AUTORE: Fatina

GENERE: Drammatico/Angst

SERIE: Original

PAIRING: Inauguro oggi un’altra coppia bastarda. Dopo Till/Richard e Matteo/Michele, ecco i più terribili in assoluto, Adam e Nathan.

DISCLAIMERS: Tutto mio! (solito delirio di onnipotenza che mi coglie in questi casi)

RATING: NC17 (o almeno spero^^)

 



 


 

Festa a sorpresa

di Fatina

 

Adam Sandler, direttore commerciale alla DDP Inc. uscì dal suo ufficio, attraversò a passo di carica il corridoio ignorando accuratamente la segretaria che lo salutava con un sorriso di circostanza e il ragioniere che sorseggiava lentamente il caffè davanti al distributore di bevande, e si infilò nella terza porta a destra, sulla quale campeggiava la scritta “Administration and Accounting Dept.” La contabilità. Alla sua scrivania Nicolas Deem sollevò lo sguardo da una pila di fogli fitti di numeri. Alla sua destra Richard Archer sedeva su una sedia con una gamba sopra il bracciolo, mentre Andrew Reed sedeva sull’angolo sinistro della scrivania. Sembravano immersi in una inutile e disgustosa conversazione sulla imminente chiusura di bilancio. Adam si avvicinò e appoggiò entrambe le mani sulla scrivania.

 

“Ok, ragazzi. Piantatela con queste stronzate e parliamo di cose serie.” Poi fissò lo sguardo su Andrew. “Fra 15 giorni esatti ci sarà una festa a sorpresa per il tuo addio al celibato. E voi ci sarete. Tutti.” terminò seccamente.

 

Nicolas sogghignò.

 

“Queste ‘stronzate’ rappresentano una parte rilevante di quell’inutile sistema che alla fine del mese ti consente di intascare un consistente gruzzolo e ti permette di vivere come un re. Per il resto, come se non ci fossimo sempre, alle tue dannate feste.”

 

Andrew lo fissò seriamente.

 

“Festa a sorpresa, eh? Per il mio addio al celibato! Ora che lo so, che razza di sorpresa sarà?”

 

“Cazzate” rispose Adam. “Il punto non è questo. Il punto è che questa volta sarà qualcosa di speciale!” Gli occhi di Adam brillarono di una luce verde e maligna e il suo sorriso raggelò i tre uomini. Poi l’eccitazione pervase il gruppo, strisciante e vibrante come un esercito di piccole creature dotate di più zampe di quante fosse necessario.

 

“Di cosa si tratta?” chiese Richard.

 

“E’ questa la sorpresa…” sussurrò Adam e la sua voce aveva il suono di una brezza leggera ma gelida.

 

Nicolas si guardò intorno.

 

“Hei, manca qualcuno alla riunione. Dov’è la tua ombra?” chiese.

 

In quel momento Nathan Archer fece il suo ingresso, come chiamato dalla frase dell’amico. Subito si posizionò alla destra di Adam, come faceva sempre. Con un cenno della testa salutò i colleghi.

 

“Ok, e ora che ci siamo tutti, ci vuoi spiegare cos’è questa sorpresa di cui parli? E perché tanto mistero?”

 

“Niente da fare. Non saprete nulla fino alla fine. Sarà come le nostre solite ‘riunioni’ ma questa volta ho organizzato qualcosa di speciale. Dopo tutto, questo sarà l’ultimo addio al celibato. Alla fine anche Andrew è caduto nella rete.” Adam sogghignò. Al suo fianco, Nathan sorrise a sua volta.

 

“Ti sbagli. Non sono caduto in nessuna rete, amico mio” si difese l’accusato. “Lisa era la preda, e il cacciatore ha vinto il suo trofeo. Ecco come sono andate le cose. E poi…” Andrew si alzò dalla scrivania e si stirò in tutta la sua notevole statura. “E poi lei ha tutte le qualità che possono fare felice un uomo deciso a salire in alto lungo la scala della vita.”

 

“Già” disse Nicolas, picchiandogli una mano sulla spalla. “E’ bella, ricca e la sua famiglia possiede mezza Londra. Cosa desiderare di più?” Gli uomini risero, tutti tranne Adam, che si limitò a sorridere.

 

“E poi Andrew non è l’ultimo a cadere. Mancate ancora voi due!” disse Nicolas, indicando i due uomini in piedi in mezzo alla stanza.

 

Adam lo fissò, trapassandolo con uno sguardo di ghiaccio, il sorriso trasformato in una smorfia. Nathan al suo fianco gli fece scivolare un braccio intorno alla vita, indirizzando a Nicolas un’occhiata altrettanto gelida.

 

“Ok, ok,” disse questo, alzando le mani in segno di resa. “Stavo solo scherzando”.

 

***

 

Adam suonò il quinto campanello di una lunghissima serie. Il palazzo sopra di lui era composto da almeno venti piani e circa duecento compagnie grandi e piccole avevano lì la loro sede. La grande porta a vetro mandò uno scatto e Adam la spinse. Entrò in un gigantesco atrio e salutò con un cenno del capo il portiere in uniforme, rinchiuso dietro una vetrina come un pesce in un acquario. L’ascensore si trovava a cento metri dall’entrata. Nathan lo seguiva con le mani affondate nelle tasche. Salirono fino al quindicesimo piano e si diressero verso una porta all’estremità del corridoio. All’interno un grande salone li accolse. Una parete era formata da vetri e da lì si poteva vedere fino al Tamigi. Divanetti e poltrone punteggiavano qua e là il pavimento di marmo rosa, lucido e senza un difetto. Alle pareti erano appese decine di foto, alcune grandi, altre piccole, altre ancora enormi e rinchiuse in cornici di vetro. Adam non mancava mai di notare che quel posto sembrava la sala d’aspetto di una parrucchiera.  

 

La “Dolls & Co.” era una un’agenzia di modelle. O almeno la maggior parte delle dipendenti faceva quel lavoro. Ma Dorsh Marshall, il grasso e calvo fondatore e direttore della compagnia, teneva a disposizione di alcuni clienti particolarmente importanti un piccolo e selezionato gruppetto di ragazze e ragazzi addetti a servizi più particolari. Ed era questo un ‘fondo’ da cui Adam attingeva di frequente.

Dorsh accolse Adam con un sorriso spaventoso e due guance rubiconde. La sua fronte era disgustosamente sudata e lo stesso il torace sporgente dentro la camicia lasciata sempre inspiegabilmente aperta fin quasi all’ombelico. Adam distolse lo sguardo per evitare l’improvvisa nausea che lo coglieva sempre alla prima vista del grasso omino. Poi ci si abituava, ma il primo impatto era duro da sopportare. Dorsh chiamò a gran voce una ragazza e si fece portare tre coppe e una bottiglia di Champagne. Adam sospirò. Mai una volta che il vino fosse alla giusta temperatura. Quel Dorsh non era altro che un selvaggio. Sorseggiò dalla coppa un millilitro della bevanda, giusto per educazione, poi andò dritto al punto. Prima gli affari.

 

“Mi servono due ragazze. Facciamo una bionda tipo nordico, alta e scattante, e una mora mediterranea. Un tipo materno, non so se mi spiego. Mi servono per servire a tavola, quindi accertati che lo sappiano fare.” Dorsh gli porse un catalogo, scodinzolando come un cagnolino, e Adam lo sfogliò velocemente, per chiuderlo subito senza avere memorizzato nessun viso in particolare. Quelle ragazze sembravano tutte uguali. “Vedi tu, mi fido di te.”

 

Dorsh continuava a sorridere, mettendo in mostra i denti lontani dall’essere perfetti. Intanto bofonchiava assensi e annuiva con la testa. Adam si domandava spesso dove quell’uomo lasciasse la sua dignità. Sempre che ne avesse una.

 

“Si, poi mi serve un ragazzo.” Dorsh alzò gli occhi su di lui. Il sorriso si appannò un poco e i suoi occhi si fecero apprensivi. Nessuna sorpresa. Adam chiedeva sempre un ragazzo. Oh, per tornare, tornavano. Ma non sempre in buone condizioni. Spesso risultavano inutilizzabili. La sua mente iniziò a lavorare febbrilmente, domandandosi chi avrebbe potuto rifilargli. Qualcuno con non molto talento. Uno sacrificabile, insomma.

 

“Il catalogo”

 

Dorsh non sentì, ancora immerso nei suoi pensieri.

 

“Dorsh, il catalogo” ripetè la voce di Adam, senza tono. Dorsh si riscosse e rabbrividì.

 

“A cosa ti serve il catalogo? Ci penso io, come sempre, no?”

 

Adam alzò un sopracciglio. Dorsh rabbrividì nuovamente. “Il catalogo.” La voce era sempre senza tono, ma ora un sottofondo minaccioso la percorreva. Adam non era abituato a ripetere le cose due volte, figuriamoci tre.

 

Dorsh andò a recuperare un grosso volume da uno scaffale e lo porse a Adam. Questo iniziò a sfogliarlo con estrema attenzione. Con calma si accese una sigaretta.

 

“Allora” soffiò il fumo dalle narici. “Lo voglio giovane, diciotto, diciannove anni. Maggiorenne insomma. Ma che sembri più giovane.” Le pagine frusciavano sotto le sue dita. Davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini di ragazzi di tutti i tipi, dal classico bellone, abbronzato e dai capelli decolorati, al ragazzino acqua e sapone. “Uno senza particolari legami, lontano dalla famiglia. Possibilmente straniero.” Alzò lo sguardo su Dorsh. “Che dici? Avrai da qualche parte uno di quei ragazzini immigrati, Bosnia, Albania, qualcosa del genere.” Soffiò il fumo in faccia al grasso pappone. “Insomma, uno che, anche se dovesse sparire, nessuno farebbe tante domande.”

 

Dorsh deglutì. Adam Sandler era suo cliente da tanto tempo. E i ragazzi che gli aveva fornito erano tornati tutti in condizioni decisamente preoccupanti. Eppure la maggior parte di loro sapeva a cosa andava incontro. E la giusta quantità di denaro chiudeva qualsiasi ferita e qualsiasi bocca. Ma quella richiesta era indiscutibilmente strana. Sandler non aveva mai chiesto espressamente ragazzi stranieri e soli. Nel caso dovessero sparire. Tolse dalla tasca un grande fazzoletto bianco e se lo passò sulla fronte e sopra le labbra.

 

“Io non saprei…” tentò di dire. Ma Adam aveva fatto la sua scelta. Gli porse una foto, estratta dal volume. L’immagine mostrava un ragazzino di notevole bellezza. I capelli castano chiaro erano corti sulla nuca e sopra le orecchie, ma lunghi davanti, tanto da ricadere sopra gli occhi in ciocche scomposte. La pelle, leggermente ambrata, non mostrava il minimo difetto. Gli occhi scuri erano grandi e sorridenti e il sorriso appena accennato trasmetteva dolcezza e innocenza. Era il viso di un ragazzo che non aveva ancora vissuto, l’espressione fiduciosa di chi ancora non conosce il mondo e gli uomini. Adam sorrise. ‘E non conosce me’ pensò.

 

Lo indicò con il dito. “Questo. Voglio questo.” La sua voce non ammetteva repliche. Dorsh lo sapeva. Quando Adam Sandler prendeva una decisione, neppure il diavolo in persona avrebbe potuto farlo desistere. Sempre che non fosse proprio Adam Sandler il diavolo in persona.

 

“Adam” tossicchiò Dorsh, sempre più sudato e ansimante. Non avrebbe osato contrariare Sandler, se non avesse avuto qualcosa di importante da difendere. “Adam, non posso darti questo ragazzo. E’ già ingaggiato.” Adam continuò a guardarlo, lo sguardo calmo, vuoto, come se quelle parole fossero la cosa più insignificante del mondo. I suoi occhi dicevano una cosa sola: lui voleva quel ragazzo e quel ragazzo avrebbe avuto. Dorsh sospirò. “Mi è stato chiesto da una delle agenzie più importanti. Lavorerà per uno stilista, è destinato alle passerelle di tutto il mondo. Non posso dartelo” terminò, la voce sempre più flebile e tremante. “Non sa una parola d’inglese” soffiò.

 

“Ottimo.” Adam si alzò dalla poltrona e depose il catalogo sul tavolino di cristallo, fra i bicchieri e la bottiglia. “Mando una macchina a prenderlo la notte del tredici. Fammelo trovare pronto. Digli di indossare qualcosa di semplice, jeans, una maglietta. Niente di complicato e niente che lo invecchi inutilmente. Fai tu il prezzo, la fattura sai dove mandarla.” Adam sorrise della propria spiritosaggine. Naturalmente non ci sarebbe stata nessuna fattura, il pagamento sarebbe avvenuto in contanti, un paio di giorni prima della festa. Dorsh era ancora seduto, annientato sulla poltrona di velluto blu. Nathan si alzò a sua volta, appoggiò il bicchiere e si infilò di nuovo le mani nelle tasche. Adam si avviò verso la porta e Nathan lo seguì.                     

 

***

 

Nathan si mise in posizione sul bordo della piscina. L’acqua sotto di lui era limpida e profumata di cloro, e prometteva di essere tiepida e avvolgente. Adam, al suo fianco, si chinò in avanti, piegando leggermente le ginocchia e sollevando le braccia all’altezza del capo. Non appena Adam si mosse, Nathan lo seguì. L’acqua lo risucchiò con affetto e poi lo risospinse verso la superficie, come una madre amorosa. Nathan sentì, come sempre accadeva, la piacevole sensazione di non possedere più peso. Il suo corpo prese a muoversi con facilità ed eleganza, sostenuto e guidato dall’acqua, e il suo respiro divenne ritmico, trasmettendo a tutto il suo corpo calma e una quieta gioia. Nathan amava l’acqua, era il suo ambiente naturale. In acqua era stato concepito ed era nato, vi aveva trascorso i primi attimi della sua vita, e tutti i momenti felici. In quella piscina, in quell’acqua, aveva conosciuto Adam. E proprio lì, sul bordo di quella piscina, sopra un telo umido, avevano fatto l’amore la prima volta, e molte altre volte ancora.

 

Nathan arrivò in fondo alla vasca, toccò il bordo con le dita poi, con una giravolta, puntò i piedi contro la parete azzurra e liscia e si spinse via, veloce, mentre l’acqua accarezzava tutto il suo corpo, dal viso alla punta dei piedi. Tornò a galla, respirò e riprese a muovere le braccia e le gambe in sincronia. Quattro bracciate e un respiro, quattro bracciate e un respiro. Si chiese perché la natura non lo avesse dotato di un sistema per respirare sott’acqua. Ruotare il capo per prendere aria rovinava la perfezione del suo movimento. Lo costringeva a lasciare per un secondo il silenzio ovattato e l’azzurro luccicante, per inoltrarsi in un microcosmo di violenza, dove l’acqua schizzava, lo colpiva, lo accecava e rendeva roco il suo respiro. A volte, per evitarlo, continuava a tenere la testa sott’acqua fino a quando non aveva più respiro. Ma ora no. Adam era al suo fianco e Nathan desiderava vederlo. Avrebbe potuto andarsene via, percorrere le cinquanta vasche che si erano prefissati in molto meno tempo. Ma nuotare con Adam al suo fianco era la cosa che più lo faceva sentire bene. Era bello sentire il fruscio dell’acqua, ascoltarlo inspirare voracemente l’aria. A volte rimaneva un po’ indietro solo per rimanere a guardare il suo corpo muoversi con forza e perfetta coordinazione. La differenza fra loro era quella: lo stile di Nathan nasceva dalla sua confidenza con l’acqua, i suoi movimenti erano guidati dall’acqua stessa, e l’uomo avanzava velocemente, senza sforzo, come sospinto in avanti dal liquido elemento, come un delfino o uno squalo; al contrario, lo stile di Adam era dovuto soltanto alla sua perfetta tecnica, era il movimento un po’ rigido di chi ha imparato a nuotare da adulto e ha raggiunto una tale perfezione soltanto grazie al suo impegno e alla sua testardaggine. Quella era l’essenza di Adam. Una volontà incrollabile, la fede cieca nel fatto che qualsiasi cosa avesse voluto, lui l’avrebbe avuta. A qualsiasi costo.

 

Nathan si spinse via dal bordo per l’ultima volta. Quella era la cinquantesima vasca e il ritmo delle bracciate di Adam era rallentato da un po’. Nathan lo aveva seguito per tutto il tempo, rallentando a sua volta. Ma ora era arrivato il momento di accelerare, lievemente, soltanto lo stretto necessario per toccare il bordo poco prima di lui.

 

***

 

Adam si issò sul bordo. Le braccia tremavano leggermente e sembravano pesanti e rigide, il cuore pompava a tutta velocità e i polmoni gridavano per potersi aprire e chiudere più velocemente, in modo da svolgere il loro dovere e procurare più ossigeno ai muscoli stanchi. Ma Adam non lo permetteva, li teneva sotto stretto controllo, imbrigliati come cavalli nervosi. Si sarebbe soffocato piuttosto che mostrare a Nathan di avere il fiatone. Si alzò lentamente, raggiunse la panca di legno e prese il suo accappatoio, avvolgendosi dentro il cotone morbido e profumato di lavanda.

La piscina, di dimensioni olimpiche, era sua, così come l’immenso palazzo settecentesco che era la sua casa, e il parco che lo circondava. Così come sarebbe stato suo un giorno il castello nel sud della Francia dove i suoi genitori vivevano come signori medievali. E i palazzi, e le società che appartenevano alla sua famiglia. Persino la DDP Inc., dove lavorava come direttore commerciale, era sua. I suoi migliori amici, Nicolas, Richard e Andrew, e anche Nathan, erano in realtà suoi dipendenti.

 

Suo padre lo aveva allevato nella certezza che il mondo fosse ai suoi piedi, e lui quella certezza la manteneva viva dentro di sé, la coltivava come una pianta rara e preziosa, la cullava e vezzeggiava come un bimbo, la indossava come un manto di broccato ed ermellino e la portava in capo come una corona. La difendeva, lottando, distruggendo, calpestando qualsiasi cosa e chiunque. Lui possedeva tutto ciò che desiderava. Tutto, tranne Nathan. Lo guardò mentre si asciugava i capelli neri con un asciugamano e da lontano gli sorrideva. Non che non fosse suo, ma Nathan era suo solo perché lo voleva. E non lo faceva per interesse. La famiglia di Nathan era ricca e potente quanto la sua, se non di più. Semplicemente gli stava accanto, tranquillo, silenzioso. Anzi, in alcuni momenti Adam aveva l’insolita sensazione di essere lui ad appartenere a Nathan, come in quei loro pomeriggi in piscina, quando Nathan, molto più veloce di lui, lo seguiva per tutto il tempo, vasca dopo vasca, e alla fine arrivava a toccare il bordo per primo. Solo di poco, come a volergli dimostrare che lui no, lui non faceva parte delle sue “proprietà”, lui poteva fare tutto ciò che voleva, poteva vincerlo, sottometterlo, distruggerlo. E che, se non lo faceva era solo perché non voleva farlo.      

 

Si diresse verso la doccia, senza parlare e senza voltarsi. Sapeva che Nathan lo avrebbe seguito, silenzioso come sempre. Lasciò cadere l’accappatoio a terra ed entrò nella cabina. Nathan era già lì con lui e stava programmando il getto dell’acqua in modo che fosse di potenza media e che la temperatura superasse quella del loro corpo solo di un grado. Alzò il viso verso la pioggia tiepida e si passò le dita fra i capelli. Anche con gli occhi chiusi poteva sentire lo sguardo di Nathan su di sé. Il solo pensiero lo fece eccitare. Si voltò verso il compagno e lo vide attraverso una cortina d’acqua mentre si passava le mani sugli addominali, poi sulle spalle e quindi sul viso e fra i capelli, neri e lucidi. Lo vide voltarsi lentamente, come per caso, come se volesse soltanto godersi il getto dell’acqua direttamente sul petto. Si accarezzò ancora una volta le braccia e le spalle, poi sollevò le mani e le appoggiò, sempre come per caso, contro le piastrelle fredde e scivolose. Ora lo scroscio lo colpiva direttamente sulla nuca e poi scendeva veloce lungo la schiena, si incuneava fra le natiche come un ruscello in un piccolo canyon e poi formava una cascatella fra le gambe. Infine si raccoglieva sul pavimento e scompariva nello scarico.

Adam rimase per un po’ come ipnotizzato a guardare lo scorrere dell’acqua, poi si avvicinò al compagno e lo cinse da dietro, dolcemente ma con fermezza, avendo cura di fare aderire il suo torace alla schiena di Nathan e in modo che i lombi si incastrassero perfettamente con le sue natiche. Passò le mani in su e in giù lungo il corpo dell’amico, poi appoggiò la guancia contro la sua nuca. Succhiò brevemente la pelle fresca, sentendo sulla lingua il sapore leggermente salato che subito scompariva, portato via dall’acqua dolce. Inspirò profondamente, consapevole che il cuore di Nathan stava accelerando, proprio come il suo. Se si concentrava poteva sentirlo battere contro il suo petto. Abbassò una mano fino a imprigionare il pene eretto del compagno nel suo palmo poi, lentamente, lo penetrò.

 

***

 

Nicolas, Andrew e Richard arrivarono poco prima delle nove. Naturalmente Adam e Nathan li avrebbero raggiunti più tardi, come sempre. Questa volta il loro anfitrione aveva fatto le cose in grande. Il luogo della festa era la mansarda di un vecchio palazzo, anche se chiamarla mansarda era decisamente riduttivo. Si trattava dell’ultimo piano di un antico palazzo, una vecchia residenza di caccia, che Adam possedeva appena fuori città. Richard suonò il campanello e la porta si aprì immediatamente, come se qualcuno fosse stato in attesa di quel momento. I tre uomini soppesarono con un’occhiata la giovane che li aveva fatti entrare. Niente di particolare, una bionda dal fisico atletico, agghindata come al solito. Il suo era il tipico abbigliamento da film porno di seconda categoria, soltanto un grembiulino bianco da cameriera, calze autoreggenti e tacchi a spillo. I seni, piccoli ma ben fatti, erano rigorosamente scoperti. Andrew sorrise, osservando la ragazza come si trattasse di un pezzo di carne sul banco del macellaio.

 

“Niente di che” disse ad alta voce, lontano dalla sua mente il pensiero di offendere la ragazza. “Adam poteva certo fare di meglio.” Nicolas rise mentre Richard, sogghignando, infilò la mano sotto il grembiule. La ragazza non si sottrasse ma il sorriso smagliante con cui li aveva accolti si appannò leggermente.

 

L’ingresso si apriva su un salone enorme, arredato come uno chalet svizzero. In un angolo c’era persino il camino acceso. Sulle pareti facevano mostra di sé quadri raffiguranti panorami alpini. Il grande tavolo di legno massiccio era già apparecchiato e pronto. Dalla cucina arrivavano profumi caldi e invitanti. I tre uomini si aggirarono per tutto l’appartamento, composto oltre che dal salone e dalla cucina, da una serie di stanze da letto anch’esse in stile alpino, con pesanti letti in legno coperti da colorate trapunte patchwork. Sui pavimenti abbondavano tappeti in pelo di pecora.  Misero il naso dappertutto, lanciando commenti e apprezzamenti o critiche alla volta di tutto ciò che attirava la loro attenzione. In cucina scoprirono tutto un plotone di cuochi di varia nazionalità e un’altra ragazza, vestita esattamente come la prima, ma questa volta mora e dalle forme molto più abbondanti.

 

Richard la squadrò, poi la prese per un polso e la trascinò nel salone. Incurante delle proteste della ragazza, la cinse da dietro, strizzandole i seni fra le mani. La donna gridò e spinse via il suo aggressore, rifugiandosi in un angolo, e guardò Richard con astio mentre con le braccia si proteggeva i seni segnati già da macchie rosse.

 

“Ascoltami bene, tesoro” disse Richard, avvicinandosi alla ragazza che si guardava intorno come a cercare una via di fuga. La bionda se ne stava accanto alla porta della cucina e osservava la scena con apprensione, Nicolas e Andrew sogghignavano a braccia conserte, mentre i cuochi spadellavano allegramente. Nessuno le sarebbe venuto in soccorso.

 

“Ascolta bene, che la questione sia chiara da subito. Io non so chi tu sia o cosa tu creda di essere. Sappi solo che per questa sera non sei niente, sei soltanto un oggetto, un giocattolo.” Richard si avvicinò ancora e prese in una mano una ciocca di capelli, tirandola con forza. La ragazza gridò ancora e una lacrima rotolò giù per una guancia. “Ci siamo capiti?” La giovane annuì velocemente, guaendo come un cucciolo. Richard la lasciò, poi la sua attenzione fu attratta da qualcos’altro. Il suo viso si illuminò come quello di un bambino la mattina di Natale e la ragazza scomparve momentaneamente dai suoi pensieri.

 

“Ragazzi! Ecco una cosa che può sollevare le sorti di una festa deprimente come questa!” e si avvicinò ad un tavolino basso dove sopra una scacchiera di cristallo erano tracciate tre righe di polvere bianca. Di fianco alla scacchiera un portasigarette in argento conteneva ben cinque cannucce, anch’esse d’argento. Senza contare il portasigari in ebano che, come si accertò subito Nicolas alzando il coperchio, non conteneva certo sigari.

 

“Wow!” esclamò. “E’ sufficiente per dieci di queste feste!” quindi afferrò una cannuccia e si servì con soddisfazione, raccogliendo poi quanto restava sul cristallo con un dito e succhiandoselo via con gusto.

 

Richard e Andrew fecero altrettanto, poi si lasciarono cadere sul divano e cominciarono a sghignazzare, dandosi pugni sulle spalle e facendo apprezzamenti nei confronti del party e di Adam. Frasi come “nessuno sa organizzare le feste come lui” e “Adam si che ci sa fare” si sprecarono fino a quando il campanello suonò, la bionda corse ad aprire e l’elogiato apparve, accompagnato come sempre dalla sua inseparabile ombra.

 

***

 

“Ok, ora la festa può cominciare” disse Adam, togliendosi la giacca e passandola a Nathan che la appese ad un attaccapanni insieme alla sua.

 

Come ad un segnale convenuto le ragazze uscirono dalla cucina portando due grandi vassoi. Adam si sedette a capotavola con Nathan alla sua destra. Richard si sedette accanto a suo fratello, mentre all’altro lato del tavolo si accomodarono Nicolas e Andrew.

 

Le due “cameriere” iniziarono a disporre il cibo nei piatti, la bionda un po’ più sicura, la mora tremando leggermente, soprattutto mentre passava accanto a Richard che la fissava freddamente con i suoi occhi azzurri e glaciali.

 

Il pasto fu ravvivato da discorsi banali, i cinque uomini parlarono di lavoro e di donne, Nicolas raccontò aneddoti divertenti accaduti durante la sua ultima permanenza a New York, mentre Andrew descrisse fin nei minimi dettagli la villa dove sarebbe andato a vivere dopo il matrimonio. Nessuno gli risparmiò battute e commenti sulla sposa e sul motivo per cui uno spirito libero come Andrew aveva deciso di convolare. La parola “debiti” rimbalzò da un capo all’altro del tavolo come una pallina da ping-pong. Andrew non confermava ma nemmeno negava. In fondo i suoi amici non si erano sposati per motivi più nobili dei suoi. 

 

Adam si ritrovò a confrontare il suo amante con il fratello. Nathan e Richard erano gemelli, in pratica i loro lineamenti erano identici. Ma nessuno che li conoscesse soltanto un po’ avrebbe mai potuto scambiarli. Nathan era bellissimo, la pelle chiara e gli occhi azzurri contrastavano piacevolmente con i capelli neri e lisci. La sua espressione era serena e impenetrabile. Nulla tradiva la sua vera indole, nessuno avrebbe potuto indovinare quanto quell’uomo poteva essere spietato. Richard invece era sin troppo trasparente. La sua propensione alla violenza gli si leggeva in viso, la piacevolezza dei suoi lineamenti era disturbata dalla piega feroce delle labbra e dall’espressione selvaggia dei suoi occhi. Dove lo sguardo di Richard bruciava, quello di Nathan trasmetteva una gelida fermezza. Così come Richard esplodeva in furia e distruzione, Nathan distruggeva in modo calcolato e inesorabile. Adam si riscosse dai suoi pensieri, cercò lo sguardo di Nathan e gli sorrise.

 

Verso le undici la cena volgeva al termine e le ragazze servirono l’ultima portata, un dolce formato da più strati di pan di spagna farciti con una crema ai mirtilli. La mora, che una portata dopo l’altra si era fatta sempre più nervosa e riluttante ad avvicinarsi a Richard, il quale l’aveva premiata di tanto in tanto con dolorosi pizzicotti sulle parti più sensibili del corpo, aveva servito la fetta di dolce tremando tanto da fare cadere un po’ della salsa che la ricopriva sulla tovaglia. Una goccia schizzò proprio sulla patta dei pantaloni di Richard. Subito un ghigno mefistofelico si dipinse sul viso dell’uomo che, evidentemente, non aspettava altro che un segno di cedimento da parte della prosperosa giovane.

 

“Va bene, bella” sussurrò, posando la forchetta a tre denti da dolce e spingendo indietro la sedia. Si alzò di scatto e afferrò al volo la ragazza che già indietreggiava verso la cucina.

 

“Ora pulisci!” ordinò. Tenendo la ragazza per i capelli, la forzò verso il tavolo e le premette la bocca contro la macchia sulla tovaglia. La giovane tentò di divincolarsi, ma l’uomo, con un breve movimento del polso la fece andare a sbattere con i denti sul tavolo. Una macchia rossa come la salsa di mirtilli andò ad aggiungersi a quella che già sporcava la tovaglia candida. La vittima guaì e poi, lentamente, aprì la bocca e leccò la macchia, piangendo disperatamente. Richard, per nulla impressionato, la tirò in piedi e la trascinò al divano.

 

“C’è un’altra macchia” disse, indicandosi l’inguine. La ragazza lo guardò con due occhi grandi e disperati, mentre il labbro superiore sanguinava lentamente.

 

Gli uomini continuarono a mangiare, accompagnati dai gemiti strazianti della cameriera e dai grugniti soddisfatti del loro collega. La ragazza bionda si era appoggiata ad uno stipite come se non riuscisse a tenersi in piedi senza appoggio, e fissava la scena sbalordita, domandandosi quando sarebbe toccato a lei.

 

***

 

Gli ospiti si spostarono davanti al camino, mentre la ragazza bionda e uno dei cuochi sparecchiavano e rassettavano la sala da pranzo. Sul grande divano ricoperto da una trapunta patchwork, Nicolas e Andrew sorseggiavano un Long John, alla loro destra Richard sedeva a gambe incrociate su una poltrona ricoperta di velluto rosso mentre la giovane dai capelli neri era accoccolata sul tappeto davanti a lui, con le gambe raccolte e le braccia strette intorno alle spalle. Aveva il viso bagnato e il labbro gonfio.

A sinistra si presentava una scena speculare ma allo stesso tempo completamente diversa. Adam sedeva composto e tranquillo, con una mano reggeva una coppa di champagne, mentre con l’altra accarezzava i capelli di Nathan che sedeva ai suoi piedi tenendogli poggiata una guancia sul ginocchio.

 

Chiacchierando del più e del meno attesero fino a che i cuochi non se ne andarono, portandosi via tutto il loro materiale. Improvvisamente l’appartamento divenne silenzioso e fermo. Gli uomini sorseggiavano lentamente dai loro bicchieri, la ragazza mora rimaneva immobile respirando appena, mentre la bionda si teneva a distanza tormentandosi le mani, senza trovare il coraggio di guardare nessuno negli occhi.

 

La quiete prima della tempesta.

 

Fu Richard il primo a muoversi. Con calma ricompose cinque strisce di cocaina sulla scacchiera, poi tirò la sua dose. Starnutì un paio di volte, raccolse con il dito ciò che era rimasto sul cristallo e con un gesto veloce lo sfregò sopra i denti. I suoi occhi presero a brillare e il suo sguardo cadde subito sulla ragazza mora. Evidentemente aveva deciso che la povera giovane per quella sera sarebbe stata la sua vittima. Sogghignando si avvicinò a lei, lentamente. La poveretta riprese a guaire e si allontanò gattoni, mentre l’uomo la seguiva da vicino, ma senza accennare a toccarla, come il gatto che gioca col topo. La costrinse a cercare rifugio in un angolo e qui con un ceffone la prese in pieno viso. Il naso le cominciò a sanguinare. Tenendola ferma si spogliò poi, come un lupo balzò su di lei.

 

Gli uomini seguivano la scena con interesse. Nicolas sorrideva mentre Andrew scuoteva lentamente il capo. Trovava che Richard fosse un po’ troppo violento. Lo era sempre ma quando era fatto di coca diventava una vera bestia. Però non poteva negare che la scena lo stava eccitando. Diede un colpetto sul ginocchio di Nicolas e gli indicò con lo sguardo la bionda che continuava a rimanere in piedi e fissava la compagna con le labbra strette e gli occhi pieni di lacrime. Non appena si accorse del loro sguardo li guardò con disperazione, ma li attese senza muoversi mentre si avvicinavano a lei. Entrambi sniffarono prima la loro striscia, poi raggiunsero la ragazza. Andrew si spogliò mentre Nicolas stringeva la donna e la baciava sul collo. Poi fu il turno di Nicolas di togliersi i vestiti. In breve furono entrambi avvinghiati alla ragazza, penetrandola a turno. Lei, all’inizio aveva cercato di ribellarsi, senza tuttavia molta convinzione. Poi aveva deciso di lasciarli fare. Non erano troppo brutali e le grida della sua compagna le ricordavano in ogni istante che avrebbe potuto andarle molto peggio. Mentre le lacrime le inondavano il viso e le bagnavano le labbra, ripensava ad un momento lontano nel tempo, un prato, un’altalena e il sole che splendeva nel cielo.

 

Dalla loro comoda postazione, Adam e Nathan osservavano, sorseggiando champagne. Il fuoco del camino scoppiettava e sibilava e il suo calore li accarezzava dolcemente.  

   

***

 

Erano quasi le tre del mattino quando le ragazze lasciarono l’appartamento. Si erano fatte una doccia e ora, vestite e truccate, avevano riacquistato una certa sicurezza di sé. La mora portava ancora sul viso i segni del trattamento subito e l’indomani, alle domande che le sarebbero state rivolte, avrebbe risposto che era andata a sbattere contro una porta. Già vedeva nella sua mente il suo sorriso stupido e la risata sciocca. “Sono sempre la solita imbranata…” avrebbe detto, scuotendo il capo. E la faccenda sarebbe stata archiviata.  Davanti alla porta Adam consegnò alle ragazze due buste. La mora non osò farlo ma la bionda aprì la sua, poi sollevò gli occhi incredula. Non riuscì a nascondere un sorriso di gratitudine. Mille sterline non sono cosa da tutti i giorni, pensò. Adam vide quel sorriso e riflettè ancora una volta su come il denaro potesse comprare qualsiasi cosa, persino la gratitudine di una ragazza violentata e umiliata. Scosse il capo dentro di sé e voltò le spalle alle due donne, tornando dai suoi amici. La serata non era ancora finita, anzi, il meglio doveva ancora cominciare.

 

***

 

Quando il campanello suonò di nuovo fu Richard ad andare ad aprire. Vedendo il nuovo ospite si voltò incredulo verso Adam.

 

-          No! Lo hai fatto ancora! – esclamò, fra lo stupefatto e l’irritato. – Potevi fare arrivare un’altra simile alle due di prima. Una rossa, magari. Che ce ne facciamo di questo? –

 

Prese il ragazzino per la spalla e gli strappò letteralmente di dosso il giubbotto di pelle stile anni ’50, quindi lo spinse in mezzo alla stanza. Il ragazzo indossava una t-shirt bianca, un paio di jeans e scarpe da ginnastica, come aveva chiesto Adam, e si guardava intorno intimidito e preoccupato, come un bambino sperduto nel parcheggio di un supermercato. Il suo sguardo scattava da un uomo all’altro mentre le mani rimanevano abbandonate lungo i fianchi. Adam gli si avvicinò e il giovane fece un passo indietro.

 

-          Sai perché sei qui? – chiese. Il ragazzo continuò a fissarlo con aria interrogativa. – Parli inglese? – chiese di nuovo. Il ragazzo scosse lentamente la testa. – Bene. – mormorò Adam.

 

Tornò al tavolo e sollevò un bicchiere.

 

-          Non abbiamo ancora brindato al nostro festeggiato. –

 

Gli uomini lo raggiunsero e a loro volta riempirono i calici di vino bianco e frizzante e li levarono fin sopra le teste.

 

-          A Andrew! –  esclamò.  – A Andrew! – fecero eco tutti gli altri.

 

Bevvero, poi ognuno tornò a sedersi, ignorando completamente il ragazzo che, in mezzo alla stanza, aveva cominciato a stropicciarsi le mani come aveva fatto prima la ragazza bionda. Continuava a guardarsi intorno. Ora lanciava agli uomini occhiate supplici, come a domandare loro cosa stesse succedendo e cosa ci si aspettava da lui. Ora esplorava l’ambiente con lo sguardo, come a controllare che non ci fosse nulla di pericoloso. Ora guardava la porta di soppiatto, come domandandosi se non fosse stato meglio per lui correre in quella direzione e scappare da quel posto.

 

Adam, tornato a sedersi sulla sua poltrona, non aveva mai smesso di tenere d’occhio il giovane. Poteva immaginare cosa provava. Non sapeva dove era, non capiva cosa loro volessero da lui, non capiva una parola di quello che dicevano. Una cosa sola riusciva a percepire: che quegli uomini erano pericolosi. E non sapeva quanto, ho, quanto avesse ragione. Ma sapeva di essere solo, completamente, disperatamente solo in loro balìa. Adam vide che aveva iniziato a tremare. Tentava in tutti i modi di non dare a vedere quanto fosse terrorizzato, atteggiava il viso ad una calma indifferenza, ma le palpebre sbattevano e le mani si tormentavano una con l’altra. Ogni tanto accennava un sorriso ma le labbra tremavano e scattavano. Adam sorrise dentro di sé. Eppure non avevano ancora fatto nulla, non si erano neppure mossi. La loro sola presenza era sufficiente a spingere quel ragazzo sull’orlo del baratro.

 

La sua reazione dimostrava che Dorsch aveva mantenuto fede agli accordi. Adam aveva chiesto un ragazzo giovane e privo di esperienza, e quel biondino rispondeva perfettamente ai requisiti. Un ragazzo già svezzato si sarebbe comportato del tutto diversamente e questo purtroppo avrebbe diminuito di molto il divertimento. Una volta quel porco di Dorsch aveva tentato di imbrogliare e, facendo di testa sua, aveva mandato un ragazzo decisamente non nuovo alla situazione. Non appena entrato, il tipo aveva iniziato a fare il simpatico, a chiacchierare e prendersi libertà come toccare loro le braccia o le spalle, a flirtare con loro come se ciò gli fosse stato richiesto. La cosa aveva irritato molto Richard e anche Adam. Il risultato era stato che Dorsch non era stato pagato e inoltre si era ritrovato con un modello del tutto inservibile, buono tuttalpiù per chiedere la carità agli angoli della strada. Da quella volta Dorsch aveva imparato la lezione. Il ragazzino era del tutto perfetto.

 

Nicolas si alzò e scomparve per un attimo in cucina. Quando tornò aveva in mano una bottiglia di vodka ghiacciata. Riempì per metà un bicchiere da scotch e lo vuotò con un sorso. Le guance e il collo divennero subito rossi come i suoi capelli e un sorriso maligno gli spuntò sul viso. Iniziò a girare intorno al ragazzo come un avvoltoio. Questo si strinse le braccia intorno alle spalle.

 

-          Spogliati! – ordinò.

 

Il ragazzo continuò a guardarlo senza capire. Nicolas gli picchiò il bicchiere contro il petto, indicando la t-shirt e facendo segno che doveva levarsela. Il giovane rimase ancora per qualche secondo come inebetito, poi scosse la testa con violenza dicendo qualcosa nella sua lingua. Nicolas sorrise.

 

-          Hai capito… Allora toglila! –

 

Il ragazzo si allontanò e si strinse ancora di più le braccia sul petto. I suoi occhi scattarono alla porta, ma ancora prima che potesse anche solo pensare di fuggire Richard gli bloccò la strada e Nicolas lo colpì in pieno viso con la mano in cui ancora stringeva il bicchiere. Il ragazzo crollò a terra e si portò le mani alla guancia tagliata. Sollevò il viso verso gli uomini che ormai lo circondavano. Improvvisamente si rese conto che era in trappola. Iniziò a singhiozzare e dalla sua bocca uscì un fiotto di parole.

 

-          Che dice? – chiese Andrew.

 

-          Non ne ho idea! – rispose Nicolas – Ma dal tono si direbbe che ci sta insultando.-

 

Richard lo sollevò di peso da terra e con un pugno in mezzo allo stomaco lo rimandò a terra boccheggiante.

 

-          Questo per insegnarti che non si dicono le parolacce, e soprattutto non a persone che potrebbero essere i tuoi papà… - sogghignò.

 

Il ragazzino si stringeva le mani contro lo stomaco e singhiozzava forte. Parlava ancora ma la voce sembrava uscire a fatica e il tono era piagnucoloso, supplice. Richard gli passò una mano fra i capelli.

 

-          Bravo bambino – disse, e gli accarezzò una guancia. Poi indicò di nuovo la t-shirt. – E ora toglila, avanti! – ordinò.

 

Il ragazzo, muovendosi a fatica e tremando, tolse la maglietta, poi la tenne davanti a sé come a volersi riparare o nascondere. Nicolas gliela strappò via.

 

-          E ora i pantaloni – disse.

 

Questa volta il ragazzo capì subito e levò verso di loro uno sguardo disperato. Ma durò solo un attimo. Lentamente prese a sbottonarsi i jeans e dopo poco se ne stava in piedi in mezzo al salone soltanto con gli slip e i calzini sportivi.

Adam sedeva accanto al camino e osservava la scena sorridendo. La sua mano si muoveva lenta fra i capelli neri di Nathan che sedeva accoccolato sul tappeto davanti a lui. Gli uomini si erano fermati e ora attendevano che Adam indicasse loro come proseguire il gioco. Si alzò e si avvicinò al ragazzo che tremava come una foglia. Non per il freddo, pensò. Nella stanza c’era calore sufficiente anche per una persona completamente nuda.

 

-          So bene che a Nicolas piacerebbe aprire le danze, ma oggi siamo qui per festeggiare il nostro caro amico Andrew. Quindi tocca a lui. –

 

Nicolas ridacchiò e arrossì. Non era facile per lui nascondere che, oltre che dalle ragazze dal fisico mascolino, era attratto anche dai ragazzi, soprattutto quelli giovani e dall’aspetto delicato come quello che aveva davanti. Andrew si fece avanti.

 

-          Già. – disse. – Probabilmente sarà l’ultima volta che farò una cosa del genere…-

 

Richard gli somministrò uno scappellotto.

 

-          Ma finiscila! Le feste di Adam non finiranno certo perché tu ti sposi, idiota! –

 

Tutti risero e in quel momento il ragazzo, sentendosi per un attimo al di fuori della loro attenzione, scattò verso la porta. Ma aveva dimenticato Nathan che era arrivato all’uscita prima di lui. Lo bloccò e lo portò indietro. Ormai il ragazzo aveva capito che per lui le cose si stavano mettendo davvero male e aveva deciso di lottare con tutte le sue forze. Non appena si trovò di nuovo all’interno del cerchio di uomini, iniziò a tirare pugni e calci alla cieca, mancandoli la maggior parte delle volte ma colpendo anche qualcuno. Richard ricevette un pugno alla mascella e Nicolas un calcio all’inguine. Le sue parti delicate furono mancate per un soffio. Una nuova eccitazione pervase il gruppo e gli uomini si lanciarono occhiate fameliche. Ora il gioco era davvero cominciato.

 

Adam e Nathan si ritirarono nel loro angolo preferito. Non era nelle loro abitudini partecipare attivamente. I giovani ospiti erano un trastullo per i loro amici, non per loro. Erano qualcosa che rendeva interessante la serata. Così come il cibo, le bevande e la cocaina. Loro si limitavano a seguire la scena, si divertivano ad osservare le diverse reazioni che il loro “gioco” suscitava nei “giocattoli”. Era interessante notare come ognuno avesse un suo proprio approccio. C’era chi sulle prime faceva il duro, chi fingeva di stare al gioco, oppure c’era chi, come questa ultima vittima, non riusciva a nascondere il suo immediato terrore. Ma alla fine si comportavano tutti allo stesso modo. Quando capivano che non c’era nulla da fare si rimettevano nelle loro mani, come bambole rotte.

 

Richard aveva preso un tovagliolo e aveva legato le mani del ragazzo fra di loro. Ora le teneva immobilizzate contro il suo petto mentre il giovane si dibatteva con tutte le sue forze e Andrew si calava i pantaloni, pregustando l’affondo quasi doloroso nell’apertura resa ancora più stretta dal terrore. Per facilitare l’operazione si unse le mani con del burro e se le passò sul pene, quindi introdusse due dita nell’ano del ragazzo che si mise a urlare e a dibattersi con ancora più forza. Richard, grugnendo che non ce la faceva più a tenerlo, lo trascinò al tavolo e lo bloccò con lo stomaco sopra la tovaglia. Nicolas, velocemente e cercando di schivare i calci, gli legò le caviglie alle gambe del tavolo così che le gambe rimasero divaricate. Finalmente Andrew potè posizionarsi alle sue spalle.

 

-          Mioddio! – gridò. – Non entra, è chiuso ermeticamente! –

 

-          Avanti, spingi! – lo incoraggiò Richard.

 

-          Io spingo, ma è strettissimo! – esclamò di nuovo Andrew.

 

Prese ancora un po’ di burro e forzò di nuovo l’apertura, questa volta massaggiando bene con due dita. Quando sentì cedere un po’, ne aggiunse un terzo. Il ragazzo non aveva smesso un secondo di urlare e quando Andrew estrasse le dita capì perché. La mano era sporca di sangue.

 

-          Si è rotto… - disse.

 

-          Hei! Non sfondarlo! Ricordati che ci siamo anche noi! – sbraitò Nicolas, che non vedeva l’ora che arrivasse il suo turno.

 

Andrew riprese la sua posizione e questa volta, dopo un paio di tentativi, entrò. L’urlo folle del ragazzo squarciò l’aria.

 

***

 

Nathan si alzò e si sedette a cavalcioni sulle ginocchia di Adam. Lentamente si sbottonò la camicia e lasciò che Adam gliela sfilasse. Si baciarono, a lungo, con forza e tenerezza. Poi la bocca di Adam si spostò dal viso al collo e alle spalle di Nathan. Richard comparve all’improvviso alle sue spalle e lo cinse da dietro, posando la bocca sulla nuca del fratello. Fu allora che comparve la pistola. La mano di Adam la stringeva con fermezza e la puntava esattamente al centro della fronte dell’intruso. Richard si immobilizzò e subito gocce fredde imperlarono la sua fronte.

 

-          Che cazzo fai? – chiese, spaventato.

 

-          Tu, che cazzo fai! – disse Adam, minaccioso.

 

-          Avanti… non scherzare. Lo abbiamo già fatto… ricordi? – chiese ancora, deglutendo a fatica.

 

La pistola continuava a fissarlo, non tanto grande da sembrare esibita, ma abbastanza da non sembrare affatto un giocattolo e da provocare in lui un genuino senso di terrore.

Adam sorrise. Si, era vero. Era successo solo una volta. Richard e Adam si erano divisi Nathan. Ma era passato tanto tempo. Allora il legame tra Adam e Nathan non era che una pallida ombra di ciò che era diventato. Adesso nessuno, nessuno, poteva toccare Nathan.

 

-          Togligli le mani di dosso. Hai già un giocattolo – ringhiò, indicando con la canna della pistola il tavolo, dove Nicolas si accaniva sulla giovane preda. – Hai un secondo, poi sparo. –

 

Richard fece un balzo all’indietro. Adam aveva gli occhi rossi che scintillavano di rabbia. Un secondo, poi avrebbe sparato. Richard non aveva motivo di avere dubbi. Nathan si alzò e si voltò verso il fratello, fissandolo con odio. Anche Adam si alzò e, presa nella sua la mano del compagno, si avviò verso una delle camere da letto. Richard rimase a guardarli scomparire in fondo al corridoio, ghiacciato e tremante. Poi tornò a voltarsi verso il ragazzo che stava ora in ginocchio sul pavimento mentre Andrew gli faceva ingoiare a forza un bicchiere colmo di scotch.

 

***

 

-          Che idiota! – esclamò Nathan, riferendosi al fratello.

 

Accolse con sollievo il calore del corpo di Adam che lo abbracciò in modo protettivo. Ricambiò l’abbraccio, lasciandosi cullare per un attimo dal battito dei loro cuori e dal ritmo del loro respiro. Quindi ricominciarono a baciarsi. Attutite dalla distanza e dalle porte chiuse, si udivano risate e parole incomprensibili. Le urla del ragazzo si erano sempre più attenuate e diradate. Dentro la stanza la calma era quasi irreale. Non si udiva altro che il respiro dei due amanti e i loro gemiti trattenuti. Poi il fruscio delle lenzuola quando si abbandonarono sul letto. La pistola giaceva sul cuscino, accanto alla testa di Nathan. Adam, sopra di lui, si muoveva lentamente, fissandolo negli occhi.

 

-          Tu sei mio… - sussurrò, poi venne con un profondo respiro.

 

Nathan lo accolse sul suo petto, accarezzandolo dolcemente sul viso e sui capelli. Poco dopo si sfilò da sotto il corpo del compagno, lasciandolo prono sulle lenzuola bianche e stropicciate. Quindi, abbracciandolo e posandogli il viso sulla nuca e inspirandone forte l’odore, lo penetrò a sua volta, lasciandosi eccitare dal debole gemito di dolore di Adam, meno avvezzo di lui a subire. Soltanto parecchi  minuti dopo, accoccolati sul tappeto davanti alla grande stufa, allacciati uno all’altro, parlarono ancora. Nathan allungò il braccio e prese la pistola, rigirandola fra le mani. Poi, lentamente, passò la canna fredda e lucente sul viso di Adam, dalla tempia al mento. Quindi giù, lungo la gola, fino allo sterno. Adam chiuse gli occhi e abbandonò il capo contro il muro dietro di lui.

 

-          Vuoi ucciderlo, non è vero? – chiese Nathan, giocando con la rivoltella e passandosela da una mano all’altra.

 

Pronunciare quelle parole gli diede un brivido.

 

Adam annuì, stringendolo forte contro di sè.

 

-          Perché? – chiese ancora Nathan.

 

Adam sospirò, poi cambiò posizione. Passarono alcuni secondi.

 

-          Perché non c’è niente che possa impedirmelo – mormorò.

 

***

 

Tornarono nel salone. Richard era semisdraiato sul divano, vestito per metà. I pantaloni erano sbottonati e la camicia aperta. Stava fumando una sigaretta con evidente soddisfazione. Nicolas era sdraiato prono sul tappeto davanti al camino, ancora completamente nudo e in stato di semi-incoscienza. Il suo corpo stava combattendo fieramente contro l’alleanza stretta dentro di lui fra alcol e coca. Con uno sforzo sovrumano riuscì a mettersi carponi. Richard ridacchiò a denti stretti. Nicolas tornò in quel momento, bagnato e avvolto in un accappatoio caldo e profumato. Ridendo a sua volta, aiutò Nicolas a rimettersi in piedi.

 

Il ragazzo era in ginocchio davanti alla porta balcone che dava su un parco abitato da alberi centenari. Le mani erano ancora legate. La pelle era sporca e appiccicata e i capelli pendevano unti e scomposti sul viso privo di espressione. Gli occhi, grandi e spenti, fissavano il pavimento. Uno spasmo lieve e ritmico gli scuoteva le spalle.

 

Adam si rivolse agli uomini.

 

-          Vestitevi, fra poco ce ne andiamo. – quindi diede un’occhiata veloce all’orologio a pendolo. Erano quasi le cinque del mattino.

 

Si sedette su una poltrona e rimase in attesa che tutti fossero pronti, con gli occhi chiusi e le mani incrociate in grembo. Nathan rimase in piedi al suo fianco.

 

Quando tutti furono vestiti e pronti ad uscire, Adam li fece radunare per l’ultima volta intorno al ragazzino che non aveva ancora cambiato posizione. Si limitò a sollevare lo sguardo verso Adam. L’uomo ricambiò lo sguardo, poi estrasse la pistola dalla tasca. La fissò per un attimo prima di puntarla contro la fronte del ragazzo. Questo non cambiò espressione. Sapeva ormai da tempo che non sarebbe uscito vivo da quella casa. Riprese a singhiozzare debolmente, e qualche lacrima cadde dagli occhi gonfi e incredibilmente grandi. Pensieri e immagini, scomposti e mescolati, entravano e uscivano dalla sua mente, come fotogrammi di un film assurdo. Il vetro sporco di un finestrino. Dietro, sul marciapiede della stazione, sua madre lo salutava agitando la mano, piangendo di tristezza e speranza. I suoi fratellini sorridevano e i loro occhi brillavano d’orgoglio per quel fratello grande e bello che sarebbe andato a lavorare in un paese lontano, che presto sarebbe tornato per portarli via da lì, verso un posto dove avrebbero mangiato pane fresco e frutta, dove avrebbero potuto giocare per la strada perché lì la guerra non c’era.

Aveva lavorato giorno e notte per procurarsi i soldi necessari ad acquistare documenti falsi che anticipavano la sua data di nascita di un paio d’anni.

Era partito per cercare un futuro, per sé e la sua famiglia. E il viaggio lo aveva condotto lì, in quella casa, su quel tappeto, con una pistola puntata in fronte. Che stupida, a volte, la vita…

 

Adam vide fiorire sul viso del ragazzo qualcosa che assomigliava ad un sorriso ironico. Rispose al sorriso.

 

-          Stai pensando che a volte la vita è davvero stupida, non è vero? Hai ragione. –

 

Richard, Nicolas e Andrew spostarono lo sguardo su Adam, ma nessuno parlò. Ecco svelato il mistero. Quella era la sorpresa. Quello era l’avvenimento che avrebbe reso speciale la festa. La morte. L’omicidio di un ragazzo innocente. Lo sguardo di tutti si focalizzò sul viso del giovane.

 

Fu questione di un secondo. Lo sparo fece vibrare i vetri. Il sangue schizzò contro la porta finestra e il ragazzo crollò a terra, come se qualcuno lo avesse spinto con violenza. Gli uomini sobbalzarono, colti di sorpresa dal rumore, e si tapparono le orecchie con le mani. Per un attimo tutto rimase fermo, immobile. Poi, uno alla volta si mossero. Lentamente, presero i cappotti e uscirono. Nessuno parlò e nessuno guardò gli altri. Qualcuno respirava veloce come dopo una corsa. Adam uscì per ultimo e chiuse la porta. Con il cellulare chiamò chi avrebbe provveduto a ripulire. Poi raggiunse Nathan che lo stava aspettando.

 

FINE