Disclamer: se Kurumada si azzarda a usare ancora i personaggi di Saint Seiya lo denuncio io. Ehm.. vabbe' stavo scherzando. Comunque questa fic è stata scritta senza fini di lucro, ma a quale fine sia stata effettivamente scritta è  un mistero anche per me.
Avvertenze: l'universo alternativo si trova tra le parentesi quadre.



Il sogno della farfalla 

parte VI

di Petra


[La faccia di Seiya che sul ring viene ripetutamente colpita da Arles è una delle cose più impressionanti a cui si possa assistere. Ma, non vi è niente di particolarmente strano, all'apparenza. Solo due combattenti di diverso livello che si affrontano in un match impari.
Il pubblico che riempie gli spalti è già eccitato alla vista del sangue, ma è ancora più affascinato dalla resistenza e dal coraggio di Pegasus, che, coperto di ferite, si rialza dal tappeto ogni qualvolta l'altro ce lo rispedisce.
Il Grande Sacerdote invece riempie di colpi il suo avversario con una grazia serena, priva di ogni sforzo e il suo volto è disteso ed impassibile, come se niente di ciò che sta accadendo possa davvero toccarlo.

Ho visto abbastanza per i miei gusti, e comunque non sono tornato indietro per perdere tempo con questi giochi da bambini. Con un balzo, dalle tribune, ancora prima che chiunque possa fare qualcosa per impedirmelo, raggiungo il centro del quadrato. Intanto Seiya ha avuto il tempo di andare a tappeto per l'ennesima volta e l'arbitro sta già contando i secondi. Arles se ne sta in piedi presso il suo angolo e aspetta, il suo volto è un'impenetrabile maschera di ghiaccio.
Il pubblico urla di stupore per la mia improvvisa apparizione e subito si scatena il putiferio.
L'arbitro e il giudice di gara cominciano a gesticolare come ossessi, tentando di fermare l'incontro. Io semplicemente mi chino su Seiya e lo aiuto a rimettersi in piedi. Naturalmente lui tenta di respingermi, ma basta un centesimo della mia forza per sollevarlo da terra e scaraventarlo, non troppo gentilmente, fuori dal ring. Il pubblico guaisce di sorpresa e di piacere.
Per un attimo intravedo i miei compagni, accorsi tutti all'angolo dei Bronze, che urlano, con le facce distorte dall'ira, qualcosa che non mi curo d'interpretare. Fra di essi scorgo il volto di Shun pallido di paura, con gli occhi come due pozzi neri per l'angoscia. Devo fare uno sforzo per  non lasciarmi intrappolare dalla muta e disperata richiesta che traspare dentro di essi e rivolgere l'attenzione solo sul mio avversario..
Sono di nuovo su un ring, per la secondo volta ad interrompere uno torneo dei Santi d'Atena, ma stavolta in nome di lei. Il cerchio dunque si chiude.
"Qualsiasi debito abbia mai contratto, milady", penso, "spero che adesso potremo saldare  i conti, una volta per tutte.."

Nella confusione generale Arles è l'unico ad essere rimasto fermo immobile, senza scomporre un solo muscolo. Mi guarda senza dire una parola, senza mostrare un minimo di sorpresa. Sembra che mi attenda da sempre.
Nel momento in cui ci fronteggiamo un silenzio gonfio d'attesa invade il luogo dell'incontro. Ma  non sono qui per trastullarmi in esibizioni senza senso, questo voglio che sia chiaro fin dal primo momento. Se mai qualcuno ne avesse ancora voglia, deve essere chiaro che ogni genere di trastullo è finito, perciò avanzo deciso  verso Arles e immediatamente faccio esplodere al massimo il mio cosmo.
Lui sorrise e alza una mano. E in quel preciso istante il mondo si contorce in un urlo spaventoso. Cado sulle ginocchia sopraffatto da un dolore indicibile, mentre ogni cellula del mio corpo sembra sul punto di andare in frantumi e il respiro mi scoppia nei polmoni.
Ansante alzo gli occhi e lui è lì che mi guarda dall'alto, radioso di una bellezza sovrannaturale. Il suo viso è circonfuso di luce abbagliante e gli occhi oscuri e profondissimi sono come un abisso nel quale si rivela una notte eterna.
Avanza verso  di me col passo sinuoso di un animale privo di ossa, ma persino in quella eleganza posso avvertire la potenza spaventosa che irradia dalla sua persona. In ginocchio, dolorante, incapace di distogliere gli occhi, comprendo che mai prima d'ora ho avuto una rivelazione più perfetta di cosa sia la forza. Avverto che essa esisteva già prima dell'inizio del tempo, che dura oltre ogni durata, e l'immenso
orrore di quell'immortalità mi contorce lo stomaco in un nodo angoscia. L'universo stesso è ben poca cosa di fronte a quest'essere che lo trascende, come un sole rovente la luce di una candela. 
Le lacrime cominciano a sgorgare dai miei occhi senza che possa far nulla per fermarle, e perché dovrei del resto. In questo momento, davanti ai miei occhi, si manifestano miliardi di eoni di conoscenza, di tenebre e di luce, quali mai avrei potuto  immaginare.
Nello stesso momento capisco che quest'essere sta per uccidermi con la stessa noncuranza con la quale si schiaccia un insetto noioso.
Non grido neppure, il viso abbagliante incombe su di me, ed in esso riconosco l'inesorabilità del fato.
Chiudo gli occhi e attendo, quasi con un sospiro di sollievo, la fine inevitabile.

"La Fenice giudichi se l'universo vuole continuare.
Questo sia il suo privilegio e la sua condanna."

La voce di Atena risuona dentro la mia testa. Riapro gli occhi. Davanti a me una sfera di luce bianca vibra, librandosi nel vuoto. Non avendo più punti di riferimento non so dire se sono ancora accasciato per terra o se anch'io sono sospeso nel nulla. In un barlume di coscienza avverto ancora me stesso, ma tutto è rarefatto, come se mi fossi accartocciato e ridotto in un minuscolo punto, mentre intorno a me regna un vuoto profondo e assoluto.  E al centro di tutto quello spazio la sfera oscilla cangiante di innumerevoli facce.
Un attimo dopo, dall'angolo estremo della mia visuale, qualcosa guizza. Un'altra sfera di luce si libra e si affianca alla prima. Rimangono là a danzare nel buio, emettendo un lieve ronzio, per un tempo che ad mi pare eterno.
Non posso distogliere gli occhi, anche perché non ci sono più occhi. Il dolore è cessato, ma anche la sensibilità del mio corpo. Percepisco solo quell'immensa distesa nella quale quell'essere infinitesimo, che ancora chiamo io, galleggia alla deriva.

Eppure so perfettamente cosa sta accadendo, lo intuisco con una saggezza che mi proviene da qualcosa che parla direttamente dentro la mia mente. Mentre mi cullo nel buio che precede ogni nascita, qualcuno mi sta offrendo un dono. Il dono di assistere a quello che è stato il principio e giudicare.

E, come ognuno sa, al principio vi erano le sfere di luci: Arles e Atena.

Ancora una volta non sono altro che uno fragile strumento nelle mani di qualcosa di incommensurabile.
Gli dei si sono sempre divertiti con gli uomini ed io soprattutto sono uno dei loro giocattoli preferiti.
Eppure, nelle tenebre di quest' impotenza vi è una cosa che mi si schiude davanti, per la prima volta in tutta chiarezza. È la natura della Fenice che mi si rivela con un'evidenza mai avuta prima. L'abisso del suo potere sta di fronte a me, svelato nel suo più intimo significato: la Fenice che rinasce ad ogni morte, cos'è se non la volontà indomabile che urla da sempre la sua eterna protesta contro l'oblio?

Le luci davanti ai miei occhi si stanno disputando l'universo. Lo so misteriosamente, come so ogni cosa e come ogni cosa mi viene celata. il dio del caos è adirato, il mondo non ha superato la prova. Il mondo, la forma, non è che malattia, corruzione e morte, come lui aveva presagito fin dall'inizio, quando Atena volle creare il mondo.
Il nulla bianco e freddo, senza passioni, senza dolore o disperazione, la pace di un unico eterno ritorno a casa, senza partenza, senza sofferenza, questa è il dono che lui, il dio della misericordia, offre ad ogni creatura che bercia eternamente il suo dolore d'essere viva.

E a quest'offerta il mio cuore trema di desiderio e di nostalgia al ricordo di quell'ultimo attimo, in cui il mio cuore si è fermato e un cielo senza stelle si è chiuso sopra di me.

Ma, la Fenice che rinasce ad ogni morte, cos'è se non la volontà che urla  il suo eterno no in faccia all'oblio? E un no prorompe ed esplose nel nulla con un immenso bang.

E subito cresco nel buio. Un desiderio senza confini mi costrinse a divorare ogni vuoto. E mentre nutro questa fame insaziabile, le mie membra si dilatano a velocità folle, prima per chilometri, poi per distanze a cui nessuno ha mai pensato di dare un nome.
Oh, è una ben torbida, vergognosa fame, quella che mi fa urlare nell'oscurità come un animale privo di ragione. Niente a che vedere con la tersa dignità che mi è stata appena offerta, anzi,  proprio l'esatto contrario dell'asettica perfezione del nulla, perché cos'altro è la vita se non malattia, corruzione e morte?
Ma quale magnanima grandezza in quel brulicare di esseri che  dichiarano il loro diritto di nascere, sostare per un battito di ciglia, e poi passare di fronte all'impassibile eternità. E se prima avevo
pianto per la nostalgia dell'oblio adesso il mio cuore è colmo di tenerezza per quella volontà patetica, ma indomita, che ogni giorno spinge ogni essere a sopravvivere al declino, o, ancora meglio, per quell'imperfezione sconsolante che aspira eternamente ad un impossibile riscatto.

Una ben torbida, vergognosa fame, ma grazie ad essa comincio ad esplodere nella luce di innumerevoli soli.]

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Epilogo

Il vento spoglia i petali del grande ciliegio del giardino ed essi volteggiano lenti nell'aria, come fiocchi di neve bianca. Mio fratello li guarda cadere da ore, forse giorni, immobile nel suo silenzio, da cui nessuno riesce a distoglierlo.
Subito dopo il suo risveglio ha voluto che orientassimo il suo letto in modo che potesse vedere sempre fuori dalla finestra. È l'unico desiderio che ha espresso, e fra le poche frasi che ha pronunciato, ed ormai sono passate settimane dal suo risveglio. 
Risponde solo se gli si rivolgono delle domande, lentamente, con una voce che è un sussurro e che sembra venire da gelide lontananze, cosicché sentirlo parlare e più terribile che sopportare il suo silenzio..
È dimagrito in modo spaventoso in questi ultimi mesi e le ossa della sua corporatura robusta sono appena coperte da un velo di carne. Gli zigomi si disegnano in rilievo sulle guance scavate e le labbra carnose sono pallide Malgrado ciò il suo viso ha assunto una bellezza che fa male agli occhi. Sembra un santo, uno di quei martiri antichi, emaciati dalla penitenza e purificati da qualche visione mistica. Osservo il profilo della sua schiena forte, vestito di un kimono nero e avverto con un brivido di sgomento il silenzio dentro cui è avvolto.
Ancora una volta se n'è andato lontano completamente solo, ed io non ho potuto seguirlo, né fare nulla per lui. E adesso, ancora una volta tutto rimarrà avvolto nel mistero, perché anche se decidesse di narrarmi cosa gli è successo, come  potrò mai capire veramente ciò che ha dovuto sopportare?

Un sospiro mi sfugge dalle labbra mentre verso il tè nelle tazze laccate di Lady Saori. Cerco disperatamente di tenere a bada la tristezza, ma vi è come una cappa di malinconia che grava su ogni cosa.
Sulla larga schiena nera, sui petali che cadono lenti e persino sul liquido ambrato che scende dentro la piccola tazza preziosa.
"Il tè è pronto" dico con una voce forzatamente allegra. Lui non dà alcun segno di avermi udito.
"Ti prego," sussurro, "Ti prego, devi mangiare qualcosa, non può continuare così. Non puoi cercare di ucciderti."
Finalmente reagisce alle mie parole. Si volta e mi guarda senza espressione. Con calma prende la tazza dalle mie mani e la porta alla bocca. Beve lentamente con una smorfia di disgusto come se stesse sorseggiando del veleno. Quando ha finito mi porge la tazza vuota. Le nostre mani non si sfiorano nemmeno per un attimo, sembra che abbia acquistato una nuova abilità nell'evitare qualunque contatto fisico, soprattutto con me.
"Shun?"
Sento i miei occhi che si riempiono di lacrime è la prima volta dal suo risveglio che pronuncia il mio nome. Non dico niente, attendo solo che continui.
"Quella cosa che hai detto poco fa, sul fatto di uccidermi, forse può sembrare così, ma non è ciò che sta succedendo. Sono solo stanco, capisci? Sto solo cercando di riposare."
No, non capisco. Non capisco proprio da cosa debba riposarsi. Un giorno di tre mesi fa si è addormentato misteriosamente e da allora non ha fatto altro che dormire. Di cosa deve riposarsi un uomo che ha dormito per un'intera stagione?
 "D'accordo," dico allegramente, anche se sto morendo di paura che possa addormentarsi di nuovo di quel sonno assurdo ed andar via, forse stavolta per sempre.

Lui fa un cenno con la testa ed io non resisto, allungo la mano e gli sfioro la guancia smagrita. A quel contatto spalanca gli occhi e si ritrae con uno scatto. È la prima volta dal suo risveglio che il suo corpo mostra un guizzo di vitalità e io non posso crederci che sia successo solo come reazione di orrore ad una mia carezza. Gli volto velocemente le spalle per non fargli vedere fino a che punto mi senta ferito e mi avvio verso la porta.
"Shun, aspetta. Devo dirti un'altra cosa."
Con uno sforzo atteggio il mio volto a noncuranza e mi giro verso di lui.
"Appena avrò ripreso le forze tornerò all'Isola della Regina Nera. Sta per arrivare l'inverno e non voglio passarlo qui, sai quanto odio il freddo."
E mentre lo dice rabbrividisce, quasi come se l'ombra di quel gelo stesse già alitando su di lui.
Cos'altro posso fare se non annuire ancora una volta e lasciare la stanza.


Nella grande sala a pianterreno trovo tutti i Saint riuniti intorno a lady Saori. Stanno discutendo di qualcosa e tacciono appena appaio. Evidentemente parlano di Ikki e non vogliono mettermi a parte dei loro discorsi. Non dovrei sentirmi offeso dal loro comportamento, so bene che si sentono in dovere di risparmiarmi nuovo dolore, ed in fondo non farei anch'io la stessa cosa? Eppure non posso fare a meno di avvertire un senso di irritazione montarmi dentro.
Mi siedo su una larga poltrona di candida seta, accanto a me Seiya mi porge una tazza fumante. Lo ringrazio con un cenno del capo e comincio a sorbire la bevanda con un brivido di piacere.
"Allora, come sta?" chiede alla fine Seiya.
"Meglio," dico senza allegria, "Comincia a fare progetti per il futuro."
Si guardano l'un l'altro in faccia sbigottiti e io poso la tazza vuota sul basso tavolinetto di marmo.
"In che senso?" chiede Hyoga.
"Nel senso che mi ha appena comunicato che partirà per la sua isola non appena si sentirà più in forze."
Tacciono tutti pensierosi, un silenzio gravido di tensione cala nella stanza.
"Forse è davvero un buon segno," dice alla fine Hyoga con voce incerta, "Non credo che ci sia altro posto al mondo dove Ikki si senta più a casa."
"L'unico posto in cui Ikki dovrebbe sentirsi a casa è dove si trovano i suoi amici e le persone che gli vogliono bene, ma forse queste persone si sentono sollevate quando possono toglierselo di torno."
Un dolore cieco mi ha suggerito queste parole, ma le ho appena pronunciate che già me ne sono pentito. So di non poter accusare i miei compagni dell'imbarazzo che la presenza di mio fratello provoca in loro.
"Mi dispiace," sussurro, "È solo che  ho paura... cosa succederà se dovesse addormentarsi di nuovo, tutto solo in quel posto maledetto."
"Forse qualcuno dovrebbe chiedergli di non andarsene," dice Seiya guardando lady Saori. Tutti noi ci voltiamo verso di lei che sembra riflettere col suo bel volto freddo, da bambina di lusso. Lei però scuote la testa. 

"Mi dispiace," dice, "ma non c'è niente che io possa chiedere ad Ikki. Non più." Si passa la mano tra i capelli serici in un gesto di stanchezza, "ogni conto è stato saldato." Sussurra, così piano che la odo a stento.
La guardo con insistenza, ma lei non mi restituisce lo sguardo, assorta in un pensiero che le fa increspare le sopracciglia in una profonda ruga in mezzo alla fronte. Provo un irrefrenabile impulso di afferrarla per le spalle e scuoterla fino a quando non mi avrà rivelato tutto quello che sa, perché io lo sento con una certezza assoluta che Atena non è estranea a tutto questo nuovo dolore. Debbo conficcarmi profondamente le unghie nel palmo delle mani per poter resistere alla tentazione di urlare.
Lentamente mi alzo dalla poltrona, tutti gli sguardi sono di nuovo su di me. Non c'è bisogno di avere chissà quale potere speciale per capire che non vedono l'ora che io me ne vada, per poter commentare
liberamente le novità.
A volte penso che preferirei scappare insieme ad Ikki, nella sua isola mostruosa, e piantare in asso questo branco di presuntuosi che mi tratta come se fossi una bambola di porcellana. Lo farei di certo se solo lui me lo permettesse... ma anche per mio fratello non sono che un oggetto troppo fragile, una cosa da riporre in una vetrina e contemplare quando non si ha niente di più importante da fare.
"Mi sento a pezzi," dico, e non è una scusa,  perché la testa sembra che mi voglia scoppiare da un momento all'altro. "Vado a riposare, scenderò per cena."


La mia stanza è avvolta in una piacevole penombra, un leggero calore sale dall'impianto di riscaldamento. La residenza di lady Saori non manca di nessuna comodità e certo nessuno qui bada a risparmiare su alcunché. Se solo penso ai miei anni di apprendistato a congelare in inverno e ad arrostirmi d'estate, mentre lei se ne stava tranquilla in mezzo agli agi e alle comodità. Se solo penso a mio fratello e al suo inferno personale...
Lo so, non è da me essere così pieno di rancore. Io che ho sempre compreso e perdonato tutto e tutti, adesso sento una sorda rabbia montarmi dentro, una rabbia che avvelena soprattutto me stesso. Ma non sopporto il pensiero di Ikki che rabbrividisce sotto il tocco della mia mano, a questo nemmeno io riesco a rassegnarmi.
Tutti quei giorni passati a spiare sul suo volto un segno di vita, coi dottori che non si raccapezzavano e lady Saori chiusa in un silenzio di ghiaccio e poi la gioia del risveglio, seguita dalla paura nel vederlo così cambiato, ancora una volta distante come un estraneo. Ma quante volte dovrò perderlo dopo averlo ritrovato?
Mi tormenta come un dolore indicibile la mancanza che sento di lui. E ancora quella fame della sua presenza, il desiderio di vederlo sorridere solo a me, di sentire il suo abbraccio forte e le sue mani tra i miei capelli...
"Ikki..." mormoro, mordendo il cuscino.


Mi sveglia un discreto bussare alla porta. L'orologio al polso mi dice che ho dormito a lungo, ma non è ancora ora di cena.
"Chi è?" chiedo un po' irritato.
"Sono io, Hyoga. Posso entrare un attimo?"
Non ho molta voglia di fare conversazione a dire il vero, e il sonno non ha affatto diminuito il mio mal di testa, ma Hyoga mi è stato sempre vicino in questi mesi, non me la sento di trattarlo male, proprio non se lo merita.
"Avanti, è aperto."
La testa bionda fa capolino attraverso la porta.
"Scusami se ti disturbo, ma non riesco mai a vederti da solo e volevo parlarti."
"Non preoccuparti," dico, commosso mio malgrado dal suo tono. Possibile che mi sia comportato così male in questi giorni che persino Hyoga si senta intimidito? O forse è solo l'evidenza del mio dolore che lo rende così cauto.
Lui intanto è entrato e si è seduto sulla sponda del letto. Si guarda attorno incuriosito.
"Hai fatto cambiare la tappezzeria?" dice
"No, che ti salta in mente?" figurati se potrei mai prendere la decisioni di apportare un cambiamento di qualsiasi genere a casa di lady Saori.
"Però, la ricordavo diversa..." dice con tono svagato.
Accidenti a lui, sta solo menando il can per l'aia in attesa di sentirsi meno imbarazzato. È una fortuna che io sia bravissimo in queste situazioni, sono capace di sciogliere il ghiaccio senza nemmeno che il mio interlocutore sia sfiorato dal sospetto di un mio intervento nella conversazione. Così gli tocco appena il braccio e gli sorrido con dolcezza. Naturalmente funziona. Vedo il volto di Hyoga arrossire leggermente e rispondere istintivamente al mio sorriso.
"Meno male," dice, "si vede che ti senti meglio.
Pensavo che ce l'avessi con me per quello che ho detto in soggiorno."
Scuoto la testa e sorrido ancora per rassicurarlo del tutto. Lui mi osserva serio, con una strana luce intensa nel fondo degli occhi chiari. Poi abbassa lo sguardo sul copriletto.
"Hai ragione," mormora, "è vero che ognuno di noi si sentirebbe più sollevato senza Ikki intorno."
 Lo guardo stupito, so che i miei occhi esprimono fino a che punto mi senta ferito.
"Ti prego," dice con una specie di angoscia, "non sai come mi dispiace. Vorrei che le cose fossero diverse, ma Ikki è troppo... troppo... misterioso. La sua forza ci spaventa."
Non riesco a dire neanche una parola, lo guardo irrigidito in una maschera di attesa.
"Hai mai riflettuto sui nostri poteri, Shun?" mi chiede con un sussurro intenso. Non dico niente, aspetto solo che continui a spiegare. Lui si passa una mano sui capelli biondi.
"Non hai mai notato come essi ci assomigliano? Pensa a me per esempio. Tu lo sai che per tutta la mia vita ho amato solo una persona. Quando l'ho persa fra i ghiacci di quella tempesta, ho perduto anche la mia capacità di affezionarmi a chiunque. Un uomo come me, incapace di amare cos'altro poteva padroneggiare se non il ghiaccio?"
Lo guardo allibito, non posso credere che sia capace di un'analisi così impietosa, lui apparentemente così sicuro e soddisfatto di sé. Ma naturalmente non mi lascio sfuggire ciò che c'è di sottinteso nelle sue parole.
"Cosa ti suggerisce il potere di Ikki?" chiedo a denti stretti. Lui esita, ma evidentemente ha deciso che è il momento di vuotare il sacco.
"Il controllo che ha sulla mente delle sue vittime mi ha sempre fatto credere che al di là della sua misantropia ci sia un enorme desiderio di dominare gli altri ."
Per un momento penso di avere le allucinazioni, poi guardo la sua espressione e capisco che non sta affatto scherzando. Dunque è questo che li fa tremare tutti? Non riesco a crederci.
"Tranquillizzatevi," dico amareggiato,  "Non c'è persona al mondo meno interessata al potere di Ikki. E questo solo perché le persone lo lasciano del tutto indifferente. Per lui non siamo più interessanti di una colonia d'insetti. A volte ho l'impressione che neanche ci veda."
"No, non te, a te vuole bene" dice con un sorriso che sembra una smorfia. Scuoto la testa.
"Lui non ha bisogno di me, così come non ha bisogno di nessuno. Io non sono niente." rispondo accorato. 
Hyoga mi squadra sbalordito, mi mordo le labbra per tentare di nasconderne il tremito.
"Nessuno che ti conosca potrà mai lontanamente pensare che tu sia niente. Tu sei l'essere migliore di questa terra."
Lo sussurra appena e poi mi guarda dritto negli occhi con un'espressione così intensa che mi trapassa il cuore. È davvero troppo, mi butto sul letto e comincio a piangere senza il minimo decoro. Un attimo dopo sono tra le sue braccia con la testa sepolta dentro il suo collo e Hyoga mi consola accarezzandomi la schiena.
Avverto il calore rassicurante del suo corpo e mi accorgo di non aver bisogno d'altro se non di appoggiarmi ad un altro essere umano, ho bisogno di essere rassicurato e amato, possibile che debba essere così difficile?
Il senso di conforto che sto provando è tale che non mi accorgo che i movimenti di Hyoga si sono fatti più teneri e nello stesso tempo più esitanti. Sento la sua mano cercare la mia guancia e soffermarsi su di essa per una carezza, allora sollevo il viso e lo bacio sulla gota liscia. Profuma di buono, di sapone e menta. Lui mi prende il volto tra le mani e mi restituisce il bacio. Il suo respiro si è fatto convulso, mi sembra quasi di sentire il suo cuore accelerare i battiti, e finalmente capisco che per lui quello che sta accadendo tra noi è qualcosa di diverso da un semplice scambio di affettuosità tra fratelli.
In un lampo mi chiedo come abbia potuto cacciarmi in una situazione simile, ma oramai è troppo tardi, le sue labbra sono sopra le mie, morbide e calde e  la mia bocca si apre per accogliere la sua lingua. È assurdo, mi dico, assurdo. Nel frattempo lui mi spinge gentilmente supino sul letto e le sue mani si insinuano sotto la mia camicia. Il calore che irradiano mi raggiunge il cervello e qualunque pensiero coerente svanisce, mentre rispondo al gioco della sua lingua dentro la mia bocca. Sollevo le mani e lascio che sprofondano nei suoi capelli. Lui geme e si stacca da me per guardarmi, gli occhi color del cielo notturno, stravolti. Si china di nuovo e la sua bocca scende sul mio collo e da lì lungo il torace con piccoli baci voraci,
Comincio ad ansimare, mentre il mio corpo istintivamente si inarca verso di lui. In qualche lontano angolo del mio cervello avverto che c'è qualcosa di sbagliato, perché quelli sono gesti che gli innamorati si scambiano tra loro, e io non credo di amare Hyoga. Certo lui è così bello e desiderabile, la sua bocca  suscita in me sensazioni mai provate.
Eppure.. eppure sento come un dolore in fondo al cuore, come se stessi approfittando del mio compagno solo per lenire la mia sofferenza e, nello stesso momento, ancora più profondamente, avverto l'impressione angosciante di tradire qualcuno.
Allontano disperatamente quel pensiero dalla mia mente e torno a concentrarmi sulla sensazione della bocca di Hyoga sulla mia pelle. Io non lo amo ma il mio affetto per lui è sincero. Io non lo amo, ma lui almeno non è una chimera irraggiungibile.

Tutto succede in un attimo. In un momento in cui Hyoga solleva la testa, sul vano della porta scorgo Ikki, immobile che ci guarda dall'alto. Mi sfugge un urlo soffocato e con un solo movimento respingo lontano da me il mio compagno. Hyoga si volta allarmato e anche lui lo vede. In un'altra occasione l'espressione che si dipinge sulla sua faccia mi farebbe morire dal ridere, ma sono troppo occupato a pensare a mio fratello e a quello che sta provando dietro il suo volto impassibile, per scorgere il lato buffo della situazione.
"Ikki. noi. aspetta." in un attimo la sua figura scarnita si è voltata, con un unico movimento ha lasciato la stanza, silenzioso come un serpente.



Ikki è  seduto sul suo letto, i piedi nudi sul pavimento e il volto privo di qualsiasi espressione.
Appena si accorge della mia presenza, alza lo sguardo e lo punta dritto nei miei occhi. Non c'è traccia di accusa in essi, solo una luce fredda, un disprezzo quasi calcolato.
"Immagino che adesso tu sia contento," sussurro e sono io il primo a meravigliarsi del mio tono sprezzante.
"Contento? "
"Finalmente ti ho dato un ottima scusa per allontanarmi da te."
"Non dire idiozie, io non ho bisogno di nessuna scusa."
Lo dice scoprendo i denti in una specie di ghigno, e basta questo perché io sia sopraffatto dallo sgomento.
Nessuno può competere con Ikki in un gioco al massacro, ed io meno degli altri sono mai stato capace di sopportare quella belva che colpisce alla cieca.
Taccio e lo guardo diritto in volto con tutto il dolore di cui sono capace. Vedo il suo volto indurirsi ancora di più. Poi, all'improvviso, stranamente sorride.
"Uno crede che dopo essere sopravvissuto a certe cose niente possa più toccarlo, come se avesse acquistato un diritto di superiorità su ogni debolezza. Ma è solo un illusione..  una delle tante. Basta una cosa da niente per riportarti sulla terra, in mezzo a tutto questo fango."
Lo dice a se stesso, sussurrando appena con un ghigno beffardo ed io rabbrividisco al solo pensiero degli orrori a cui sta alludendo con "sopravvissuto a certe cose".
"Ma in fondo il fango non è poi così malvagio. sono stato io stesso a deciderlo." ridacchia e io lo guardo stupefatto, la sua allegria sembra genuina, anche se un po' amara. Non capisco le sue parole, ma mi mettono dentro un'assurda inquietudine.
"Sei innamorato di Hyoga?" mi chiede, subito dopo con una leggerezza sconcertante.
"No,"  urlo quasi, con una spontaneità che lo fa sorridere ancora di più. "Non  so perché. è successo," mi ritrovo a giustificarmi sotto il suo sguardo ironico, come un bambino colto a rubare i biscotti.
"Forse è perché mi sento così... solo."
Le parole mi muoiono in gola, non riesco a reggere il suo sguardo. Se mi metto a piangere giuro che questa volta non mi perdonerò, dovessi vivere mille anni. Mi concentro sul disegno del pavimento, i ghirigori intricati sembrano formare facce che mi guardano beffarde. Arrossisco ripensando alla bocca di Hyoga sulla mia, alla sua lingua sul mio corpo.
Tutti mi credono un'anima pura ed invece eccomi pronto a farmi sbattere su un letto da un bel ragazzo prestante, solo perché non sopporto la solitudine. 
Frignone, rompiscatole e ora anche pervertito.. il ritratto esaltante di un cavaliere d'Atena.

Il tocco di Ikki è talmente inaspettato da farmi trasalire. Sono dita forti e fredde sopra la mia guancia, talmente desiderate che mi mozzano il respiro.  Chiudo gli occhi ansimando.
 "Non sai cosa significa per me essere tornato..."
Sono travolto da un'emozione che mi terrorizza,  tanto è smisurata. La traccia di quelle dita sulla mi pelle sembra un marchio di fuoco.
"Shun."

E' tra le mie braccia, ancora una volta, come sempre.
E come sempre mi chiedo da dove può venire questo dolore senza tempo, la scossa di questa sensazione senza nome. Il buio che si estende davanti a me, mi appare adesso come una strada in discesa, così splendente di colori che devo chiudere gli occhi, per sopportarne la vista.
E sarà così qualunque cosa accada. Sarà così fino a quando sarò capace di respirare.


Fine


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