Favola Metropolitana

parte VI

di Dicembre


 

Ormai è il primo di Dicembre. Quest’anno ha nevicato e tutta la città è ricoperta di bianco. A guardarla così, dalla finestra, sembrerebbe una città incantata. Questo solo perché da qui non riesco a sentire i rumori sulle strade. Mi ritrovo spesso a guardare fuori dalla finestra, la sera, quando ho finito di lavorare e torno a casa. Preparo un po’ di tè – a volte metto addirittura del latte – e guardo le mille luci di una Londra indaffarata. Forse dovrei fare qualcos’altro, accogliere gli inviti di chi mi chiede di uscire, andare al cinema… Ma non riesco, ogni giorno, l’unica cosa che desidero fare è tornare a casa, chiudere la porta alle spalle e stare in silenzio. Prego, certo. Nonostante tutto prego ancora perché il mio amore per Dio non è mutato, nonostante molte altre cose lo siano. Non so se sarò mai perdonato per quel che ho fatto, ma questo non fiacca di certo la mia devozione.

E’ passato un anno da quando ho incontrato Ashley, da quando s’è rifugiato infreddolito in chiesa. Sono passato dieci mesi da quando ho fatto l’amore con lui e altrettanto tempo è passato da quando non lo vedo più.

La mattina dopo, quando mi sono svegliato, Ashley non c’era, se n’era andato. Non mi sono accorto di nulla, né che lui si alzasse dal letto, né nient’altro.

Appena ho visto che non c’era più, ho capito che non sarebbe più tornato, eppure l’ho comunque sperato. Ho aspettato, uno due, tre giorni…

Poi quando l’evidenza ha prevalso, ho ammesso a me stesso che già sapevo che non sarebbe tornato indietro.

Forse avrei dovuto cercarlo, come mi rimprovera spesso Sylvia, ma non ho potuto. Ashley ha svelato tante cose di me e del mio animo, fra cui anche quest’orgoglio a cui m’aggrappo da quel giorno. Avrei potuto cercarlo? Forse, ma alla cieca, chiedendo a persone e in luoghi che io per primo non conoscevo. Non sapevo neanche dove abitava…

Non ho neanche tentato, è vero. Ma per cosa? Per rivederlo e farmi dire quello che già sapevo?

Ashley aveva bisogno di me, l’ho aiutato e tutto è finito, com’era giusto che fosse. Io mi sono esposto, io ho scelto di aiutare i bisognosi. E un dopo non ha senso, perché una volta aiutati, devono essere in grado di camminare con le proprie gambe.

A volte mi arrabbio con lui, lo accuso di essersi preso gioco di me e di aver approfittato della mia indulgenza; altre volte invece, so che è colpa mia, perché il motivo per cui mi sono innamorato di Ashley è il motivo per cui Ashley se n’è andato: la sua completa incapacità di gestirsi emotivamente.

Avevo già incontrato prima di lui, ragazzi nelle sue stesse condizioni,: alcuni erano arrabbiati, altri catatonici. Nessuno di loro era nudo emotivamente. Non ero assolutamente preparato ad affrontare una persona così. E mi sono innamorato di lui, fin da subito probabilmente, fin da quando m’ha sorriso perché gli ho restituito la sigaretta accesa con le candele.

Per una persona come me, quel sorriso è stata una richiesta d’aiuto e una domanda d’amore.

Mi rendo conto sia un paradosso, ma nel suo aver bisogno di me io trovo sicurezza, nella possibilità di aiutarlo trovo forza.

E come un pazzo, non sono più riuscito a liberarmi .

Poi semplicemente, Ash ha reagito di conseguenza, andandosene quando era tempo che se ne andasse.

Per me era diverso, io ero irrimediabilmente perso.

Oppure, più semplicemente, Ashley era troppo bello per resistergli e io sono molto più superficiale di quando mi piace credere.

 

 

Ho cercato di fare un passo indietro.

Ogni volta che lui si avvicinava io ho tentato…Persino il nostro primo bacio lo ricordo ancora così vivo sulla mia pelle che mi chiedo come possa averlo interrotto e come possa aver finto indifferenza così bene.

Dopo qualche settimana da quella notte, ho deciso che ormai, la mia tonaca non aveva più senso su di me. Ho lasciato la chiesa, ho lasciato il reverendo Paul non senza problemi dalle alte sfere. Ma in quel momento non potevo pensare a loro, riuscivo a pensare solo da Ashley.

Nessuno, tranne Sylvia, sa il motivo per cui ho abbandonato i voti: ho amato un ragazzo e ho goduto del suo corpo.

Per molti, questo, sembrerà un motivo insufficiente, dato che tantissimi prelati hanno vite segrete pur vestendo l’abito nero. Per me è diverso, non sono riuscito a conciliare il sacerdozio con Ashley, né per altro ho potuto scegliere.

Ora insegno filosofia e sono a capo di una piccola comunità di recupero. Alcuni sanno che ero un prete, altri no, ma alla gente comune questo non importa. Per loro un prete o è un pedofilo o è una brava persona. Non avendomi mai visto con ragazzini, io appartengo di diritto alla seconda categoria. Ecco perché non me ne sono andato da Londra. Forse anche perché spero che Ashley così possa trovarmi.

 

Che presunzione, volere che sia lui a cercare me…

Ashley ha fatto di me un uomo presuntuoso.

 

Non sono nascosto. Anche se vorrei farlo. Ecco perché non esco e rimango a casa, in compagnia di una tazza di tè e della città. Non sono ancora forte a sufficienza per accettare che lui non ha più bisogno di me. Lo so e lo capisco, ma non posso accettarlo. Senza il suo bisogno io perdo di senso, senza di lui non mi rimane che questa tazza di tè e le mie preghiere ad un Dio che forse, non m’ascolta più.

Non posso pentirmi di quello che ho fatto, non voglio farlo. Ugualmente spero che Lui possa capire.

 

 

E’ buio, nella stanza, non ho acceso la luce e rimango fermo, a guardare fuori dalla finestra… Ho appena aperto la busta dei miei esami del sangue. Sono andato a ritirarli oggi, ma non ho voluto aprirli fino ad adesso.

Test dell’HIV negativo, chissà perché non ne ho mai avuto alcun dubbio.

Quando ho fatto l’amore con Ashley non ho assolutamente pensato a chi fosse lui, al rischio di poter contrarre il virus, facendo lui la prostituta da chissà quanto tempo. Quello che era stato non era importante, esisteva solo lui, lì, in quel momento. Invece qualche giorno fa, passando di fronte a uno di quei banchetti per la racconta di fondi per la ricerca contro l’AIDS, m’è venuto in mente e per un attimo quella notte è ritornata sulla terra, abbandonando quello stato di onirica perfezione che ormai ha acquisito, nella mia mente.

E se fosse in ospedale, da qualche parte, malato? E se Ashley non fosse potuto venire da me perché ammalato e solo?

Ho subito scansato il pensiero e riso di me, riso della mia ingenuità e del mio continuo ingannarmi.

 

Squilla il telefono.

“Josh, ciao”

“Ciao Sylvia”

“Inutile chiederti come va…”

“Va tutto bene”

“Mmm” dice lei, ma non sembra convinta “Ho visto che è tutto spento e ho pensato che a casa non ci fosse nessuno”

“Preferisco stare un po’ al buio…”

“Joshua non...”

“Ti prego Sylvia, non ricominciare. Non oggi…per favore” la prego, perché non ho la forza di discutere con lei quanto il mio atteggiamento non sia produttivo. Secondo lei dovrei reagire, dovrei fare qualcosa. Ma sinceramente non so che cosa. Prima avevo Dio, ora vivo il senso di colpa di averlo tradito.

E Ashley non è qui con me.

Che cosa c’è da fare?

“Va bene, non oggi, ma così non va”

Annuisco. Non mi vede, ma so che capisce

“Sono sotto casa tua, mi apri?”

“Sylvia…” non ho proprio voglia di vederla, voglio stare ancora un po’ qui seduto, davanti alla finestra e poi andare a letto, aspettando che un’altra giornata ricominci come quella di oggi, e quella prima e quella prima ancora.

“Dai non farti pregare. Due chiacchiere, un tè e poi me ne vado, promesso. Solo due chiacchiere…”

Non oso dirle di no, in fondo so che lo fa per il mio bene.

“Sali che ti apro”

Poco dopo sento il campanello di casa suonare e, senza neanche accendere la luce, vado ad aprirle.

Ci metto un attimo per metterlo a fuoco: lì nel corridoio illuminato, c’è Ashley che mi guarda, coperto da un cappello di lana e una sciarpa che gli nascondono quasi tutto il viso, ma – cielo – è Ashley.

Lo guardo e in un attimo sono arrabbiato, arrabbiatissimo con lui. Sono in panico. Sono…

“La ragazza…” dice lui con voce secca indicando qualcuno che non c’è dietro alle sue spalle “M’ha detto..” ma non riesce a concludere la frase

Annuisco, Sylvia l’avrà mandato qui, mi chiedo solo come l’abbia trovato.

Mi scosto dalla porta di casa mia e gli faccio cenno di entrare. Lui è titubante e si toglie il cappello che gli lascia i capelli arruffati e morbidi. Vorrei sistemarglieli, ma non posso toccarlo. Ritorno alla mia finestra e lo guardo, mentre chiude la porta dietro di sé e si avvicina al centro della stanza, guardando per terra. Non dice niente, ma non gli posso dare la soddisfazione d’iniziare io per primo la conversazione. Lo stringerei a me, ma non posso parlare.

In mezzo alla stanza, vicino ad un tavolino tondo c’è Ashley e io sono lontano, alla finestra.

“Io…” comincia lui con voce flebile “ ti ho cercato”

Non mi riesce di trattenere un suono sarcastico al quale risponde sgranando gli occhi e guardandomi, nel buio.

“Mikey è morto”

Per un attimo non capisco di chi stia parlando e penso che capisca la mia confusione perché mi spiega.

“Mikey era il mio amico, il ragazzo con cui condividevo la stanza…”

Certo Mikey il Topo, ora ricordo e annuisco.

“La mattina, ho chiamato il Grigio, il pub vicino casa nostra dove speravo di trovarlo…” 

la chiama la mattina, senza specificare quale, ma è inutile, perché capisco benissimo a quando si riferisce.

“L’avevo sentito il giorno prima e gli avevo spiegato la situazione… che io…” non riesce ad andare avanti e io non gli do il minimo aiuto per farlo. Lo guardo e sto così male da non riuscire a muovermi. Ugualmente, non posso dargli alcun appiglio. Forse per orgoglio, forse per rabbia, forse per tutta quella serie di peccati che Dio più volte ha condannato a noi mortali e che io, uno ad uno, abbraccio impotente.

Sospira e cerca di riprendere a parlare “Sapeva bene di me…” non osa aggiungere e te, ma fa un gesto con la mano che lo sottintende e mi guarda, per vedere se ho capito.

“Avevo bisogno di parlargli, era tutto troppo…” si mette le mani nei capelli e di nuovo s’interrompe.

Era tutto troppo. Quasi mi viene da ridere.

“Il Grigio m’ha detto che Mikey era morto, l’avevano trovato davanti a casa… Un’overdose, hanno detto, ma sono cazzate” dal sussurro di prima, passa ad un tono più alto e stringe i pugni. Ce l’ha con chi ha detto che il suo amico è morto d’overdose, quasi volesse difendere la memoria di Mikey il Topo.

“Sono un mare di stronzate perché Mikey non prendeva niente, se non di tanto in tanto, ma mai niente di troppo pesante…Ma si sa, quella è la fine di ogni puttana, quindi il caso è stato chiuso quasi subito”

Stringe il cappellino fra le mani perché sa che deve continuare. Per quanto penoso, sa che se è arrivato qui, a casa mia, la morte di Mikey non può giustificare la sua assenza per un anno.

“Ho perso la cognizione del tempo”

Non vorrei proprio ridere, ma sono così ferito che non posso fare a meno di farlo. Una risata breve e sarcastica, poi la sopprimo, ma lui la sente e lo vedo tremare e mi fa una tale tenerezza che la mia rabbia rischia di scomparire, ma non mi muovo, né dico nulla. Ho passato troppe notti a guardare fuori dalla finestra e a chiedermi di lui, di dove fosse, di cosa facesse, se mi pensasse. Ho passato troppo tempo a ricordarlo, perché io ora possa fare qualcosa.

Al mio sorriso lui sussulta, mi guarda e poi riabbassa gli occhi, stringendo ulteriormente il cappellino fra le mani.

“Ho passato molto tempo fermo, immobile, a casa nostra, cercando di capire che Mikey non ci fosse più… Sulla sua tomba abbiamo messo una foto in cui ci siamo io e lui, l’estate dell’anno scorso. Dicono che porti male mettere la propria foto su una tomba, ma io non ho voluto che la tagliassero. Io e lui siamo sempre stati insieme…”

Lo guardo e sento la disperazione di aver perso il suo unico amico, non voglio però incrociare il suo sguardo, adesso, non vorrei che mi fraintendesse.

“Non so quanto tempo sia passato, so che ad un certo punto sono venuti a sbattermi fuori di casa…Quando sono tornato in chiesa non c’eri più…”

Di nuovo, la mia bocca si muove prima che io possa capirlo “Del resto il prete era lì per aiutarti no?”

Questa mia rabbia mi perderà, io stesso non mi riconosco. Io stesso che mi vantavo di trovare gioia nell’aiutare gli altri, mi irrito al pensiero di essere stato usato da Ash.

Lui aggrotta le sopracciglia e mi guarda ferito: “Io ero con te… e lui moriva!” mi dice con voce afona, “Lui moriva, e io…” poi tace di nuovo e si passa una mano sugli occhi, quasi a schermare la colpa che prova per non essere stato con Mikey.

Poi sospira e riprende da dove l’avevo interrotto.

“Te ne sei andato dalla chiesa …”

“Non mi sono strettamente attenuto al comportamento consono ad un prete, tu che dici?”

Non ho freno. Il sarcasmo nella mia voce è volutamente lì per ferirlo e mi fa stare malissimo.

“Ma io ti ho cercato, non sapevo dove…”

“Mi hai trovato no? Si dice meglio tardi che mai” sorrido e mi giro a guardare la finestra, non riesco più a rimanere immobile di fronte a lui.

“Cosa credi?” dice lui gridando, e quel tono mi coglie così impreparato che ritorno subito sui miei passi e lo guardo, stupito.

“Cosa credi” ripete lui “Che non ti abbia cercato? Ho passato mesi a cercarti, mesi a…” si mette la mano in tasca cercando qualcosa, poi tira fuori un plico di fogli stropicciati e li butta con rabbia sul tavolo “Non eri da nessuna parte, eri scomparso, eri… “E’ più forte di me, quella voce, quelle mani…tutto è più forte di me perciò mi avvicino. Lo spazio, prima incolmabile, ora mi appare nullo.

Non vorrei ma mi avvicino a lui e al tavolo dove sono sparpagliati tanti foglietti, tovaglioli stropicciati, pezzi di giornale e con la mano li distribuisco meglio, per vedere cosa c’è scritto. Ci sono numeri di telefono, indicazioni stradali, nomi. Non capisco, finché non ne leggo uno con scritto Carrie e il suo numero di telefono.

“Questo è…” ho il respiro così accelerato che devo interrompere la frase a metà per non soffocare.

“Ho trovato persino Carrie, ma non sapeva dove fossi finito”

“Il Reverendo Paul...?”

“Lui è la prima persona a cui ho chiesto, ma non m’ha ascoltato e m’ha cacciato fuori dalla chiesa. Si è ricordato di me…Per giorni sono andato da lui pregandolo di dirmi dove fossi, ma lui non m’ha mai risposto.”

Lo guardo e sono felice lui continui a mantenere lo sguardo abbassato perché non voglio che veda lo sgomento sul mio viso. Padre Paul era così rancoroso? E davvero lui aveva contattato e cercato tutte le persone scritte sui foglietti stropicciati, per trovarmi?

“Ho iniziato a chiedere alle persone che andavano a messa… ma nessuno ha saputo dirmi che fine avessi fatto. Una donna, un giorno, m’ha detto che avevi lasciato il sacerdozio e che ti eri trasferito fuori Londra… Così ho iniziato a cercarti Mi hanno detto che eri a York, prima, poi a Liverpool, poi mi hanno detto che a Londra c’è un archivio dove vengono scritti e conservati i nomi dei prelati …Io non so niente di queste cose, per cui non potevo che fidarmi”

“Ma non esiste nessun archivio”

Ashley sorride, con quei sorrisi timidi ed impacciati che amo così tanto che quasi dimentico la mia rabbia, ma lui riprende a parlare.

“In poco tempo ho finito tutti i soldi che avevo messo via…e non ho più potuto andare a cercarti fuori Londra. Sai, da quella notte, dieci mesi fa, non ho più…”

Non riesce a trovare le parole e io non riesco a perdonarlo. Ancora cerco di ferirlo come non vorrei.

“Ma come” dico stizzito “prima non riuscivi a parlare serenamente d’altro e adesso non riesci neanche più a dirlo?” Inizio a sillabare “Sco-pa…” ma vengo interrotto da lui che mi afferra per la collottola. Per un attimo mi sembra che mi abbia schiaffeggiato

“Smettila…sta’ zitto” non trattiene le lacrime “Taci”. E stringe più forte il mio maglione.

Si accorge solo dopo che indosso il maglione che m’ha regalato lui.

Ashley ha messo in luce moltissime cose di me che ignoravo: sono orgoglioso, sono testardo, sono presuntuoso. E sono anche uno stupido sentimentale.

Guarda il maglione, poi guarda me con i suoi occhi grandi e stupiti.

“Ho trovato lavoro in una pasticceria” dice lui arrossendo “All’inizio il padrone m’ha preso per una settimana, per prova… Non avevo neanche una residenza da dargli come garanzia, non si fidava…”

Stacca le mani da me e inizia a torturarsele, come fa quand’è agitato. Il cappellino è caduto per terra, non so bene quando.

“Poi ha notato che molte ragazze entravano per conoscermi e compravano da lui per fare colpo su di me” arrossisce ulteriormente “Il capo dice che le ragazze sono le clienti più difficili da attirare perché hanno paura di ingrassare. Ora il negozio è pieno…”

Sorrido, senza cattiveria questa volta. Lui non mi vede perché guarda in basso e io non mi faccio sentire.

“E m’ha dato anche un letto per dormire. E’ lì che ho incontrato Sylvia. E’ entrata ieri, ma non per comprare qualcosa… M’ha subito chiesto se mi chiamavo Ashley”

Evidentemente era attenta tutte le volte che le ho parlato di lui, attenta a tutti i dettagli che le ho ripetuto mille volte…Scuoto la testa incredulo.

Ma questo pensiero mi riporta alla mente tutta la sofferenza dell’anno passato. Davvero non riesco a dimenticare? La sensazione d’abbandono è così profonda da fare incredibilmente male.

“Perché sei qui?” gli chiedo. E’ una domanda legittima, penso, dopo quasi un anno in cui non lo vedo.

M’ha cercato, dice di aver girato l’Inghilterra per trovarmi, ma lo stesso voglio sapere perché è qui, perché un anno dopo troppe cose sono cambiate.

Mi guarda e trema, apre la bocca per dire qualcosa, ma non riesce a trovare la parole.

Io aspetto, non ho fretta, ma non posso in alcun modo aiutarlo.

Si guarda nervosamente in giro, stringendosi le labbra fra i denti e sospira, per trovare il coraggio.

“Se potessi…”

E già voglio interromperlo, ma lui alza una mano e mi fa segno di tacere

“Se potessi fare diversamente lo farei, ma non è per questo che sono qui. Sono qui perché non penso ad altro che a te dal giorno in cui sono entrato nella tua chiesa e volevo tu lo sapessi. Volevo essere sicuro che non ci fossero dubbi e che…e che lo sapessi, ecco”. Mi guarda negli occhi, poi sposta lo sguardo sui foglietti sparsi sul tavolo e sorride “Molti mi hanno dato numeri di altrettante persone, sono contento di averti trovato”. Sorrido anch’io, ci saranno almeno una cinquantina fra numeri ed indicazioni stradali, mi chiedo perché non abbia rinunciato prima.

Lo vedo lottare contro le lacrime, quando mi riguarda “Forse ti sembrerà egoista, ma volevo che sapessi che sono… Insomma che io…Che quello che ho detto un anno fa non era per la foga di un momento passeggero; che sono veramente innam…” si interrompe e si passa una mano fra i capelli e poi sulla bocca, tremando “Non volevo che sminuissi il mio sentimento pensando che fosse solo un’infatuazione sciocca, un qualcosa di passeggero e superficiale.” Sospira cercando di sorridere. Vedo nei suoi occhi che quello che ha detto non è esattamente quello che aveva pensato di dire, ma lo stesso, cerca di sorridere. “E poi” dice, per concludere “ e poi mi chiedevo se potessi, una qualche volta… Se potessi venire a trovarti. Vorrei vederti, una volta ogni tanto …”

Scioccamente avevo frainteso pensando che la premessa fosse la parte principale del suo discorso.

Questa è la parte principale del discorso. Ma capisco subito l’errore perché Ashley non riesce più a trattenere le lacrime e perché gli trema leggermente il labbro inferiore, che non riesce a controllare se non mordendoselo. Troppo tardi, perché l’ho visto.

Non esiste più rabbia, né rancore, non esiste più niente se non la consapevolezza che io sono pazzo di lui. Se dovessi dire perché non l’ho abbracciato appena l’ho visto sulla porta, non saprei farlo; perché fossi ferito, non lo ricordo. Fra me e me sorrido, forse non è vero che sono innamorato della sua bellezza o della sua necessità di me, forse amo solo quel labbro ribelle che non obbedisce mai al suo padrone. Forse, ma non ha importanza.

Gli asciugo le lacrime su una guancia e la sento bollente, sotto le dita. Lui mi guarda, per cercare di capirmi.

“Dimmelo di nuovo” questa volta sono io a chiederglielo, ma non gli lascio il tempo di rispondermi, perché devo baciare quel labbro. Lui sussulta e io glielo chiedo di nuovo, nell’orecchio, fra quei capelli disordinati.

“Dimmelo ancora”

Mi abbraccia, sento il suo respiro sul collo e i suoi baci che si fanno strada verso il mio orecchio

“Ti amo” lo sento dire e poi non sento più niente.

Devo baciarlo. Giorni, nottate passate fra rabbia, fra disperazione e abbandono, ora devo solo baciarlo. E’ un bacio lungo seguito da un secondo, da un terzo bacio, ma è un bacio solo che continua. Mi stringe forte a sé, con le braccia e con una gamba. Lo sollevo, allora anche con l’altra mi cinge la vita e si aggrappa a me continuando a baciarmi. E’ nel suo sorreggersi su di me che io acquisto di senso.

Sono un pazzo e probabilmente un egocentrico.

Sono innamorato.

Quando si stacca dalla mia bocca abbiamo entrambi il fiatone. Io lo appoggio sul tavolo, sopra quei foglietti sparpagliati che conserverò come un miracolo. Non voglio che si stacchi da me, voglio le sue gambe intorno alla vita e le sue braccia sulle mie spalle.

Lo guardo, ancora non ci credo, ma finalmente espiro, nascondendomi nel suo collo.

“Oddio” e probabilmente tremo.

“Quando ho visto l’appartamento buio, ho pensato che non ci fossi…” mi sussurra nell’orecchio, quasi mi stesse raccontando cose successe mille anni fa “Non sai quante volte ho temuto di averti perso… ma quest’appartamento buio, questa sera, mi sembrava darmene conferma…”

E’ un suicidio, credo. Probabilmente questo ragazzo mi farà morire prima che me ne accorga, senza che possa difendermi. La sua voce in casa mia e le sue mani sulla mia schiena dissipano qualunque preoccupazione. E’ un suicidio, ma stare senza di lui è impossibile.

“Vuoi appendere sulle finestre le luci natalizie?”

“Posso davvero?” Mi guarda negli occhi, entusiasta come se avesse appena ricevuto un regalo “Possiamo mettere quelle intermittenti, sulle finestre, ma anche sul balcone…Così posso guardarle…”

“Dico qualche luce, e già fai progetti su tutta la casa?” Non resisto alla tentazione di prenderlo in giro, ma lui non capisce subito e s’adombra.

“No, non volevo essere invadente… Lo compro io un filo, non…”

Lo fermo, prima che continui, con un dito sulle labbra.  Sono così morbide che mi ci soffermo un po’ troppo.

“Sciocco, scherzavo, possiamo mettere tutte le luci che vuoi. E non c’è bisogno che le compri, le ho…da qualche parte”

Lui sorride, rasserenato, ma ancora incredulo

“E non voglio neanche tu rimanga a dormire dal pasticcere” metto enfasi in quest’ultima parola. Ash ha messo in luce tante cose di me e mi ritrovo, oltre ad essere orgoglioso, presuntuoso e sentimentale, anche ad essere fastidiosamente geloso.

Mi guarda e mi capisce fin troppo bene, perché il suo labbro trema e lui se lo morde, ridendo.

Quel labbro è la mia perdizione.

Quando quelle stesse labbra sono su di me gli lascio fare quello che vuole, lascio che mi insegni e che mi guidi senza porre nessuna resistenza e, questa volta senza nessun imbarazzo, lo amo tutta notte.

E’ caldo, sensuale ed irresistibile.

Quando mi sveglio, la mattina dopo, per un istante mi coglie il panico, poi sento il suo respiro sul mio petto e le sue gambe ancora intorno alla mia vita. I suoi capelli disordinati sanno di biscotto e sanno di me, allora richiudo gli occhi.

Poco prima di riaddormentarmi penso a Sylvia e a come ringraziarla per avermi salvato, e penso ad Ashley, che è mio.

 

 

   ...fine