Disclaimers: racconto originale, ambientato in un luogo ed in un tempo imprecisato ma che io immagino molto simile al mondo islamico medioevale.
Note: come dicevo la fic è originale, però mi sono liberamente ispirata ad una vecchia canzone di De' Gregori "Pezzi di vetro". Chi la conosce si accorgerà facilmente che ho sostituito l'uomo che cammina sui pezzi di vetro con un funambolo. Ringrazio comunque questo cantante, che amo tanto e che è per me fonte di continua ispirazione. 


L'uomo del filo

di Petra

parte II

Non fu facile quella sera per mio padre controllare la mia eccitazione, mentre con un torrente di parole gli narrai tutto ciò che avevo visto. Solitamente le nostre cene non erano tanto animate. Mangiavamo per lo più in silenzio e se alzavo gli occhi dal piatto, incontravo lo sguardo benevolo dei sui occhi verdi e bastava quel poco per farmi sentire al sicuro. Ma di solito non avevo poi molto da raccontare, certo non dello sguardo giallo della tigre puntato contro i miei occhi, come la promessa di una minaccia, né dell'uomo del filo, che volava ("Lo giuro, padre, praticamente è come se volasse") sopra le nostre povere teste.
Al termine del mio racconto, mio padre scosse il capo. 
"Che modo triste di guadagnarsi da vivere.", commentò.
Lo guardai sbalordito. Come triste? Triste era incolonnare per giornate intere cifre minute su registri polverosi, accompagnati dal battito monotono dei martelli dei lavoranti sul cuoio bruciato, giorno dopo giorno, senza la speranza di nient'altro mai.
Mio padre sospirò di nuovo.
"Non è una bella cosa che ci sia gente che debba rischiare la vita per poter sopravvivere" aggiunse.
Chinai il volto sul mio piatto.
"Forse è così", pensai "ma deve essere bellissimo stare lassù in alto, più in alto di chiunque altro, col vento che ti soffia in faccia, e il sole che ti accarezza."
Guardai mio padre di sottecchi, il suo volto segnato dagli anni, i capelli color cenere e gli occhi verdi così dolci, ma anche tanto spenti, privi di speranza, e per la prima volta in vita mia lo vidi fragile e mortale, e provai una sorta di pena nei suoi riguardi, una pena mista, però, a qualcosa di  oscuro e di inconfessabile.
Disprezzo.. forse.

******
Il giorno appresso, mi alzai di buon'ora con un solo pensiero nella testa. Volevo andare al campo dei saltimbanchi prima che cominciassero le cerimonie religiose del mattino. Sapevo infatti che di mattina gli uomini del circo provavano i loro esercizi e spesso lasciavano che i curiosi gironzolassero là intorno senza scacciarli. La mia speranza era di rivedere l'uomo del filo, magari di vederlo mettere a punto il suo numero, senza troppa folla intorno. Mi lavai e mi vestii velocemente. Lasciai sul tavolo della cucina un biglietto per mio padre, in cui lo avvertivo che sarei tornato in tempo per recarmi al tempio, e scappai in piazza.
Come mi ero aspettato, vi erano poche persone, solo alcuni ragazzini di strada in cerca di qualche commissione e pochi curiosi bighelloni, con la speranza, forse, di cose non del tutto lecite.
Senza nemmeno guardarmi intorno mi diressi dritto verso il luogo dove erano issati i due pali. Con mia enorme delusione, scorsi solamente uno dei giganti biondi che il giorno prima aveva issato tutto quell'arnese. Egli si muoveva intorno ai pali, guardando il filo con aria preoccupata. Seguendo il suo sguardo anch'io guardai verso l'alto.
"Ti sembra ben tesa?" disse l'uomo.
Mi voltai indietro, cercando la persona alla quale si era rivolto, ma non vidi nessuno.
"Ehi, ragazzo, ma che fai? sto parlando con te."
Lo fissai sbalordito.
"Allora, ti sembra o no ben tesa?" ripeté indicando il cielo con dito.
Alzai gli occhi, seguendo la traiettoria di quel dito e scorsi la corda che oscillava lievemente al vento.
"Non saprei," risposi "Forse.. non del tutto."
L'uomo sbuffò e tornò a guardare in alto con aria preoccupata.
"Senti un po'" riprese, dopo qualche secondo passato da entrambi in contemplazione del cielo, "Ti andrebbe
di guadagnare qualche soldo?"

****
Così divenni parte del personale del circo. Indossai una bella divisa dai bottoni dorati e dai galloni sulle spalle e quella sera stessa feci parte della cerchia di persone che tenevano in mano le fiaccole, a corona dell'uomo del filo.
Non riuscivo a credere alla mia fortuna, che del resto dipendeva tutta dall'incidente di un saltimbanco che era caduto e si era slogato una spalla.
Non era un compito particolarmente difficile nè impegnativo, ma io mi ritrovai a tremare come una foglia, quella sera, nel cerchio brillante delle luci.

Mi accorsi ben presto che la mia nuova posizione non è che fosse poi tanto vantaggiosa. Ero sì più vicino di chiunque altro abitante della città al funambolo, ma lo scintillio delle fiaccole mi abbagliava e mi impediva di vedere con la stessa chiarezza della sera precedente, inoltre, il fumo di esse mi penetrava negli occhi e nei polmoni e più di una volta mi capitò di dover trattenere un accesso di tosse spasmodica.
Eppure ero felice, come raramente lo ero stato nella mia vita. Era come se un sogno si fosse avverato. E poi, tutto ciò mi aveva fatto guadagnare molti punti nella stima dei miei compagni, e persino i ragazzi più grandi, quelli che mi guardavano di solito dall'alto dei loro volti già ornati da una leggera barba, adesso se ne stettero lì a sgranare gli occhi, mentre mi pavoneggiavo nella mia divisa regale.

In mezzo a quell'eccitazione la terza ed ultima sera arrivò con puntualità inesorabile. E l'ultimo spettacolo si svolse in un'atmosfera di stanchezza. La gente oramai si era quasi abituata alle acrobazie e ai portenti e gli uomini del circo faticavano a mantenere desta l'attenzione.
Solo lo spettacolo del funambolo conservava intatto il suo fascino speciale, forse perché ciascuno di noi, nell'intimo del suo animo, non poteva non provare un senso di disagio al pensiero di quell'uomo che sfidava la morte per il nostro divertimento.
Eppure quando era in cima alla corda e sorrideva al vento del tramonto, tale era la grazia e la leggerezza del suo esercizio, che ognuno avrebbe scommesso che il piacere fosse unicamente suo, e che lui dall'alto della sua generosità ci degnasse soltanto di assistere al riflesso dorato della sua gioia.

Fu solo al termine dello spettacolo che mi resi conto che quella era davvero l'ultima sera di festa.
L'indomani il circo sarebbe andato via e non avrei più rivisto nessuno dei suoi magici personaggi. 
Mi sentivo talmente stanco e depresso che pensai di tornarmene a casa e mettermi a dormire. D'altronde l'indomani avrei ricominciato a lavorare..
Con quest'intento mi recai nella tenda del gigante che mi aveva ingaggiato, per ricevere il mio compenso e restituire la divisa. L'uomo mi accolse con rumorosa cordialità, mi pagò il prezzo pattuito, e aspettò con calma che mi cambiassi d'abito. Appena fui pronto mi sorrise e mi diede una pacca sulla schiena, che poco ci mancò mi mandasse lungo disteso sul pavimento.
"Sei stato bravo, ragazzo mio," disse "sembri nato per lavorare in un circo tu."
Le sue parole mi fecero un tale piacere che arrossii fino alla radice dei capelli.
"Grazie, signore," risposi "è stato un vero piacere. Ora però devo andar via.."
"Via? Andare via, dove? Ma neanche per sogno! Adesso comincia la NOSTRA festa. Noi festeggiamo sempre l'ultima sera e tu rimani con noi. Sei o non sei parte dello spettacolo?"
Io tentai di tirarmi indietro, ma lui non ne volle sapere, ed era davvero troppo grosso per tentare di contraddirlo.
Così partecipai in qualità di ospite onorario al festino della gente del circo. In verità non è che si badò molto a me. I canti e i balli sembravano assorbire ciascuno di loro in un ritmo da cui io, comunque, rimanevo estraneo.

Verso la fine della serata, esausto, cominciai a girovagare tra i carri. I curiosi si erano diradati e anche il momento più smodato dell'allegria si era oramai smorzato.
Cerchi di persone bivaccavano seduti a gambe incrociate intorno al fuoco. Mentre passavo accanto ad uno di essi, sentii una voce stentorea che mi chiamava.
"Ehi, ragazzo, tu.. sì.. proprio tu.. vieni qui a bere qualcosa con noi.."
Era ancora il gigante biondo, che sbraitava verso di me, sbracciandosi.
Accidenti, ma non me ne sarei mai liberato!
Stavo per filarmela alla chetichella, facendo finta di non averlo sentito, quando mi bloccai come colpito da una martellata. In mezzo a quegli uomini stretti intorno al falò, anzi seduto  proprio a fianco del mio persecutore, riconobbi, senza ombra di dubbio, l'uomo del filo. Non ci pensai neppure per un momento e mi diressi verso il gigante, con un sorriso ipocrita stampato sulla bocca. Appena giunsi abbastanza vicino egli mi artigliò un braccio e mi tirò giù a sedere di schianto.
"Fa' piano, Tebur, o gli stacchi un braccio." disse qualcuno e gli altri risero divertiti. La cosa non servì certo a mettermi a mio agio, ma oramai ero lì e andarsene subito non sarebbe parso gentile. Così, seduto davanti al fuoco, mi abbracciai le ginocchia, mentre con la coda dell'occhio adocchiavo le gambe incrociate dell'unica persona di cui m'importasse realmente.
Strinsi forte i denti, con l'impressione che il cuore mi sarebbe saltato via dalla bocca, se solo avessi detto una parola. Ma fortunatamente gli uomini lì intorno sembrarono dimenticarsi subito di me.
Cominciarono a parlare fra di loro in uno strano linguaggio sconosciuto. Era una conversazione tranquilla e seria. Pensai che stessero parlando dello spettacolo di quella sera o forse di ciò che avrebbero fatto il giorno appresso, appena finita la festa.
Lentamente mi estraniai da quelle voci e subito la mia attenzione fu catturata dal profilo illuminato dal fuoco dell'uomo accanto a me. Era la prima volta che potevo osservarlo così da vicino e il fatto che fosse occupato a parlare con gli altri mi diede la possibilità di scrutarlo direttamente, senza alcuna discrezione.
Era avvolto in un mantello nero con cappuccio, dal quale uscivano fuori ciocche di capelli del biondo più chiaro che avessi mai visto. Il suo volto appariva molto giovane, forse perché totalmente privo di barba, cosicché anche osservate da vicino le sue guance erano morbide e lisce, come quelle di una donna. Notai che avevano il tipico colore dorato che assume la carnagione chiara quando si abbronza e vidi che persino  le sue ciglia e le sue sopracciglia erano biondissime e al riverbero del fuoco brillavano come pagliuzze d'oro.
Ero talmente assorto nella mia contemplazione che non mi accorsi del silenzio che era piombato intorno a me.
Gli uomini tacevano e mi fissavano intenti, poi uno di loro disse qualcosa, indicandomi con mento e gli altri risero. L'uomo del filo si volse verso di me e mi puntò in volto la fessura dei suoi occhi azzurri. Mi sentii arrossire e gli altri risero di nuovo. Era evidente che ridevano di me, anche se non sapevo a che proposito. Avrei voluto alzarmi e scappare via, ma il timore di rendermi ancora più ridicolo mi immobilizzava. Allora il funambolo mi porse un bicchiere colmo fino all'orlo di un liquido scuro.
"Bevi con noi, ragazzo, stiamo festeggiando la fine della festa."
Aveva una voce profonda e morbida, con uno strano accento che lo faceva indugiare particolarmente sulle
sibilanti.
Come ipnotizzato, presi il bicchiere e lo portai alle labbra, mandando giù un lungo sorso. Fu come bere fuoco ardente. Cominciai subito a tossire in maniera patetica. Gli acrobati intorno a me scoppiarono in una risata clamorosa e il gigante biondo mi batté sulla schiena.
"Vacci piano, non è mica vino, sai?" esclamò tra le risate.
Me ne ero accorto, avrei voluto dire, ma non riuscivo a recuperare il fiato per parlare. Pensai che appena mi fossi ripreso avrei subito trovato una scusa e sarei andato via il più dignitosamente possibile. Con le lacrime agli occhi, stavo già per parlare, quando alzata la testa, vidi il volto dell'uomo del filo chinato su di me, con una traccia di divertita preoccupazione dipinta sul volto.
"Va meglio?" chiese.
"S..sì", balbettai.
"Scusami, non volevo farti uno scherzo, credevo sapessi di cosa si trattava." Disse con dolcezza, "E non farci caso, sono tutti un po' ubriachi," aggiunse quasi sussurrando.
"Così Tebur ti ha convinto a reggere la fiaccola in queste ultime due sere?." Riprese dopo un attimo di silenzio, che servì a farmi riprendere del tutto.
Gli altri avevano ricominciato a parlare tra loro e sembravano essersi nuovamente del tutto dimenticati di noi due. La cosa non poté che farmi  piacere, in fondo non avevo desiderato altro, in quei tre giorni, che di avere un'occasione per parlare con lui. Certo, però, non avrei mai immaginato che il sogno potesse avverarsi.
"Sì," fu l'unica cosa che seppi dire e pronunciai quel monosillabo con un tono così basso che fu un miracolo che mi sentisse.
"Ti sarai annoiato a morte, mi dispiace."
Spalancai gli occhi per la meraviglia, poi arrossii per lo sdegno.
"Oh no, no, affatto. Anzi, mi sono divertito" lo rassicurai con veemenza.
Sorrise leggermente, c'era una certa ironia sul suo volto, ma era appena una leggera punta di divertimento, si vedeva che non aveva nessuna intenzione di prendermi in giro e la cosa mi fece piacere.
"Come ti chiami?"
"Moibe," risposi e prima che me ne mancasse il coraggio chiesi tutto d'un fiato: "E tu?"
"Il mio nome è Aelred, come mio padre e come mio nonno. Tutti Aelred nella mia famiglia e tutti funamboli. È il nostro lavoro da generazioni."
"E' un lavoro bellissimo," dissi tutto d'un fiato.
Lui sembrò sorpreso, poi mostrò di nuovo il lampo dei suoi denti bianchi.
"E' un lavoro duro e pericoloso," disse scuotendo la testa.
Mi tornò in mente mio padre e la discussione che avevamo avuto a cena due giorni prima.
"Sempre meglio che incolonnare numeri tutto il giorno," mormorai cupo.
Lui mi guardò direttamente negli occhi, con uno strano sguardo serio.
"E' quello che fai tu?" mi chiese.
Annui lentamente.
"Cosa vorresti fare, invece?" mi chiese, dopo un attimo di silenzio.
A quella domanda mi drizzai sulla schiena.
"Oh, mi piacerebbe tanto essere anch'io un acrobata, girare tutto il mondo, vedere posti nuovi e sempre nuove persone e poi mi piacerebbe salire sul filo, dev'essere meraviglioso sentire il vento sul viso, dev'essere come.. come.. volare.."
Mi accorsi che mi ero infervorato troppo e provai un senso di vergogna. Mi riaccucciai nella mia posizione, abbracciandomi di nuovo le ginocchia. L'uomo del filo aveva smesso di guardarmi, il suo profilo serio fissava il fuoco di fronte a sé, ma sembrava non vederlo.
"Le cose non sono sempre come appaiono" sussurrò con una strana voce, priva di emozioni. Rimase a guardare il falò con la fronte aggrottata, per parecchi istanti. Poi si riscosse e si voltò di nuovo verso di me con un sorriso enorme sul volto.
"Sei molto giovane, Moibe." Mi disse, guardandomi fisso.
"Ho già sedici anni compiuti." Protestai incollerito.
"Quest'inverno ho fatto la cerimonia del codino e lavoro con mio padre. Non sono poi così giovane, sono un uomo ormai."
L'uomo del filo sorrise dolcemente.
"Hai ragione," disse, con quella sua voce carezzevole.
"Alla tua età io mi ero già esibito molte volte..".
"Parli come se fossero passati cent'anni," sbottai contrariato, non sapendo nemmeno io bene da cosa.
Lui rise piano.
"Ho venticinque anni," disse "In ogni caso sono alquanto più grande di te."
Qualcosa dentro di me si rivoltò a quelle parole.
"Non sei troppo grande per essere mio amico." Mormorai appoggiandomi il viso contro le braccia, stupito io stesso della mia audacia..
Lui mi guardò sorpreso. Poi rise
"No," disse "Immagino di no, ma domani vado via, Moibe. Non mi sembra una buona base su cui costruire un'amicizia .".
Proprio in quel momento un forte rumore squarciò il cielo. Lo vidi sussultare e fu la mia volta di sorridere.
"E' il colpo d'avvertimento per i giochi d'artificio," spiegai, alzandomi in piedi eccitato. "Accidenti, ma da qui non si vede quasi niente."
Lo guardai, lì seduto ai miei piedi.
"Conosco un posto da cui si vede benissimo, vuoi venire con me?" chiesi senza nemmeno sapere dove trovavo tanto coraggio. Lui ci pensò su e sorrise.
"D'accordo," disse "andiamo".
Si alzò con uno dei suoi agili balzi. Lo vidi avvicinarsi all'uomo più anziano del gruppo e parlottare velocemente. L'uomo annuì più volte. Poi Aelred tornò verso di me.
"Andiamo," dissi impaziente "Avanti, sbrighiamoci o ci perderemo tutto lo spettacolo."

*****
Attraversammo la città illuminata dai lampioncini della festa, che pian piano cominciavano a spegnersi, e raggiungemmo la breve collina, che si arrampicava dolcemente, con un sentiero che per un tratto fiancheggiava il fiume. C'era molta gente accanto a noi, uomini, donne e bambini che avevano avuto la nostra stessa idea. Molti portavano delle torce, ma i più ne erano privi, perché la luna piena illuminava la notte con una luce pallida ma potente.
Un gruppo di ragazzi passò correndo accanto a noi e alcuni di loro riconoscendomi mi salutarono.
Fortunatamente avevano troppa fretta per fermarsi o per accorgersi che il mio compagno era l'uomo del filo, l'eroe di cui tutta la città parlava.
Forse in un'altra occasione mi sarebbe piaciuto sfoggiare la mia sorprendente amicizia, invece, in quel momento l'unico desiderio che avvertivo era di camminare da solo vicino a quell'uomo gentile e silenzioso e godermi in pace, accanto a lui, lo splendido spettacolo di quella notte.
Sulla collina fu difficile trovare un posto dove sedersi, tanto essa era già affollata di persone accorse da ogni parte. Dovemmo accontentarci di un piccolo spazio che una vicina di casa mi offrì, prendendo in braccio il suo bambino e affidando l'altro al giovane padre. Era uno spazio piccolissimo e noi eravamo talmente stretti l'uno all'altro che un ago non avrebbe trovato lo spazio per cadere.

Appena mi fui accoccolato sul terreno, fissai gli occhi sul punto ai piedi del colle dal quale sapevo che sarebbero partiti i razzi colorati, e quella sera l'aria era talmente limpida e chiara che mi parve di scorgere le ombre degli uomini che compivano gli ultimi preparativi.
"Laggiù" dissi, indicando col dito un punto della notte. "E' da lì che partiranno i fuochi"
Un leggero movimento al mio fianco mi fece capire che Aelred si era voltato a guardare nella direzione da me indicata.
Mi girai verso di lui e scorsi, scolpito nell'aria più chiara, il forte rilievo del suo profilo oscuro.
Allora anche lui si volse verso di me e il suo volto scomparve, mentre i suoi capelli si accesero di riflessi argentati, formando un'aureola di luce color latte.
Improvvisamente fui sopraffatto dalla sensazione di avere accanto la creatura di una di quelle fiabe che mio padre mi raccontava la sera, quand'ero bambino, per farmi addormentare.
Un essere irreale, fatto della stessa sostanza dei sogni e che sarebbe bastato un alito di vento o un movimento sgraziato da parte mia, perché svanisse per sempre, inghiottito dalla notte.
Non ebbi il tempo di riflettere sulla stretta che mi aveva contratto lo stomaco a quel pensiero, perché improvvisamente un forte sibilo ruppe l'oscurità e il cielo si accese di rosso. Istintivamente alzai lo sguardo verso l'alto e scorsi sulla nostra testa un enorme ombrello color sangue, che immediatamente si scompose in milioni di scintille cadenti. Poi di nuovo il buio e pochi secondi dopo un altro boato e un fiore delicato color indaco si aprì, per poi dividersi in una miriade di altri piccoli fiori multicolori. Dopo fu la volta di innumerevoli delicate composizioni, leggere come merletti, bianchi e arancio, e a questo punto, come tutti gli anni, portai le mani alle orecchie.
I suoni cominciarono a giungermi ovattati e distorti come se avessi immerso la testa sott'acqua. Mi tuffai in quella sensazione straniante, simile ad una perdita di coscienza, cominciando a vagare lontano con la mente. Però, quando dal cielo prese a scendere una pioggia color oro, mi sentii talmente sopraffatto dalla bellezza che sentii il bisogno di dividere quella sensazione con qualcuno. Allora abbassai lo sguardo sul mio silenzioso compagno. L'uomo del filo offriva alla luce la gola indifesa. Il volto e i capelli erano color arancio e lui, con la bocca leggermente schiusa, sembrava bere alla fonte di quella luce e assorbirla nel suo corpo oscuro.
Scioccamente cominciai a pensare che presto ogni parte di lui si sarebbe illuminata, fino a farlo assomigliare ad una lucciola estiva.
Mentre ero immerso in queste fantasie puerili, Aelred abbassò lo sguardo e mi guardò. Non so cosa vide, ma un'espressione di stupore gli spalancò leggermente gli occhi. Poi sorrise e le sue labbra pronunciarono parole che non udii. Annuii ugualmente e segui il suo dito che indicava il cielo, annuendo ancora una volta, verso l'enorme ombrello della notte.

******
La gente cominciò a sfollare lentamente, commentando ad alta voce lo spettacolo. Avvertivo intorno a me l'eccitazione e la stanchezza, ma anche quella malinconia che segue la fine della festa.
Sì, era finita, definitivamente finita. Eppure non riuscivo a sentirmi triste. Ero ancora troppo stordito dalle emozioni provate in quell'incredibile giornata per poter anche solo pensare a qualcos'altro. Rimasi fermo dov'ero, mentre la folla andava via, seduto con le gambe piegate, il capo appoggiato sulle ginocchia e gli occhi chiusi.
"Ti sei addormento?" disse una voce morbida, accanto a me. Sorrisi e aprii gli occhi. Mi accorsi così che la collina era oramai deserta. Nella città sotto i nostri piedi, ad una ad una le luci colorate si stavano spegnendo, e ciò faceva risaltare ancora di più lo splendore della luna.
"No," dissi, "Ma non ho nessuna voglia di alzarmi, si sta troppo bene qui."
"Non hai freddo?"
Il vento leggero della notte piegava le cime degli alberi, ma io ero avvolto nel mio mantello e quasi non lo  avvertivo. Soprattutto però percepivo il calore del corpo a fianco a me. Mi accorsi, così, che sebbene ora avessimo tutta la collina a nostra disposizione, nessuno di noi due si era spostato di un pollice, e ancora eravamo stretti l'uno all'altro, come poco prima in mezzo alla folla.
"No, non ho freddo," risposi, ma non ebbi il coraggio di spiegare il perché.
Alzai la testa e lo guardai di nuovo. Il suo volto adesso era scavato da profonde ombre scure e al posto dei suoi occhi si scorgevano due buchi senza colore. 
D'impulso alzai la mano e toccai il suo volto per sincerarmi che fosse reale.
Avvertii sotto le dita la sua pelle morbida e asciutta e il mio tocco indugiò, diventando una carezza.
Egli abbassò la testa e lentamente le sue labbra scesero ad incontrare le mie.

Non mi aspettavo che mi baciasse, né quel pensiero mi aveva mai sfiorato la mente, ma nell'attimo esatto in cui lo fece, fu come se non avessi mai desiderato altro in tutta la vita.
La mia mano si annidò nei suoi capelli, mentre lui mi attirava a sé, con le braccia allacciate intorno alla mia cintura. I nostri volti si toccarono e la sua bocca cominciò a muoversi morbida sulla mia.
Appena sentii la sua lingua cercare di farsi strada tra le mie labbra, istintivamente mi ritrassi, ma lui mi strinse a sé, dolcemente, e mi costrinse ad appoggiare il volto sulle sue spalle. Rimasi lì con gli occhi spalancati e il fiato corto, a godermi il tepore delle sue mani che salivano lungo la schiena e mi accarezzavano la nuca, i capelli, le guance.
Sentii il suo fiato all'interno del mio orecchio.
"Tu non hai la più pallida idea di quello che sta succedendo, vero Moibe?" mi sussurrò dolcemente.
Non sapevo cosa intendesse, perciò, scossi la testa pieno di vergogna.
"Se non vuoi, se non ti piace, posso smettere," disse ancora.
Alzai lo sguardo e fissai i miei occhi sulla macchia oscura del suo viso. Egli smise di accarezzarmi e le sue braccia abbandonarono il mio corpo. Compresi che stava per allontanarsi e quel semplice pensiero bastò per causarmi una fitta di panico. Mi aggrappai a lui con un moto di disperazione e lo strinsi forte, alzando il volto per offrirgli ancora la mia bocca.
Lui ridacchiò piano.
"D'accordo," disse "ho capito. Ma allora devi fidarti di me. Vuoi?."
Annuii convulsamente, benché non avessi che una pallida idea di quello che sarebbe avvenuto in seguito.
Aelred mi accarezzò i capelli e li baciò, la sua bocca scese lentamente sulle mie tempie, sugli occhi e sulle guance. Infine, raggiunse di nuovo le mie labbra e prese a succhiarle e a mordicchiarle coi denti.
Le schiusi istintivamente, accogliendo la sua lingua tenera e calda. La sentii vibrare dentro di me e ne gustai il sapore di mandorla dolce-amara. Mi stimolò ad entrare con la mia lingua dentro la sua bocca, mentre le sue mani trafficavano con la fibbia del mio mantello. Ci staccammo per permettere alla tunica di essere sfilata dalla mia testa. Adesso le sue mani percorrevano la mia pelle nuda e il calore, che già avvertivo in ogni parte del corpo, mi raggiunse il cervello, provocandomi un languore mortale, che mi liquefece le ossa.
Improvvisamente la schiena sembrò incapace di sostenermi e scivolai lentamente supino, trascinandomi dietro il mio compagno, di nuovo incollato alla mia bocca.
Ad un certo momento, Aelred si rimise seduto e con un unico movimento si tolse la camicia. Poi, mi slacciò i
calzoni e tentò di abbassarli. Dovetti aiutarlo, inarcando la schiena e sollevando le gambe. Egli ne approfittò per baciarmi le cosce e la sua lingua prese ad indugiare sempre più vicino al mio inguine.
Urlai di stupore e di piacere quando essa cominciò a scorrere lungo il mio sesso. Poi, pensai con terrore che mi sarebbe accaduta quella strana cosa, che mi succedeva sempre quando nel buio della notte mi toccavo.
Cosa avrebbe pensato di me? Forse avrebbe provato disgusto di quell'umore latteo che usciva dai recessi del mio corpo. Cercai di divincolarmi, ma lui mi tenne fermo con gentilezza.
"Shhh, Moibe" sussurrò, "non aver paura va tutto bene. Voglio solo darti piacere."
E così dicendo abbassò di nuovo la testa e mi prese interamente nella sua bocca. Dovetti mordermi le labbra per non urlare di nuovo e anche se tentavo disperatamente di trattenermi alla fine la linfa sgorgò fuori di me.
Subito dopo egli si sollevò e raggiunse nuovamente l'altezza del mio viso, rosso per la vergogna.
"Mi dispiace," dissi, "Davvero, non volevo."
Pensavo con un dolore cocente di averlo veramente offeso e che adesso si sarebbe alzato e se ne sarebbe
andato via, pieno di sdegno.
La sua risata cristallina mi sorprese.
"Moibe, ma di cosa ti scusi? Guarda che è quello che succede a tutti gli uomini. È una cosa normalissima, significa soltanto che hai raggiunto il massimo del piacere.. non hai niente di cui vergognarti."
Le sue parole per un verso mi tranquillizzarono, per un altro stavano per accendermi in mente mille congetture, quando fui distratto dalle sue mani che avevano ricominciato ad accarezzarmi i capelli, mentre
la sua bocca si era nuovamente incollata sulla mia.
"Toccami, anche tu." Mi disse il suo respiro. E guidò le mia mani sul suo torace di velluto. Cominciai ad accarezzarlo nello stesso modo che lui aveva usato con me. Quando sfiorai casualmente il suo capezzolo lo
sentii mugolare. Allora mi fermai su di esso stimolandolo con le dita e lo sentii inturgidirsi sotto il mio tocco.
"Fallo con la bocca." disse lui, con voce ansimante.
Provai ciò che mi suggeriva, assaporando così il gusto squisito della sua pelle e subito lo sentii rabbrividire. La mia mano scese lungo il suo ventre e si fermò sul suo sesso duro, ancora nascosto dentro la stoffa ruvida dei suoi calzoni.
"Togliti questa roba" sbuffai d'impazienza, cominciando io stesso a slacciarli con imperizia. Egli allontanò le mie mani e si alzò sul busto. In fretta si liberò del suo ultimo indumento e finalmente, completamente nudi  ci abbandonammo sul terreno duro, abbracciati tanto strettamente che avvertivo ogni sporgenza del suo corpo penetrarmi, così come sapevo di potermi rintanare in ogni sua rientranza, cosicché presto fummo come un'unica creatura, avvinti dentro un unico cuore pulsante, fuso nel battito stesso del mondo.
Quando poco dopo, Aelred mi prese dentro di sé e impresse il proprio ritmo alla mia carne, udii quello stesso cuore fermarsi di colpo, congelato, ed un immenso silenzio avvolgere l'oscurità perfetta.
Mi aggrappai con le mani alle sue cosce, che si avvolsero strette, intorno alla mia vita e cominciammo ad ondeggiare all'unisono, battendo il tempo di una musica misteriosa, sepolta nel buio dei nostri corpi.
Egli mi prese la mano e la portò sul suo sesso, e rimase avvolta intorno alla mia per guidarla con delicatezza.
Esplosi per primo, gridando il mio piacere e un attimo dopo sentii la mia mano, stretta intorno al membro del
mio compagno, inondata dal suo seme. Allora aprii gli occhi e vidi al riflesso della luna, gli occhi di Aelred perduti in un'estasi assoluta.
E in quel preciso momento pensai con gratitudine agli dei, che nella loro eterna gioia, riversano su noi umani il dono sacro della bellezza, come fosse miele traboccante da un'inesauribile abbondanza, e dissi a me stesso che era in nome di quel dono, che essi acquisivano il diritto tremendo di infliggerci ogni sofferenza, ogni genere di morte.
Infine, ricaddi esausto su quel corpo, talmente privo di forze, che Aelred dovette spostarmi di peso e adagiarmi al suo fianco. Poi ci avvolse entrambi con i nostri mantelli, mi accolse tra le sue braccia nervose e, dopo avermi baciato gli occhi e le labbra, prese a sussurrarmi nell'orecchio qualcosa d'incomprensibile.
Ridacchiai quando compresi che Aelred stava semplicemente cullandomi con una nenia, nella sua lingua natia. Ancora ridendo, sprofondai nel sonno.
* * *
Non ricordo che sogno stessi facendo, ricordo solo la voce insistente che mio malgrado, mi strappò da esso.
Aprii gli occhi e vidi il cielo azzurro disteso sopra di me. I
Il sole non era ancora sorto, ma le stelle erano già impallidite e ad oriente l'aria aveva cominciato a tingersi di rosa. Completamente disorientato mi misi a sedere di colpo. Avevo dormito all'aperto, sul terreno duro, annidato dentro un mantello scuro che non era il  mio. La mia schiena era a pezzi, ma il mi corpo era avvolto in un piacevole calore.
"Finalmente," disse una voce accanto a me.
Sbattei le palpebre e guardai stupito l'uomo inginocchiato al mio fianco.
AELRED!
Il ricordo della notte precedente tornò prepotente, con un tale dovizia di particolari che mi sentii arrossire.
"Scusami, se ti ho svegliato, ma è tardi. Il circo fra poco smonterà le tende e non vorrei che mi lasciassero
qui."
Tardi? Oh, per gli dei! Boccheggiai, tirandomi su di colpo, per scoprire con un enorme imbarazzo di essere nudo sotto il mantello. Cominciai spasmodicamente a cercare i miei vestiti, tentando nello stesso tempo di coprirmi, il tutto sotto lo sguardo ironico dell'uomo del filo.
"Ehi, sta' calmo! Ma che ti prende?"
"Mio padre" risposi ansimando "sarà morto di spavento... Io non ho mai... non avevo mai...prima d'ora..."
Nel frattempo avevo trovato la mia tunica e cercavo disperatamente d'infilarla, ma l'apertura era improvvisamente diventata troppo stretta per la mia testa. Rimasi intrappolato in mezzo alla stoffa, mentre sentivo le cuciture scricchiolare.
"Ma che diavolo gli piglia a questa cosa?" Urlai rabbioso.
"Se cerchi d'infilare la testa nella manica non credo che la tua tunica abbia alcuna colpa. Aspetta lascia che ti aiuti."
Sentii le sue mani attraverso la stoffa, strattonare l'indumento e rigirarlo, finché riemersi nell'aria mattutina. Lui era in piedi davanti a me, ancora a dorso nudo, tanto vicino che avvertivo il calore emanare dal suo corpo. Per la prima volta avevo modo di vederlo alla chiara luce del giorno. Potei così notare alcuni particolari che mi erano sfuggiti. Il colore dei suoi occhi, ad esempio, che credevo azzurro cupo, e che invece si accendevano di una strana sfumatura grigio-ghiaccio, o le leggerissime efelidi che macchiavano il suo naso abbronzato. Notai anche che la pelle del suo corpo era molto più chiara rispetto a quella del viso e delle braccia. Una pelle tersa ed immacolata, come se mai fosse stata sfiorata da un solo raggio di sole.
"Sono Aelred, il funambolo, piacere di conoscerla, signore!" disse ridendo.
Arrossii e distolsi lo sguardo, ma lui continuò a ridere così di cuore che finii per esserne contagiato.
Ci ritrovammo l'uno nelle braccia dell'altro, uniti da un'ilarità inarrestabile. Fu lui a smettere per primo, anche se una traccia di riso rimase nel fondo dei suoi occhi umidi.
"Meno male," disse "pensavo che fossi una di quelle persone che si svegliano con la luna storta."
Poi cercò le mie labbra e io gliele offrii ancora atteggiate al riso. Ci baciammo profondamente, le bocche incollate e le lingue che si cercavano, e di colpo ritrovai con un profondo senso di gratitudine, tutto l'incanto della sera prima.
Quando ci staccammo le mie gambe tremavano così vistosamente che dovetti sorreggermi a lui e rimasi lì fermo con il capo appoggiato sulla sua spalla.
"Portami con te, per piacere Aelred, lascia che venga via insieme a te." sussurrai.
Lui mi staccò con delicatezza e mi guardò, improvvisamente serio.
"Non sai cosa stai chiedendo," disse "Non puoi davvero desiderare di lasciare la tua famiglia, i tuoi amici, per.. per una vita che non conosci affatto."
"Ma conosco la mia di vita!" quasi urlai "ogni giorno sempre la stessa inutile fatica.. dentro la bottega di.. mio padre. Nessuno mi ha chiesto cosa volessi davvero, sono rimasto intrappolato in quella gabbia solo perché è il mestiere della mia famiglia.."
"Ma, Moibe," disse lui spalancando gli occhi per la meraviglia, "nessuno ha mai chiesto niente neppure a me. Faccio il funambolo semplicemente perché ho preso il posto di mio padre, quando è caduto e non è più riuscito a rimettersi in piedi. Ero il più grande di cinque fratelli e la mia famiglia sarebbe morta di fame se non ci fossi stato io. Credi forse che abbia avuto scelta? "
Tacque pensieroso, per un attimo.
"Sai, da bambino l'unica cosa che sognavo era di possedere una casa. Mi sarebbe piaciuto che fosse in riva al mare, tutta dipinta di bianco e con i muri coperti di 'edera rampicante".
Poi si strinse nelle spalle e guardò lontano, un punto perduto nell'orizzonte sereno.
"Viviamo tutti dentro una gabbia, solo che alcune di esse danno l'illusione di essere più spaziose. Tutto qui."
"Ma io non ho alcun fratello da mantenere" insistetti con rabbia "Io posso andare dove mi pare, anche mia madre è morta. Siamo solo io e mio padre.."
Lo sguardo di Aelred si fissò duro sul mio volto.
"Davvero?" disse, "e così lo lasceresti completamente da solo? "E dimmi che cosa ne sarà di lui quando sarà
troppo vecchio per continuare a lavorare? E quando morirà chi canterà le canzoni funebri sul suo feretro?"
Ammutolii e il mio viso si fece paonazzo per la  vergogna.
Aelred sorrise e mi diede un colpetto sulla spalla.
"Dai," disse "affrettiamoci, si sta facendo davvero molto tardi."
Finimmo di vestirci in silenzio, ognuno di noi immerso profondamente nei propri pensieri,  e appena pronti ci avviammo lungo il sentiero che portava in città.
Arrivati ad un bivio, Aelred si diresse con decisione verso quel lato della biforcazione che avevamo percorso la sera prima per salire in collina. Ma io mi bloccai sul ciglio della strada. Come si accorse che non lo stavo seguendo, si fermò e si voltò a guardarmi con aria interrogativa.
"La mia casa è da quella parte" dissi, indicando l'altro sentiero. Lui guardò la direzione del mio dito e annuì serio.
"Allora ci salutiamo qui," disse con una nota di forzata allegria nella voce.
Rimasi fremo a guardarlo, con i pugni stretti contro le cosce.
"Non ci rivedremo mai più vero?" chiesi con una specie di rabbia.
"Non è detto" disse l'uomo del filo, "in fondo il circo passa da queste parti ogni anno."
"Ma non è mai lo stesso circo, ed anche se lo è, la gente è sempre diversa."
Abbassai la testa per non mostrare le lacrime che avevano cominciato a scendermi lungo le guance.
Vidi i suoi piedi avvicinarsi ed avvertii il calore del suo corpo davanti a me
"Moibe.." mi chiamò, ma io non dissi niente. Sapevo che se gli avessi risposto mi sarei messo a singhiozzare come un bambino, perciò rimasi a testa bassa, e mi asciugai di soppiatto gli occhi con una manica della tunica. Lo sentii sospirare, poi le sue dita mi afferrarono il mento e mi costrinsero a sollevare il volto. Lo sguardo dei suoi occhi grigi era colmo di serenità.
"Lasciamo fare agli dei, d'accordo Moibe. La vita è lunga ed è tanto bizzarra.. davvero, non si può mai dire.."
Mi attirò a sé, con entrambe le mani intorno al mio viso e mi baciò con tenerezza. Risposi con una specie di spasmodica disperazione, annidandomi ancora una volta in quella dolcezza di miele e zenzero.

Fu allora che compresi, per la prima volta nella mia giovane esistenza, che esistono momenti di una dolcezza indicibile, che pure possono farti tanto male da straziarti il cuore e che le correnti della vita certe volte confluiscono dentro questo miscuglio indistricabile di gioia e di dolore. Ma seppi anche, con la forza di un'evidenza assoluta, che a dispetto di tutta la sofferenza che ci arrecano, tali momenti sono preziosi come gocce di luce nell'oscurità.

Quando ci staccammo lui mi sorrise di nuovo. Avrei voluto dire tante cose, parole che servissero a trattenerlo, o soltanto a fargli capire cosa provavo dentro di me. Ma sentivo chiaramente che niente sarebbe stato all'altezza della rivelazione che avevo appena ricevuto.
Dietro la sua testa vidi il sole che cominciava a sorgere sulle montagne.
"E' meglio che vada adesso," mi limitai a dire "forse mio padre non si è nemmeno accorto della mia assenza,
chissà, magari riesco ad entrare in casa prima che si svegli.."
Lui annuì con calma ed io cominciai ad avviarmi lungo la strada deserta. Dopo pochi passi mi voltai. Lui era ancora lì, fermo sul ciglio, e mi guardava serio.
Appena vide che lo stavo guardando alzò il braccio, e : "Arrivederci, Moibe," mi salutò "e non essere triste, d'accordo?"
Sorrisi e lo salutai a mia volta agitando la mano, poi ripresi il mio cammini, senza più voltarmi indietro.

*****

Ogni anno a principio dell'estate il circo arrivava nella nostra città in un rutilare di luci, suoni ed odori. Ed ogni anno, all'alba del quarto giorno, svaniva in silenzio.
Così. Semplicemente.
La gente appena sveglia, non trovava più la piazza invasa da tende colorate, né da carri, né da tizi esotici e da animali rari. Il circo se n'era andato via, in chissà quali luoghi lontani, lasciandoci a vivere le nostre vite d'ogni giorno.

Quell'anno, durante la pausa per il pranzo, alcuni apprendisti presero a scherzare sull'uscio della bottega di mio padre. Uno di loro, un giovane piuttosto sfrontato, aveva preso di mira il mendicante guercio, che si sedeva sempre all'angolo della nostra strada.
"Ehi, Kostiah, che te n'è parso della festa di quest'anno? " gli urlò ad un certo punto, scambiando uno sguardo d'intesa con gli altri giovinastri.
"E' stata uno schifo." Gracchiò il guercio "Ah quando ero giovane io! Quelle sì che erano feste."
Uno scoppio d'ilarità generale accolse le sue parole.
"Ohè, vecchio! Com'è che dici ogni anno la stessa cosa? Non è che sei tu che diventi sempre più rimbambito?" disse l'apprendista ridendo. Il guercio cominciò ad inveire alla volta dei ragazzi, ma questo servì solo ad aumentare la loro sguaiata allegria. 
"Su, su! Non ti arrabbiare, ora," disse di nuovo l'altro con finta serietà, "Ma dimmi, che cos'è che ti piaceva tanto delle feste di quando eri giovane?"
"Ma che domande gli fai?" intervenne un altro "Cosa vuoi che gli piacesse a quel maiale? Il culo delle ballerine, naturalmente" e giù di nuovo a ridere.
"Finitela di tormentare quel vecchio," disse la voce di mio padre "se non avete niente di meglio da fare è meglio che torniate a lavorare."
L'ilarità cessò di colpo. Il padrone sembrava davvero di malumore quella mattina! Tutti rientrarono mogi nella bottega, solo il ragazzo sfrontato esitò un attimo in più sulla soglia.
"Be', certo però che è stato davvero bello lo spettacolo dell'uomo del filo," disse e rimase fermo, con lo sguardo perso verso il cielo terso di nubi.

Poi rientrò e chiuse la porta dietro di sé.







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