Favola Metropolitana

parte III

di Dicembre


 

Un emerito coglione. Ecco cos’era. Un emerito coglione.
Ashley guardava le vetrine dei negozi scorrere via velocemente, dalla finestra dell’autobus.

Era agitato ed infastidito con sé stesso. Non sarebbe dovuto tornare in chiesa. Aveva incontrato padre Joshua una sera, ma quello doveva essere un incontro come tutti gli altri, fugace e anonimo. E invece era tornato. Stupido coglione.

Non era chiaro ad Ash il perché di quell’incredibile paura. Era una mattina qualunque, su un pullman qualunque, aveva duemila sterline in tasca e stava andando a dormire. Qual era il problema?

Un po’ lo erano quei ciuffi disordinati sull’orecchio che, cazzo, non volevano proprio saperne di stare al loro posto.

Un po’ era quel sorriso e la completa assenza di scherno o cattiveria.

Un po’ erano quelle mani, troppo vicine.

E un po’ era lui che di capelli disordinati, di sorrisi, e di mani troppo vicine ne aveva conosciute a bizzeffe, ma nessuna di loro gli aveva messo paura.

E c’era anche quel maglione sbrindellato nella sua borsa. Ora non aveva più nessun motivo per andare da lui. Perché quindi tornarci?

No, sarebbe stato molto più semplice non andarci più, perché alla fine, non c’era assolutamente motivo per tornare.

 

Arrivato a casa fu grato di non trovare i soliti morti sul pavimento.

“Dove cazzo sei stato?”

“A farmi una sega. Mikey, dove cazzo vuoi che sia stato? A lavorare! Tu piuttosto, hai l’affitto di questo mese?”
”A lavorare fino a quest’ora?”

Ash sentì per un attimo le mani di padre Josh fra le sue e fu tentato di dire al Topo dove avesse passato le ultime ore, ma pensò fosse meglio tacere. Non avrebbe capito. Perciò annuì, semplicemente, “L’affitto?”

“Ce l’ho, ce l’ho. Ultimamente sto migliorando… seguendo i tuoi consigli, si guadagna molto di più”

“Hai comprato i preservativi?”

“Se hai bisogno, puoi prendere quelli nel cassetto”

“Ma scusa, non erano i tuoi?”

Mikey si strinse nelle spalle, guardandosi intorno.
”Non li hai usati”

“I clienti pagano di più senza”
”Cazzo, Mikey, sei proprio un coglione, cosa ti ho detto?”
”O smettila, Ash. Con la tua faccia del cazzo certo che uno può scegliere. Io no, e l’hai detto anche tu che bisogna pagare l’affitto, no?”

“Sei un cazzone, Mikey, non è la faccia. E’ solo che sei un cazzone. Rischi troppo”

“Ho già una madre, Ash”

“Che non t’ha insegnato un cazzo.”

“Beh” si strinse nelle spalle Mikey “Era troppo impegnata a scoparsi i suoi di clienti per spiegare a me come si faceva” rise e anche Ash non riuscì a mantenere la faccia seria.

“Sta’ attento Mikey, promettimelo”

Il Topo annuì, ma Ash sapeva benissimo che, per qualche sterlina in più, il Topo avrebbe dimenticato immediatamente la sua promessa.

Entrò nella sua stanza e si buttò sul letto, sospirando.

Cercò di scrollarsi di dosso quella sensazione di incompiuto, quella sensazione nostalgica che aveva addosso, ma non riuscì.

Si rimise a sedere sul letto e tirò fuori il maglione strappato dalla borsa. Lo guardò, brutto e anonimo, come se lo ricordava, slabbrato e strappato in più punti, scucito in altri. Non si era reso conto di quanta forza aveva messo, quando aveva tirato per riprenderselo.

Si accese una sigaretta e lo indossò, sopra la sua maglietta di cotone. Brutto e sgualcito, il maglione comunque conservava l’odore di quel posto. Forse della casetta, forse della chiesa…

Inspirò l’odore e spense subito la sigaretta, magari l’avrebbe alterato.

Che cosa stava facendo? E che cosa voleva fare?
Perché tornava a casa e l’unica cosa che sembrava avesse senso era piangere?

S’impedì di farlo, ma lasciò che il suo labbro inferiore tremasse, nessuno spettatore ignoto l’avrebbe visto.

Non era importante, tanto non sarebbe tornato.

Ora bastava dormire, il giorno dopo sarebbe dovuto apparire riposato.

 

Ormai era Dicembre inoltrato, faceva un freddo cane.

Solito posto, solita ora, questa volta però schiacciati vicino alla parete del palazzo, per ripararsi dal freddo.

Ashley non era più tornato in chiesa, ormai era qualche settimana che aveva ricominciato la sua routine. Casa-letto; letto-lavoro; lavoro-casa. Monotono, forse, ma lui ci era abituato.

Eppure non passava giorno in cui non pensasse alla sua chiesa o a padre Josh, a quanto il tè in bustina fosse cattivo e a quanto cazzo facesse freddo, in quella città di merda.

Bisognava coprirsi o stare al caldo. Lui non aveva né più il maglione, né tanto meno un posto dove scaldarsi, quindi continuava con quello che sapeva fare meglio.

C’era qualcosa che ancora non capiva bene di se stesso: che cosa sperava di trovare in Joshua? Ben presto si era reso conto che quella domanda era posta in maniera sbagliata.

Che cosa aveva trovato in Padre Joshua?

C’erano state risposte semplici, altre più complesse.

C’era stata quella completa assenza di compassione che ad Ashley era sfuggita all’inizio e che ora l’aveva imbrigliato in un pensiero costante. Ma probabilmente, c’era stata l’interruzione della solita vita, del solito tran tran, che l’aveva illuso che, forse, qualcosa da fare può esserci.

Ed era per quello che il pensiero di padre Joshua continuava a rimanere vivo sulla sua pelle e preponderante nella sua mente: padre Joshua significava l’illusione che si potesse desiderare qualcosa. Fosse anche prendersi una tazza di tè.

Ma quella sera si doveva solo lavorare.

“Ehi, Ash, cazzo pensi?”

Ash non rispose.

“Guarda che quella macchina sta aspettando te”

Un’auto nota, nera, da ricco.

Anzi, meglio, da ricco rott’in culo.

“Sei tornato?” chiese Ash al suo cliente, appena entrato in macchina.

“Sì, disse l’altro “ ho una settimana di lavoro qui e…”

“La moglie non c’è” gli concluse la frase Ash avvicinandosi al collo dell’uomo.

L’annusò.

“Ah, ma qui vedo che ci siamo dati da fare, quando non c’ero io eh?”

“Sono andato a Leeds per lavoro..:”
”E certo, avevi bisogno di qualcuno che ti scaldasse la notte, ti capisco” Ash fece scivolare la voce lungo il collo dell’uomo e la mano lungo l’inguine.

“Ma sei pazzo? Sto guidando!”
”E non è più eccitante?”

Il cliente era già duro.

“I ragazzi di Leeds sono molto più economici di te” disse il cliente, cercando di contenere un gemito.

“Ma anche molto più brutti. Oltre che dei provinciali. Sai quanto costo, non si possono fare sconti, neanche agli amici” ma Ash sapeva di aver giù vinto sulla trattativa quando infilò la mano sotto le mutande dell’uomo e vi trovò un pene gonfio e umido. L’uomo sterzò improvvisamente e inchiodò sul ciglio della strada

“Cazzo, succhiamelo! Subito. Voglio scopare la tua bocca, voglio…” Non trattenne il gemito quando la lingua di Ash gli toccò il glande.

“Cosa aspetti?”
”I soldi”

L’uomo tirò fuori trecento sterline: “Queste sono sufficienti, ora, puttana, fa’ il tuo dovere” afferrò i capelli di Ash e trascinò la sua faccia sull’inguine, gridando quando Ash iniziò a prendersi sapiente cura del suo membro. Non lasciò niente di trascurato, i testicoli, il perineo, finchè non infilò un dito nell’ano dell’uomo per premere la prostata. L’uomo venne così violentemente che Ash fu sicuro che qualcuno, sulla tangenziale l’avesse sentito gridare.

“Brutta zoccola schifosa, chi ti ha detto di mettermi un dito in culo?”
”Ti è piaciuto però…”

Il cliente sorrise, ancora estasiato “Con le trecento sterline che ti ho dato ci pago anche il servizio completo”

Ash sospirò. Inutile protestare, sapeva bene che duemila sterline non gli sarebbero ricapitate e si lasciò condurre dal proprio cliente al letto dell’hotel.

 

Uscito dalla stanza d’albergo ebbe come un deja vù. La mattina fredda, l’idea di andare in chiesa… Tirò fuori il foglio degli orari che ancora conservava. Magari, dopo così tanto tempo, avrebbe potuto…

Dall’entrata principale entrò un uomo sulla sessantina, barcollando. Lo squadrò e gli sorrise, passandosi la lingua sulle labbra.

Il lavoro era il lavoro, tanto non era importante andare in chiesa. Tanto ormai, aveva deciso di non farlo più.

 

 

Ormai era il 23 Dicembre. Quant’era che non vedeva padre Joshua? Settimane? Mesi?

Ash alzò le spalle, scrollandosi di dosso il pensiero. Si prendeva in giro, quando si prometteva che ci avrebbe pensato per l’ultima volta, ma ogni volta accettava di crederci, con indulgenza. Ogni volta si fidava delle bugie che lui stesso raccontava. Ogni volta era sicuro che proprio lì, in quel momento, avrebbe smesso. Perché era logico e non farlo non aveva senso.

Ingannarsi era piacevole, riusciva a farlo vivere in pace per qualche ora, per poi ricadere in fallo per un nonnulla.

La città era stracolma di gente che s’affrettava per negozi; le vetrine erano agghindate  a festa. Lustrini, luci, melodie ricorrenti avevano invaso la città. La notte precedente, poi aveva nevicato e la neve appesantiva gli abeti che sembravano spuntare ovunque.

Erano belli, pensò Ashley, nella loro solitudine: grandi ed imponenti, sovraccarichi di neve e di luci, tenevano compagnia ai passanti senza neanche saperlo. Il ragazzo sorrise, chiedendosi se i bastoncini appesi all’albero di fronte a lui fossero davvero di zucchero. Ne prese uno, bianco e rosso.

“Ehi, non puoi prenderlo così, devi pagarlo!”

Ash affrettò il passo per allontanarsi, ma si girò a vedere chi avesse parlato: una vecchia. Non l’avrebbe mai inseguito, perciò scartò il bastoncino di zucchero e cominciò a succhiarlo.

Voleva tornare a casa, quella sera non sarebbe uscito, non avrebbe fatto niente. Quella sera meritava solo di essere vista attraverso la finestra, lei con le sue mille luci colorate.

Stava per scendere in metropolitana, quando una vetrina catturò la sua attenzione e si mise a guardarla. Senza accorgersene, si ritrovò dentro al negozio, fra scaffali di legno e della musica classica in sottofondo.

 “Posso aiutarti?” gli chiese una signorina coi capelli raccolti e l’aria di  chi non vede l’ora di tornare a casa.

“Vorrei un maglione. Quello là fuori…”

“Ma i maglioni esposti sono tutti in cashmere” lo interruppe frettolosamente lei.

“E mi auguro anche siano di ottimo cashmere” rispose Ash infastidito. Era capace di imitare lo snob, era capace di diventare chiunque all’occorrenza. I suoi vestiti dimessi avrebbero solo aumentato il divertimento.

“Certo, della migliore qualità. Aveva già un modello in mente?” chiese lei continuando ad avere quell’aria di sufficienza che stava dando sui nervi ad Ashley.

“Posso parlare col responsabile del negozio?”

La commessa s’irrigidì “E perché?”
”Preferirei essere servito da lui, il personale non mi pare all’altezza dell’importanza del locale” Sapeva fingere benissimo.

Il responsabile del negozio si presentò solerte “Posso esservi d’aiuto?”
”Spero lo possiate essere di più della vostra commessa che s’è lasciata trarre in inganno dai miei vestiti, ignorando quanto sia divertente, spesso, confondersi con la gente” Ash sapeva di essere troppo bello perché il negoziante lo scambiasse per una puttana, e il suo sorriso era il via libera per qualunque cosa volesse.

“La perdoni, signore, sa sotto le feste, siamo tutti un po’ stanchi…”

“Vorrei fare un regalo e ho pensato che uno di quei maglioni in vetrina fosse l’ideale”

“Se posso darle un consiglio, questi” suggerì il negoziante tirando fuori una pila di maglioni di vario colore “sono in assoluto del miglior cashmere sul mercato”
Ashley toccò il primo, era così morbido che gli parve seta.

“Perfetto. Ne avete uno nero?”
”Che taglia signore?”
”Una in più della mia…”

La manciata di minuti trascorsi all’interno del negozio sembravano aver raffreddato ulteriormente il clima. Una volta uscito, Ashley guardò il sacchetto che teneva fra mani.

Settecento sterline di puro cashmere e una voglia matta di correre per darglielo subito.

Non aveva i soldi che aveva speso, facevano parte delle duemila sterline prese al cliente per una mezza-nottata. Aveva pensato di tenerle via, per il suo viaggio in Italia, ma la vetrina coi maglioni all’interno era parsa lì per lui.

Si diresse verso casa, col sacchetto in mano. Avrebbe dato il maglione a padre Joshua?

Forse sì, magari no. Ora era meglio tornare a casa per evitare di correre in direzione opposta. In direzione della chiesa.

Non c’era nessuno, Ashley si chiese dove fosse finito il Topo, ma fu felice di trovare la casa deserta.

Accese la stufetta per scaldare un po’ l’ambiente: il riscaldamento non andava, una volta non l’avevano pagato ed il contratto era stato rescisso. Da allora avevano tenuto solo l’acqua calda e l’elettricità. Di quelle non si poteva fare a meno.

Appoggiò sul letto il sacchetto, troppo lussuoso per quell’ambiente e, di nuovo, lo guardò.

Era decisamente una presenza ingombrante.

Si infilò sotto strati e strati di coperte, ma non si addormentò subito, il giorno si stava spegnendo e le luci per la strada erano una bella compagnia. Si sentivano i rumori degli autobus, qualche schiamazzo…ma soprattutto si vedevano le scie colorate rifrante dalla neve. Ed erano così luminose, loro con la loro intermittenza, che nascosero il sacchetto ad Ashley che non voleva vederlo.

Vederlo avrebbe significato capire perché era lì.

E questo non voleva farlo.

 

 

Cosa cazzo ci faceva lì?
Lui, di certo non lo sapeva. Non aveva voluto…O meglio, non aveva pensato… O meglio ancora, non aveva. E basta.

Ma alla fine, era lì, sotto la neve che si appoggiava  sui suoi capelli e sul suo cappotto, di fronte alla chiesa che avrebbe dovuto dimenticare.

Tremò. Non poteva di certo sperare di vedere padre Joshua lì, in quel momento: era da poco passata la mezzanotte ed era Natale. Forse dentro la chiesa, non certo lì davanti.

Che cosa ci facesse, quindi, inchiodato di fronte al portone, non era assolutamente chiaro.

E poi aveva un sacchetto in mano. Ash alzò la mano per controllare se effettivamente lo stesse ancora stringendo fra le dita. Era così agitato che non sapeva cosa fare, forse sarebbe stato meglio andarsene via e non tornare davvero più, come continuava a dirsi più volte al giorno, da molto tempo a questa parte.

La chiesa era brutta. Anche agghindata a festa, anche con le lucine che tanto piacevano ad Ashley, la chiesa era orribile, ma in fondo, non era molto importante. Entrò.

In fondo, si disse, perché no?

Com’era diversa la chiesa quella sera, gremita di persone e di luce, Ash ebbe l’impressione di entrarci per la prima volta. Qualcuno cantava, ma il ragazzo non riusciva a vedere chi, i fedeli erano in piedi e sembravano contenti. Persino il crocefisso vicino all’altare sembrava meno minaccioso della sera in cui era entrato per la prima volta. Ashley lo guardò e di nuovo, camminò nel corridoio centrale. Ash scrollò le spalle, come a rispondere ad una muta domanda che non valeva la pena ascoltare. Lui non c’entrava niente lì e di certo non era venuto per prestare ascolto a nessuno, né tanto meno per inginocchiarsi. Era lì solo per una tazza di tè. Era lì solo perché non aveva nient’altro da fare.

Si mise in fila per prendere l’eucaristia, il vecchio – o reverendo Paul come padre Joshua lo aveva chiamato - tremava nello spezzare il pane e la sua voce monocorde accompagnava la gente verso la propria ostia, ma portavano lui verso quelle mani, e tanto gli bastava.

Chissà davvero perché era lì.

Il prete lo vide e Ashley ebbe la netta sensazione che dietro quegli occhiali, i suoi occhi s’allargassero per lo stupore. Forse semplicemente si stava anche lui chiedendo perché il ragazzo fosse lì ad aspettare l’eucaristia.

Lo guardò, dritto negli occhi. Guardò quel viso sognato di nascosto e guardò quelle mani che tremarono per un istante, prendendo l’ostia.

“Il corpo di Cristo”

“Amen”

Padre Joshua appoggiò l’ostia sulla lingua di Ashley. Le dita del prete erano sulla sua lingua, quale persuasione migliore?
Forse indugiarono un istante, o così Ash credette. Con la punta della lingua leccò l’indice lungo e affusolato del prete e chiuse le labbra intorno al polpastrello, succhiandolo velocemente, mentre l’altro ritraeva la mano.

Di nuovo lo guardò, per poi girarsi velocemente e andarsene.

L’aveva fatto davvero? L’aria gelida del Natale lo investì, appena uscito dalla chiesa. La messa non era finita, ma Ashley era comunque uscito, per cercare di raffreddarsi il viso.

Appoggiò le spalle alla parete della chiesa e sospirò, guardando il vapore uscire dalla sua bocca e sparire poco dopo.

Stringeva ancora forte il sacchetto e di nuovo si chiese se non fosse il caso di andar via e di tornare a casa.

Il portone si aprì e le persone all’interno cominciarono ad uscire, probabilmente la messa era finita e Ash non sapeva ancora cosa fare.

Perché era lì?
Perché?
Perché era stupido, ecco perché. Probabilmente solo perché era proprio un cretino.

Una mano gli afferrò il polso: “Pensavo che fuggissi”

“Non ho fatto in tempo” gli disse in tono troppo basso Ash.

“Vieni dentro. Qui fuori rischi di ammalarti” Padre Josh non lasciò andare la mano di Ash e lo condusse nella casupola dov’era stato tempo prima.

“Non devi celebrare?”

“No, la messa è finita, non preoccuparti”

“Non devi…?”

“Non devo”

“Non..?”
”No”

Ash abbassò lo sguardo, mordendosi quello stupido, fottutissimo labbro che cominciava a tremare. Che idea del cazzo venire lì.

“Pensavo che non saresti più tornato”

Ash si strinse nelle spalle: “Effettivamente non avevo intenzione di farlo” disse una mezza verità “ma volevo vedere come te la passavi”

“Ho sperato che saresti tornato”

Ash alzò di scatto gli occhi, cercando quelli dell’altro: “Perché?” chiese.

“Perché volevo bere un tè insieme…”

A quel sorriso poteva credere. Cazzo, avrebbe creduto a qualunque cosa accompagnata da quel sorriso.

“Allora posso sperare in una tazza calda di tè?”

Il prete sorrise “Certo”

“Col latte”

“Ovviamente”

Ci fu un attimo di silenzio, poi padre Josh sospirò: “Perché hai fatto la Comunione?” chiese in tono serio.

“Senza motivo” Ashley si trovava fin troppo a proprio agio nei suoi panni strafottenti e fu grato, in quel momento, di poterli reindossare “Volevo provare”

Ma padre Josh non glielo lasciò fare: “Perché?”

“Non per motivi religiosi o cazzate simili, sai come la penso”

“In realtà non lo so, non me l’hai mai detto. Ma da quel poco cui hai accennato, posso intuirlo. E allora perché?”

Ashley non era del tutto sicuro: “Perché volevo vederti” si strinse nelle spalle, alzando le sopracciglia “Me l’hai detto tu che potevo no?”

Padre Josh sorrise: “Mi potevi vedere in qualunque altro momento”

“Ti ha dato fastidio che ti leccassi le dita?” Ash la pose come mezza domanda.

Ovviamente gli aveva dato fastidio, ma lui non ne era per niente pentito.

“Non mi ha dato fastidio, no”

Di nuovo il viso di Ash cercò gli occhi del suo interlocutori “Menti”
”Lo sai che è peccato”

Ashley stava per rispondere, ma si fermò con gli occhi su quel viso e scoppiò a ridere. Rise di una risata insensata, ma serena “Chissà se il vecchio m’ha visto!” disse cercando di smettere di ridere. “Lì per lì non ho proprio pensato a farmi notare”

“Gli avresti provocato un infarto” Anche padre Joshua cercò di mantenere un tono serio, cedendo però immediatamente alla risata contagiosa dell’altro.

“Certo che sei un tipo strano, non sei preoccupato?”

“Ore voglio solo bermi un tè con te”

“Anche se ti ho leccato le dita?”

Padre Joshua non rispose, ma porse la tazza fumante al ragazzo.

“Perché non mi rispondi?”

“A cosa?”

“Alla mia domanda”

“Se non sono preoccupato che mi hai leccato le dita? No, hai qualcosa di contagioso di cui dovrei essere messo a conoscenza?”

Ashley sospirò, esasperato: “Non era quello che intendevo”

“Ci sono delle cose che fai che mettono a proprio agio te, e non mettono a disagio me”

Ashley non capì che cosa stesse dicendo il prete e lo guardò confuso.

“Non capisco…”

Padre Josh stava per rispondere quando furono interrotti da un grido “Padre Joshua!! Padre Joshua!!” lo chiamò una voce femminile.

Il prete si allontanò da Ash e corse fuori dalla cucina, verso quella voce.

Ashely la sentì di nuovo, questa volta rotta dal pianto.

“Padre Joshua” e così seguì anche lui il prete.

Nel corridoio, vicino alla porta d’entrata, c’era una donna – una ragazzina meglio – con un bambino in mano. Piangeva a dirotto, incapace di trattenersi

“Mi scusi, se arrivo a quest’ora…” cercò di dire, fra i mille singhiozzi.

Padre Joshua la guardò con quel suo sguardo così dolce che probabilmente la ragazza si sentì rincuorata anche solo per quello.

“Carrie, cos’è successo?”

“Mi ha picchiata di nuovo e io ho preso il bambino e sono scappata…Non ne posso più, padre! Non sapevo dove andare e sono corsa qui. Fuori nevica e io non ho fatto in tempo a prendere niente…”

“Shhh” le disse lui mettendogli una mano sulla spalla “stasera puoi stare qui, non ti preoccupare. Così puoi stare al caldo, insieme al bambino e poi domani decidiamo cosa fare”
”Non voglio tornare a casa!”
”Non ci pensare adesso, hai bisogno di dormire…Vieni con me.” e così dicendo. Prese la mano della ragazza e la condusse attraverso una porta che Ash non sapeva dove conduceva, mentre lui rimase lì attonito, a fissare il punto dov’era prima la ragazza.

Padre Joshua gliel’aveva detto, quello era un posto dove venivano accorti i bisognosi, quelli che per un qualunque motivo, cercavano riparo e lui era uno di quelli. Guardò per terra e strinse gli occhi, nel tentativo di combattere qualcosa dentro di lui che neanche sapeva.

Era andato lì per niente, solo per una tazza di tè e padre Joshua l’aveva accolto, proprio come faceva con chiunque altro avesse bussato alla sua porta.

Lui come ogni altro era capitato lì per caso e aveva trovato riparo, come ogni altro era stato riscaldato da quel sorriso bellissimo che solo padre Joshua sembrava possedere.

Si guardò le mani: teneva ancora stretto il suo sacchetto.

Che idiota, era lì per niente, con un sacchetto inutile per le mani, che gli tremavano come le labbra, ma non c’era niente che Ash potesse fare per fermarle.

Avrebbe fatto meglio a lavorare quella sera, qualcuno a Natale in fuga da una famiglia opprimente lo si trova sempre. Avrebbe di sicuro fatto degli ottimi affari, e invece era lì con un desiderio così intenso di piangere per qualcosa che non sapeva.

Avrebbe davvero fatto meglio a scopare con qualche sconosciuto.

Velocemente fece quei pochi passi che lo separavano dalla porta d’uscita, ma sull’uscio di dovette fermare un istante perché fu investito da una folata di vento e neve che gli penetrò nelle ossa.

“Non andare”

Ashley non aveva alcuna intenzione di girarsi. Se l’avesse fatto, sarebbe rientrato e, cazzo, non era davvero il caso.

“E’ meglio che vada”
”Resta” sentì la voce dell’altro più vicina “resta qui ancora un po’. Carrie ora dorme di là…Non c’è nessun altro”

“Magari qualcun altro arriva”
”Magari, ma io vorrei che tu restassi”

Veramente voleva che Ashley restasse? Non poté fare a meno di controllare e vedere la mano dell’altro leggermente protesa e quel viso che – avrebbe giurato – diceva la verità.

“Vieni di là con me, ho una cosa da darti”
Ashley prese la mano del prete, non riuscì impedirselo.

“Anch’io” disse in tono così basso che ebbe il dubbio lui stesso di aver pronunciato quelle parole.

“Anch’io” ripeté più ad alta voce “Anche se è solo una sciocchezza”

Padre Joshua sorrise, intrecciando le sue dita con quelle dell’altro e conducendolo attraverso il corridoio, in una stanza con una scrivania e dei libri.

“Passo il mio tempo qui quando ne posso dedicare un po’ allo studio”

“Filosofia?” chiese Ashley indicando i libri sulle pareti
”Quelli sono filosofi greci. Sì, comunque, sono laureato in Filosofia, è sempre stata una mia passione”

Laureato, già. Niente di nuovo, vero? Ma Ash non sapeva niente di filosofia.

Abbassò lo sguardo: “Io di filosofia so ben poco. Nietzche può contare?”

Il prete sembrò molto stupito: “L’hai letto?”
”Qualche cosa, ma non tanto…Platone, Socrate… Aristotele invece” disse passando un dito sui libri di poco prima “li conosco solo di nome”

“Se ti interessa, puoi prendere i libri che sono qui”

“Ma non li capirei” Appena pronunciata la frase, Ash si mise una mano sugli occhi.

Quanto cazzo era patetico? No, era stata una pessima idea rimanere lì. Anche se si sentiva bene, anche se era felice, era stata un’idea veramente del cazzo.

“Io…”

“Era questo quello che volevo darti” Padre Joshua interruppe il ragazzo prima che Ash potesse, di nuovo, tentare la fuga. Il prete si sporse su uno scaffale e ne tirò fuori un libro. Era alto e spesso, ma Ashley non capì che libro potesse essere fino a che non l’ebbe in mano. Ma in quel momento fu davvero troppo tardi, perché si rese conto di piangere solo quando ormai le lacrime gli avevano inondato il viso. Le mani gli tremavano e il labbro inferiore era così fastidiosamente fuori controllo che Ash dovette morderselo. Ugualmente, però, non riuscì a smettere di piangere

Padre Josh si avvicinò a lui preoccupato “Cos’è successo” Ash non osò alzare lo sguardo. Tentò di asciugarsi gli occhi con le mani.

“Me ne devo andare, io non posso rimanere qui…Fa troppo male”

Ashley lasciò cadere per terra il sacchetto che stringeva nel pungo e passò la mano, finalmente libera, sulla copertina del suo libro.

“Per favore, rimani” la voce del prete era confusa, ma Dio com’era bella. Avrebbe dovuto tacere, stare zitto, smettere subito di parlare. E invece Ash voleva che continuasse a farlo.

Con la vista annebbiata dalle lacrime e gli occhi fissi sulla copertina del suo libro, il ragazzo non sentì il prete avvicinarsi e sollevare la borsa di carta che Ashley aveva fatto cadere per terra

“E’ questo per…”

“No” Ashley quasi gridò “è brutto, non aprirlo”

“Ma è per me?”

Ashley annuì, tremando “Io … è brutto, non voglio che …Guarda invece tu cosa m’hai regalato”

Padre Joshua tirò fuori il maglione in cashmere, e non riuscì a trovare le parole “Ma…”

“Scusami…”

Padre Joshua si avvicinò ad Ash e gli prese il viso fra le mani, obbligandolo ad alzare lo sguardo “Spiegami, io …non capisco. Questo maglione è bellissimo” gli sussurrò, asciugandogli le lacrime

“Non è vero” rispose Ash chiudendo gli occhi e rabbrividendo per mani dell’altro sulla propria pelle “E’ un regalo così insignificante... Tu invece… Un libro di fotografie e poesie sul Mediterraneo…”

Padre Joshua aspettò che Ashley continuasse, non togliendo le mani dal suo viso.

Ash singhiozzò “Ti ho parlato del mare d’estate una volta sola. La prima volta che ci siamo visti … Perché te ne sei ricordato? Come hai fatto a ricordartene?”

Padre Josh gli sistemò i capelli e lo guardò in volto “Ma il maglione è bellissimo”

“Ma questo è un mio desiderio” rispose Ashley indicando con forza la copertina del libro “come hai fatto a ricordartene?” e di nuovo non riuscì a trattenere le lacrime, incapace di smettere di vergognarsi di quello che aveva portato.

Padre Joshua si avvicinò ulteriormente, e spinse Ash fra le sue braccia, nascondendogli il viso nel suo collo.

Com’era caldo lì, fin troppo bello. Senza accorgersene Ash si strinse ancora di più al prete, stringendo le sue spalle e inalando il suo odore.

“La tua fragilità mi confonde, Ash… Mi porti uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto e ti senti inadeguato solo perché in cambio hai ricevuto un libro di foto e poesie sul mare. Tenti di scappare ogni volta, quando sei con me e…” il prete sospirò, tremando all’alito caldo sul suo collo “sembra che pensi che sia sbagliato che tu sia qui, che non dovresti esserci perché, in fondo, non è importante. Si strappa un maglione per colpa di un vecchio cocciuto e tu lo ripieghi e lo guardi quasi avessi perso la più cara fra le cose… Perché Ash?” Padre Josh passò una mano fra i capelli del ragazzo. “Quando cerchi i miei occhi, quando mi guardi in faccia, sembra che cerchi la conferma di non essere inadeguato, che anche io…” ma il prete non finì la frase perché Ash si strinse a lui quasi a nascondersi in quell’abbraccio, tremando.

Rimasero lì, senza dire niente, aspettando che Ashley si calmasse un pochino.

“Scusami” disse poi al prete, scostandosi leggermente “E’ che…”

“Non ti preoccupare, va bene così” lo interruppe il prete asciugandogli le lacrime.

“Dove posso lavarmi la faccia?” chiese Ash imbarazzato.

Padre Josh gli indicò il bagno, ma non lo seguì e Ash così ebbe modo di guardarsi in faccia a lungo, nello specchio e cercare di sgonfiare quegli occhi rossi con l’acqua fredda.

  

 

Continua…