Disclaimers: niente disclaimers, ormai Saint Seiya mi appartiene di diritto. Peccato che nessuno è disposto a pagarmi una lira. Per giunta ho paura  che a Ikki gli sviluppi non piaceranno molto, perciò rischio anche la vita. Comincio a domandarmi se de vale la pena.
Note: l'universo alternativo è tra parentesi quadre. Tra # inserisco una parte in un universo sospeso.


Il sogno della farfalla

di Petra

parte V


[Tre sere dopo aver preso la mia decisione, mi decido a fare una visitina ai miei amici Bronze nella palestra della fondazione. Non indosso il giubbotto dei Saint e non ho appresso il borsone con la roba per cambiarmi.
Al mio ingresso tutti smettono di fare ciò in cui erano impegnati un momento prima ed un silenzio pesante scende nella grande sala. Bene, è evidente che si aspettano già il peggio, così almeno le cose saranno più facili. Mi dispiace solo che non ci sia milady, ci tenevo a dire quello che devo, guardandola in faccia.
Con la coda dell'occhio vedo Shun appoggiarsi ad un pilastro, pallido come un morto, le sue labbra pronunciano il mio nome, senza emettere alcun suono.
È Seiya a farsi avanti per primo, con un sorriso ironico  stampato sulla faccia.
"Guarda un po' chi si rivede! Sono contento di notare che se non altro sei vivo e vegeto e in ottima salute."
"Spiacente, non è mia intenzione fare il prezioso," dico con indifferenza, "ma dovevo preparare alcune cose per la mia partenza."
Un mormorio si diffonde nella palestra.
"Ah! Così vai via. È molto carino da parte tua averci avvertito. Spero almeno che Arles ti abbia pagato bene, non vorrei che ti fossi  fatto fregare un'altra volta."
Bene? Non sai nemmeno fino a che punto Seiya, non potrai mai nemmeno immaginarlo fino a che punto.
Mi stringo nelle spalle.
"Sono sicuro che ve la caverete anche senza di me. E se anche non sarà così.. cosa volete che vi dica? È tutto talmente ridicolo.."
Vedo Hyoga lanciarsi contro di me. Potrei fermarlo con un dito se solo volessi, ma sarebbe come se un dio prestasse attenzione alle minacce di una scimmia. In un attimo mi si avventa addosso e mi prende per il bavero.
"Vigliacco schifoso! Lo sapevo che non ci si poteva fidare di te. Tu non sai nemmeno cosa sia l'onore."
Mi divincolo con facilità e lo afferro per un braccio, poi con un'unica mossa glielo torco, costringendolo ad inginocchiarsi sul pavimento. Sollevo il piede e lo poggio sulla sua spalla, bloccandolo a terra. Tenta di sfuggirmi, ma non gli permetto di muoversi nemmeno di un centimetro.
Rimangono tutti a guardarmi, completamente shockati. 
"I-Ikki," mi giunge all'orecchio la voce di Shun. Mi volto a guardarlo e vedo i suoi occhi pieni di lacrime. Gli sorrido rassicurante.
"Non aver paura," dico, "Non gli faccio del male. E nemmeno a voi altri. Non sono venuto per combattere. Solo per salutarvi."
Spingo via Hyoga che si solleva da terra, massaggiandosi il braccio dolorante. L'espressione del suo volto è esterrefatta e lo capisco bene. Gli altri hanno mi hanno solo visto bloccarlo con un'abile mossa, ma lui deve aver avvertito su di sé tutta la mia forza.
"Hyoga ha ragione," dico, guardando Shun in faccia. "Non ho una briciola d'onore. Non me lo posso permettere. La vita è troppo breve per sprecarla in queste pagliacciate. In fondo mi dispiace, perché mi siete simpatici, ma siete davvero dei  pazzi fanatici. Che cosa volete che cambi se anche dovessero vincere i Gold?"
"Arles è un delinquente, e farà dei Gold un covo di pirati, questo tu lo sai meglio di chiunque altro." Adesso è la voce calma di Shiryu a parlare. Mi volto verso di lui e annuisco.
"Sì, è vero. Ma voi che c'entrate, scusa? Se Arles è un delinquente ci dovrebbe pensare la polizia. Insomma, guardatevi! Siete un branco di ragazzini, dovreste essere fuori a divertirvi con la vostra ragazza.. o in qualunque altro modo, ed invece siete qui a sputare l'anima. E perché poi? Solo per difendere l'ambizione di un vecchio visionario e di una ragazzina viziata. Chissà cosa avreste fatto se in ballo ci fosse stata addirittura la salvezza del mondo."
Sorrido tra me, loro non lo sanno, ma a questa domanda  solo l'unico nella sala  in grado di rispondere.
"Bene," dice Seiya, "Grazie dei tuoi consigli, sta' pure certo che ne faremo tesoro, adesso però togliti dai coglioni, che i ragazzini devono ricominciare a sputare l'anima."
"Uh - Uh," mi limito a grugnire, ma i miei occhi si puntano di nuovo su Shun. Si è avvicinato a Hyoga e lo sorregge per un braccio con aria preoccupata. Il suo sguardo   mi invia una muta, dolorosa, domanda. Gli sorrido di nuovo con dolcezza e sul suo volto si dipinge un'espressione stupita.
"Allora, addio," dico, rivolto agli altri, "E salutate da parte mia milady."
Forse Shun ha ragione quando dice che niente mi diverte di più di certe entrate ed uscite ad effetto.
Fuori dal dojo guardo per un attimo il cielo che comincia ormai a diventare scuro. Mi allontano di pochi passi, imbocco un vicolo che divide la palestra dall'edificio accanto, e aspetto. Nemmeno cinque minuti dopo vedo Shun uscire dal portone. Si ferma sul marciapiede e si guarda intorno, come se tentasse di prendere una decisione. Poi si avvia, e dalla direzione che prende so già dove intende andare.
Al diavolo, ma non ha nemmeno un briciolo di prudenza? Non lo sa che nel mio quartiere a quest'ora se vedono un bel bambino coi capelli verdi e le labbra imbronciate, gli saltano addosso almeno in dieci? 
Appena passa davanti al vicolo lo chiamo. Lui sobbalza atterrito e poi si volta. Il buio del vicoletto gli impedisce di vedermi, ma so che ha riconosciuto la mia voce ed infatti si inoltra nell'oscurità senza esitare.
"Ikki, sei qui?"
Non gli rispondo neppure, solo lo afferro per le braccia e lo attiro a me. Lui tenta di divincolarsi per un momento, ma si arrende subito.
Allora lo costringo ad appoggiarsi contro il muro e cerco le sue labbra. Apre subito la bocca accogliendo la mia lingua, con un gemito soffocato. Lo bacio a lungo assaporando fino in fondo il sapore della sua bocca. Poi appena le nostre labbra si staccano lo abbraccio forte contro il mio petto.
"Accidenti," sospiro, "Non lo puoi nemmeno immaginare quanto mi sei mancato."
Lui punta i pugni contro di me e mi guarda in faccia.
"Ikki, ma che significa tutto questo?" La sua voce trema per la preoccupazione. Lo lascio andare e mi appoggio al muro a fianco a lui, sospirando piano.
"Non voglio più combattere. Ci ho pensato bene, non è un capriccio."
"Ma-ma  perché? Credevo che morissi dalla voglia di vendicarti di Arles."
"Morivo dalla voglia, perché ero un vero idiota e non avevo idea di quali fossero le cose veramente importanti. Ma tu mi hai fatto capire alcune cose.."
Lui tace per un po', quando parla la sua voce è strana.
"Vuoi dire che non intendi più batterti con Arles a causa mia?"
"Esatto," ridacchio, "proprio così. Non voglio più combattere perché ho scoperto che me ne frego di Arles. Io voglio solo stare insieme a te, il più a lungo possibile."
Sento il suo respiro farsi affannoso. Tento di nuovo di prenderlo tra le braccia, ma lui stavolta si oppone con tutte le sue forze.
"Aspetta, Ikki, spiegati meglio. Non capisco perché noi due non possiamo stare insieme e batterci lo stesso contro i Gold."
Ecco siamo arrivati alla parte più difficile. Gli accarezzo il viso e i capelli, prima di parlare.
"Non posso spiegarti bene, Shun, ma fidati di me. Se sconfiggo Arles, c'è il pericolo che tutto questo finisca. Non sono in grado di dirti altro per il momento. Ma credimi, è così. Probabilmente sarei costretto ad andare via, per sempre.."
"Ma tu stai già andandotene via, lo hai appena detto in palestra," protesta con voce rotta.
"No, io non vado da nessuna parte se tu non vieni con me. Ma se resto e combatto con Arles,  ti assicuro che tutto sarà finito. E non c'è niente che io possa fare per cambiare questa cosa. Succederà e basta."
"Arles ti sta ricattando? E' questo che non puoi dirmi? Lui ti tiene in pugno per qualcosa, ho ragione?"
Esatto, lui mi tiene in pugno, Shun, come mai nessuno ha fatto prima d'ora. Ed io per la prima volta nella mia vita ho deciso di cedere... ma non m'importa se questo è il prezzo per stare così, con te.
"E' più complicato di come tu possa immaginartelo. Un giorno forse, con calma, ti racconterò tutto quanto. Ma ora ho bisogno di sapere cosa ne pensi. Verrai insieme a me?"
Non dice più niente e nel silenzio posso sentire il mio cuore battere contro le mie orecchie. Quando si decide a parlare di nuovo la sua voce è quasi afona.
"Non è onorevole scappare davanti ai nemici.."
Sbuffo d'impazienza. "Se vuoi dirmi di no, dimmelo con le tue parole e non con quelle di Hyoga o di Seiya. Tu detesti combattere, cosa credi che non lo sappia? Guarda che non c'è persona al mondo che ti conosca come ti conosco io."
E nessuno che ti ami, come ti amo io, vorrei aggiungere, ma le parole mi si bloccano in gola.
Ripiomba il silenzio e stavolta è terribile, perché so che le prossima cosa che dirà sarà definitiva.
"Sì," mormora alla fine, così piano che  mi viene il dubbio di aver avuto un'allucinazione uditiva.
"Sì? Hai detto sì?" chiedo incredulo.
"SI'" urla quasi, "HO DETTO SI'. Sei diventato sordo?"
E mi si butta addosso con una disperazione che mi fa male al cuore.
Allora lo prendo tra le braccia e lo accarezzo piano, riempiendogli il volto di baci teneri. Poi prendo il suo viso tra le mani e lo sollevo verso di me, cercando di scorgere nell'ombra l'espressione dei suoi occhi, ma vedo a stento il lampo bianco della sua cornea, allora lo attiro verso di me e lo bacio di nuovo sulla bocca.
In un attimo il bacio si trasforma in qualcosa di intimo e profondo. 
Sono tre giorni che faccio a meno di lui, e il desiderio mi sta uccidendo. Lo appoggio di nuovo contro il muro e le mie mani scendono lungo il suo corpo. Ritrovo con sollievo indicibile la forza e la tenerezza di tutte le sue linee. Ma non mi basta. Strattono la sua maglietta tirandola fuori dai pantaloni e con le mani raggiungo i suoi capezzoli. Lui piega indietro la testa e comincia a gemere piano, in quel modo che ho imparato a conoscere così bene. Il calore della sua pelle mi dà completamente alla testa. Con una mano gli sfioro l'inguine e lo sento fremere sotto la mia carezza. Bene, lui non è in condizioni migliori delle mie. Allora gli sbottono i pantaloni e gli apro la cerniera, e armeggio fino a tirarglielo fuori. A questo punto lui si rende conto di cosa sto facendo e con la mano tenta di bloccarmi.
"I-Ikki, sei pazzo?"
"Perché?"
"Hai visto dove siamo, n-no farlo, se ci.. vedesse qualcuno.."
"Uhm.. ci arresterebbero per atti osceni, spero almeno che ci mettano nella stessa cella, te le immagini le scopate?"
"IKKI..!" la voce di Shun ha una nota tra il divertito e lo scandalizzato.
Ridacchio, facendo le fusa dentro il suo orecchio, poi gli lecco il lobo, con lentezza estenuante. Shun ricomincia a gemere e la sua mano perde ogni forza. Ne approfitto subito. Continuando a leccarlo lungo il viso ed il collo, mi sbottono i pantaloni. Il mio sesso schizza fuori, duro e dolorante. Allora prendo in mano i  nostri due uccelli e li unisco insieme. La frizione dei nostri sessi eretti diventa subito una di danza, con i nostri bacini che vanno avanti ed indietro e la mia mano che li tiene uniti, impedendo che si separino, anche solo per un momento. Il nostro ansimare riempie l'oscurità del vicolo e la danza diventa sempre più scomposta. Nell'attimo in cui sento che sto per venire, cerco la bocca di Shun e afferro la sua lingua, succhiandola con forza. Lui viene immediatamente dentro la mia mano, ed un attimo dopo lo raggiungo soffocando le nostre urla dentro le nostre bocche unite. Mentre mi svuoto, crollo su di lui, schiacciandolo contro il muro e contemporaneamente Shun si afferra con forza alle mie braccia per non cadere.
Rimaniamo così avvinghiati l'uno all'altro, finché i nostri respiri non si calmano.



La moto sfreccia velocissima sulla strada che procede serpeggiando, curva dopo curva. Il vento a cento all'ora è umido e pungente e ci sferza con forza il volto a malapena protetto dai caschi.
Senza togliere la mano dalla manopola do un'occhiata al mio orologio, e vedo con la coda dell'occhio che segna le cinque del pomeriggio.
È da stamattina alle sette che io e Shun siamo in viaggio, facendo solo due piccole soste, per riposarci e mangiare qualcosa.
Adesso stiamo attraversando una vecchia strada di cemento a due corsie. È  una strada provinciale che costeggia una collina. Una strada senza traffico, senza autogrill e cartelloni pubblicitari.
Oramai sono chilometri che attraversiamo boschetti, pascoli e frutteti senza vedere nessun veicolo.
In fondo, quando si scappa insieme ad un ragazzo minorenne, per giunta in affido per ordine del tribunale, è meglio evitare le autostrade e le strade principali.
Ed anche ad essere così prudenti non si può dire che tutto fili alla perfezione. Per esempio, quello che è successo la prima volta che ci siamo fermati. È stato in una piccola stazione di rifornimento che abbiamo incrociato lungo la strada. Un posto in pessime condizioni, con le pompe di benzina antidiluviane e un prefabbricato marcio che si spacciava per un bar-ristorante. Nel locale ci hanno servito del pessimo caffè e una colazione precotta quasi immangiabile. E come se non bastasse, i pochi uomini appoggiati al bancone non ci hanno tolto un attimo gli occhi di dosso, come se fossimo due alieni, sbarcati direttamente da Marte. Shun imbarazzatissimo, e anche un po' impaurito, non ha alzato un attimo la faccia dal suo piatto, col risultato di attirare ancora di più l'attenzione su entrambi.
Abbiamo ingollato il cibo ad una velocità supersonica, e mentre io pagavo lui è uscito ad aspettarmi appoggiato alla moto. Proprio in quel momento un uomo è entrato nel ristorante. Dal modo disinvolto in cui si muoveva si vedeva che doveva essere un vecchio cliente. Ha salutato tutti e poi ha esclamato: "Ehi, ma l'avete visto quel signorino là fuori, vicino a quella moto. Roba di lusso, eh!" E si è leccato le labbra in modo osceno. Tutti istintivamente hanno rivolto lo sguardo verso di me. Con calma ostentata ho pagato il conto,  e dopo aver comprato panini e bibite,  sono uscito senza degnare nessuno di un'occhiata.
Ma quell'esperienza mi ha insegnato qualcosa. Non possiamo pretendere di passare inosservati in certi posti fuori dal mondo. Perciò se  prima non raggiungiamo una grande città è meglio non fermarci in nessun luogo pubblico.
Seguendo questo ragionamento la seconda sosta l'abbiamo fatta su di un prato, qualche centinaia di metri discosto dalla strada. Ho tirato fuori la roba che avevo comprato in quel buco schifoso e ci siamo messi a mangiare seduti sull'erba, dietro un'enorme siepe che ci nascondeva la vista della strada e ci riparava dal sole di mezzogiorno.
Sembrava di essere ad un picnic. Abbiamo divorato  i panini voracemente, anche se sapevano di stantio, e scherzando sul loro sapore abbiamo ritrovato tutto il buonumore, perduto durante la prima fermata.
Poi ci siamo sdraiati sul prato umido, abbracciati l'uno all'altro. 
Shun si è avvinghiato a me con più foga del solito e la sua bocca ha cercato la mia con ansia quasi spasmodica. È solo da questi  particolari che sono riuscito a capire fino a che punto fosse nervoso.
Accarezzandolo piano gli ho slacciato i pantaloni e lui mi ha aiutato a farli scendere lungo le cosce. Poi ho cominciato a masturbarlo lentamente, nel modo che lo fa più godere.
Nel momento in cui l'ho penetrato sono rimasto fermo dentro di lui per qualche istante, solo per ammirare l'espressione del suo volto passare rapidamente dal dolore al piacere. E poi mi sono mosso piano, con lunghi movimenti languidi e lui si adattato al mio ritmo, senza perderlo nemmeno per un attimo, con le braccia strette intorno al mio collo e il respiro corto, contro il mio orecchio.
Poi si è addormentato per un po', con la testa appoggiata sul mio addome ed io sono rimasto a guardare il suo respiro profondo sollevargli il petto ad intervalli regolari, mentre la luce del pomeriggio cambiava dolcemente.

Adesso siamo di nuovo sulla strada e secondo i miei calcoli se continuiamo a mantenne una media di cento all'ora arriveremo alla città più vicina prima che faccia notte. Allora prenderemo una stanza in un anonimo hotel e poi.. e poi si vedrà.
Andrà tutto bene, lo so, deve andare bene. Ho un credito lungo una vita con tutti gli dei del mondo, ed è ora che si decidano a pagarmelo, qualunque sia la posta in gioco.

Intanto, abbiamo oltrepassato le colline e avanziamo dentro una valle, su un terreno aperto, costeggiando una prateria punteggiata da pochi alberi scheletrici. Ma la strada è in ottime condizioni e il motore va a meraviglia, mantenendosi ad alto regime.
All'improvviso comincia a soffiare un vento da nord che fa inclinare la moto sotto le sue raffiche. All'orizzonte scorgo un orlo nero contro il cielo. Quella  lunga striscia scura che avanza, non può che essere un temporale e noi gli andiamo direttamente incontro. 
Il tempo di uscire dalla valle e le nubi temporalesche ci sono addosso. Il sole scompare in un attimo e il vento soffia intorno a noi sempre più rabbioso. Rapidamente si fa buio intorno a noi. Sento Shun stringersi a me con più forza, allora allungo la mano e spingo l'interruttore del fanale. Nello stesso istante un lampo illumina come un occhio terrorizzato il paesaggio, lo segue subito il fragore del tuono e le prime gocce di pioggia, cominciano a cadermi sulle mani. Rallento e abbasso la testa per ridurre la resistenza dell'aria.
Un altro lampo, e prima ancora che possa giungere il tuono la vedo.. una figura bianca di donna stagliata nel mezzo della carreggiata. 
Istintivamente blocco i freni, le ruote stridono sull'asfalto viscido e la moto schizza via, chinandosi di lato. Il ciglio della strada mi viene incontro ad una velocità spaventosa, insieme agli alberi e ai cespugli, e il tutto da una prospettiva completamente sbagliata. Il fragore del tuono copre lo schianto.]

# Qui c'è solo un deserto di sabbia bianca sotto un cielo color latte. Ovunque si posi l'occhio, nient'altro che questo. Eppure, proveniente da qualche luogo lontano, mi sembra di udire il suono del mare. È l'unico rumore, a parte il sibilo del vento, che di tanto in tanto, solleva mulinelli intono ai miei piedi.

Un altro scherzo di Arles, non c'è altra spiegazione..
Forse il suo piano è di farmi diventare pazzo, e se è così devo ammettere che ci sta riuscendo benissimo. Sono davvero stanco ed esasperato. Crollerei bocconi qui a terra, restando immobile fino alla fine del tempo. L'unica cosa che desidero in questo momento è di trasformarmi in una bella mummia bianca e levigata, sepolta per sempre sotto questa sabbia. E così  potrei finalmente riposare in santa pace.
Ma c'è un pensiero che mi spinge ad andare avanti. Forse qui, da qualche parte c'è anche Shun e se è così io devo raggiungerlo, non posso lasciarlo vagare da solo in mezzo a questo niente.
Però, ormai da un pezzo, la mia ricerca procede a  casaccio. Ho gli occhi incollati dalla sabbia, sabbia sotto i denti, nella gola, nei polmoni..
Ho perso il conto di tutte le volte che sono caduto e ogni volta rialzarsi è sempre più difficile, sempre più privo di senso.
Se non sono morto, morirò presto, per la fatica, ancora prima che per la sete. Anzi, in quanto a questo ho solo l'imbarazzo della scelta.
La mia pelle è secca e sottile come carta velina e le mie labbra si spaccano in piaghe sanguinanti. Sono i sintomi della disidratazione.. dopotutto, forse, morirò prima di sete.

Mi siedo per un momento, cercando di riprendere le forze e di fare il punto della situazione. I miei occhi vagano su questo uniforme paesaggio bianco che sembra non avere confini.
Se solo riuscissi a raggiungere il mare..

Improvvisamente il vento mi porta alle orecchie un nuovo suono. È talmente assurdo che sulle prime nemmeno ci faccio caso. Ma diventa sempre più chiaro, al punto che non posso più ignorarlo. È una voce umana e sta cantando.

Ma sì, dico a me stesso, perché no? Se faccio il conto delle cose incredibili della mia vita, che qualcuno canti in un deserto non è poi la cosa più strana che mi sia capitata. D'altra parte appena poco tempo fa ero lanciato su una moto a cento all'ora, insieme a quello che dovrebbe essere mio fratello e che invece per qualche ragione incomprensibile è il mio amante. E adesso sono qui ad ascoltare misteriose voci in mezzo al nulla.. E con questo? Cose che possono capitare a tutti, in fondo.

Faccio forza con le braccia per rimettermi in piedi e seguo la direzione di quel canto. Mi sembra che trascorra un'eternità, ma finalmente la nebbia lattiginosa si dirada e scorgo, seduta tranquillamente sulla sabbia, la sagoma di una donna. Ha lunghi capelli che le volano intorno al viso,  lineamenti minuti, ancora infantili ed è vestita col lusso di una bambola leziosa.
Lady Saori Kido!
Faccio appena in tempo a pronunciare quel nome sulle labbra riarse che vengo travolto da un cosmo così immenso da togliere il fiato. 
Lentamente mi avvolge, caldo e tenero, come sempre, e in un attimo fatica, sete e  disperazione sembrano svanire, spazzati via da una speranza senza attesa, da una serenità senza torpore.
Persino il vento ora sembra più fresco e porta un sentore di salsedine, come in un mattino di primavera. Guardo davanti a me, seguendo la direzione dello sguardo d'Atena e sono sopraffatto dall'immensa distesa del mare, aperto davanti ai miei occhi.

Cos'altro posso fare? Mi avvicino alla figura seduta, senza più ombra di rabbia o di dolore e mi siedo accanto a lei. Atena non fa il minimo cenno di aver notato la mia presenza, semplicemente continua a canticchiare fra sé quella nenia monotona, mentre pettina la sabbia con le dita.
<Ecco, siamo a posto, adesso posso dirlo. Questo è davvero e in assoluto il sogno più assurdo che abbia mai fatto,> penso.
In quel preciso istante lei smette di cantare e comincia a parlare, sempre con lo sguardo fisso sul mare che scintilla di un azzurro profondo.
"Un uomo, una notte, sognò di essere una farfalla," dice, assaporando le parole ad una ad una,  "Era un sogno felice. Volava leggero nell'aria e si posava di fiore in fiore, gustandone il nettare dolcissimo. Poi la farfalla, stanca del suo volo, si posò sulla corolla di una margherita addormentandosi di colpo. Esattamente in quel momento il sognatore si svegliò e non fu più in grado di dire se lui era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o se era la farfalla che stava sognando di essere un uomo." (*)

Tace e per la prima volta volge lo sguardo nella mia direzione, fissandomi con le sue pupille intense.
Sarebbe così facile abbandonarsi dentro quegli occhi e lasciarsi andare. Sarebbe facile per chiunque, ma non per me.

"Già," dico, con sarcasmo, "so perfettamente come ci si sente. Non so se lo hai mai provato, ma per esperienza personale ti assicuro che è piuttosto frustrante."
"Davvero?" chiede, con la sua vocetta da tredicenne saggia. "Chi lo sa? Forse dipende dal tipo di sogno. Anzi, devo aver sentito dire che da alcuni non ci si vuole più svegliare. Mi sono sbagliata?"
Non posso impedirmi di arrossire. Una ragazzina petulante e saccente è il peggio che uno come me può aspettarsi di incontrare e se poi è anche una dea col dono dell'onniscienza..
"Dove siamo?" chiedo tentando di cambiare discorso, perché non sono certo il tipo da farsi intrappolare in discussioni in cui so di avere tutto da perdere.
"Ti piace?" mi dice per tutta risposta, "E' l'unico luogo in cui il tempo continua a scorrere normalmente. Altrove  l'ho sospeso per un po', in attesa che tu  decida se vuoi davvero distruggere l'universo."
La guardo stupefatto, soprattutto per la nota di spazientita ironia che risuona nella sua voce.
"Io non ho nessuna intenzione di distruggere un bel niente" rispondo piccato, "non ho mai desiderato niente del genere."
"Hai desiderato di modificare l'ordine delle cose. O anche di questo non ne sai niente?" i suoi occhi accusatori sono puntati su di me, "Hai o no desiderato di vivere un'altra esistenza?"
"Sì, questo sì," ammetto, "Come tutti quanti, che c'è di male?"
"Niente di male a parte il fatto che questo tuo desiderio sta per realizzarsi e questo provocherà.. come spiegarlo? Una specie di squarcio nella maglia del reale."
"Ma quale desiderio realizzato?!? E' tutto solo un sogno, lo hai detto anche tu un momento fa!"
Lei scuote gravemente la testa.
"Lo era da principio," dice con calma, "E tale avrebbe dovuto rimanere. Invece è diventato qualcos'altro. Quella che per te era solo una possibilità tra infinite altre, adesso è la tua unica realtà. Ma non avrebbe mai dovuto accadere, nella tua unica realtà sei il Saint della Fenice, che ha combattuto e vinto contro Arles a prezzo di fatiche e delusioni e dolori infiniti. Nella tua unica realtà Shun è tuo fratello. Ti sei appropriato di un'altra realtà senza averne il diritto, spero solo che tu sia in grado di comprendere la gravità di questo fatto."
"Ma Arles mi ha detto che avevo la potenza per creare un altro mondo. Se è così perché non dovrei approfittarne? E' davvero così terribile se per un'unica volta utilizzo miei poteri per fare a modo mio? Non credi che mi sia sacrificato abbastanza?"
Ho appena finito di pronunciare queste parole che già me ne pento. 
Lei infatti mi avvolge in un'occhiata fredda come il ghiaccio di Hyoga.
"Ma pensa un po', Arles!" dice "Be', ammesso pure che sia così, da quando in qua ti sei messo a credere nelle parole di Arles? Nemmeno quando eri suo alleato ti sei mai fidato di lui. Ma come puoi pensare  di creare un intero mondo? Ma chi credi di essere? Nemmeno io che sono Atena ho questo potere. Ogni possibilità è già un mondo. Quello che per gli esseri umani rappresenta solo una scelta tra infinite altre, un <se fosse..> qualsiasi, altrove è reale. E quella che per te è l'unica realtà, in un altro luogo ed in un altro tempo è solo una vaga possibilità. L'universo è.. è come un diamante dalla infinite sfaccettature. Ma è dall'esistenza di ciascuna faccia che dipende l'esistenza del diamante. Distruggine una sola e avrai distrutto tutto. Tu, invece, stai tentando di distruggerne addirittura due, pensa un po'.."
Sotto quel torrente di parole sento la testa che mi gira. Non sono il tipo adatto a certe disquisizioni cosmiche. Mi alzo in piedi e mi guardo intorno spazientito. Atena fa scorrere tranquillamente la sabbia tra le dita.
"Mi dispiace, ma proprio non riesco a credere che basti uno stupido desiderio per distruggere l'universo."
"E hai ragione. Infatti, neanche tu, da solo, potresti arrivare a tanto. Qualcuno sta cercando di usare la tua forza.."
"Arles?"
Atena scuote la testa.
"Uff, di nuovo questo Arles! Ricordati che lo abbiamo sconfitto mesi fa, e definitivamente, ti assicuro."
"Ma io ho parlato con lui.."
Atena batte le mani una contro l'altra per ripulirle dai residui di sabbia, poi alza lo sguardo su di me.
"Non era Arles," dice con calma. "Aveva il suo aspetto, ma non era lui. O per meglio dire non del tutto. Era qualcosa di molto più potente e di più subdolo."
"Qualcosa?"
Atena si alza in piedi e mi guarda negli occhi.
"Non può nemmeno considerarsi vivo, non nel senso comune del termine.
È.. un'entità.. ma a suo modo ha emozioni e soprattutto una immensa volontà, tesa ad un unico scopo."
Comincio a capire.
"Distruggere tutto?"
"Sì, la distruzione di tutte le infinite possibilità che ciò che è caos e disordine possa prendere una forma."
La guardo perplesso, non posso dire di comprendere veramente ciò che ha appena detto.
"Ci sono molti nomi con i quali è conosciuto," continua lei, "Caos non è che una fra le migliaia. Ma ogni nome riesce ad esprimere solo una porzione della verità. Quell'entità non si lascia definire.. essa è prima di ogni essere e prima di ogni definizione. È prima di ogni ordine e di ogni forma. 'Al principio era il caos', ricordi?"
Rifletto sulle sue parole. Poi, improvvisamente scoppio a ridere.
"E naturalmente fra tutte le possibili infinite persone di questo bell'universo a forma di diamante, ha scelto me come alleato. È davvero sorprendente che ogni cattivo in circolazione, se ha bisogno d'aiuto, si guarda attentamente intorno e alla fine.. bingo.. trova me."
"Lui ha semplicemente sfruttato la tua stanchezza e il tuo desiderio di una vita normale, come Arles ha sfruttato la tua rabbia."
"Ci sono milioni di persone al mondo che nutrono dei desideri, mille volte più pericolosi dei miei, perché proprio io?"
"Perché c'è una sola persona capace di generare un cosmo abbastanza forte da sovvertire l'ordine dell'universo," fa una breve pausa, poi riprende, "Vedi, Ikki, tu devi cercare di capire! È nell'ordine dell'universo che ci sia almeno un mondo in cui le forze di sentinella contro il male e il caos siano di una potenza inaudita.
Quello è il nostro mondo,  lì io regno come Atena, e in quel mondo tu sei la Fenice. È grazie all'esistenza di quel mondo che possono esistere le altre infinite possibilità. Tutte quelle infinite possibilità in cui io non sono che una ragazza qualsiasi o addirittura non sono mai nata. Ma se l'ordine viene sovvertito chi difenderà gli altri mondi?"
Taccio guardandola dubbioso. Lei scuote la testa e sospira, con l'aria di una maestrina che ha a che fare col discolo della classe "Le cose stanno già cambiando. Guarda tu stesso."
Alza la mano e distende il palmo verso l'alto. Sospeso su di esso appare un piccolo globo cangiante. Fisso il mio sguardo dentro quella sfera. Da principio non vedo nient'altro che una sorta di movimento vorticoso, poi le immagini cominciano a prendere forma e vedo..
Vedo me stesso disteso su di un letto. Dal mio corpo escono fili trasparenti collegati a macchine dall'aspetto strano.
Sollevo il volto verso Atena. "Sì," dice "La Fenice sta morendo e stavolta non ci sarà rinascita, perché insieme a lei perirà l'universo. È naturale, non si possono vivere due esistenze contemporaneamente. Ma ora guarda il resto."
La scena cambia rapidamente. Il punto di vista adesso è dallo spazio, fissato su un pianeta azzurro, circondato da nuvole che scorrono veloci. Ma a guardare attentamente vi sono come delle macchie scure sulla superficie. Sono numerose e sembra che aumentino  velocemente.
"Cosa sono?" chiedo.
"Aspetta, ti faccio vedere meglio".
La scena cambia ancora. E' come uno zoom che mette a fuoco una di quelle zone d'ombra. Ma ciò che scorgo non si lascia descrivere adeguatamente con le parole. Posso solo dire che è come un'enorme bocca, spalancata in un immondo sbadiglio, solo che questo sbadiglio sta inghiottendo il mondo.
"Il caos!" dice Atena. 

Improvvisamente una rabbia immensa mi prende alla gola, insieme ad un senso di nausea per tutta questa vita di merda. Non ci sto, no, non ci sto ad essere sempre io il colpevole di tutto ciò che di più immondo può accadere, soprattutto non ci sto in questo caso, quando tutto quello che volevo era..
"Non è leale! Io non volevo questo. Ho soltanto cercato di ubbidire ad una di quelle tue stupide leggi," dico, tentando di controllare una voglia spaventosa di fare tutto  a pezzi.
Lei mi guarda stupita. "Quale legge?"
Sono davvero esasperato e non controllo più le mie parole. Ma all'inferno, in fondo perché no? Se davvero è onnisciente ormai lo saprà da un pezzo.
"Ho solo tentato di evitare l'incesto." urlo fuori di me, "Per questo ho desiderato di vivere un'esistenza in cui Shun non fosse mio fratello, solo per ubbidire ad una di quelle tue idiotissime leggi morali."
Lei mi guarda stupita, poi i suoi occhi diventano due fessure.
"Sei tu che non sei leale, Ikki," il suo tono è tagliente come una lama, "Non mi pare di aver mai dettato comandamenti, né mi ricordo di aver mai sentenziato cose come: <Tu non giacerai con tuo fratello>."
La guardo sbigottito, mentre sento il  sangue pulsarmi forte nelle tempie.
"Stai cercando di farmi credere che non l'avresti considerato un.. un'infrazione?", le sibilo in faccia.
Atena sospira vistosamente, con gli occhi rivolti al cielo.
"Ikki, tu stai solo trasformando in un sofisma i termini della questione e la tua cattiva fede è pari solo alla tua sfacciataggine.
Vuoi davvero che io creda che ti saresti tanto preoccupato delle mie leggi? O che sia stato uno scrupolo morale a impedirti di portarti a letto Shun?"
Per un attimo resto a bocca aperta di fronte alla franchezza delle sue parole, ma poi il senso di esse mi colpisce come una mazzata e la mia rabbia raggiunge il parossismo.
Stringo i pugni e l'affronto digrignando i denti.
"E cos'altro allora?"
"Forse solo la tua paura."
"PAURA!!! E di chi, di te?"
"No, appunto, non di me. Di me assolutamente no. Di Shun, piuttosto, di quello che avrebbe pensato se avesse saputo cosa provi davvero per lui. Non è il mio giudizio che temevi e nemmeno quello del mondo intero. Ma di Shun ti importava, vero? Non avresti mai sopportato che potesse giudicarti un mostro."
"Sta' zitta!!! Sta' zitta.. cagna schifosa.. sta' zitta."
Entrambe le mie mani la afferrano e cominciano a scuoterla con violenza. Sento la carne morbida delle sue spalle gracili e il suo corpo che non oppone la minima resistenza. È Atena, ma è anche una fragile ragazza.
La spingo con forza e lei cade riversa sulla sabbia.

Bene! Alla fine l'ho fatto. Ho alzato le mani sulla dea della giustizia. E questo segna definitivamente la fine della mia breve carriera di Saint di Atena.
Rimango immobile a guardarla, l'ira è scivolata via ed è rimasto solo un senso di disgusto. Ma non chiederò scusa, non l'aiuterò nemmeno a rialzarsi. Non sono il tipo da lacrime di coccodrillo.
Lei si toglie i capelli dal viso e si alza in piedi tranquillamente, scuotendosi la sabbia dal vestito.
"Va bene," dice, "ammetto di aver esagerato." Rimango a fissarla come un allocco.
"Comunque, credo che il messaggio sia arrivato lo stesso, non è vero, Ikki?"
Distolgo lo sguardo dal suo viso e lo fisso su un punto imprecisato, dietro di lei.
"Se solo avessi voluto, avrei potuto avere Shun in qualsiasi momento," mormoro.
"Sarebbe stata un gran vittoria davvero," risponde con calma ironica, "Tu sei sempre stato l'unico centro intorno a cui ruotava la sua vita. Padre, madre, fratello, amico. Se solo avessi voluto, avresti potuto possedere un bambino privo di volontà e trasformarlo definitivamente in una appendice da manovrare a tuo piacimento."
Tace per un attimo, quando parla di nuovo la sua voce ha una nota di dolcezza.
"Fortunatamente il tuo affetto per lui ti ha impedito di macchiarti di una simile bassezza."
La guardo in viso, stupito. Lei ora sta sorridendo serena.
"Lo sai perché la mia fiducia in te sarà sempre incrollabile, Ikki?," sussurra così piano che faccio fatica a sentirla, "Perché qualunque cosa possa accadere, lo so che troverai sempre dentro di te il modo di prendere la decisione necessaria. Al di là di ogni scusa e di ogni sofisma.."
"Ma tu lo capisci che io lo amo," sbotto senza riuscire più a trattenermi, "E questo non è un sofisma."
"Questo è l'origine di ogni sofisma," dice lei e un'ombra di tristezza si disegna sul suo volto delicato.

Va bene, basta così. Mi sento esausto e sconfitto, lascio che la stanchezza mi piombi addosso, senza più tentare di contrastarla. Mi siedo sulla sabbia, abbracciandomi le ginocchia contro il petto.
"Dimmi cosa vuoi che faccia?"
"Lo sai. Devi sconfiggerlo al più presto e dovrai farlo da solo."
Sento la sua mano sulla mia spalla, vorrei scostarmi, ma lascio che quel contatto fisico mi conforti un po', almeno per una volta.
"Cosa ne sarà di Shun?" chiedo, "intendo.. insomma.. lo sai a chi mi riferisco."
Lei annuisce e sorride con una dolcezza immensa.
"Vivrà il suo destino, come te e come me. Come tutti.. soltanto il suo destino.." sussurra e le sue parole sembrano correre leggere sul vento. #

["Shun, svegliati," seduto sul ciglio della strada, bagnato fino alle ossa, sto cercando di farlo rinvenire, scuotendolo piano. 
La moto è riversa per terra, ma tutto sommato sembra in buone condizioni.
Lui batte le ciglia una o due volte e poi apre gli occhi..
"Ikki.. Ikki? Ma cosa è successo?"
"Abbiamo avuto un incidente con la moto, ho paura che tu abbia battuto la testa. Non fare movimenti bruschi. Hai male da qualche parte?"
Il suo volto si tende in una smorfia. "Chiedimi se c'è qualche parte che non mi fa male, almeno facciamo prima," dice tra i denti.
"Ce la fai a rimetterti in piedi?"
"Se ce l'hai fatta tu, posso farcela anch'io," mi risponde, sforzandosi di sorridere.
Lo aiuto a sollevarsi e lo faccio sedere sul guardrail. Poi sollevo la moto e la metto sulla carreggiata. È una fortuna che questa strada sia tanto poco frequentata, se avessimo preso l'autostrada a quest'ora ci avrebbero arrotato mille volte.
"Dove andiamo?" mi chiede Shun stupito, notando la direzione della moto.
"Torniamo indietro," dico montando sopra e cercando di accendere il motore.
Lui mi raggiunge e si ferma accanto a me.
"Indietro? Come indietro?"
Lo guardo in viso, nei suoi occhi spalancati per lo stupore, ma sono costretto a distogliere lo sguardo.
"Indietro a combattere," dico, dando gas al motore e fingendo di interessarmi alla ruota, "Non possiamo darla vinta a quello stronzo di Arles, proprio non sarebbe onorevole."
Lui mi guarda per un paio di secondi, completamente disorientato, poi senza dire una parola si mette il casco e monta dietro di me.
Accelero a fondo e in un attimo la strada bagnata di pioggia scorre veloce sotto le ruote nere.]

Fine V parte.


* Si tratta di un racconto cinese, mi pare, che ho letto tanto tempo fa e che non riesco più a rintracciare. Spero di essermelo ricordato bene, comunque se non è proprio letterale, il senso è quello. SOS, se qualcuno sa di cosa si tratta e dove potrei reperirlo me lo dica, per piacere, vorrei tanto rileggerlo.



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