modo che non ci si sarebbe aspettati da lui: "Guarda che è partito tutto da te! La prossima volta risparmiami la tua gentilezza ipocrita e vattene al diavolo, tu e le tue orecchie a sventola!".

Emerick osservava i due con un sorriso compiaciuto e solo a quel punto decise di rimettersi in mezzo: "Va bene, basta così…- la sua voce improvvisamente autoritaria fece zittire i due litiganti all’istante- …era soltanto un piccolo esempio per far vedere a tutti quanto sia facile, in realtà, disempatizzare con il nostro cosiddetto ‘prossimo’. È solo l’inizio…scoprirete che ci si può spingere ancora oltre…".

A queste parole, Yohji e Aya dovettero reprimere l’impulso di scambiarsi un’occhiata.

‘Disgustoso’ era il termine più adatto a definire quanto avessero ascoltato; prendere di mira dei difetti fisici di un’altra persona per attaccarla e mortificarla non poteva trovare altra definizione.

E il tutto era anche molto pericoloso.

I due Weiss non avevano notato una voce discorde, qualcuno che si agitasse a quel vergognoso spettacolo: sembravano tutti, anzi, molto presi ed interessati e alla fine quasi dispiaciuti che non fosse scoppiata una rissa.

E quelle reazioni così immediate, rispetto ai soliti standard…

Aya si chiese se per caso Emerick non avesse in qualche modo ipnotizzato i due, quando si era avvicinato loro; dopotutto, non sarebbe stata neanche la cosa più strana cui avessero assistito nella loro vita da Weiss!

Fu un sollievo quando l’uomo annunciò la fine della lezione per quel giorno; sia Yohji che Aya non vedevano l’ora di uscire all’aperto per respirare l’aria fresca e liberarsi da quelle sgradevoli sensazioni, e infatti fu così: la luce del sole e l’aria primaverile li avvolsero, mentre raggiungevano in silenzio le loro macchine.

Erano parcheggiate vicine e non avrebbero dovuto fare altro che mettere in moto e tornare al Koneko No Sume Ie, ma Yohji era titubante…

Anche lui aveva vecchie ferite e la visione di una persona amata che cadeva, uccisa sotto i suoi occhi: dopotutto, le idee che andava teorizzando Hal Emerick dovevano essere già state nella testa delle persone che avevano sparato ad Asuka…a questo pensiero, provò un moto di rabbia che aumentò quando pensò alla famiglia Fujimiya. Rabbia…e desiderio di protezione.

Si volse verso Aya, che stava prendendo le chiavi della sua macchina, e vide il bel viso teso, tirato…e non lo sopportava…

Gli si avvicinò, arrischiandosi a posargli una mano sulla spalla facendolo sussultare.

Il ragazzo non si scostò bruscamente, come aveva temuto, ma si voltò a guardarlo con diffidenza, in silenzio.

"Aya, perché non andiamo a bere qualcosa? Un tè, un succo di frutta…credo…che farebbe bene a tutti e due…" disse a bassa voce Yohji, sforzandosi di controllarsi quando quel bellissimo sguardo violetto si puntò nel suo.

Ma era un invito molto diverso da quello che gli aveva rivolto poche ore prima, stavolta non c’era il puro intento di instaurare un rapporto diverso…c’era il desiderio di rilassarsi insieme da qualcosa che li aveva turbati entrambi; Aya lo intuì, perché non rifiutò con uno dei suoi ‘hn’, ma scosse leggermente il capo mormorando: "Meglio di no…è la missione, dobbiamo abituarci".

Per un po’ tacquero, uniti dalla consapevolezza che ognuno aveva intuito cosa provasse l’altro; erano Weiss. Erano abituati ad esserlo e ad avere le mani sporche di sangue.

Le persone che uccidevano erano colpevoli, anche se questo non sempre era consolante.

Aya se lo ripeteva spesso e aveva ben chiari in mente tutti i motivi che lo avevano portato a scegliere quella vita: la vendetta contro i Takatori, la sicurezza che tutte le necessità mediche di Aya-chan fossero tutelate dal denaro dei Kritiker.

Abyssinian sapeva che, se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto le stesse scelte, non aveva dubbi a riguardo. Tuttavia…

Tuttavia, a volte, era più difficile convivere con tutto questo e ora era proprio uno di quei periodi…aveva scelto lui di mettere al primo posto la salvezza di sua sorella, anche a costo di vedere svanire a poco a poco il vecchio Ran Fujimiya, eppure a volte il dolore che gli pizzicava l’anima era più pungente…

Gli occhi violetti del gattino rosso si velarono appena mentre pensava a questo e fu solo il rumore del traffico cittadino a ridestarlo; la mano di Yohji era ancora sulla spalla e per qualche inspiegabile motivo lui lo trovò confortante…forse perché lo faceva sentire meno solo…

Alzò uno sguardo interrogativo verso il compagno, che ebbe un sorriso diverso dai suoi soliti, un po’ più dolce e un po’ più triste.

"Lo so…- disse Yohji-…quell’uomo, in questo momento, incarna tutto ciò che ci ha portato a diventare Weiss…".

Aya non rispose, guardò il biondo in modo meno distaccato del solito per fargli capire che lo aveva compreso benissimo e poi si scostò, per entrare nella sua macchina e mettere in moto.

 

 

L’atmosfera del Koneko No Sume Ie ebbe un effetto benefico sui due giovani: vedere i fiori colorati e il gatto acciambellato sulla sedia era qualcosa di tranquillizzante…la presenza di Ken, poi, fu terapeutica per Yohji…

"Perché ci avete messo tanto?!" li aggredì il ragazzo bruno, non appena li vide entrare nel negozio.

Yohji lo guardò stupito per la domanda: "La lezione è appena finita, non potevamo andarcene prima, tu che dici?".

Ken si morse un labbro nervosamente: "Mentre non c’eravate, sono arrivate delle ordinazioni per domani: ben tre composizioni! E tra poco ci sarà l’invasione delle ragazzine, visto che stanno per finire le lezioni…temevo di dover fare tutto da solo!" spiegò, chinandosi a prendere un annaffiatoio per dissetare un po’ le grandi piante disposte sul marciapiede.

"Ah, be’…però dovresti abituarti, KenKen, ad affrontare queste emergenze da solo: non si sa mai cosa potrà capitare…sono le cose della vita…" replicò Yohji, sfoderando il suo lato più filosofico, proprio quello che sapeva dare più sui nervi al suo compagno di lavoro.

Ken si allontanò borbottando, mentre il biondo ex-investigatore privato si dirigeva nella piccola cucina; nel frigorifero trovò un cartone di succo di frutta…era fresco, sembrava buono…prese due bicchieri e ce lo versò. Certo, bere qualcosa di alcolico in un locale magari era meglio, ma non in quel momento…

Balinese si avvicinò ad Aya, che stava leggendo i dettagli sulle composizioni da realizzare, e gli porse uno dei due bicchieri; Abyssinian sembrò stupito.

C’era qualcosa di diverso in Kudoh…ed era qualcosa che lo spiazzava, che non riusciva a decifrare…eppure, nonostante la sua diffidenza, sentiva che non c’era bisogno di sentirsi in pericolo…

"Grazie" gli disse, accettando la gentilezza del giovane e prendendo il bicchiere.

Yohji gli sorrise: "Figurati…".

"Sentite, non ci sono problemi se questo pomeriggio me ne vado al campetto da calcio, vero?" chiese Ken, rientrando in quel momento con uno sguardo molto speranzoso in volto.

Ora, il più anziano dei Weiss era anche il più pigro e non gli piaceva l’idea che uno di loro mancasse proprio nella fascia oraria più critica! Ma mentre stava ancora facendo mente locale per trovare una risposta negativa, Aya lo precedette con un semplice e lapidario:

"Va bene".

Neanche lui ne era entusiasta, ma a dispetto delle apparenze il gattino rosso era una persona sensibile e, dopotutto, non gli andava di negare ad un compagno qualche ora si svago, lui che poteva averla…

Yohji fece una smorfia, ma non disse niente, limitandosi a sistemarsi dietro la cassa, giusto per far capire che da lì non si sarebbe alzato neanche se poi le ragazze avessero buttato giù il Koneko.

Ken rivolse un sorriso di gratitudine al leader dei Weiss, poi chiese: "Allora, com’è andata?" riferendosi alla missione.

Aya era tornato a scorrere il foglio che aveva davanti e non alzò neanche gli occhi: "Vi racconteremo stasera, quando saremo tutti e quattro".

Già, Omi non era ancora tornato da scuola…

"Sì, per carità, non farcelo ripetere due volte!" sbadigliò Yohji, stiracchiandosi e sistemandosi poi gli occhiali da sole sugli occhi

"Ok!! Ah, sono arrivate le rose…" annunciò il brunetto, indicando i bellissimi fiori che riempivano quattro vasi del negozio.

Aya si voltò a guardarle. Il suo fiore…

Domani ne porterò un po’ ad Aya-chan…chissà che il loro profumo non riesca a raggiungerla…

"Però quest’ordinazione è strana! Ma i gigli sono di questa stagione?!".

Il gattino rosso si voltò a guardare i suoi compagni che si punzecchiavano accusandosi reciprocamente di ignoranza botanica, un Ken sempre nervoso quando si trattava del negozio e uno Yohji più sbadigliante che mai…

Non lo avrebbe mai dato a vedere, ma lo facevano stare bene.

Forse, non era poi così ingiusto che perfino degli assassini come loro fossero riusciti a ritagliarsi il loro piccolo mondo di serenità…

 

 

Quella sera, dopo cena, i Weiss si ritirarono tutti e quattro nel loro rifugio sotterraneo per fare il punto della nuova missione.

Yohji e Aya raccontarono brevemente i discorsi che avevano udito fare da Hal Emerick, lasciando perplessi Ken e Omi.

Soprattutto il ragazzo più giovane sembrava molto impressionato.

"Ma non è istigazione alla violenza? E lui lo può fare così tranquillamente?" chiese, turbato.

"Pare".

Bombay scosse il capo, avvilito, ma si riprese subito, animato da una nuova volontà: quest’uomo era malvagio e andava fermato; il ragazzo non sapeva se fosse lo stesso per gli altri tre Weiss, ma spesso traeva forza ed energia per affrontare i sensi di colpa che rischiavano di soffocarlo proprio nel pensare non tanto ai cattivi che uccidevano quanto agli innocenti che salvavano dalle loro trame malvagie.

Non pensare a chi uccidi, pensa a chi stai salvando.

Spesso, funzionava.

"Mi fai un esempio pratico di disempatia? Non credo che quest’uomo abbia comunque istigato subito all’omicidio…" si informò.

Yohji e Aya si scambiarono una occhiata veloce, prima di iniziare a parlare.

"Credo che la sua politica sia di andare per gradi" disse Abyssinian, appoggiandosi meglio al muro alle sue spalle; teneva le braccia incrociate sul petto, come quasi sempre quando si parlava delle missioni, e aveva il viso serio come suo solito.

"Sì, inizia con dei semplici insulti…cose personali, che magari uno non direbbe mai anche solo per semplice educazione…" aggiunse Yohji, inspirando a pieni polmoni dalla sua sigaretta.

"Ad esempio?" insistette Ken, curioso, parlando dal divano in cui era sprofondato, ancora stanco dopo il pomeriggio passato a giocare a calcio.

Il biondo si strinse nelle spalle e disse con noncuranza: "Ad esempio…KenKen, come mai l’arma più stupida del nostro team ce l’hai tu? Un guanto artigliato…che cosa idiota!!!".

Il brunetto arrossì violentemente, sentendosi offeso: "Che cosa?! Ma come ti permetti, tu con i tuoi fili del cavolo!!" disse a voce troppo alta, come se non avesse sentito un semplice esempio, ma una vera e propria derisione…

"Calma, Siberian, ne ho anche per Omi: posso sapere finalmente perché ti ostini ad indossare quegli stupidi calzoncini che ti fanno sembrare un chibi dell’asilo? Cos’è, per attirare i maniaci?" continuò Kudoh con tranquillità, incurante del rossore imbarazzato di Omi e dello sguardo assassino di Siberian.

"Oi, dacci un taglio, sai?!" si alterò quest’ultimo.

Be’, si era arrabbiato più per lo sgarbo ad Omi che per quello fatto a lui, notarono separatamente sia Yohji che Aya.

"Ok, ho esagerato…ma era per applicare quello che è stato l’insegnamento di oggi…" si giustificò il più grande dei Weiss; oddio, non era proprio vero: lui pensava seriamente che l’arma di Ken fosse la più cretina del gruppo e che Omi avrebbe potuto sforzarsi di indossare dei pantaloni lunghi, ma sicuramente non lo avrebbe detto in quel modo.

Dopotutto vivevano insieme e lavoravano insieme da quanto? Più di due anni…tre, forse? Erano i suoi amici, perfino Ken a modo suo…e lui avrebbe fatto quelle osservazioni scherzando e ridendo, con battute simpatiche, non certo in quel modo antipatico!

"Tu hai scoperto qualcosa, Omi?" intervenne Aya, per riportare il discorso su un piano più costruttivo.

"Sì: che tutte le società che erano entrate in crisi per l’uccisione dei loro dirigenti sono state rilevate da una medesima società…però è stato fatto uso dei prestanome, ovviamente e di molti accurati accorgimenti economici per non scoprirsi troppo, quindi non so dire ancora a chi si debba risalire" spiegò il ragazzo.

Era stato al computer buona parte della serata per avere quelle informazioni e ora si sentiva gli occhi stanchi e arrossati, ma sapeva anche che lo aspettava un’altra notte di lavoro…

"Intanto assicuriamoci che ci sia davvero una connessione tra questo corso e gli omicidi. Non c’è molto margine di incertezza, ma non possiamo permetterci dubbi…poi penseremo a questa misteriosa società…" disse Aya, in tono deciso, per poi avviarsi su per la scala a chiocciola, indicando così che la loro piccola riunione era terminata.

"A che ora dobbiamo andare domani?" lo raggiunse la voce di Yohji.

Il gattino rosso si fermò per le scale, per rispondergli.

"Alla stessa ora di oggi" e poi riprese a salire.

Aya la considerava una debolezza, ma si rese conto che l’idea di dover ascoltare altri discorsi simili avendo vicino Yohji lo faceva sentire sicuro…non da un punto di vista fisico, ovviamente: con l’addestramento che aveva avuto, con o senza katana, in sua presenza erano gli altri a doversi sentire insicuri…ma la sua vicinanza quel giorno si era rivelata confortante…e questo lo turbava…

 

 

 

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Schuldig tornò alla villa che divideva con gli altri Schwarz di buonissimo umore. La mattinata era stata entusiasmante grazie all’incontro con Aya Fujimiya…il resto della giornata un po’ meno, ma gli aveva dato modo di pensare mentre svolgeva il suo lavoro, che tutto sommato non era difficile.

Aveva individuato chi fosse la persona con la mente più debole fra quelle presenti, quello su cui sarebbe stato più facile intervenire, e lo aveva seguito fino al luogo di lavoro; non era stato difficile intrufolarsi nel palazzo e ascoltare in diretta tutte le ingiurie che, molto educatamente ma ferocemente, i suoi colleghi e il suo capo riversavano su di lui…

E la sua mente stava per scoppiare, era vicinissima al punto di rottura…

Schuldig non doveva fare altro che insinuarsi nei suoi pensieri ed esasperarli fino a portarlo all’inevitabile. Facile.

Troppo facile con uno spirito così esacerbato.

Ma era il suo compito e voleva svolgerlo bene, se non altro per non dover sentire le lamentele di Crawford!

Adesso, terminati i suoi doveri giornalieri, poteva esaminare per bene la situazione in cui si trovava.

Il primo problema si chiamava Yohji Kudoh.

Se il gattino avesse lavorato in incognito da solo, sarebbe stato molto meglio e lui avrebbe potuto avvicinarglisi più…facilmente? No, non sarebbe mai stato facile avvicinarsi ad Aya Fujimiya…

Più liberamente?

Neanche…lui non era come gli altri ragazzi che aveva conosciuto…

Forse più spontaneamente.

Ecco, questo sì, è invece c’era un ostacolo da dover aggirare. Ma vi avrebbe provveduto presto…

Il secondo problema si chiamava Brad Crawford.

In verità, Schuldig non aveva nessuna voglia di raccontare al suo leader della presenza dei due Weiss alle lezioni di Hal Emerick, anche se questo significava un pericolo per gli Schwarz.

Se lo avesse scoperto subito, Crawford avrebbe imposto i suoi provvedimenti a riguardo, la sua carica di leader degli Schwarz glielo consentiva e lui non avrebbe potuto opporsi, essendo un suo sottoposto.

In un altro caso, non avrebbe avuto problemi: avrebbe obbedito agli ordini di Oracle con un’alzata di spalle e un sorriso ironico sulle labbra, lasciando semplicemente i malcapitati al loro destino…

Ma stavolta era troppo coinvolto: il sentimento che provava per Aya si era accresciuto troppo per volersi ostinare ad ignorarlo oltre…era giunto il momento di far qualcosa, ma per farlo non avrebbe dovuto avere gli altri Schwarz fra i piedi.

Mentre parcheggiava la macchina nel garage della villa che divideva con i suoi compagni, Schuldig aveva già deciso che per il momento avrebbe taciuto a Crawford il fatto che i Weiss stavano investigando su Emerick e sul suo corso. Certo, Oracle poteva prevedere sprazzi di futuro…e se, nel corso di una di queste visioni, avesse compreso che il ragazzo tedesco gli aveva taciuto un particolare così importante? Le conseguenze avrebbero potuto essere spiacevoli. Ma anche questa consapevolezza non bastò a fargli cambiare idea. Dovevano essere soltanto lui e Aya…

Già Yohji Kudoh era di troppo…non voleva assolutamente che altre persone si immischiassero.

Se si fosse rivelato inevitabile, se la sarebbe vista con Crawford…

 

 

Schuldig entrò in casa complessivamente contento della giornata e desideroso di rilassarsi. Ormai si era fatta l’ora di cena, anzi, era leggermente in ritardo: non che avessero orari fissi, ma Farfarello e Nagi dovevano aver già cenato.

E, infatti, il più giovane degli Schwarz si affacciò al corridoio, dopo aver sentito i suoi passi, e lo salutò: "Bentornato, Schu! Tutto a posto?".

Il tedesco era abituato ai modi gentili del ragazzino giapponese; Nagi li salutava sempre con gentilezza e con qualcosa di molto simile all’affetto…un sentimento un po’ fuori luogo, forse, per un gruppo di assassini che si erano conosciuti per caso e con il solo fine di uccidere e far soldi…

Ma stavolta, anche grazie al suo buon umore, Schuldig non rispose con uno dei suoi sorrisi derisori e si limitò ad una tranquilla conferma: "Tutto bene".

Nagi annuì, come se ne fosse contento, poi aggiunse: "Hai di nuovo una bella scorta di birra tedesca nel frigorifero, Schu, però stamattina ti sei dimenticato di dirmi cosa volevi mangiare per cena, quindi non ti ho ancora cucinato niente, ma lo farò sub…" Prodigy tacque di fronte ad un cenno della mano del compagno più grande.

"Oh, non importa…ci penso io…".

Nagi sgranò gli occhi: da quando Schuldig sapeva cucinare? E, soprattutto, come mai questo improvviso desiderio di dimostrarlo?

Da quando era stato abbastanza grande per farlo, si era sempre occupato Nagi dei pasti e della cucina e, alla fine, più che un dovere era diventato un hobby…qualcosa in cui non avessero parte la telecinesi o i computer; un pomeriggio era perfino andato con Farfarello a comprare un paio di libri di ricette e aveva aggirato la perplessità dell’irlandese facendogli notare che anche la carta era materiale tagliente…e si era sentito un po’ in colpa, dopo: Farfarello non aveva certo bisogno di simili, indiretti suggerimenti…

Anche se dei miglioramenti, negli ultimi tempi, c’erano stati: le punizioni adesso erano spesso preventive, quasi di ammonimento, e poi, soprattutto quando era in sua compagnia, talvolta non c’era bisogno di legargli le mani.

Comunque…

Come mai quella sera Schu voleva cucinare da solo? Che fosse uno stratagemma per lasciare il gas aperto e farli saltare per aria?

<Stupido…se volessi liberarmi di voi per andarmene, sceglierei un metodo molto meno banale, dovresti saperlo…>.

Nagi sussultò, sentendo la voce divertita del suo compagno direttamente nella sua mente, poi lo riprese: "E tu dovresti sapere che non mi piace quando leggi nei miei pensieri senza il mio permesso!".

Schuldig rise: "Se dovessi aspettare il tuo permesso…" e fece per andare verso la sua camera.

"Crawford?" chiese, prima di girare per il corridoio, sapendo che l’altro continuava ad osservarlo e ad ascoltarlo.

"Non è ancora tornato, io e Farfarello abbiamo cenato da soli" disse Nagi, e si poteva percepire una nota di rammarico nella sua voce.

D’accordo, gli Schwarz erano quello che erano, ma si trattava comunque delle persone che gli erano più vicine: possibile che, colazione a parte, dovessero ritrovarsi tutti insieme solo per mettere a punto nuovi piani?

<Mi spiace, chibi, ma non siamo le persone più adatte per giocare alla famiglia felice!>.

Nagi si morse le labbra a queste parole di Schuldig, anche se si sorprese nel notare che vi era molta meno ironia del solito, come se ne provasse anche lui un velato dispiacere, e poi scosse il capo, quasi a voler scacciare quella sensazione di disagio.

"Lo so, lo so…- lo disse in tono deciso, sforzandosi di essere convincente, cosa comunque difficile con uno che ti legge nel pensiero-…comunque, sei convinto di voler cucinare tu?".

"Ti stupirà, ma sì, dico sul serio!" e, affermato questo, Schuldig voltò le spalle al compagno più giovane e riprese la via del corridoio.

Una volta nella sua camera, si cambiò e decise di indossare qualcosa di più pratico: un paio di pantaloni bianchi e una semplice camicia color verde-militare sarebbero andati bene…dopotutto quella sera sarebbe rimasto a casa…

Mentre si dirigeva verso la cucina, passò di fronte alla sala-computer, praticamente il regno di Nagi, e lo raggiunsero le voci di Nagi e di Farfarello impegnati in un videogioco.

Era stata decisamente una buona idea quella di far appassionare il ragazzo albino a quel passatempo…soprattutto ai giochi in cui per vincere bisognava uccidere il più alto numero di pedoni: era una violenza virtuale che però agiva come sfogo su di lui…E, dopotutto, non poteva fargli che bene anche la compagnia di Nagi: il tedesco non poté evitare di pensare che, per quanto fosse uno Schwarz, il ragazzino giapponese era anche un’anima pia nel sopportare il compagno irlandese.

Quando arrivò in cucina, Schuldig si guardò intorno, nonostante la vedesse tutti i giorni: era un ambiente spazioso e luminoso, dal mobilio funzionale e colmo di accessori e di comodità. Un insieme molto pratico e moderno: il tocco di Crawford si riconosceva anche in quella stanza!

Il giovane aprì il frigo e sorrise; c’era un motivo per cui voleva prepararsi la cena da solo: aveva voglia di mangiare qualcosa di tipicamente tedesco che fosse cucinato a dovere…e lui era in grado di farlo, anche se si era sempre ben guardato dal dirlo agli altri. Non aveva intenzione di alzare un dito sul fronte-pasti e non aveva intenzione di far trapelare qualcosa che invece potesse portarvelo!

Non sapeva perché, ma vedere Aya ogni volta lo faceva pensare alla sua Germania; era da tanto che non sentiva più i suoi sapori, l’odore dei cibi al mercato…ma ogni tanto ricomparivano, accompagnati da un pizzico di nostalgia. Forse accadeva perché leggere nella mente di Aya significava immergersi nel suo passato e, per uno strano meccanismo, questo lo faceva pensare al proprio passato…

Il suo sorriso si fece più largo quando individuò le confezioni di crauti e di würstel, ordinatamente riposti in un angolo del frigorifero.

 

 

 

Bere un buon whisky non appena tornato in casa era una di quelle sane abitudini americane cui Crawford non avrebbe mai rinunciato, neanche vivendo in Giappone.

L’elegante carrello dei liquori era sempre ben fornito, ma la sua predilezione andava al liquido ambrato che stava assaporando.

Era stata una giornata complessivamente positiva e tranquilla: le quotazioni di borsa erano andate bene, aveva cenato in uno dei suoi ristoranti preferiti e la casa sembrava pacifica, una volta tanto…

L’unico particolare insolito era l’odore che avvertiva e che doveva provenire dalla cucina; Crawford annusò l’aria con più attenzione, per poi decidere di andare a vedere cosa stesse succedendo.

<Ti stai gustando la tua Coca-Cola serale, da bravo americano?>.

La voce divertita di Schuldig lo sorprese, ma fu solo per un istante: il tedesco doveva aver sentito il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva…

Crawford si appoggiò allo stipite della porta, continuando a reggere il bicchiere colmo di whisky e sistemandosi meglio gli occhiali sul naso; la scena che stava osservando era decisamente inusuale: uno Schuldig vestito in modo normale si stava servendo dei cibi che sembrava aver cucinato da solo!

Ma l’americano non era tipo da restare stupito troppo a lungo, quindi replicò alla battuta che l’altro aveva fatto poco prima: "Sai benissimo che non bevo la Coca-Cola".

Il ragazzo tedesco si voltò verso di lui, scostandosi i lunghi capelli rossi dal volto: "Già…troppo plebea per te, vero?" rise.

Crawford decise di non farci caso: era abituato alle battutine sarcastiche del tedesco…

"Sono felice di constatare che allora hai degli abiti normali nel tuo armadio!- disse invece- Dovresti metterti questi, quando vai in missione, invece di quei modelli da night-club!".

Schuldig si mise a sedere per iniziare la sua cena e gli rivolse uno sguardo fintamente stupito: "Scherzi?! Questi sono i miei vestiti da casa…".

Il leader degli Schwarz sospirò appena, di irritazione e di rassegnazione, prima di scostare la sedia all’altro capo del tavolo e di sedersi anche lui; i suoi occhi si fissarono sul piatto da cui stava mangiando il suo sottoposto e si accigliò.

"Che roba è quella?!" chiese seccamente.

"Crauti, würstel e patate…roba tedesca…" rispose Schuldig, complimentandosi mentalmente con se stesso per l’ottima riuscita della sua prova culinaria.

L’altro non poté trattenere una leggera smorfia che non passò inosservata.

<Non è un piatto abbastanza fine per il tuo palato, vero Crawfie? Concordo! Non temere, i miei gusti non sono sempre così rozzi…vedrai quando darò fondo al caviale e al salmone!>.

questa battuta fece accennare un sorriso ad Oracle, che poi chiese: "Come mai te li sei cucinati, allora?".

Mastermind scrollò le spalle con noncuranza: "Era un modo come un altro per sentire l’aria di casa…" disse, senza riflettere molto, e Oracle tornò ad accigliarsi: era una risposta strana, che poteva avere molte sfumature…

Mastermind gli sembrava di nuovo sfuggente…e non era la sua solita aria da mi-scivola-tutto-addosso…no, era come se fosse davvero lontano…

Il ragazzo tedesco sembrava molto preso dai suoi pensieri, dietro la facciata di cinica spensieratezza, e questo fatto lo innervosiva profondamente.

"Schuldig!" lo chiamò, quasi bruscamente.

"Sì, mein führer?" di nuovo il tono ironico tanto familiare…

"Com’è andata oggi?" domandò Crawford, prima di bere un altro sorso di whisky.

"Benissimo!" e l’altro iniziò il resoconto su chi fosse la persona che aveva preso di mira, dove lavorasse, chi fosse il capo della società di cui era dipendente.

Crawford annuì compiaciuto, pensando che questo ‘colpo’ gli avrebbe reso un enorme guadagno: il malcapitato prescelto lavorava in una azienda molto importante che spesso era stata anche rivale della sua, intralciandolo.

<Come diavolo fai a fare i conti così in fretta?! Hai già calcolato quando ne ricaverai…tu hai l’economia nelle vene, non il sangue!>.

"Lo prendo per un complimento" replicò Oracle.

Aveva detto milioni di volte a Mastermind di non leggergli nella mente, perché lo irritava moltissimo, ma in quel momento se ne sentì quasi sollevato perché indicava il comportamento del solito Schuldig, come se il tedesco gli sembrasse meno sfuggente e tornasse ad essere quello di prima, quello di sempre, prima che la sua mente si concentrasse su ‘qualcuno’…

"Il piano procede bene, Mastermind: concentrati su di noi" gli disse, osservandolo mentre l’altro beveva una sorsata di birra fresca.

Schuldig gli lanciò un’occhiata divertita: "Agli ordini, mein führer: lo sai che nessuno si concentra bene quanto me!".

 

 

 

Aya sistemò meglio il vaso di rose sul tavolo della sua camera.

Erano veramente belle: si ripromise di andare a trovare sua sorella il prima possibile per portarne anche a lei, ma quella sera i suoi pensieri non riuscivano a fissarsi su Aya-chan e questo lo sconcertava e lo turbava.

Non riusciva a capire perché quel giorno avesse provato quelle improvvise e impreviste sensazioni nell'avere vicino Yohji, come se fra loro si fosse stabilito un filo sottile e di comprensione che non aveva con gli altri compagni.

Forse perché gli era sembrato che Balinese potesse intuire quanto grandi fossero la sua rabbia e il suo dolore, sotto la facciata di impassibilità, a dover sentire quei discorsi; forse perché aveva avvertito vera preoccupazione nella voce del più grande dei Weiss, mentre gli chiedeva di andare a bere qualcosa con lui per distrarsi…preoccupazione non per l’ Abyssinan che doveva portare a termine una missione, ma per…per Ran! Possibile?

O forse, semplicemente, sono io che non sto ragionando e i miei dubbi potrebbero essere del tutto inutili…io non ho mai saputo capire le persone, forse sto fraintendendo tutto anche questa volta…e, del resto, chi potrebbe voler essere mio amico? Amico di un assassino… anche lui è un assassino e in me vedrebbe i suoi stessi demoni…

Quella dolorosa sensazione di inadeguatezza si fece più pungente, mentre sfiorava i petali delle rose che gli riempivano gli occhi con la loro bellezza.

Fiori fra le sue dita, vuoto dentro di lui…

 

 

 

Fine della seconda parte (continua…)


 

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