Favola Metropolitana parte IV di Dicembre
Era un imbecille. Ash non capì se era maggiore l’imbarazzo per aver regalato il maglione al prete oppure quello per essere scoppiato a piangere come un bambino. Forse entrambi. Ma quel pentimento, quella voglia di fuga, piano piano stavano scemando. Ash si rese conto che la paura di venire in chiesa e la sua volontà di continuare a negare, negare e negare ancora che voleva assolutamente tornare, stavano sfumando e lasciando posto ad un’unica altra cosa e ad un unico altro nome.
Raddrizzò le spalle e si guardò dritto allo specchio. Sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto fare ora e sapeva anche di essere molto bravo. Ritornò nella stanza dove lo stava aspettando Padre Joshua e gli sorrise, guardandolo dritto negli occhi. Si avvicinò a lui, invadendo subito il suo spazio personale e gli diede un bacio sulle labbra che, come già sapeva, erano divine. Il prete non fece niente, né si mosse e Ash allora gli sfilò gli occhiali, per vederlo meglio e per accarezzargli le palpebre, seguendo poi le carezze a lievi baci. Giurò di sentire il prete tremare leggermente, ma padre Josh non si mosse. Solo quando Ash tornò sulla sua bocca, separando le labbra con la lingua e succhiando lievemente il labbro superiore, padre Josh si mosse. Bruscamente si separò da quel contatto, afferrando Ashley per le spalle e allontanandolo da sé.
“No” disse con voce roca. E Ashley era troppo bravo per non leggere ciò che era scritto sulla pelle dell’altro. Ciononostante, padre Josh non gli permise di avvicinarsi, lo tenne stretto per le spalle, ancora un attimo, prima di lasciarlo andare. “Raccontami di te” ridisse poi, riprendendo gli occhiali che Ash teneva ancora in mano. “Cosa?” Ashely era sicuro di aver sentito male. “Voglio sapere di te” “Vuoi sapere perché sono finito a battere?” Ashley alzò le sopracciglia e sorrise, di quel sorriso ironico più volte dispensato a chicchessia. “Anche” Ash fece spallucce “Non è che sia una storiona tutta lacrime e depressione… “Raccontamela lo stesso” “Certo che sei strano eh? Davvero te ne frega di saperlo? Adesso?” “Non te l’avrei chiesto, altrimenti”
Ash si avvicinò di nuovo al prete, sfiorandogli con le dita la bocca
“Certo che sei proprio strano” gli sussurrò vicino alla guancia, ma poi lui
stesso si allontanò. Perché cazzo voleva sapere che cosa l’avesse portato sulla strada, poi, era un mistero. Fosse stato perché suo padre lo scopava da mattina a sera, oppure perché era annoiato e fare sesso lo divertiva, qual era la differenza? Quale cazzo era la differenza, si chiese, mentre guardava il prete e aspettava una parola, o una risposta. Era molto meglio, prima, quando poteva baciarlo. Ora invece si trovavano uno da una parte della stanza e l’altro dall’altra. “Io vorrei saperlo davvero” bisbigliò il prete e avesse potuto imprecare lì, Ashley l’avrebbe sicuramente fatto, Ma non riuscì a dire una parola o a pensare chiaramente, perché quella voce e quello sguardo sembravano così sinceri che lui ci credette. Stupidamente, lui ci credette. “Stasera hai proprio deciso di farmi piangere” disse abbassando gli occhi. Non c’era autocommiserazione, nella sua voce. Semplicemente preferiva non parlarne. Ma Ash si rese conto che non era assolutamente in grado di dire di no a padre Joshua.
Si sedettero l’uno accanto all’altro, il ragazzo con le gambe al petto
e il viso appoggiato sulle ginocchia: Si strinse nelle spalle “Mikey è il mio amico, il ragazzo con cui divido l’affitto della casa dove abito… Lo chiamiamo il Topo. E’ un po’ una testa di cazzo perché non si riguarda, ma in fondo è uno buono…” Guardò il prete “Ma nella mia vita non è successo né più né meno di quello che ti ho detto prima. Mia madre è morta quando mi ha partorito e la mia matrigna mi lasciava fuori casa e chiudeva la porta. Non so cosa facesse, ero troppo piccolo. Ora posso solo avanzare ipotesi, ma potrei anche sbagliarmi …” sulla faccia di Ash si dipinse un’aria di totale indifferenza. “Sinceramente non mi interessa saperlo. Mi lasciava da mangiare sull’uscio, se si ricordava e io l’aspettavo sull’uscio di casa, da quando finiva la scuola a quando si decideva a farmi entrare. Poi ha cominciato a dimenticarsi di farmi entrare, oppure aprire la porta di notte. Io, capitava che m’addormentassi lì, ma d’inverno fa troppo freddo per rimanere fermo, seduto ad aspettare…” Ash prese fiato e sospirò “Quindi ho deciso, una sera, di andare a dormire nell’albergo vicino casa. Una bettola fatiscente... Avevo otto anni e pensavo che i piccoli non pagassero tanto quanto i grandi” al ricordo della sua ingenuità, sorrise “Quando mi hanno detto che non avrei potuto dormire lì, se non per una cifra che non possedevo, non sapevo cosa fare. Avevo troppo freddo per tornare sull’uscio di casa, ma neanche potevo rimanere lì gratis. “Fu il portiere quindi a propormi un’alternativa, per rimanere.” Il labbro, di nuovo quel maledettissimo labbro, gli tremò “Lui fu il mio primo uomo e la prima persona che mi procurò qualche cliente. Aveva una percentuale, troppo alta, sui miei soldi, ma all’inizio permetteva che dormissi al caldo. Poi sono cresciuto e me ne sono andato” Scrollò le spalle, disinteressandosi completamente delle sue parole. “Contento?” parlare di quello che era successo lo nauseava, ma non ne faceva più un vero dramma. Era andata così, niente di più. C’è chi nasce fortunato e chi meno. Lui era a metà della scala. “Voglio dire, mi poteva andare anche peggio…Alla fine adesso ho un tetto sulla testa, mangio due volte al giorno…” allargò gli occhi, spiegandosi al prete “Si sopravvive, insomma”. “Tua madre non è morta” gli disse il prete, calmo. Ash s’irrigidì. “Certo che è morta” “So chi è tua madre e so che non è morta. Come so che ha denunciato la tua scomparsa a otto anni, ma poi ha ritirato la denuncia, quando è stata rinchiusa per furto…” “E tu come lo sai? No, assolutamente no! Ti assicuro che quella non è mia madre. La mia vera madre è morta quando m’ha partorito” “Ashley guardami” “Che cosa vuoi, si può sapere?” Ash gli gridò contro “Che cazzo vuoi da me, perché non mi credi?” Era agitatissimo, e padre Josh gli afferrò le mani “Calmati” “NO! No…” ma il grido iniziale, si trasformò in un singhiozzo “No che non mi calmo, perché non mi credi?” Di nuovo non riuscì a trattenere le lacrime, nonostante stesse facendo di tutto per fermarle “Mia madre deve per forza essere morta quando m’ha partorito! Altrimenti perché mi avrebbe tenuto fuori casa? Non è mia madre quella che mi dimenticava sull’uscio, solo qualcun altro che ha preso il suo posto dopo che io sono nato…no” “Shhh… calmati” gli sussurrò il prete all’orecchio, prendendolo fra le sue braccia “Scusami…. Ho sbagliato” Ash si lasciò prendere in quell’abbraccio avvolgente, cercando di rallentare il suo cuore. “Fa’ l’amore con me” gli sussurrò nel collo, poi spostò il viso per guardare il suo prete in faccia “Fa’ l’amore con me” gli disse di nuovo, ma senza la spocchia di prima: la voce gli tremava e il tono era troppo flebile perché padre Josh potesse rispondere. Scosse solo la testa, nonostante non riuscisse a staccare gli occhi da quelli di Ash. “No” poi trovò la forza di dire.
“Perché? Perché?” Ashley, di nuovo, si aggrappò al prete, incredulo di
quell’ennesimo rifiuto. “Perché sei un prete? Non ti piaccio? Non sono bello
a sufficienza? Non valgo...” “Non devi fare l’amore con me per stare qui. Non devi fare l’amore con me per dormire qui. Qui puoi stare solo perché vuoi, senza niente in cambio…” Ash s’immobilizzò. Fermo, fissò il prete davanti a lui, senza più singhiozzi e lacrime, come se stesse trattenendo il respiro. Si morse il labbro, prima che questo iniziasse a tremare, e appoggiò di nuovo la testa nell’incavo del collo di padre Joshua. Lì riprese a piangere, in silenzio, senza dire più nulla, solo aggrappandosi alla tonaca di padre Josh per evitare di tremare. E il prete lo lasciò piangere fra le sue braccia, tenendolo stretto a sé e accarezzandogli i capelli. Finché Ash non s’addormentò e il suo respiro si fece più regolare. Il prete lo fece adagiare sul divano, coprendolo con alcune coperte che prese dal ripostiglio. Gli portò il suo cuscino. In fondo lui non ne aveva bisogno.
“Porca di quella puttana di tua madre, Ash. Si può sapere dove cazzo sei stato?” Mikey uscì dalla propria stanza gridando. “In giro…” “Che cazzo vuol dire in giro? Io mi stavo già preoccupando… Ho chiesto ai ragazzi se t’avevano visto, ma nessuno sapeva dov’eri” Ash, scavalcò un tizio riverso sul suo pavimento “Quante volte t’ho detto che non voglio ‘sta gente in casa, Topo?” “Ah, certo, sentilo. Ash, tu scompari per 2 giorni interi e torni a dettar legge?” “Fino a prova contraria, pago metà affitto” “Metà affitto un paio di palle, io oro preoccupatissimo” “Vedo” commentò Ash guardandosi intorno e vedendo almeno una cinquantina di lattine di birra sparse sul suo pavimento.
“Non fare così, Ash, davvero, io ero preoccupato. Non sapevo dove
cercarti. Cazzo, Ashley, per quello che ne so, potevi anche essere morto
stecchito, ucciso da un pazzo psicopatico!” “Raccontalo a Charlie” poi Mikey si fece velocemente il segno della croce “che riposi in pace” “Charlie è stato investito da un’auto” “E quindi è meno morto?” Ragionare con Mikey era impossibile. “Sono stato fuori. Con un cliente prima e a celebrare Natale dopo” Il topo aggrottò le sopracciglia, troppo folte.
“E con chi?” “Se fossi intelligente, Ash, non mi lascerei chiamare Topo” Ash sorrise, il suo amico non aveva tutti i torti.
Anche Mikey rise, con quel sorriso felice che lo faceva apparire più
bello. “Ovvio, dove vuoi che vada?” “L’altra sera è passato di nuovo quello che ti prende sempre…quello ricco”
“Ah sì, lo sposato!” “S’è fatto vedere?” Cazzo, devo averlo stregato” “Tu ci scherzi, Ash, ma quello sembrava preso sul serio! Mi dovrai spiegare le tecniche che usi…” “Per cinquecento sterline ti faccio vedere la pratica” scherzò Ash.
“Succhiamelo” gli rispose Mikey facendogli il dito medio E tutt’e due scoppiarono a ridere rumorosamente, incuranti di chi dormiva per terra.
Dalla strada si vedevano ancora lampeggiare le lucine di Natale, nonostante il Natale fosse già passato. Ashley aveva sempre trovato malinconico che gli addobbi natalizi coprissero la città anche quando Natale era finito, ma comunque si ritrovò a guardare quel filo di campanelle rosse, blu, bianche, gialle, verdi…Fino a che una macchina non si fermò davanti a lui. Sempre lui, sempre il solito…Fintanto che pagava bene, Ash non aveva problemi a riandare con lo stesso cliente. “Ehi, Topo, io vado” sussurrò a Mikey prima di avvicinarsi alla macchina. “Sì, e se stasera non fai tardi, ci trovi dal Grigio, pensavamo di andare a farci una birra…” “Non lo so, lo sai che i ragazzi del Grigio non mi piacciono tanto. Al più ci vediamo a casa. Tu sta’ attento” “Cazzo, Ash, ultimamente cosa t’è preso? Lo spirito materno natalizio?” “Topo, che cazzo è lo spirito materno natalizio?” “Che ne so, quella cosa che ti fa preoccupare” Ash sorrise ”Sei proprio scemo! Tu sta’ attento che poi lo spirito materno natalizio mi passa”. Mikey alzò la mano per salutarlo. Ash salì in macchina, disinvolto come sempre. “Ciao” salutò il suo cliente, avvicinandosi al suo orecchio “Dove mi porti stasera?” gli chiese prendendogli in bocca il lobo… L’uomo gemette: “I giorni scorsi dov’eri? T’ho cercato” “Ero a lavorare” mentì Ash “Qualcuno era arrivato prima di te” Il cliente s’irrigidì un pochino “Avresti dovuto aspettarmi” “Ma tu non m’hai detto che saresti tornato. Altrimenti l’avrei fatto di sicuro” “Se continui così farò un incidente” ma nonostante le sue parole, il cliente si sporse verso Ash per dare al ragazzo migliore accesso alle sue orecchie e al suo collo “Comunque andiamo in albergo, domani parto e torno a casa e voglio godermi l’ultima sera” Ash sorrise, e staccò la bocca dall’uomo per poi passargli la mano sulla coscia , fino all’inguine “Allora mi prenderò ottima cura di te”. A dire il vero, quella sera non aveva assolutamente voglia di stare lì, in quella macchina, con quello sconosciuto. Nessuna delle volte precedenti aveva davvero avuto voglia, tuttavia l’essere lì o l’essere altrove gli era così indifferente che tanto valeva fare un po’ di soldi. Ma quella serata era diverso, sarebbe rimasto a casa, magari avrebbe visto un film e avrebbe pensato un po’ a quello che gli era successo ultimamente. Solo per mettere un po’ di ordine nella sua testa. Invece era lì. Ash sospirò leggermente, in fondo essere lì o altrove andava comunque bene. In albergo lasciò che l’uomo lo spogliasse: non aveva mani delicate, né particolarmente esperte. Ash si ritrovò a pensare alla povera moglie di quell’uomo: se aveva difficoltà a sfilare dei jeans, probabilmente di fronte ad un reggiseno si trovava nel panico. Era così distratto che si accorse solo all’ultimo momento che il cliente s’era messo in ginocchio, di fronte a lui. “Oggi voglio fare godere un po’ anche te” “Averti dentro di me mi fa sempre godere” gli disse Ash, ma diligentemente allargò un po’ le gambe e si appoggiò alla parete dietro di sè “ma se mi prendi in bocca mi farai gridare…” Che voce suadente e roca riusciva a usare… L’uomo non aspettò nessun altro invito e iniziò a succhiare il pene di Ash. Doveva pensare a qualcosa. Doveva assolutamente fare qualcosa, perché il tocco della lingua del cliente sul suo glande aveva qualcosa di disgustoso, per non parlare della totale incapacità dell’uomo. Cazzo, come se non avesse imparato niente dai pompini che Ashley gli aveva fatto! Non stuzzicava, non invogliava, non stimolava…Leccava solamente, neanche avesse in bocca un cono gelato. Per poco Ashley non scoppiò a ridere a quel pensiero. Guardò in basso e vide un uomo pelaticcio, seminudo e semieretto, che come un forsennato attaccava il suo pene che non ne voleva sapere di essere gratificato. Ash tolse immediatamente gli occhi e appoggiò la nuca al muro, chiudendoli. Non poteva permettersi di ridere, e neanche poteva permettersi di non fingere che il cliente fosse il più grande esperto di sesso orale degli ultimi cinquant’anni. Si ritrovò a chiedersi se anche Padre Joshua non fosse capace di fare pompini. Che pensiero irrispettoso… Ma invece che farlo sorridere, questo lo eccitò. Probabilmente Padre Joshua non aveva mai fatto sesso orale con nessuno, magari non aveva mai fatto sesso punto. E questo sarebbe stato un peccato, perché nudo sarebbe stato proprio bello. Ashley era sicuro che, anche se davvero Padre Joshua fosse stato vergine, sarebbe stato attento alle esigenze del proprio amante, avrebbe ascoltato i suoi sussurri e i suoi gemiti e avrebbe scoperto, nel giro di poco tempo, il corpo dell’altro. Avrebbe tratto piacere dal vedere il suo amante godere. E se fosse stato lui quell’amante, se solo avesse potuto essere lui quell’amante, allora si sarebbe divertito a scherzare con lui, a giocare e riprovare, e fare l’amore più volte fino a che entrambi non sarebbero stati esausti. Lui non avrebbe avuto fretta, se padre Joshua avesse voluto imparare, gli avrebbe donato il suo corpo per farlo, per accarezzarlo ogni volta che voleva. Gli sarebbe bastato, in cambio, avere il suo odore addosso, sapere che Padre Josh lo trovasse bello, che lo trovasse eccitante …e che padre Joshua stesse bene anche per merito suo. E poi…E poi aveva davvero importanza che padre Joshua fosse esperto a letto? No, anche solo l’idea di quelle labbra sulla propria pelle avrebbero … E di quelle mani su di lui…e del suo alito … Quando Ashley venne strinse le spalle del cliente e si piegò in avanti, non aprendo gli occhi e non riuscendo a controllare il tono della propria voce. Aveva le gambe che gli tremavano e il fiato pesante. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti quelli dell’uomo che l’aveva pagato per stare lì. “Chi cazzo è Josh?” “Merda” fece in tempo a dire, prima che il cliente lo sbattesse violentemente contro il muro “Chi cazzo è Josh, si può sapere?” Ashley evitò il pugno che seguì la frase, scansandosi all’ultimo momento. Doveva uscire di là, le cose si stavano mettendo malissimo. Si guardò intorno velocemente, per trovare i suoi pantaloni e non riuscì ad evitare i calci - sulle ginocchia a e nello stomaco - dell’uomo che sembrava impazzito. “E’ un altro cliente? E’ uno che ci sa fare? Dimmi com’è, razza di puttana maledetta!! Io ti ammazzo!” Ashley si riparò il viso da un altro pugno che l’uomo cercò di rovesciargli contro , prese i pantaloni e si lanciò verso la porta. Doveva uscire di lì, subito. Prima che riuscisse a raggiungere l’uscita, però, sentì un dolore violento prima alla testa, poi alla schiena e vide passargli di fianco il bracciolo di una sedia. Inciampò, sotto il colpo, e per poco non cadde per terra, ma quella sarebbe stata davvero la sua fine. L’uomo continuava a gridare, però Ash non lo sentiva più, sentiva solo dolore e aveva paura. Merda merda merda. Arrivò alla porta e la spalancò, correndo per le scale nudo, coi pantaloni in mano. Il cliente lo seguì, ma in corridoio probabilmente si rese conto di essere lui stesso nudo e si fermò, gridando per le scale. Ashley corse per le rampe il più velocemente possibile, e solo dopo cinque piani si fermò ansimando, quando sentì qualcuno urlare al suo aggressore di tacere, a quell’ora della notte. Aveva male alle gambe e alla schiena. Se la toccò. Sanguinava. Aveva anche il labbro ferito e una guancia gli bruciava. S’infilò i pantaloni e sospirò. Per lo meno era vivo. Era stato una fottutissima testa di cazzo, però questa volta se l’era cavata. Era la regola numero uno, mai pensare ad altro, mai far capire al cliente di non essere il solo e il più importante. Il cliente ovviamente sapeva che lui era una puttana, niente di più, però era importante illuderlo per il tempo passato insieme. Ogni cliente contento portava più soldi e più favori, il cliente scontento poteva reagire male come quello di prima… Era proprio un cretino. Ashley sospirò, ritrovandosi nella hall dell’albergo . Si fermò un istante, incerto su cosa fare. Era scalzo e coi soli pantaloni, fuori la notte era gelida.
“Te ne devi andare!” gli gridò il custode notturno dell’albergo
“abbiamo un buon nome da conservare!” Iniziò a tremare. Non passava nessuno, non avrebbe potuto sperare in un passaggio. Non aveva neanche i soldi per un taxi, non aveva nulla. Si chiese se padre Josh avesse un telefono, ma non avrebbe saputo come cercarlo… Iniziò a camminare, poi accelerò il passo e iniziò a correre. Rimanere lì fermo non l’avrebbe certo scaldato, almeno così forse, non sarebbe morto di freddo. L’asfalto gli tagliò subito i piedi: gli faceva male dappertutto, ma cos’altro poteva fare?
Se non avesse avuto freddo e dolore, sarebbe scoppiato a ridere. Come
s’era ridotto? Probabilmente era impazzito, o magari non era riuscito a scappare dall’albergo e ora era morto, sulla moquette di un albergo lussuoso. Bella fine di merda. Arrivò di fronte alla chiesa, il cuore gli batteva all’impazzata e il suo fisico era così stanco, che, appena fermo, Ashley vomitò sul sagrato. Il vecchio non avrebbe apprezzato, probabilmente. Si sentì svenire e non si rese conto di entrare dalla porta sempre aperta della casa di padre Josh e di chiamarlo. Capì solo di essere fra le sue braccia e questo fu sufficiente per lasciarsi andare. Probabilmente perse i sensi, perché quando capì di nuovo dove si trovava, era avvolto da strati di coperte, sdraiato in un letto che non era suo. “Ti sei ripreso…” Padre Joshua era seduto sul bordo del suo letto con un’aria angosciata. “Sono svenuto?” chiese Ash con voce impastata. “Sei rimasto privo di sensi per un’ora, continuavi a tremare e…” Padre Josh non riusciva a finire la frase, si passò una mano sugli occhi “eri ghiacciato” Ash si mise a sedere, toccandosi il viso “M’hai medicato tu?” “Ho solo pulito un po’ le ferite e tolto le schegge dalla schiena. Ma era più importante scaldarti” Ash guardò il prete negli occhi, cercando la sua mano sopra le coperte: “Grazie” “Cos’è successo?” Il ragazzò alzò le spalle “Un cliente un po’ violento…” Il prete fece per dire qualcosa, ma poi, ci ripensò, rimanendo in silenzio. Prese la mano di Ash, stretta nella sua, e se la portò alle labbra, baciandogli le dita o poi il palmo e cercando parole che non esistevano fra la sua agitazione che non scemava. “Ho detto il tuo nome…” disse Ash e, nel silenzio assoluto di quella stanza, quel bisbiglio rimbombò. “Cosa?” Padre Josh aggrottò la fronte. “ Quando sono venuto, stavo pensando a te, e ho detto il tuo nome” Ashley distolse lo sguardo dal prese, mordendosi il labbro. “Io…” lottò con tutte le sue forze contro le lacrime che reclamavano libertà “ho fatto proprio una cazzata” sorrise tristemente, ancora incapace di guardare il prete. “Sono proprio patetico” Padre Joshua aprì la bocca per replicare, ma fu subito interrotto. “Non dire che non è vero. Io sono innamorato di te. E non è forse patetico? Una puttana che si è innamorato di un prete…Cazzo, dev’essere davvero la cosa più patetica che abbia mai sentito!” Vinsero le lacrime, che iniziarono a scendere lungo le guance di Ashley. “Io non penso ad altro che a te. Sempre, ovunque… Più cerco di non farlo, più…Ti penso quando sono a casa, ti penso quando mi addormento. Ti penso quando vado a letto con qualcun altro. Cazzo!” Sbottò, asciugandosi le lacrime e ridendo di se stesso “Ti penso anche quando faccio il tè…” alzò gli occhi per guardare in faccia il prete: ormai che cosa poteva fare? Padre Joshua lo guardava, immobile, con gli occhi fissi su di lui. Separò la mano da quella di Ash e il ragazzo percepì il distacco come una violenza e sussultò. Ma subito dopo quella stessa mano fu appoggiata sulle sue labbra, poi fu fatta scorrere sulla guancia e dietro la nuca. Si avvicinarono l’un l’altro così lentamente che Ash non capì neanche di muoversi. Solo quando il prete lo baciò, il ragazzo capì che cosa stava succedendo. E se il primo bacio fu un bacio casto, come quelli della notte di Natale, il secondo era già diventato un bacio esigente, il terzo un bacio così intenso da farti dimenticare tutto. Se questa era la ricompensa, se queste labbra, questo bacio, queste mani erano il premio per quel che era stato, allora… allora forse lui poteva davvero sorridere e lasciarsi andare. Non erano importante tutti gli uomini di prima, non erano importanti i suoi piedi feriti, la sedia rotta o il freddo di quella notte. Non era per nulla importante il freddo degli anni passati perché, se questa era la ricompensa, allora ne era valsa la pena. Ogni minuto, ogni attimo, li avrebbe rivissuti per un altro bacio così, e poi un altro, e un altro ancora… Ashley attirò Josh a sé, lasciandosi abbracciare in un bacio sempre più caldo. Staccò la bocca da quella di Josh, per continuare a baciarlo sulla guancia. Baci umidi che lasciarono tracce di saliva sulla guancia del prete e che facevano rabbrividire la pelle una volta abbandonata per un bacio altrove. L’alito caldo di Ash e la sua lingua nell’orecchio, fecero gemere Josh che si rifugiò nell’incavo del collo di Ash, per poi succhiarglielo. Il collo, bianco e perfetto, Ashley lo voleva. Si diresse verso il mento e poi scese, ma esitò. Portò la mano al collarino di Padre Josh e lo strappò via, lasciandolo cadere per terra. Ora avrebbe avuto libero accesso. Cercò di sollevarsi dal letto per mettersi a cavalcioni sopra Josh, ma un dolore pungente gli fece uscire tutta l’aria dai polmoni. “Devi ripos...”
Ash mise un dito sulle labbra di Josh e scosse la testa. Ashley tremò “Baci tutti così?” Lo aggredì, ma non riuscì a nascondere la tristezza che impregnava la sua voce “Tutti quelli che vengono qui, tutti i bisognosi. Li baci tutti così?” Padre Josh guardò Ash, non c’era bisogno di alcuna risposta. Lo baciò di nuovo, ma questa volta non perse il controllo.
“Devi dormire e riposarti, hai male anche solo a muoverti…” “Perché faccio sempre quello che mi dici?” sussurrò Ash a Joshua quando il prete ebbe finito con le coperte. “Perché sai che ho ragione” gli disse l’altro accarezzandogli i capelli, ma Ash scosse la testa. “E’ perché sono un cretino e ti amo” si strinse nelle spalle e affondò la testa nel cuscino, senza più osare guardare padre Joshua negli occhi. Cercò di calmarsi e di rallentare il suo cuore, ma istintivamente si leccò le labbra, per ricercare il sapore di Josh su di sé.
Continua…
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