Figli del Nilo

di Cioppys

Capitolo 1 : Akhet [La Stagione della Inondazione del Grande Fiume]

"Questa sarà la tua camera"

Jun entrò nella piccola stanza piastrellata, dalle pareti completamente spoglie. In un angolo era situato un letto basso con capezzale e cuscino, sul quale poggiavano ripiegate delle coperte di lino, leggere per l'estate e pesanti per l'inverno; insieme ad esse, alcuni indumenti di diversi colori: azzurro, rosso e anche bianco. A fianco del giaciglio erano collocate due casse, sulle quale vi erano uno specchio di metallo accuratamente lucidato, dalla forma rotonda e dal manico decorato, e una lampada ad olio.

"Prova quei perizomi" gli disse il possente schiavo a cui Akira era stato affidato "Nel caso non ti andassero bene, informami. Provvederò personalmente che ti diano quelle della giusta misura"

Akira fece un cenno affermativo del capo, continuando ad osservarsi curioso in giro. Si avvicinò al basso letto e sfiorò con le dita i tre indumenti. Erano soffici. Poi raggiunse la finestra dalla quale filtravano i raggi del sole che illuminavano la stanza. Fu uno splendido panorama di Tebe ad accoglierlo una volta sollevata la stuoia che la ricopriva. Sotto di essa scorrevano lente le acque scure, cariche di limo, del Grande Fiume.

Era una bella stanza, anche se molto spartana e semplice rispetto agli appartamenti del Principe situati proprio a fianco; appartamenti che Akira ebbe opportunità di vedere appena Hisashi lo chiamò al suo cospetto. Decorati non solo da tendaggi dai colori vivaci e arazzi con rappresentazioni del Dio del Sole, Ra, a cui il figlio del Faraone era stato consacrato, ma anche da piccole e medie statue, mobili ornati con l'avorio e un grande specchio dal rotondo contorno laminato d'oro. Inoltre un’immensa porta-finestra si apriva su un bellissimo giardino, nel quale spiccavano acacie e cespugli di fiori appena sbocciati, nonchè un grande salice i cui rami pendenti, ricchi di foglie, nascondevano il tronco principale.

"Da quello che ho capito sei anche uno scriba, vero?"

La domanda del Principe sorprese Akira intento ad osservare lo splendore di quegli appartamenti, uno splendore ben superiore a quello a cui era abituato nel palazzo del Visir Kaede.

"Ti sei incantato?"

Hisashi si avvicinò. Akira sentiva lo sguardo fisso del Principe percorrere i lineamenti del suo viso, e iniziò a sentirsi a disagio. Abbassò leggermente il capo, quanto bastava per non incrociare quegli occhi neri come l'inchiostro che usava sui papiri; occhi illuminati da una strana luce che non solo lo mettevano in agitazione, ma riuscivano addirittura a turbarlo... Si stava domandando il perchè provasse queste strane sensazioni, quando una mano gli bloccò il mento, obbligandolo rialzare la testa.

"Guarda che non ti mangio mica..." gli sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra.

Sorpreso dal fatto che la distanza tra loro si fosse ridotta al minimo, Akira fece un passo indietro, sfuggendo alla sua presa. Hisashi esaminò il comportamento dello schiavo con una certa meraviglia, non capendo perchè stesse reagendo in quel modo, poi notò un particolare...

"Tu stai tremando..."

Akira osservò le proprie mani. Nonostante lui pensava di averle perfettamente ferme e immobili le ritrovò scosse da piccoli e veloci movimenti. Credendo di aver offeso il Principe con il proprio comportamento infantile, si inginocchiò ai suoi piedi invocando perdono.

"Alzati" disse Hisashi, un po' scocciato da tutte quelle giustificazioni "Non hai proprio nulla di cui scusarti. Probabilmente sarai un po' agitato a causa del tuo trasferimento a corte... oppure hai paura di me..."

Akira notò una certa amarezza nell'ultima frase. Prontamente si rimise in piedi, negando con sicurezza. Non si riusciva a spiegare quello che fosse successo nel proprio subconscio, ma non era di certo paura verso il suo signore. Era stato qualcosa, un gesto o una parola, che l'aveva riportato indietro nella memoria, verso fatti che con enorme fatica e sacrificio aveva racchiuso in una parte inaccessibile della sua mente, quella governata dall'oblio... Ora però si era ripreso ed era pronto a compiere il suo dovere di schiavo, peccato che Hisashi non fosse della stessa idea...

"Oggi sei libero di girare per la corte come più ti aggrada, così avrai modo di conoscere il luogo e ambientarti. Se qualcuno ha qualcosa da ridire sul fatto che vaghi senza meta, digli che è stato il Principe Hisashi ad ordinartelo... voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di venire da me a verificare le tue parole..."

"Ma..."

"Niente 'ma'..." lo interruppe severo Hisashi "Il mio è un ordine"

Il figlio del Faraone riprese posto dietro la sua scrivania, su cui erano srotolati e sparsi numerosi papiri. A giudicare dal loro contenuto - leoni e tori, antilopi e diverse specie di uccelli, le armi più appropriate per ogni animale e relative tecniche di agguato - Akira capì che il Principe era un appassionato di caccia. Si chiese se in questa sua passione rientrasse anche la pesca, visto che lui amava molto quel passatempo...

Senza rendersene conto viaggiò con la fantasia, e costruì un'immagine di pace e tranquillità: lui e il suo nuovo signore seduti all'interno di una piccola imbarcazione, lungo le sponde del Grande Fiume, con le canne da pesca pronte all'uso... Un sorriso si allargò sul suo viso candido.

"S-sei ancora qui?"

L'incertezza nella voce di Hisashi, poco prima così solenne e decisa, catturò l'attenzione dello schiavo, che fu decisamente sorpreso di trovarsi il volto dell'altro completamente bordò, come imbarazzato... ma da cosa?

"Allora?" lo intimò il futuro sovrano, sempre con un certo disagio "Vai! Su! Sparisci!"

Akira non si fece ripetere l'ordine per l'ennesima volta, congedandosi dal suo signore con un cortese inchino. Si avviò verso la porta che conduceva al corridoio, ma prima di sparire oltre la soglia lanciò un ultima occhiata verso la lucida scrivania sommersa dalla carta. Hisashi lo stava osservando, ma, come un bambino sorpreso a rubare i biscotti, subito distolse lo sguardo abbassandolo sui papiri. Nonostante lo schiavo fosse rimasto un po' perplesso da quel comportamento, varcò la soglia, chiudendo l'uscio alle proprie spalle.

*

Per l'ennesima volta raccolse con le mani a coppa l'acqua fredda dalla bacinella. Per l'ennesima volta lasciò che questa scorresse sul suo viso, sperando che il bruciante rossore che colorava le sue guance sparisse. Era preoccupato dalle strane emozioni e soprattutto reazioni che quel ragazzo dai capelli a punta gli provocava. Nel momento in cui l'aveva visto sorridere, un forte calore gli era salito al viso, facendolo avvampare. Nel frattempo, un medesimo calore era disceso al basso ventre... e la vergogna che provava per quello che era successo era immensa.

Siccome non riusciva a trovare nessuna logica che spiegasse tale reazione del corpo, Hisashi si sedette nuovamente dietro la scrivania, concentrandosi solo sui papiri di cui era sommersa, sperando di poter così dimenticare l'accaduto. E per sua fortuna ci riuscì.

Dopo poco tempo, infatti, stava nuovamente esaminando i vari scritti, completamente rapito dal loro contenuto. La caccia era il suo passatempo preferito. Amava studiare le proprie prede per capirne il comportamento. Amava inventare nuove strategie per sorprendere gli animali. Ma soprattutto, amava quando l'adrenalina invadeva il suo essere poco prima di iniziare un agguato, e la soddisfazione della sua buona riuscita.

Ora stava organizzando un'altra partita di caccia che si sarebbe svolta tra una settimana o più. Le dispense della corte e dell'esercito del Faraone avevano bisogno di rifornimenti e l'inondazione del Nilo, con la crescita di nuova erba, avrebbe sicuramente attirato una gran quantità di animali sulle sue rive. Semplicemente un'occasione da non perdere. Così, a guida di una piccola guarnigione insieme al Grande Leone d'Egitto, Hisashi si sarebbe spostato verso sud, dove i pascoli erano più rigogliosi, e numerose antilopi avrebbero assediato le sponde del Grande Fiume.

Pensando a Kenji, sorrise. Gli ritornò in mente il giorno della caccia agli ippopotami, quando il suo intervento era stato determinante per la salvezza di Toru, il Primo Ufficiale. Il ricordo degli occhi pieni di terrore del Grande Leone d'Egitto, l'impeto con cui si era precipitato da Toru appena questo era stato issato sulla sua nave, il Vento del Deserto, l'energia con cui l'aveva abbracciato, stringendolo possessivamente a sè, sull'orlo delle lacrime. Al momento aveva pensato che i due fossero legati da una profonda amicizia, e questo poteva giustificare l'enorme dimostrazione di affetto. Peccato che in realtà si sbagliasse...
La verità l'aveva scoperta quella sera stessa. Dopo che il piccolo contingente militare si era accampato per la notte sulla riva occidentale del grande fiume, il Principe si era recato al Tempio di Osiride, situato nelle vicinanze, per rendere omaggio alla divinità e ringraziarlo per la buona riuscita della caccia e dell'abbondante selvaggina catturata. Era stato all'interno del sacro edificio, durante la venerazione, che strani rumori avevano attirato la sua attenzione verso una delle sale adiacenti, quella dedicata alla Dea Hathor. E solo quando era giunto in prossimità dell'entrata del locale riuscì a percepire distintamente gli ansiti di passione di due persone. Toru e Kenji giacevano proprio di fronte all'altare su cui si erigeva la piccola statua della Dea dell'amore, dalle forme di donna e testa umana, con corna e orecchie dalle fattezze bovine e il disco solare affiancato da due alte penne di struzzo. Gli occhi chiusi e il viso arrossato, la pelle percorsa da gocce di sudore e la voce strozzata dall'eccitazione crescente per l'atto di possesso che il giovane vice stava eseguendo sul proprio superiore, il quale si lasciava amare con trasporto e bramosia...

Grazie alla scoperta che aveva fatto su Kenji, poteva finalmente capire perchè il Grande Leone d'Egitto non aveva ancora preso moglie, nonostante molti nobili gli avessero offerto di sposare le proprie figlie. Il sentimento tra i due militari era ben più forte di quella che aveva creduto una semplice amicizia; ma se all'inizio la verità l'aveva sorpreso e turbato, con il passare del tempo si era rasserenato, arrivando anche ad invidiare quel sincero legame che li univa, quando gli capitava di osservarli...

Il Principe si alzò dalla sua scrivania portandosi sulla piccola veranda, da dove osservò la riva che bagnava la piccola penisola che andava a formare il suo giardino privato, a ridosso della quale numerosi fiori di loto bianco e azzurro stavano sbocciando. Si avvicinò ad uno dei cespugli posti vicino alla veranda e staccò un fiore. Lo portò al viso e inalò il delicato profumo che emanava.

Chiuse gli occhi, inebriato da esso, e nella sua mente apparve l'immagine di una persona, quella persona dagli strani capelli a punta, i cui occhi erano così azzurri da somigliare a lapislazzuli perfettamente lavorati... e lui li stava fissando intensamente, con passione e desiderio, mentre le mani esploravano ogni parte del suo corpo, dal viso all'addome, dai pettorali alla schiena, percorrendo quella pelle candida e morbida...

Il fiore cadde a terra. Occhi spalancati dallo stupore per l'immagine evocata. Mani che tremavano a causa dell'inquietudine. Di nuovo quella sensazione di calore sul basso ventre, con la medesima reazione. E il pensiero di cosa fosse in realtà quella sensazione che nutriva nei confronti di Akira fece capolino nella sua testa, ma immediatamente fu respinto, scacciato, senza nessuna possibilità di dar luce alla verità.

Agitato, rientrò negli appartamenti, andandosi a sdraiare sul suo giaciglio. Un leggero mal di testa iniziò a dolergli le tempie. Si mise a sedere sul bordo del letto e prese in mano una piccola boccetta di argilla, appoggiata sul piano del mobile a fianco. Tolse il tappo che la richiudeva e si apprestò a versare il liquido rosso in essa contenuta in un bicchiere colmo d'acqua.

'Non esagerare' gli aveva detto Kazushi 'è un medicinale molto potente che potrebbe anche uccidere. Due gocce sono più che sufficienti per combattere la tua emicrania'.

E due gocce furono. Con impazienza, aspettò che il Fuoco di Papavero si mescolasse con l'acqua, per poi sorseggiarlo avidamente. Si distese nuovamente e la medicina, in poco tempo, fece il suo effetto: il mal di testa svanì in modo da permettere al Principe di assopirsi serenamente.

*

"Ehi! Akira!"

Il ragazzo dai capelli a punta si guardò intorno non capendo chi l'avesse chiamato, ma appena scorse la capigliatura cremisi tra i numerosi nobili che discorrevano nel giardino principale del Palazzo del Sole, corse incontro al proprio amico d'infanzia.

"Hanamichi!!" abbracciò calorosamente l'alto ragazzo dalla pelle bronzea, che sorrideva felice per l'incontro inaspettato "Che cosa ci fai qui? Pensavo che foste già rientrati al Palazzo della Luna..."

"E invece ti sbagli porcospino! Kaede è a colloquio privato con il Faraone. Stanno discutendo su alcuni particolari relativi alla costruzione della piramide..."

Proprio in quel periodo, infatti, si stava procedendo alla realizzazione della futura dimora eterna del Faraone Taoka. Mentre gli operai stavano terminando la vera e propria edificazione della struttura, lavoro che li aveva impegnati per quasi due decenni, i rivestimenti e le decorazioni dei locali interni erano ancora totalmente da fare, se non addirittura da decidere.

"Allora" prese parola il rosso "come procede il tuo primo giorno al servizio del Principe?"

L'allegria svanì di colpo dal suo viso, e si volse di lato per nascondere il volto all'amico. Lui - schiavo molto apprezzato proprio per la sua obbedienza, il suo rispetto e le sue capacità - invece di dare prova di sè aveva sfigurato di fronte al Principe. E se ne vergognava... ma più di tutto si vergognava per ciò che aveva pensato di lui...

"Akira, che hai? E' successo qualcosa?"

La voce di Hanamichi apparve preoccupata. Egli sapeva benissimo che quando il sorriso svaniva dalle labbra del moro c'era sicuramente qualcosa che non andava. Ormai lo conosceva bene avendo vissuto insieme nel Palazzo della Luna fin dalla più tenera età, lui al servizio di Kaede e l'amico al servizio del padre, l'allora Visir del Faraone. A differenza di Akira, però, Hanamichi non aveva avuto un'infanzia travagliata...

Quest'ultimo si spostò di lato, in modo da poter scrutare i suoi occhi azzurri, ma Akira glielo impedì girandosi nuovamente di centottanta gradi. A questo punto, Hanamichi chiuse le proprie braccia intorno alle sue spalle, in un gesto protettivo.

"Mi stai facendo preoccupare..." gli sussurrò all'orecchio, una volta che fu alla sua portata.

Le mani di Akira raggiunsero quelle del rosso e le strinsero. Il calore e la vicinanza del corpo di Hanamichi lo faceva sentire tranquillo, al sicuro. Con la schiena si accostò al suo petto, chiudendo gli occhi e sospirando lievemente, in modo da ritrovare la calma per potergli spiegare cosa fosse successo. Sapeva di potersi fidare, anche perchè quella persona era a conoscenza del suo passato e degli avvenimenti che lo avevano segnato, quindi poteva comprendere la sua inquietudine e il suo stato d'animo...

"Qui ci sono troppe orecchie all'ascolto. Andiamo da un'altra parte..."

Hanamichi sciolse l'abbraccio per poi afferrargli una mano e trascinarlo all'interno del palazzo, in una piccola sala deserta. Quindi rimase in attesa delle sue spiegazioni che però tardarono ad arrivare, innervosendo ancora di più il rosso.

"Non sarà che quel maledetto damerino ti sta maltrattando?!" esclamò irritato da quella prospettiva.

"Hana!! Ti ricordo che stai parlando del tuo futuro sovrano!!" gli disse Akira esterrefatto, cercando di fermare la sua irruenza. Sapeva che se avesse iniziato a strepitare insulti con il suo tono di voce per niente basso, qualcuno avrebbe potuto sentirlo, e le conseguenze non sarebbero state per niente benevole...

"...Giuro che se quell'infame di un principino ti ha solo sfiorato con un dito, io lo faccio finire in pasto ai coccodril... Hmf!!"

Akira fu decisamente molto lesto. Con una mano tappò la bocca al rosso giusto in tempo.
Nel corridoio adiacente alla sala transitò un gruppo di nobili, in testa ai quali c'era lo scriba che il giorno precedente aveva cantato un'ode in onore di Hisashi. Come tutti, anche lui era rimasto estasiato dalla sua prestazione canora. Comunque, a parte questi, che gettò una fugace occhiata oltre l'arcata che separava i due locali, nessuno si accorse della loro presenza. Una volta che furono passati, Akira attese qualche secondo prima di liberare il rosso.

"Ma che diavolo ti è saltato in mente?!" disse Hanamichi, dandosi forti colpi sul petto e tossendo "Stavi per soffocarmi!!"

"Dovresti imparare a controllare le tue parole... Un giorno o l'altro, per quello che dici, ti taglieranno la testa, e sarà il tuo corpo ad essere gettato in pasto ai coccodrilli" Akira fece un profondo respiro di sollievo per lo scampato pericolo "Comunque, il Principe non mi ha fatto assolutamente niente. Sono io ad essermi turbato per dei semplici gesti di cui ho frainteso il significato..."

Hanamichi si sedette proprio di fronte a lui, incrociando le gambe e appoggiando i gomiti sulla sommità delle ginocchia. Il perizoma che indossava si aprì a corona di fiore: era di un delicato bianco, il cui contrasto con la pelle lo rendeva ancora più scuro di carnagione. Quando lo invitò, Akira si sedette per terra nello stesso modo, così da stare comodi e guardarsi negli occhi.

"Ecco..." iniziò a parlare, titubante "Ieri durante la cerimonia ho avuto l'impressione che mi scrutasse continuamente. E in effetti mi stava guardando, intensamente..." Akira si fermò, non sapendo bene come spiegargli ciò che aveva provato quella mattina...

"Tutto qui?" chiese Hanamichi scettico, avendo capito che c'era dell'altro.

"No..." rispose mesto "Stamattina ho provato la stessa sensazione quando mi ha convocato nei suoi appartamenti, solo che, essendo più vicino, potevo vedere meglio i suoi occhi. E' successo che vi ho scorto una strana luce all'interno, una luce che ha riacceso un angolo della mia mente nel quale erano confinati ricordi che non volevo rimembrare... e questo ha fatto anche sì che io mi comportarsi scortesemente nei suoi confronti!"

Akira si strinse nelle proprie spalle, appoggiando il capo sopra le mani incrociate. Non voleva che la propria angoscia si manifestasse così apertamente, quindi cercò di restare calmo, ma i risultati non furono quelli sperati.

"Tu stai parlando di quei ricordi, vero?" gli chiese Hanamichi impensierito, mentre ragionava sulle sue parole.

"Si..." Un suono grave e pesante, abbastanza per far capire all'amico quale fosse il suo stato d'animo.

"E tu pensi che lui..."

"Non lo so, Hana!" lo interruppe "Ma il suo comportamento mi ha turbato! E anche il fatto che successivamente è arrossito..."

"C-come sarebbe a dire che è arrossito?" chiese il rosso, decisamente sorpreso dalle parole dell'altro.

"Sarebbe a dire che era come imbarazzato da qualcosa, ma non ho la più pallida idea di cosa potesse avergli provocato tale reazione..."

Tra i due schiavi scese un insolito silenzio. Hanamichi, così abituato a parlare, non sapeva che dire. Era a conoscenza di quello che il ragazzo dai capelli a punta aveva passato negli anni addietro, in quanto molte volte nelle lunghe notti d'Egitto si era ritrovato a consolarlo, stringendolo nelle sue possenti braccia mentre lui piangeva nel sonno.

"Non so come spiegarlo..." riprese Akira "ma quando il padre di Kaede è morto mi sono sentito veramente sollevato, perchè sapevo che la mia tortura era finalmente terminata. Ora però... ho paura, ho paura che tutto possa iniziare da capo... capisci cosa intendo?"

"Si, ho capito..." ad Hanamichi non era sfuggito il piccolo tremolio nella sua voce "Ma forse non ti stai fasciando la testa un po' troppo presto?"

"E' quello che ho pensato anch'io, ma la mia inquietudine rimane... Probabilmente mi sto semplicemente sbagliando sul suo conto..."

"...E comunque se prova solo a sfioranti lo trapasso con una lancia da parte a parte!" disse il rosso battendo un pugno sul proprio petto, con l'intento di rassicurare l'amico. Quello che voleva fargli capire era che su di lui poteva contare, in qualunque momento avesse bisogno.

"E sentiamo, do'aho, chi è che vorresti trapassare?"

Una voce fredda e sottile fece sussultare entrambi. La paura che qualcuno potesse aver ascoltato i loro discorsi fece sì che i due ragazzi si voltassero di scatto verso l'arcata che dava sul lungo corridoio che s'inoltrava all'interno del Palazzo del Sole. Sotto di essa videro Kaede. Il ragazzo era in piedi, fermo con le mani dietro la schiena, e uno sguardo che non pronosticava nulla di buono.

"Visir, è un piacere vedervi. Vi trovo in splendida forma" disse Akira alzandosi in piedi e facendo un caloroso inchino.

"Veramente sono stanco e vorrei rientrare per riposarmi..." gli occhi glaciali del moro si posarono sul suo schiavo "Do'aho! E' mezz'ora che ti cerco. Ti avevo detto di aspettarmi nel giardino..."

"Mio signore, perdonatemi, ma Akira aveva..."

"Non m'interessa" lo interruppe "Io ti avevo dato un ordine, e non l'hai rispettato. Mi chiedo perchè tu debba fare sempre di testa tua. Per questa volta passi, ma alla prossima dieci frustate non te le toglie nessuno" il Visir volse le spalle ad entrambi e si incamminò verso il giardino.

"Vai Hana, non ti preoccupare per me, me la caverò" Akira sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi nel tentativo di tranquillizzare l'amico e convincerlo a seguire il suo signore. Non voleva certo che questi si arrabbiasse e lo punisse a causa sua.

"Sicuro?" il sopracciglio destro del rosso si era alzato, in dubbio se lasciarlo o meno.

"Sicuro"

Dopo che Hanamichi scomparve nel lungo corridoio, Akira rimase solo con i suoi pensieri nella grande sala. Il Principe non gli era per niente sembrata una persona malvagia e opportunista, anzi. Era stato gentile da parte sua concedergli il giorno interno per ambientarsi a corte, il che non era poco. Il Palazzo del Sole era veramente enorme, molto di più di quello in cui aveva trascorso la propria infanzia e parte dell'adolescenza. C'erano innumerevoli sale, corridoi e giardini brulicanti di persone, che andavano dall'appertenere alla classe nobiliare fino a quella degli schiavi. Decise quindi di continuare il proprio giro, in modo da conoscere meglio quel posto a lui così sconosciuto. Voleva essere d'aiuto al suo signore e non d'intralcio, quindi cercò di dimenticare l'accaduto di quel giorno per concentrarsi sui suoi doveri. Non doveva farsi sopprimere dalla paura di una nuova disavventura, che giunse alla conclusione di essere infondata.

Così, si incamminò lungo il corridoio illuminato dal sole che risplendeva nell'Alto Egitto.

*

"Ecco il papiro che cercavi, mio signore"

Hisashi sollevò la testa dalle carte che stava esaminando per prendere il rotolo che Akira gli stava porgendo. Lo ringraziò per avergli trovato il documento di cui necessitava. Poi gli chiese di controllare se i suoi calcoli sulla piena del Grande Fiume, ormai iniziata da poco più di un mese, fossero corretti. Era sua intenzione consegnare al Faraone suo padre delle previsioni il più affidabili possibile, visto che secondo esse il Nilo si sarebbe ingrossato ancora, così tanto da mettere a repentaglio il raccolto di quell'anno.

Ricevuto il documento nelle proprie mani, Akira si diresse verso un tavolo che il Principe aveva fatto sistemare dall'altra parte della grande stanza dove svolgeva le sue funzioni amministrative, in modo che lo schiavo potesse lavorare nel suo stesso locale. Il Visir aveva visto giusto sull'utilità di quel ragazzo per il figlio del Faraone: Akira sapeva leggere e scrivere perfettamente, si destreggiava molto bene con i numeri e possedeva un'ottima conoscenza delle fasi stagionali di vita del Grande Fiume. Inoltre era obbediente e rispettoso. Non poteva chiedere aiuto migliore.

"Akira, ti posso chiedere una cosa?"

Al richiamo del suo signore, lo schiavo si volse indietro, eseguendo il classico ed educato inchino che sfoggiava ogni volta che aveva qualcosa da ordinagli.

"Chiamami solamente Hisashi quando siamo soli... e soprattutto, dammi del tu"

Akira alzò di scatto la testa per osservarlo, sorpreso dalle sue parole.

"Ma, mio signore..." cercò di obbiettare, sentendosi obbligato a pronunciare i titoli onorifici che l'altro possedeva.

"Il mio è un ordine, non un semplice richiesta"

Non era certo intenzione di Hisashi imporgli il proprio volere, ma sapeva che l'altro non avrebbe mai acconsentito a quella richiesta di sua spontanea volontà, quindi aveva deciso di ordinaglielo, sicuro che avrebbe rispettato la sua decisione.

"Come desiderate, mio signore..." disse lo schiavo ripetendo l'inchino con devozione.

Il picchiettio delle dita sul piano di legno levigato e lo sguardo torvo del Principe gli ricordarono le parole del suo ultimo ordine, al quale aveva appena acconsentito ad ubbidire.

"Ehm... volevo dire, come desideri Hisashi" si corresse Akira, sfoderando un sorriso così luminoso da non poter di certo lasciare indifferente il ragazzo dai lunghi capelli, il quale arrossì come una ragazzina alla prima cotta all'incontro con il suo amato.

Lo schiavo si accorse di quel repentino cambiamento di colore del volto dell'altro e gli chiese se non si sentisse bene, visto che negli ultimi due giorni aveva lavorato senza sosta alle previsioni sulla piena, come il padre gli aveva chiesto. Il Faraone voleva un confronto con il rapporto che gli era stato consegnato dai sacerdoti del Tempio di Osiride, che non preannunciava nulla di buono, esattamente come quello che Hisashi stava stilando.

"N-no, no! S-sto benissimo!" si affrettò a rispondere "Ora torna a lavorare!"

Con il sorriso sulle labbra, Akira si risistemò al proprio posto e iniziò la verifica dei dati.

Hisashi, intanto, stava eseguendo il riscontro sui risultati della caccia che era stata portata a termine qualche settimana prima: avevano catturato parecchia selvaggina, così tanta da garantire sia alla corte che all'esercito viveri in quantità per circa un mese di tempo.

La battuta era stata decisamente proficua, e sia lui che gli uomini di Kenji si erano divertiti. Inoltre ad accompagnarlo quel giorno c'era stato anche Akira, che non solo si era occupato di tenergli la faretra di riserva con le frecce, ma aveva partecipato attivamente alla cattura delle antilopi. Si era stupito non poco per la bravura con cui il suo schiavo maneggiava l'arco e la precisione con cui centrava il bersaglio. Da solo era riuscito ad abbattere qualcosa come una decina di animali, praticamente la stessa quantità del migliore tiratore dei soldati del Grande Leone d'Egitto. Era davvero un ragazzo straordinario e pieno di qualità nascoste.

A quei ricordi il Principe non potè fare a meno di sollevare lo sguardo dalle numerose carte poste sulla scrivania e posarlo sulla figura di Akira.

Quel giorno lo schiavo era vestito con un perizoma azzurro lungo fino alle ginocchia, uno di quelli che gli aveva fatto mettere a disposizione da Jun il primo giorno. Il vestito gli calzava perfettamente, come se fosse stato fatto su misura. In più, quel colore gli donava particolarmente, e mettevano in risalto i due occhi di ghiaccio, finemente truccati con una sottile linea nera, in modo da valorizzarne i contorni e rendere lo sguardo più profondo.
Hisashi continuò a far scivolare le proprie pupille sui lineamenti del viso del ragazzo, osservando la fronte alta, lasciata scoperta dai capelli sollevati, le sopracciglia fini, il naso aquilino e le labbra sottili. Proprio su quest'ultime si fermò, provando ad immaginare quanto potessero essere morbide al tatto e sensuali nel movimento di un bacio...

Un forte rumore fece sussultare lo schiavo, che macchiò il papiro del Principe con il pennello che stringeva tra le dita. Akira imprecò contro sè stesso per l'errore commesso. Era sicuro che stavolta una decina di frustate non gliele avrebbe levate nessuno. Quando però osservò la scrivania dove era seduto il figlio del Faraone per ammettere la propria disattenzione, la trovò vuota con la sedia ribaltata a terra.

"Hisashi?" chiamò preoccupato per la sua sparizione "Hisashi, dove sei?"

Un rumore d'acqua proveniente dal giardino privato attirò la sua attenzione. Immediatamente si precipitò fuori dallo studio, attraversò il lussuoso salotto ed uscì sulla veranda. Osservò tra le piante e i fiori per alcuni secondi prima di scorgere la testa di Hisashi, il cui corpo era immerso nell'acqua del Grande Fiume fino al collo.

"Hisashi!" esclamò Akira precipitandosi sulla stretta riva "E' pericoloso nuotare in questa parte del fiume! Ci sono molti coccodrilli nascosti sul fondale!"

Il ragazzo dai lunghi capelli neri esitò per qualche secondo prima di avvicinarsi alla riva, dove lo schiavo lo stava aspettando ansiosamente. Quando comunque si accostò ad essa, fece in modo che il livello dell'acqua non calasse sotto la linea della vita: se la sua erezione già si notava con i vestiti asciutti, risultava praticamente impossibile nasconderla con i vestiti bagnati.

"Perchè ti sei fermato?"

Akira allungò una mano, offrendogliela come appoggio per uscire dall'acqua. Hisashi osservò quell'appiglio per qualche secondo, e all'imbarazzo iniziale per l'idea di poterlo toccare si sostituì l'indignazione. Fece violentemente roteare la propria mano, tanto da lasciargli il segno delle sue dita sul dorso.

"Faccio da solo!!" urlò "Non ho certo bisogno dell'aiuto di uno schiavo, io che sono il futuro Faraone dell'Alto Egitto!!"

Akira osservò la pelle rossa che bruciava, afflitto per aver offeso il proprio signore.

"Allora perdona la mia insolenza" gli disse, con la testa bassa e gli occhi che lasciavano trasparire tutta l'angoscia che tormentava il suo animo "Vado a recuperare qualcosa con cui potrai asciugarti..." e detto questo, s'incamminò velocemente verso l'interno del Palazzo del Sole.

Hisashi osservò la schiena che si allontanava tra le piante del giardino, finchè questa non svanì oltre l'arcata che divideva la veranda dal salotto. Iniziò ad inveire contro sè stesso. Akira aveva voluto solo essere gentile... e lui l'aveva semplicemente trattato con i piedi. Ciò gli doleva, parecchio.

Prima di uscire dall'acqua aspettò ancora qualche minuto, in modo che lì sotto si fosse calmato definitivamente. Tuttavia, attese soprattutto con la speranza nel cuore che lo schiavo tornasse indietro appena avesse trovato quello che gli aveva promesso. L'intenzione di Hisashi era di chiedergli scusa, nonostante ciò potesse essere considerato deplorevole, considerato che lui era un Principe ed Akira un semplice schiavo. Ma non gli importava. Quella luce triste negli occhi dell'altro l'aveva fatto sentire in colpa, terribilmente in colpa.

Ma lui non ritornò.

Alla fine decise di rientrare nello studio, dove sperava di trovarlo. Quando però giunse nel salotto, vide che su un piccolo sgabello erano stati sistemati dei vestiti asciutti, mentre sulla sedia a fianco pendeva un lungo telo di soffice lana. Si sentì ancora di più un verme. Akira era così premuroso nei suoi confronti...

Si asciugò e si cambiò l'abito, indossando un perizoma di lino dorato tenuto alla vita da una cintura di duro cuoio bianco. Infine entrò nello studio.

Akira era seduto al proprio posto, intento a ricopiare il documento che gli aveva consegnato. La macchia l'aveva rovinato e in quelle condizioni non poteva di certo essere dato al Faraone. Hisashi si posizionò proprio di fronte a lui ed attese che sollevasse la testa per offrirgli le proprie scuse. Lo schiavo, che aveva notato la sua presenza essendosi irrigidito, fece finta di niente continuando il minuzioso lavoro.

"Akira..." lo chiamò infine Hisashi, attendendo che gli occhi azzurri fossero sulla sua figura prima di riprendere a parlare "Senti... mi dispiace di essermi comportato in quel modo. Sono stato decisamente scortese..."

Lo stupore che l'espressione di Akira manifestava era perfettamente leggibile dal suo volto. Rimase qualche secondo in silenzio, infisso su di lui, prima di allargare dolce sorriso sulle sue labbra, accompagnato da parole imbarazzate che avevano lo scopo di sollevare ogni senso di colpa dall'animo del Principe. Ma a lui quel sorriso fu più che sufficiente per riscaldargli nuovamente il cuore. Le sue gote infatti ripresero velocemente un colore purpureo, ma stavolta riuscì a controllare il resto delle sue emozioni, anche se non senza qualche difficoltà...

*

Il Faraone Taoka stava confrontando il resoconto di suo figlio con quello dei sacerdoti del Tempio di Osiride, e non era per niente felice delle conclusioni a cui entrambi erano giunti. La piena del Nilo sarebbe stata molto più abbondante del dovuto, tanto che avrebbe minacciato con i suoi straripamenti molti dei campi a sud della città di Tebe, i più vasti e fiorenti dell'Alto Egitto.

"Quindi non possiamo fare proprio niente?" Hisashi era pienamente a conoscenza della drammatica situazione che si profilava, ma fino all'ultimo aveva riposto le proprie speranze in suo padre.

"Purtroppo no" la voce grave del Faraone si diffuse nell'enorme sala della Casa del Re, ovvero il luogo in cui si stava tenendo il Consiglio "Da quanto avete scritto l'innalzamento delle acque subirà un notevole aumento nei prossimi tre, quattro giorni al massimo, e non abbiamo nè i mezzi nè il tempo per correre ai ripari"

"Questa non è per niente una bella notizia" intervenne Kiminobu "L'anno scorso la piena è stata scarsa, e i depositi di cereali sono stati riempiti meno dei due terzi del dovuto. L'inondazione così anticipata non ha danneggiato il raccolto proprio perchè misero, e la sua mietitura era stata portata a termine prima del previsto. Però, già questo sarà un anno magro per il popolo. Se anche l'anno avvenire i campi di coltivazione daranno nuovamente un quantitativo minore del necessario, la carestia sarà inevitabile..."

Un pesante silenzio scese tra di loro; un silenzio impregnato da angoscia e sconforto, causati dall'impossibilità di trovare una soluzione al fine di salvare il popolo dell'Alto Egitto. Questi sentimenti non solo avevano intaccato la speranza e la fiducia del Faraone, del Principe e dello Scriba Reale, ma anche degli altri individui presenti al Consiglio, ovvero la regina, il Principe Ryota, il Visir Kaede con il suo schiavo personale Hanamichi, il Grande Leone d'Egitto Kenji con il Primo Ufficiale Toru, il Mastro Sacerdote Ikegami e il Medico Capo del Nord Kazushi.

"Meastà..."

La voce vellutata che aveva pronunciato quella parola Hisashi la conosceva molto bene. Immediatamente si volse alle sue spalle dove, seduto per terra, si trovava il proprio schiavo personale.

"A-akira..." sussurrò inquieto, con gli occhi spalancati, per l'intervento azzardato che il ragazzo dai capelli a punta aveva appena compiuto.

Suo padre, dall'alto trono di pietra levigata, osservò il ragazzo chino, mani aperte e ben distese sul pavimento mentre con la fronte toccava il terreno in segno di rispetto e sottomissione.

"Cosa c'è, schiavo?" gli chiese il Faraone.

Akira sollevò il capo quel tanto che bastava affinchè con gli occhi potesse vedere il viso del sovrano. Poi fece la sua richiesta, lasciando Hisashi semplicemente sbalordito per la sfrontatezza che stava dimostrando di avere.

"Se mi concedete la parola, vorrei esporre una possibile soluzione al problema"

Il Faraone Taoka rimase in silenzio qualche secondo, riflettendo se fosse il caso dare la possibilità ad un semplice schiavo di parlare all'interno della Casa del Re. Solo per l'arroganza dimostrata davanti a lui avrebbe meritato di essere punito molto severamente.

"Ascoltare la proposta del ragazzo non danneggerà nessuno..." proferì Kiminobu, dimostrandosi saggio, vista la situazione di cui stavano discutendo.

"Va bene" confermò Taoka "Parla pure"

Akira fece un cenno con il capo allo scriba per ringraziarlo della cortesia. Poi i suoi occhi azzurri osservarono tutti i componenti del Consiglio, fermandosi solo quando incontrarono quelli di Hisashi, nei quali scorse un leggero nervosismo. Gli fece un piccolo sorriso per tranquillizzarlo. Infine riportò l'attenzione al sovrano iniziando ad illustrare la propria proposta.

"Manodopera e materiali abbondano sulla riva occidentale del Grande Fiume. Inoltre, se a queste persone aggiungete i soldati del vostro esercito il tempo dovrebbe essere sufficiente per salvare una buona parte dei campi ripulendo i canali, alzando nuovi argini e modificando in parte quelli vecchi..."

"Sulla riva occidentale?" Kiminobu pensò per un momento a cosa si stesse riferendo lo schiavo "Ma sulla riva occidentale stanno..."

"...Costruendo la dimora eterna del Faraone" finì per lui il Visir Kaede.

"Pensateci Maestà" continuò Akira prostrandosi nuovamente "Se il fiume dovesse distruggere i campi, il popolo soffrirà negli anni avvenire. Voi potete salvarlo con gli operai che lavorano alla piramide; piramide che, comunque, non vi servirà ancora per molte, moltissime lune..."

Hisashi era praticamente senza parole per l'idea che il suo schiavo aveva esposto, visto che essa poteva risollevare una situazione che sembrava ormai un dato di fatto. Però, quella richiesta, sebbene fatta con rispetto e devozione, poteva costargli molto caro: ogni Faraone di ogni tempo teneva alla propria dimora eterna più di ogni altra cosa, e suo padre più di ogni altro sovrano che l'aveva preceduto nei tempi dei tempi. Inoltre, il suo intervento poteva essere considerato come un segno di non rispetto nei confronti del sovrano...

"Lo schiavo ha ragione: c'è manodopera e materiali in quantità lì..." disse Kenji "E io sarò ben lieto di mettere a disposizione le guarnigioni non impegnate"

Nonostante l'intervento del Grande Leone d'Egitto, Taoka rimase ancora in silenzio. Il suo sguardo era infisso sul ragazzo dai neri capelli a punta, che continuava a rimanere proteso sul pavimento della sala del Consiglio. Ai suoi occhi era sembrato risoluto e determinato; tuttavia, in realtà, Akira era terrorizzato da una sua possibile pesante ripercussione, sebbene sapesse che non avrebbe dovuto assolutamente darlo a vedere.

"E sia..." disse il Faraone alla fine della sua lunga riflessione "E che Ra appoggi il nostro operato"

Detto questo iniziò a impartire gli opportuni ordini a Kaede, a Kiminobu, a Kenji e a Ikegami, in modo che per la successiva mattina i lavori potessero iniziare all'alba.

*

Akira camminava alle spalle del proprio signore, il quale procedeva di gran passo. Nessuna parola era stata pronunciata da quando avevano lasciato la Casa del Re. Che non fosse contento dell'intervento che aveva effettuato? Il pensiero di averlo deluso lo rattristava.

Giunsero agli appartamenti del Principe. Hisashi entrò in fretta e furia, seguito da Akira che si preoccupò di chiudere la porta.

"Non ti permettere mai più di intrometterti nelle discussioni del Consiglio!"

Quella voce tonante lo fece irrigidire. Comunque aveva visto giusto: era arrabbiato per il comportamento tenuto di fronte al Faraone.

"Io volevo solo essere d'aiuto..." disse rimanendo di spalle al proprio signore, timoroso dello sguardo accusatorio che avrebbe potuto incontrare nei suoi occhi.

"Allora la prossima volta le tue considerazioni dille a me in privato, in modo che possa esporle io!" il nervosismo di Hisashi era palpabile.

"Io non capisco... Forse volevi prenderti il merito della mia idea?"

Akira chinò ancora di più il capo, andando ad appoggiare la fronte alla porta. Si strinse maggiormente nelle spalle e serrò violentemente la mano sulla maniglia rotonda, da cui non si era ancora separato. Quel breve momento di silenzio l'aveva reso piccolo come una formica...

"Certo che no, stupido!" esclamò Hisashi "Ho semplicemente avuto paura che mio padre ti facesse frustare, o addirittura tagliare la testa per la tua insolenza!"

La fiammella che stava soffocando riprese vigore, e il cuore di Akira si riscaldò nuovamente. Il suo signore aveva appena ammesso di essere stato preoccupato per lui. Fino ad allora, a nessuno era mai importato di cosa potesse accadergli, Hanamichi a parte...

"Hisashi..."

Akira si volse, incontrando gli occhi neri dell'altro che lo fissavano di soppiatto; sotto ad essi le gote apparivano di un tenero color pesca. Ma fu solo per un momento. Infatti, appena i loro sguardi si incrociarono, Hisashi abbassò leggermente la testa facendo sì che i lunghi capelli neri andassero a coprirgli il viso.

"O-ora avrei proprio voglia di farmi un bagno rilassante..." cambiò discorso il Principe.

"Provvederò immediatamente a far preparare la sala da bagno" la voce di Akira era ora calda e vivace. Da essa traspariva la gioia di sapere che il suo signore teneva a lui "Ma vorrei che lasciassi a me il compito di provvedere alla tua persona"

"C-che intendi dire, scusa?" Hisashi si mise sull'attenti, non avendo inteso il senso della richiesta.

"Che vorrei poterti lavare io, come ringraziamento per la tua premura..."

Mentre Akira sfoderava un delizioso sorriso, lui avvampò all'immagine delle sue mani oliate che vagavano sul suo corpo, accarezzandolo e sfiorandolo. Era incredibile come, nonostante i pensieri e le reazioni fossero così palesi, il Principe non riuscisse ad ammettere a sè stesso che desiderava quel ragazzo, più di ogni altra cosa o persona al mondo.

"H-ho le mie ancelle per quel l-lavoro..." disse infine, respingendo l'offerta.

"Come desideri, Hisashi..."

Akira inchinò il capo e si congedò da lui, mestamente, non sapendo come interpretare il rifiuto. Gli aveva appena confidato di essere stato preoccupato, ma nonostante questo sembrava non volesse avere più di tanto a che fare con lui. Però si sentiva comunque felice, e la sua intenzione era quella di ripagare questa felicità con una maggiore obbedienza e devozione nei suoi confronti. Così si avviò velocemente lungo il corridoio per raggiungere Jun e comunicargli le intenzioni del proprio signore.

*

Hisashi sedeva all'interno della vasca da bagno intorno alla quale le ancelle si stavano prendendo cura di lui. Rivoli d'acqua gli percorrevano la schiena, mentre le spugne imbevute d'olio passavano sulla sua pelle lungo la linea della spina dorsale. Chiuse gli occhi, concentrandosi su quel movimento conciliante. Quando però furono le mani a iniziare a sfiorargli il collo in un delicato massaggio, la sua mente iniziò a fantasticare, portandolo a pensare che appartenessero ad una stupenda creatura, una persona che ormai popolava ininterrottamente i suoi sogni e desideri proibiti. La sola immaginazione bastò per eccitarlo a tal punto da indurlo a cercare maggiore contatto fisico e soddisfazione per la propria euforia. Con violenza afferrò l'ancella che gli stava eseguendo il massaggio, tirandola in acqua sotto di sè. Non era certo la prima volta che il Principe saziava i propri istinti con schiave al suo servizio, ma mai era stato così aggressivo nei loro confronti e, soprattutto, mai si era sentito così insoddisfatto al termine.

La realtà di non trovarsi Akira tra le braccia lo angosciò. Infatti solo in quel momento capì la natura del sentimento che provava nei confronti dello schiavo, non un semplice desiderio sessuale come si poteva credere, bensì qualcosa di più profondo, di molto meno materiale. Voglia di abbracciarlo, stringerlo e baciarlo. Voglia di stargli vicino, proteggerlo e amarlo.

Sull'orlo delle lacrime ordinò a tutti di andarsene, e quando rimase solo nella stanza lasciò che esse gli rigassero il viso.

*

I lavori di innalzamento e modifica degli argini lungo le sponde a sud della città di Tebe erano stati portati a termine in tempo. Ora si poteva solo aspettare la piena che sarebbe giunta durante quella stessa notte e sperare che ciò che avevano fatto reggesse all'impetuosità delle acque.

Dalla veranda degli appartamenti del Principe, Akira osservava nell'oscurità della sera il livello del Grande Fiume, così scrupolosamente da non accorgersi nemmeno della presenza di Hisashi alle sue spalle; costui era incantato dalla figura dello schiavo, perso in quei pensieri che lo tormentavano dal giorno in cui aveva capito la natura della propria attrazione.

"Funzionerà" disse ad un certo punto quest'ultimo, richiamando così l'attenzione dell'amato.

Akira però non sembrava del suo stesso avviso. L'ansia e l'apprensione erano i principali sentimenti che in quel momento scuotevano il suo animo. L'idea di eseguire i lavori e parte del loro coordinamento era stata opera sua, e se il tutto non avesse funzionato a dovere sarebbe stata una rovina per il popolo d'Egitto, ma soprattutto una delusione per il proprio signore. Ed era questa la cosa che più lo angosciava: deludere Hisashi.

"Perchè ne sei così sicuro?" gli chiese, titubante.

"Perchè ho fiducia in te"

Quell'affermazione colse alla sprovvista Akira, che non riuscì a trattenere il proprio stupore. Spalancò gli occhi, osservando come stordito il suo signore. Cercò di dire qualcosa, ma le labbra si muossero a vuoto mimando quelle parole che avrebbe voluto pronunciare, parole di gioia e ringraziamento per delle aspettative che forse non meritava, e questo pensiero lo fece ragionare...

"Uno schiavo non merita cotanta fiducia da parte di un Principe" sussurrò abbassando la testa, gesto che stava a ricordare all'altro che c'era un'enorme differenza di classe tra loro.

"Ma tu non sei uno schiavo qualunque" disse Hisashi avvicinandosi "Per me sei molto di più. Per me sei una persona non solo speciale, ma anche quella..." '...che amo' avrebbe concluso se l'urlo di un uomo non avesse distratto entrambi.

"Il livello si è alzato..."

Akira si portò vicino al piccolo giardino privato, già in parte sommerso dalle acque scure del Nilo che non accennavano a fermarsi, continuando a procedere velocemente sul manto erboso. Ora che la crescita della piena si vedeva ad occhio nudo il ragazzo si sentiva ancora più inquieto.

Hisashi si piazzò alle sue spalle e chiuse le proprie braccia intorno alla sua vita, nel tentativo di tranquillizzarlo. Inconsciamente però iniziò a far scivolare le proprie labbra sul suo collo, senza mai chiuderle, inspirando il dolce profumo di violetta che la pelle candida dello schiavo emanava. Questi gesti ebbero l'effetto di far aumentare la sua brama di baciarlo, di assaporare i due petali rosa che componevano le sue labbra. Lo strinse ancora di più a sè, in modo che il proprio petto combaciasse con la sua schiena. E solo in quel momento Hisashi si accorse dell'irrigidimento di Akira.
Prontamente si allontanò da lui per osservarlo. Notò che le mani del ragazzo, appoggiate sulla balaustra, tremavano leggermente mentre il resto del corpo era come solida pietra. Il Principe si posizionò di lato, in modo da racchiudere nella sua una delle mani dell'altro. Ciò che stava tormentando Hisashi era che la strana reazione dell'amato fosse provocata proprio dalle attenzioni che gli stava riservando, e il brusco allontanamento di Akira da lui nel momento in cui con il palmo della mano sfiorò il dorso della sua gli confermò il timore.

Per un solo istante i due si guardarono negli occhi, istante che bastò a terrorizzare Hisashi: quelli azzurri di Akira, sempre così vivaci ed eloquenti, erano spenti, come fossero vuoti, privi di ogni vita.

"Se non avete bisogno di me, Principe, chiedo di essere congedato"

Una voce atona, piatta e inespressiva. Ad Hisashi sembrava impossibile che potesse appartenere a quel ragazzo così vitale e sorridente che l'aveva folgorato. In più, il modo formale con cui si stava rivolgendo, in ginocchio e utilizzando il suo titolo regale, gli spezzò il cuore. Siccome teneva parecchio al rapporto molto confidenziale che avevano raggiunto, quel comportamento lo interpretò come volontà di Akira di allontanarsi da lui.

"Akira..." sussurrò. Aveva una gran voglia di piangere.

Dall'altra parte non ottenne alcuna risposta o segno di attenzione alle sue parole: Akira rimase immobile, inginocchiato con lo sguardo rivolto al pavimento. Così Hisashi decise di dargli il permesso che aveva richiesto. Lo schiavo si alzò e, senza mai volgere lo sguardo verso di lui, si incamminò verso la propria stanza.

Hisashi rimase sulla veranda, perdendo completamente la cognizione del tempo. Solo quando l'acqua del Nilo gli sfiorò i piedi si accorse che l'alba non era lontana dal giungere.

*

Il Principe rientrò nelle sue stanze che era ormai sera inoltrata. Stanco ed esausto a causa dell'intensa giornata di lavoro, si trascinò verso il letto dove vi si lasciò cadere sopra.

Due ore dopo l'alba, era stato fatto chiamare da suo padre, con il quale si era recato ai campi coltivati a sud di Tebe, per verificare la resistenza degli argini. Nonostante alcuni avessero ceduto di fronte all'impeto della piena, la maggior parte era risultata intatta e aveva svolto il proprio dovere come programmato. L'intero pomeriggio era poi stato passato in compagnia degli scribi a calcolare l'entità dei danni subiti e se essi non avessero compromesso il raccolto futuro. Fortunatamente l'annata sarebbe stata comunque prospera per il popolo dell'Alto Egitto.

Hisashi chiuse gli occhi e iniziò a massaggiarsi le tempie con l'indice e il medio delle mani. La testa stava iniziando a dolergli, ma non aveva nessuna intenzione di prendere il Fuoco di Papavero: non poteva addormentarsi, doveva prima risolvere un'altra questione.

Quella mattina, appena era stato convocato dal padre, Hisashi aveva fatto chiamare Akira perchè lo accompagnasse. Lo schiavo però non si era presentato, lasciando detto di perdonare la propia mancanza ma non si sentiva bene. Istintivamente, il Principe avrebbe voluto andare da lui per constatare le sue condizioni, ma erano bastasti pochi secondi per rammentargli l'accaduto della sera precedente e l'origine di quel probabile 'malessere': lui. Sconsolato si impose di non vederlo per un po' di tempo, ma avrebbe dovuto immaginare che ciò sarebbe stato un intento del tutto inutile. Infatti, durante l'intera giornata, non aveva cessato nemmeno per un momento di pensare ad Akira, e naturalmente alla fine aveva deciso di passare da lui quella sera stessa. Aveva assoluto bisogno di parlargli.

Si alzò barcollante dal proprio giaciglio. Faticava a reggersi in piedi a causa del forte dolore che gli faceva rimbombare la testa, ma questo non lo avrebbe fermato. Cercò di assumere un'aria il più possibile normale ed uscì dalla stanza, passando sotto gli occhi attenti delle guardie che vigilavano nel corridoio.
Con passo visibilmente tranquillo, ma che ad Hisashi costò molta fatica mantenere - sia per il nervosismo dell'incontro con lo schiavo che per il male fisico alla testa - giunse alla stanza che aveva assegnato ad Akira ormai due mesi addietro. Non bussò, volendo coglierlo di sorpresa, ma socchiuse lentamente la porta in modo da non sembrare troppo invadente.

La delusione di trovarla vuota fu per lui immensa.

Indeciso sul da farsi, rimase sulla soglia per qualche minuto. Guardava le quattro mura che racchiudevano quell'angolo di mondo in cui il suo Akira passava parte del tempo libero, e illuminato solo dalla fiamma della sua lampada, si rese conto di quanto fosse piccolo e buio. Si avvicinò al letto basso e spartano, situato in fondo alla stanza a lato della piccola finestra. La stuoia slegata veniva leggermente mossa dal fievole vento del deserto. Hisashi posò la lampada ad olio per terra e la fissò meglio.
Solo allora si accorse dello strano lungo oggetto posto nell'angolo alla sua sinistra, in parte nascosto dietro un piccolo mobile. Lo prese in mano, sedendosi sul letto per ammirarne meglio le fattezze: da gran appassionato di caccia che era, nonostante non predileggesse la pesca, poteva comunque affermare che la canna fosse di ottima fattura.

"E così ama molto questo svago..." disse Hisashi fra sè e sè, sorridendo. Stava già immaginando come avrebbero passato il loro prossimo tempo insieme...

Un rumore di passi dal corridoio lo distolse dai propri pensieri. Non si fece illusioni, in quanto poteva essere benissimo una delle guardie di ronda nel palazzo, ma il suono cessò proprio davanti alla porta. A quel punto il cuore di Hisashi prese a battere a mille.

Se si fosse trattato di chiunque altro non gli sarebbe di certo interessato farsi trovare nella camera di uno schiavo, ma l'idea che potesse essere Akira di ritorno nella propria stanza gli mise addosso una certa apprensione su cosa potesse pensare o fare. Così si alzò in piedi di scatto, con l'intento di sistemare la canna e affrontare il ragazzo. Peccato che il suo mal di testa glielo impedì.

Una forte fitta lo mise in ginocchio, e la premura di portarsi le mani alle tempie fece sì che la canna cadesse a terra. Nell'urto con il pavimento una parte del manico si ruppe. Hisashi si accorse dell'accaduto, ma non ebbe il tempo per disperarsi in quanto una nuova fitta lo mise praticamente a terra. Occhi chiusi e stretti, bocca semiaperta, con la quale respirava affannosamente nel tentativo di calmarsi. Ma il dolore non passava.

Ad un tratto si accorse che qualcuno gli stava sollevando il capo. Socchiuse le palpebre e incrociò lo sguardo preoccupato di due occhi azzurri come il cielo. Lentamente mise a fuoco il resto del viso di quello schiavo per cui avrebbe dato anche la vita.

"A-akira..." sussurrò.

Poi le tenebre lo avvolsero, e l'oscurità fu totale.

*

Quando riaprì gli occhi, Hisashi si accorse di essere in un luogo famigliare. Ci mise diverso tempo a mettere a fuoco il mobilio che arredava la propria camera da letto, ancora intontito dal Fuoco di Papavero che Kazushi gli aveva somministrato. Fortunatamente il dolore alla testa era scomparso.

Si mise a sedere sul letto, tirando verso il basso il lenzuolo di lino che lo ricopriva. Un mugolio attirò la sua attenzione a sinistra. Beatamente addormentato sul bordo del letto, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, stava Akira.

Hisashi si avvicinò a lui, osservando il viso tranquillo e sereno del ragazzo. Era di una tenerezza immensa. Così decise di sdraiarsi nuovamente sul letto e guardarlo, inebriandosi della sua dolcezza. Naturalmente non resistette alla tentazione di toccare quelle ciocche more e sbarazzine che pendevano dai ritti capelli, di accarezzare quella pelle diafana e vellutata e quelle labbra sottili.

Fu proprio quando passò il dito sulla bocca che gli occhi azzurri si aprirono.

Dapprima questi lo osservarono come sognanti, felici di averlo di fronte, di poterlo vedere. Poi qualcosa mutò, e quell'affetto che vi aleggiava divenne molto più profondo. Hisashi non riusciva a capire la vera natura del sentimento che lo schiavo stava provando, ma non gli importava. Gli piaceva come lo stava guardando, e per questo sorrise felice.

"Allora non sei arrabbiato con me..." disse, tirando interiormente un sospiro di sollievo.

A quell'affermazione Akira parve per un momento spaesato, in quanto pensava che quello che stesse vivendo fosse il frutto di un semplice sogno. Immediatamente si mise in piedi osservandosi in giro, e ricordò gli avvenimenti della sera precedente, quando al ritorno nel suo alloggio aveva trovato Hisashi a terra sofferente. Aveva cercato aiuto e grazie a delle guardie il Principe era stato riportato nei suoi appartamenti. Subito era accorso il Medico Capo del Nord, Kazushi, che aveva tranquillizzato lo schiavo, spiegandogli che il dolore di Hisashi era dovuto ad un forte mal di testa dalla natura sconosciuta, di cui negli ultimi tempi soffriva spesso. Dopo avergli somministrato la dose di un medicinale dal colore rosso fuoco, il Principe si era addormentato e Akira, ancora un po' preoccupato, era rimasto a vegliarlo per tutta la notte o quasi, visto che ad un certo punto si doveva essere addormentato.

"Akira, c'è qualcosa che non va?"

"No, Principe" rispose il ragazzo dai capelli a punta, ricomponendosi "Piuttosto, voi come vi sentite stamattina?"

Hisashi rimase deluso per il modo rispettoso con cui gli si stava rivolgendo. Per un attimo aveva pensato che tra loro tutto sarebbe potuto ritornare come prima.

"Bene" rispose con sguardo triste, mentre si sistemò a sedere sul letto "Grazie"

"Se allora me lo permettete, vorrei congedarmi"

Quella richiesta fu per Hisashi una vera e propria pugnalata. La confidenza costruita in due mesi di convivenza era sparita in pochi attimi, e ormai non sembrava possibile recuperarla. A malincuore acconsentì.

Akira si avviò con passo deciso alla porta della propria camera, mentre al Principe sembrò che il mal di testa ricominciasse a tormentarlo. Avrebbe voluto fermarlo, ordinargli di restare con lui, ma non lo fece.

Rimase a lungo a fissare la porta da cui il suo amato era uscito, fino a quando il dolore alla testa non lo costrinse a sdraiarsi nuovamente. Poco dopo il sonno lo riabbracciò stretto.

*

Che cosa stesse succedendo era la domanda che sempre più spesso in quegli ultimi due giorni si stava ponendo. L'atteggiamento di Hisashi nei suoi confronti era notevolmente cambiato, e sempre più impellente si faceva strada la certezza che lo desiderasse intensamente. Da allora Akira non riusciva più a dargli la confidenza di prima, e il suo atteggiamento sembrava ferire profondamente l'altro. Sentiva che si stavano allontanando, una distanza che alla lunga sarebbe stata difficile da colmare, soprattutto perchè lo schiavo iniziava a nutrire una certa apprensione ogni volta che rimaneva da solo con il proprio signore. E ogni volta si dimostrava sempre più freddo e distaccato, nonostante in fondo al cuore tenesse molto al futuro sovrano. Infatti la sera precedente si era preoccupato e spaventato...

La colpa di tutto questo, però, non era nè sua nè di Hisashi, ma di una terza persona che in un passato nemmeno molto lontano aveva segnato la sua vita.

Il giorno in cui le labbra del Principe avevano percorso quella linea immaginaria lungo il suo collo, ciò che aveva rinchiuso nella parte più profonda della sua memoria si era aperto prepotentemente la strada. Quella stessa notte aveva rivissuto l'esperienza che più di tutte l'aveva segnato, un incubo dal quale si era svegliato urlando, completamente bagnato dal proprio sudore, un sudore freddo causato dal puro terrore. Aveva pianto, disperato, chiedendo misericordia agli Dei: forse ai loro occhi non aveva già sofferto abbastanza?

Arrivò in camera, dove si sedette sul basso letto. Allungò una mano e prese la canna da pesca, iniziando ad osservare la spaccatura sul manico. Non era affatto arrabbiato con il Principe per il danno causato, ma gli dispiaceva che l'unico importante regalo che mai avesse ricevuto si fosse rovinato. Decise che era meglio non farne parola con Hanamichi, altrimenti il rosso, che aveva dato fondo ai propri risparmi per acquistargli quella canna, sarebbe stato capace di farsi largo fra le guardie e aggredire il suo signore. Non voleva certo che all'amico tagliassero la testa...

*

Passò un'intera settimana, durante la quale Akira ed Hisashi non si poterono incontrare. Infatti, in quei giorni, il Principe era perennemente inchiodato al suo letto. I mal di testa erano frequentissimi e dolorosi, tanto che faticava a restare in piedi.

La preoccupazione per la salute del futuro Faraone era molta. Il padre continuava a chiedere notizie sul suo stato, ma non riceveva risposte soddisfacenti da Kazushi, che non riusciva a capire l'origine di tale male. Oltre che continuare a somministrargli sempre più spesso il Fuoco di Papavero, in modo da alleviare in parte la sua sofferenza, non sapeva come comportarsi. Il problema era che, a lungo andare, quel medicinale poteva risultargli nocivo, se non addirittura fatale.

Anche Akira viveva nell'ansia. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutare il proprio signore ma aveva le mani legate. Visto che possedeva anche conoscenze di medicina, più di una volta aveva chiesto di poter visitare il Principe a Kazushi, ma naturalmente tale richiesta gli era stata negata, come anche quella di potergli fare visita, in quanto doveva riposare il più possibile.

Sconsolato, vagava per i lunghi corridoi del Palazzo del Sole come un'anima in pena. Contando che dormiva sempre meno, a causa della tensione oltre che per gli incubi, il viso risultava pallido e scavato, con gli occhi ornati da delle occhiaie ogni giorno sempre più difficili da nascondere sotto il trucco.

Fu proprio durante una di quelle notti insonni che decise di recarsi al Tempio dedicato al Dio Sole che sorgeva al centro del palazzo. Per puro caso, Akira aveva ascoltato il dialogo fra altri due schiavi che si stavano intrattenendo lungo il corridoio. E ciò che aveva sentito non lo aveva certo rincuorato...

"Dicono che le condizioni del Principe Hisashi siano ulteriormente peggiorate..."

"Si. Sembra che sia sopraggiunta anche una febbre molto alta che lo sta facendo delirare"

"Se la situazione dovesse aggravarsi ancora, potrebbe anche..."

"Con un potente maleficio, Seth sta attentando alla sua vita. Speriamo che gli Dei giungano in suo soccorso..."

Quei discorsi di morte lo avevano paralizzato. Ma se da una parte aveva capito quanto fosse grave la situazione, dall'altra non voleva credere che un ragazzo forte e valoroso come Hisashi potesse già intraprendere il suo ultimo viaggio, quello verso l'aldilà, alla sua giovane età.

L'angoscia in cui viveva in quel momento era immensa. Akira era deciso a fare qualunque cosa pur di aiutare il proprio signore. Il suo intento era quello di chiedere, o meglio di implorare Ra e tutti gli altri Dei di guarire Hisashi dal male che lo stava affliggendo. Avrebbe offerto loro la propria vita in cambio, se fosse stato necessario.

Giunto a destinazione, però, rimase all'ombra di una colonna. Qualcuno l'aveva preceduto.

"O Ra, Creatore dell'Universo. Tu che sei emerso dalle acque primordiali all'origine dei tempi. Tu che hai creato il genere umano con le tue lacrime, mentre queste cadevano sull'arida terra. Tu che orbiti ogni giorno nell'immensità del cielo. Io ti imploro. Salva il figlio che mi hai donato come mio successore. Liberalo dal male inflitto dal malvagio Seth..."

Akira osservò l'uomo prostrato di fronte alla possente statua dalla testa di falco e disco solare con l'ureo sulla testa rappresentante il Dio Sole, e in quell'uomo stentò a riconoscere il Faraone. Era come se lo schiavo, che aveva sempre visto quell’uomo così fiero e deciso nel proprio portamento e nei propri discorsi, stesse osservando un’altra persona: inginocchiata, implorante, disperata. Una persona semplicemente più umana. In fondo, però, non si sarebbe dovuto meravigliare per questo cambiamento: Hisashi era pur sempre suo figlio, sangue del suo sangue, e nonostante non potesse capire appieno che cosa provasse un padre di fronte al pericolo di vita del suo primogenito, sapeva che doveva essere veramente doloroso...

Più volte si disse che non era corretto ascoltare la preghiera del sovrano; nonostante ciò Akira aspettò nell'ombra che lui terminasse. Non aveva nessuna intenzione di rinunciare ai propri intenti. Quando una mezz'ora più tardi vide Taoka uscire dall'arcata principale, raggiunse il centro del tempio, sistemandosi in ginocchio di fronte alla grande statua di Ra, osservandola per qualche secondo prima di prostrarsi, allungando le braccia sul pavimento e andandolo a toccare con la fronte.

"O Ra, Signore della radianza. Tu che ti ergi glorioso ai bordi del cielo, che viaggi al di sopra delle terre che hai creato, abbracciandole nei tuoi raggi, fino a quando sprofondi oltre il loro confine occidentale. La tua terra si illumina quando sorgi, e davanti ai raggi del tuo disco scintillante l'oscurità viene messa in fuga, in modo che tutto torni alla vita. O Ra, unico, incomparabile Dio onnipotente. Tu che hai creato la terra, tutto ciò che vi è sopra, che cammina e fende l'aria suprema. Quante sono le tue opere, o Signore dell'Eternità! Opere così misteriose agli occhi degli uomini, questi stessi uomini che come me ti venerano, ti invocano ma anche ti implorano di aiutarli. Ascolta la mia richiesta, o Dio del Sole. Salva il Figlio Reale che ti è stato consacrato. Salvalo dal male che il malvagio Seth gli ha inflitto. E se nella tua immensa giustizia che presiedi richiedi qualcosa in cambio, allora prendi la mia di vita. Io te la offro, ed ora è tua e a tua disposizione"

Conclusa la sua preghiera, Akira si rimise a sedere sulle ginocchia. Teneva gli occhi chiusi e controllava il respiro, mantenendone il ritmo lento e profondo. Concentrato sui propri sensi, riuscì a percepire un leggero soffio di vento che giunse da dietro le sue spalle, un vento così gelido da farlo rabbrividire per un istante. Aprì dolcemente le palpebre per osservare le fiamme delle due torce sempre accese a fianco della statua: il fuoco fece per spegnersi, per poi ravvivarsi con più vigore di prima. Era il segno che stava aspettando.

"Grazie" sussurrò lo schiavo, inchinando leggermente la testa in avanti.

Felice che la sua preghiera fosse stata ascoltata, Akira si diresse verso la sua stanza.

*

Una fortissima folata di vento strappò la stuoia che ricopriva la finestra provocando un forte rumore. Akira, che era appena riuscito ad addormentarsi, sussultò per lo spavento svegliandosi. L'oggetto venne trascinato dall'altra parte della stanza dal lungo soffio di vento il quale, prima che potesse toccare la parete, lo riportò indietro. La stuoia ripercorse tutto il piccolo locale finchè non trovò un ostacolo contro cui andare a fermarsi: la faccia di Akira, che nel frattempo si era messo a sedere sul letto. Il giovane schiavo si dimenò per levarsi il fastidioso oggetto di dosso, tanto da finire per terra sul pavimento.

"Ahio!" esclamò.

Il vento si placò di colpo e la stuoia cadde per terra in mezzo alle gambe che teneva divaricate. La raccolse, e grattandosi dubbioso fra i capelli con una mano, si avvicinò alla finestra. Pensò che lo strano fenomeno fosse dovuto all'avvicinarsi di una tempesta di sabbia, ma quando si affacciò dall'apertura, si accorse che fuori non tirava un alito di vento. La città di Tebe era calma e silenziosa.

"Ci mancavano solo le allucinazioni atmosferiche!" disse fra sè e sè Akira, che non riusciva a spiegarsi l'accaduto.

Fece per tornare a sdraiarsi sul letto, con la speranza di potersi riaddormentare, quando un battito d'ali attirò la sua attenzione. Dall'altra parte del fiume, appollaiato su un piccolo pontile, stava un uccello di media grandezza. Akira sforzò lo sguardo per intravedere nell'oscurità illuminata dalla luna le fattezze dell'animale. Quando lo riconobbe il suo cuore ebbe un sussulto.

Era uno splendido airone blu, rappresentante dell'anima di Ra.

D'un tratto l'uccello spiccò il volo. Aprì le sue possenti ali e si innalzò sopra le acque del Nilo. L'apertura alare lo rendeva due volte più grande, tanto che quando arrivò all'altezza in cui Akira vedeva lo spicchio lucente della luna, la coprì totalmente alla sua visuale. A quel punto l'animale si gettò in picchiata, puntando proprio verso la finestra al quale era affacciato. Istintivamente si coprì il volto con le mani, ma di questo gesto non ce ne sarebbe stato bisogno: l'airone fece una stretta virata e proseguì sopra il fiume, andandosi a posare molto più avanti, su una specie di muretto, diversi metri più a sud.

All'inizio Akira non lo riconobbe, ma poi capì di cosa si trattava quella costruzione: era l'angolo della ringhiera che delimitava la veranda del giardino privato del Principe. Non ci aveva mai fatto caso che dalla sua stanza si vedesse... e mentre l'osservava capì che cosa gli stava comunicando l'airone: doveva andare da Hisashi, e per farlo doveva passare dalla veranda.

Guardò sotto di sè dove le acque scure del Nilo scorrevano placidamente. La corrente quindi non sarebbe stata un problema, al contrario invece dei coccodrilli che avrebbero potuto essere nascosti sotto la superficie. Cercò di non pensarci: l'airone inviato dal Dio Ra gli aveva mostrato la strada, ora doveva solo percorrerla, sicuro che non ci sarebbero stati intoppi.

Fece un profondo respiro per concentrarsi e trovare la giusta calma. Poi si issò oltre la finestra, lasciandosi cadere dall'altra parte nel modo più leggiadro possibile. L'altezza non era notevole, essendo anche ridotta di molto dalla piena del Grande Fiume, ma fu abbastanza perchè l'impatto con l'acqua potesse essere udito da orecchie indiscrete.
Ritornò in superficie ed attese l'arrivo di qualcuno, ma per sua fortuna nessuno venne a controllare. Così iniziò a nuotare contro corrente, verso il giardino privato di Hisashi.

Si trovava ormai a ridosso del muretto su cui era appoggiato l'airone, pronto a salire, quando notò uno strano movimento: qualcosa di simile ad un tronco scorreva sulla superficie, ma ad una velocità fin troppo elevata per essere semplicemente trascinato dalla corrente.

La paura lo paralizzò, completamente. Osservava il coccodrillo avvicinarsi senza riuscire a muovere un solo muscolo. Solo quando l'anfibio a pochi metri da lui si immerse, capì che era pronto per attaccarlo.

Si riscosse e spiccò un salto per raggiungere il bordo della balaustra, ma il tentativo andò a vuoto. I secondi trascorrevano preziosi mentre caricava un secondo salto con il quale, fortunatamente, riuscì ad aggrapparsi al bordo.

Si stava issando quando il coccodrillo saltò fuori dall'acqua.

Akira si buttò dall'altra parte del parapetto, sul pavimento della veranda, dove cadde dolorante: l'anfibio era riuscito a sfiorarlo, ed ora sul polpaccio destro si ritrovava un profondo taglio da cui il sangue usciva copioso. Doveva medicarlo il prima possibile.
Si mise a sedere e, tenendo la gamba ferita tesa e immobile, strappò un grosso lembo dalla lunga tunica che indossava, in modo da usarlo come benda. Il colore bianco del vestito, appena venne a contatto con il sangue, divenne immediatamente scuro.

Zoppicante, riuscì a raggiungere l'entrata che portava al salotto. Stava per varcarla quando la porta della stanza del Principe si aprì. Akira fece appena in tempo a ritornare sui suoi passi per nascondersi, prima che Kazushi e Ikegami potessero vederlo.

"Cosa ne pensate?" chiese il primo richiudendosi la porta alle spalle.

"Non c'è dubbio che il male che l'ha colpito, un male così improvviso e tremendo, sia opera di un maleficio attuato da qualcuno" rispose il Grande Sacerdote "Gli unici in grado di salvarlo sono gli Dei, visto che i vostri medicinali in questi casi sono completamente inutili"

"Avevo immaginato che la causa fosse al di fuori della mia portata. Purtroppo mi è anche impossibile somministrare ancora al Principe il Fuoco di Papavero per alleviargli almeno il dolore. Ormai temo il peggio..." concluse Kazushi con un lungo sospiro di rassegnazione.

"L'unica cosa che posso fare è invocare gli Dei, affinchè vengano in suo soccorso"

I due si avviarono verso l'uscita sul corridoio. Akira attese di sentire l'uscio richiudersi per uscire dal suo nascondiglio.

Era pallido, con gli occhi spenti e lucidi. Quelle parole senza alcuna speranza l'avevano trafitto al cuore. Eppure cercava in tutti i modi di non cadere nella disperazione più cupa. In più, quello contro cui stava lottando il suo signore non era una semplice malattia, ma addirittura un maleficio lanciato da qualcuno ai suoi danni. Però, lui aveva richiesto l'aiuto del Dio Ra, il quale l'aveva ascoltato e gli aveva indicato la via... che fosse solo per vederlo l'ultima volta? Fu questo il dubbio che si affacciò prepotentemente nella sua mente...

Fece un profondo respiro per calmarsi e si portò davanti all'ingresso della camera.

Con cautela aprì l'uscio. La stanza era immersa nella luce tenue delle lampade ad olio situate negli angoli del locale. Il letto era posizionato proprio al centro, contro il muro opposto all'entrata. Vi si avvicinò. Sotto il leggero lenzuolo di lino, Akira intravide la figura di Hisashi: il futuro sovrano stava rannicchiato sul lato destro con le ginocchia al petto. Una mano usciva da sotto la coperta e stingeva il cuscino su cui appoggiava la testa. Gli occhi erano serrati violentemente e il suo respiro affannoso. Stava soffrendo, terribilmente.

Akira si sedette sul letto e avvicinò titubante una mano ai suoi capelli. Non voleva risvegliarlo dal suo sonno tormentato, ma solo accarezzarlo e fargli sentire la sua presenza. Le dita prima toccarono la fronte calda a causa della febbre, poi affondarono in quei lunghi capelli neri: a differenza di come aveva sempre immaginato erano crespi, ma non si sarebbe dovuto stupire visto che avevano perso anche molta della loro luminosità. Quando successivamente accarezzò la guancia, scoprì una pelle non vellutata come pensava, ma secca, secca come le labbra su cui poi passò il dito indice.

Fu in questo momento che Hisashi emise un gemito di dolore, poi il suo corpo si contrasse. Gli occhi si strinsero ulteriormente e le mani raggiunsero le tempie, dove vi premettero a palmo aperto con tutte la loro forza. Era come se sentisse la testa scoppiare.

Akira era spaventato. Il suo signore stava soffrendo davanti ai suoi occhi e lui non sapeva come aiutarlo. Istintivamente gli prese la testa fra le mani, appoggiandole sulle sue, e sfiorò la propria fronte a quella dell'altro. Si concentrò abbassando le palpebre, e iniziò la sua preghiera perchè il Dio del Sole illuminasse la mente del suo signore e scacciasse il male inflitto da Seth, ma dopo diversi minuti nulla era cambiato. Hisashi continuava a soffrire mentre lui si sentiva esausto e inutile.

"Hisashi..." sussurrava mentre una lacrima si staccava dal suo viso per terminare la sua caduta sulla guancia dell'altro. Da essa iniziò a scaturire una tenue luce che illuminò i volti di entrambi.

Akira aprì gli occhi sorpreso, non capendo la provenienza di tale bagliore. Vide la goccia luminescente che lentamente perdeva il suo alone dorato mentre veniva assorbita dalla pelle del suo signore. Poi due pupille nere apparvero da dietro le palpebre, e la sua enorme gioia si manifestò con un magnifico sorriso e alcune lacrime, che prontamente vennero asciugate da una calda mano che si posò sulla sua guancia.

"I tuoi lapislazzuli sono troppo belli per essere bagnati da delle fredde e amare lacrime..." parole molto belle pronunciate con difficoltà, nelle quali lo schiavo poteva leggere tutto l'affetto che il suo padrone nutriva per lui.

"Queste lacrime non sono fredde e amare, ma calde e liete" disse Akira "Oh mio signore! Ho temuto tanto per la vostra vita!"

"Ora che tu sei qui a fianco a me, niente può più nuocermi..." Hisashi sfiorò nuovamente quella pelle serafica con le dita "Non desideravo altro che averti accanto Akira, e..." un dito si posò sulle sue labbra con l'intento di farlo tacere.

"Perdonate questa mia insolenza" disse lo schiavo affranto "ma io so quali sono le parole che vorreste svelarmi, e non essendo pronto a riceverle, preferirei che non venissero pronunciate..."

"Ma io non posso..."

"Vi prego, mio signore. Io penso di provare gli stessi sentimenti che vi animano, ma per ora, almeno per ora, vogliatemi solamente come il vostro umile schiavo e devoto servitore. Io, io non chiedo altro..."

Hisashi rimase in silenzio per un momento. Era difficile per lui reprimere tali sentimenti, ma se veramente amava il ragazzo che lo aveva appena liberato dal maleficio che stava attentando alla sua vita, era suo dovere rispettare quella decisione. Mai avrebbe voluto farlo soffrire o ferirlo.

"Se è questo che desideri, così sia..." disse infine sfoderando un sorriso forzato.

Nonostante quello che si erano appena detti, Hisashi attirò verso di sè Akira. Almeno per quella notte voleva stringerlo fra le sue braccia, sentire il suo calore e il suo profumo. Lo schiavo non si sottrasse, accoccolandosi nel suo abbraccio e posando il capo sul torace del suo signore, il quale si lasciò avvolgere da quella piacevole sensazione di completezza e compiacimento che gli invase l'animo.

"Akira..." disse ad un certo punto il Principe. Per la prima volta da giorni e giorni stava lentamente scivolando in un sonno beato e tranquillo. Però aveva ancora un dubbio da svelare.

"Si, mio signore?"

"Esattamente... che cosa hai fatto per guarirmi?"

"Io non sono stato altro che lo strumento del vostro divino protettore Ra. E' stato lui che a darmi la speranza, ad indicarmi la via e a guarirvi. Ho invocato il suo intervento offrendo, se necessario alla sua sublime giustizia, la mia vita in cambio..."

"C-che... che cosa hai detto?" Hisashi era disorientato dall'ultima affermazione del proprio schiavo. Qual'era esattamente il significato dell'aver offerto la propria vita in cambio?

"Sai, mio signore? Nonostante la notte sia calda e priva di vento, sento molto freddo..."

Il Principe si sollevò a sedere accortosi che il proprio schiavo stava tremando. Possibile che avesse solamente freddo come diceva? No, era decisamente improbabile e osservando ai piedi del letto ne ebbe la conferma: il lenzuolo di lino era coperto di sangue, per non parlare del pavimento inondato. Il pezzo di vestito che Akira aveva arrotolato alla gamba era completamente fradicio del liquido rosso della vita. Il terrore si impossessò di Hisashi, il quale strinse con tutta la sua forza il corpo dello schiavo contro il suo.

"Divino Ra! Quali sono le tue intenzioni?" chiese sconvolto "Ti prego... non aprire ad Akira la strada che porta all'oltretomba! Non portarmelo via..." concluse calando di tono, mentre le lacrime gli salivano agli occhi.

Poco prima di cedere alla disperazione, Hisashi chiamò aiuto con tutto il fiato di cui disponeva.

Fine Capitolo 1


*Owari Capitolo 1*

Mitchi: Posso dire una cosa?

Cioppys: Parla...

Mitchi: Tutta 'sta pappardella e non ci diamo nemmeno un bacio?! Senza contare che dovevi scriverci la lemon! Ma quanto cavolo ci vuoi far aspettare? Altre tremila pagine?!

Cioppys: No, solo tremila anni...

Mitchi: Ma io ti ammazzo! >.<

Sendoh: Su Hisashi! Non essere così scortese nei confronti di Cioppys! In fondo si sta seriamente impegnando per farci un bellissimo regalo per il nostro giorno! ^__^

Mitchi: Si... quello dell'anno prossimo però! @.@

Sendoh: In effetti... ^__^'

Cioppys: Come siamo fiduciosi... u.u




[Betareading by Hennè Production]




Continua...


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