Disclaimers: niente disclaimers,
ormai Saint Seiya mi appartiene di diritto. Peccato che nessuno è
disposto a pagarmi una lira. Per giunta ho paura che a Ikki gli
sviluppi non piaceranno molto, perciò rischio anche la vita. Comincio a
domandarmi se de vale la pena.
Note: l'universo alternativo è tra parentesi quadre. Tra # inserisco una
parte in un universo sospeso.
Il sogno della
farfalla
di Petra
parte V
[Tre sere dopo aver preso la mia decisione, mi decido a fare una visitina
ai miei amici Bronze nella palestra della fondazione. Non indosso il
giubbotto dei Saint e non ho appresso il borsone con la roba per
cambiarmi.
Al mio ingresso tutti smettono di fare ciò in cui erano impegnati un
momento prima ed un silenzio pesante scende nella grande sala. Bene, è
evidente che si aspettano già il peggio, così almeno le cose saranno più
facili. Mi dispiace solo che non ci sia milady, ci tenevo a dire quello
che devo, guardandola in faccia.
Con la coda dell'occhio vedo Shun appoggiarsi ad un pilastro, pallido come
un morto, le sue labbra pronunciano il mio nome, senza emettere alcun
suono.
È Seiya a farsi avanti per primo, con un sorriso ironico stampato
sulla faccia.
"Guarda un po' chi si rivede! Sono contento di notare che se non
altro sei vivo e vegeto e in ottima salute."
"Spiacente, non è mia intenzione fare il prezioso," dico con
indifferenza, "ma dovevo preparare alcune cose per la mia
partenza."
Un mormorio si diffonde nella palestra.
"Ah! Così vai via. È molto carino da parte tua averci avvertito.
Spero almeno che Arles ti abbia pagato bene, non vorrei che ti fossi
fatto fregare un'altra volta."
Bene? Non sai nemmeno fino a che punto Seiya, non potrai mai nemmeno
immaginarlo fino a che punto.
Mi stringo nelle spalle.
"Sono sicuro che ve la caverete anche senza di me. E se anche non sarà
così.. cosa volete che vi dica? È tutto talmente ridicolo.."
Vedo Hyoga lanciarsi contro di me. Potrei fermarlo con un dito se solo
volessi, ma sarebbe come se un dio prestasse attenzione alle minacce di
una scimmia. In un attimo mi si avventa addosso e mi prende per il bavero.
"Vigliacco schifoso! Lo sapevo che non ci si poteva fidare di te. Tu
non sai nemmeno cosa sia l'onore."
Mi divincolo con facilità e lo afferro per un braccio, poi con un'unica
mossa glielo torco, costringendolo ad inginocchiarsi sul pavimento.
Sollevo il piede e lo poggio sulla sua spalla, bloccandolo a terra. Tenta
di sfuggirmi, ma non gli permetto di muoversi nemmeno di un centimetro.
Rimangono tutti a guardarmi, completamente shockati.
"I-Ikki," mi giunge all'orecchio la voce di Shun. Mi volto a
guardarlo e vedo i suoi occhi pieni di lacrime. Gli sorrido rassicurante.
"Non aver paura," dico, "Non gli faccio del male. E nemmeno
a voi altri. Non sono venuto per combattere. Solo per salutarvi."
Spingo via Hyoga che si solleva da terra, massaggiandosi il braccio
dolorante. L'espressione del suo volto è esterrefatta e lo capisco bene.
Gli altri hanno mi hanno solo visto bloccarlo con un'abile mossa, ma lui
deve aver avvertito su di sé tutta la mia forza.
"Hyoga ha ragione," dico, guardando Shun in faccia. "Non ho
una briciola d'onore. Non me lo posso permettere. La vita è troppo breve
per sprecarla in queste pagliacciate. In fondo mi dispiace, perché mi
siete simpatici, ma siete davvero dei pazzi fanatici. Che cosa
volete che cambi se anche dovessero vincere i Gold?"
"Arles è un delinquente, e farà dei Gold un covo di pirati, questo
tu lo sai meglio di chiunque altro." Adesso è la voce calma di
Shiryu a parlare. Mi volto verso di lui e annuisco.
"Sì, è vero. Ma voi che c'entrate, scusa? Se Arles è un
delinquente ci dovrebbe pensare la polizia. Insomma, guardatevi! Siete un
branco di ragazzini, dovreste essere fuori a divertirvi con la vostra
ragazza.. o in qualunque altro modo, ed invece siete qui a sputare
l'anima. E perché poi? Solo per difendere l'ambizione di un vecchio
visionario e di una ragazzina viziata. Chissà cosa avreste fatto se in
ballo ci fosse stata addirittura la salvezza del mondo."
Sorrido tra me, loro non lo sanno, ma a questa domanda solo l'unico
nella sala in grado di rispondere.
"Bene," dice Seiya, "Grazie dei tuoi consigli, sta' pure
certo che ne faremo tesoro, adesso però togliti dai coglioni, che i
ragazzini devono ricominciare a sputare l'anima."
"Uh - Uh," mi limito a grugnire, ma i miei occhi si puntano di
nuovo su Shun. Si è avvicinato a Hyoga e lo sorregge per un braccio con
aria preoccupata. Il suo sguardo mi invia una muta, dolorosa,
domanda. Gli sorrido di nuovo con dolcezza e sul suo volto si dipinge
un'espressione stupita.
"Allora, addio," dico, rivolto agli altri, "E salutate da
parte mia milady."
Forse Shun ha ragione quando dice che niente mi diverte di più di certe
entrate ed uscite ad effetto.
Fuori dal dojo guardo per un attimo il cielo che comincia ormai a
diventare scuro. Mi allontano di pochi passi, imbocco un vicolo che divide
la palestra dall'edificio accanto, e aspetto. Nemmeno cinque minuti dopo
vedo Shun uscire dal portone. Si ferma sul marciapiede e si guarda
intorno, come se tentasse di prendere una decisione. Poi si avvia, e dalla
direzione che prende so già dove intende andare.
Al diavolo, ma non ha nemmeno un briciolo di prudenza? Non lo sa che nel
mio quartiere a quest'ora se vedono un bel bambino coi capelli verdi e le
labbra imbronciate, gli saltano addosso almeno in dieci?
Appena passa davanti al vicolo lo chiamo. Lui sobbalza atterrito e poi si
volta. Il buio del vicoletto gli impedisce di vedermi, ma so che ha
riconosciuto la mia voce ed infatti si inoltra nell'oscurità senza
esitare.
"Ikki, sei qui?"
Non gli rispondo neppure, solo lo afferro per le braccia e lo attiro a me.
Lui tenta di divincolarsi per un momento, ma si arrende subito.
Allora lo costringo ad appoggiarsi contro il muro e cerco le sue labbra.
Apre subito la bocca accogliendo la mia lingua, con un gemito soffocato.
Lo bacio a lungo assaporando fino in fondo il sapore della sua bocca. Poi
appena le nostre labbra si staccano lo abbraccio forte contro il mio
petto.
"Accidenti," sospiro, "Non lo puoi nemmeno immaginare
quanto mi sei mancato."
Lui punta i pugni contro di me e mi guarda in faccia.
"Ikki, ma che significa tutto questo?" La sua voce trema per la
preoccupazione. Lo lascio andare e mi appoggio al muro a fianco a lui,
sospirando piano.
"Non voglio più combattere. Ci ho pensato bene, non è un
capriccio."
"Ma-ma perché? Credevo che morissi dalla voglia di vendicarti
di Arles."
"Morivo dalla voglia, perché ero un vero idiota e non avevo idea di
quali fossero le cose veramente importanti. Ma tu mi hai fatto capire
alcune cose.."
Lui tace per un po', quando parla la sua voce è strana.
"Vuoi dire che non intendi più batterti con Arles a causa mia?"
"Esatto," ridacchio, "proprio così. Non voglio più
combattere perché ho scoperto che me ne frego di Arles. Io voglio solo
stare insieme a te, il più a lungo possibile."
Sento il suo respiro farsi affannoso. Tento di nuovo di prenderlo tra le
braccia, ma lui stavolta si oppone con tutte le sue forze.
"Aspetta, Ikki, spiegati meglio. Non capisco perché noi due non
possiamo stare insieme e batterci lo stesso contro i Gold."
Ecco siamo arrivati alla parte più difficile. Gli accarezzo il viso e i
capelli, prima di parlare.
"Non posso spiegarti bene, Shun, ma fidati di me. Se sconfiggo Arles,
c'è il pericolo che tutto questo finisca. Non sono in grado di dirti
altro per il momento. Ma credimi, è così. Probabilmente sarei costretto
ad andare via, per sempre.."
"Ma tu stai già andandotene via, lo hai appena detto in
palestra," protesta con voce rotta.
"No, io non vado da nessuna parte se tu non vieni con me. Ma se resto
e combatto con Arles, ti assicuro che tutto sarà finito. E non c'è
niente che io possa fare per cambiare questa cosa. Succederà e
basta."
"Arles ti sta ricattando? E' questo che non puoi dirmi? Lui ti tiene
in pugno per qualcosa, ho ragione?"
Esatto, lui mi tiene in pugno, Shun, come mai nessuno ha fatto prima
d'ora. Ed io per la prima volta nella mia vita ho deciso di cedere... ma
non m'importa se questo è il prezzo per stare così, con te.
"E' più complicato di come tu possa immaginartelo. Un giorno forse,
con calma, ti racconterò tutto quanto. Ma ora ho bisogno di sapere cosa
ne pensi. Verrai insieme a me?"
Non dice più niente e nel silenzio posso sentire il mio cuore battere
contro le mie orecchie. Quando si decide a parlare di nuovo la sua voce è
quasi afona.
"Non è onorevole scappare davanti ai nemici.."
Sbuffo d'impazienza. "Se vuoi dirmi di no, dimmelo con le tue parole
e non con quelle di Hyoga o di Seiya. Tu detesti combattere, cosa credi
che non lo sappia? Guarda che non c'è persona al mondo che ti conosca
come ti conosco io."
E nessuno che ti ami, come ti amo io, vorrei aggiungere, ma le parole mi
si bloccano in gola.
Ripiomba il silenzio e stavolta è terribile, perché so che le prossima
cosa che dirà sarà definitiva.
"Sì," mormora alla fine, così piano che mi viene il
dubbio di aver avuto un'allucinazione uditiva.
"Sì? Hai detto sì?" chiedo incredulo.
"SI'" urla quasi, "HO DETTO SI'. Sei diventato sordo?"
E mi si butta addosso con una disperazione che mi fa male al cuore.
Allora lo prendo tra le braccia e lo accarezzo piano, riempiendogli il
volto di baci teneri. Poi prendo il suo viso tra le mani e lo sollevo
verso di me, cercando di scorgere nell'ombra l'espressione dei suoi occhi,
ma vedo a stento il lampo bianco della sua cornea, allora lo attiro verso
di me e lo bacio di nuovo sulla bocca.
In un attimo il bacio si trasforma in qualcosa di intimo e profondo.
Sono tre giorni che faccio a meno di lui, e il desiderio mi sta uccidendo.
Lo appoggio di nuovo contro il muro e le mie mani scendono lungo il suo
corpo. Ritrovo con sollievo indicibile la forza e la tenerezza di tutte le
sue linee. Ma non mi basta. Strattono la sua maglietta tirandola fuori dai
pantaloni e con le mani raggiungo i suoi capezzoli. Lui piega indietro la
testa e comincia a gemere piano, in quel modo che ho imparato a conoscere
così bene. Il calore della sua pelle mi dà completamente alla testa. Con
una mano gli sfioro l'inguine e lo sento fremere sotto la mia carezza.
Bene, lui non è in condizioni migliori delle mie. Allora gli sbottono i
pantaloni e gli apro la cerniera, e armeggio fino a tirarglielo fuori. A
questo punto lui si rende conto di cosa sto facendo e con la mano tenta di
bloccarmi.
"I-Ikki, sei pazzo?"
"Perché?"
"Hai visto dove siamo, n-no farlo, se ci.. vedesse qualcuno.."
"Uhm.. ci arresterebbero per atti osceni, spero almeno che ci mettano
nella stessa cella, te le immagini le scopate?"
"IKKI..!" la voce di Shun ha una nota tra il divertito e lo
scandalizzato.
Ridacchio, facendo le fusa dentro il suo orecchio, poi gli lecco il lobo,
con lentezza estenuante. Shun ricomincia a gemere e la sua mano perde ogni
forza. Ne approfitto subito. Continuando a leccarlo lungo il viso ed il
collo, mi sbottono i pantaloni. Il mio sesso schizza fuori, duro e
dolorante. Allora prendo in mano i nostri due uccelli e li unisco
insieme. La frizione dei nostri sessi eretti diventa subito una di danza,
con i nostri bacini che vanno avanti ed indietro e la mia mano che li
tiene uniti, impedendo che si separino, anche solo per un momento. Il
nostro ansimare riempie l'oscurità del vicolo e la danza diventa sempre
più scomposta. Nell'attimo in cui sento che sto per venire, cerco la
bocca di Shun e afferro la sua lingua, succhiandola con forza. Lui viene
immediatamente dentro la mia mano, ed un attimo dopo lo raggiungo
soffocando le nostre urla dentro le nostre bocche unite. Mentre mi svuoto,
crollo su di lui, schiacciandolo contro il muro e contemporaneamente Shun
si afferra con forza alle mie braccia per non cadere.
Rimaniamo così avvinghiati l'uno all'altro, finché i nostri respiri non
si calmano.
La moto sfreccia velocissima sulla strada che procede serpeggiando, curva
dopo curva. Il vento a cento all'ora è umido e pungente e ci sferza con
forza il volto a malapena protetto dai caschi.
Senza togliere la mano dalla manopola do un'occhiata al mio orologio, e
vedo con la coda dell'occhio che segna le cinque del pomeriggio.
È da stamattina alle sette che io e Shun siamo in viaggio, facendo
solo due piccole soste, per riposarci e mangiare qualcosa.
Adesso stiamo attraversando una vecchia strada di cemento a due
corsie. È una strada provinciale che costeggia una collina. Una
strada senza traffico, senza autogrill e cartelloni pubblicitari.
Oramai sono chilometri che attraversiamo boschetti, pascoli e
frutteti senza vedere nessun veicolo.
In fondo, quando si scappa insieme ad un ragazzo minorenne, per
giunta in affido per ordine del tribunale, è meglio evitare le
autostrade e le strade principali.
Ed anche ad essere così prudenti non si può dire che tutto fili alla
perfezione. Per esempio, quello che è successo la prima volta che ci
siamo fermati. È stato in una piccola stazione di rifornimento che
abbiamo incrociato lungo la strada. Un posto in pessime condizioni,
con le pompe di benzina antidiluviane e un prefabbricato marcio che
si spacciava per un bar-ristorante. Nel locale ci hanno servito del
pessimo caffè e una colazione precotta quasi immangiabile. E come se
non bastasse, i pochi uomini appoggiati al bancone non ci hanno tolto
un attimo gli occhi di dosso, come se fossimo due alieni, sbarcati
direttamente da Marte. Shun imbarazzatissimo, e anche un po'
impaurito, non ha alzato un attimo la faccia dal suo piatto, col
risultato di attirare ancora di più l'attenzione su entrambi.
Abbiamo ingollato il cibo ad una velocità supersonica, e mentre io
pagavo lui è uscito ad aspettarmi appoggiato alla moto. Proprio in
quel momento un uomo è entrato nel ristorante. Dal modo disinvolto in
cui si muoveva si vedeva che doveva essere un vecchio cliente. Ha
salutato tutti e poi ha esclamato: "Ehi, ma l'avete visto quel
signorino là fuori, vicino a quella moto. Roba di lusso, eh!" E si
è
leccato le labbra in modo osceno. Tutti istintivamente hanno rivolto
lo sguardo verso di me. Con calma ostentata ho pagato il conto, e
dopo aver comprato panini e bibite, sono uscito senza degnare
nessuno di un'occhiata.
Ma quell'esperienza mi ha insegnato qualcosa. Non possiamo pretendere
di passare inosservati in certi posti fuori dal mondo. Perciò se
prima non raggiungiamo una grande città è meglio non fermarci in
nessun luogo pubblico.
Seguendo questo ragionamento la seconda sosta l'abbiamo fatta su di
un prato, qualche centinaia di metri discosto dalla strada. Ho tirato
fuori la roba che avevo comprato in quel buco schifoso e ci siamo
messi a mangiare seduti sull'erba, dietro un'enorme siepe che ci
nascondeva la vista della strada e ci riparava dal sole di
mezzogiorno.
Sembrava di essere ad un picnic. Abbiamo divorato i panini
voracemente, anche se sapevano di stantio, e scherzando sul loro
sapore abbiamo ritrovato tutto il buonumore, perduto durante la prima
fermata.
Poi ci siamo sdraiati sul prato umido, abbracciati l'uno all'altro.
Shun si è avvinghiato a me con più foga del solito e la sua bocca ha
cercato la mia con ansia quasi spasmodica. È solo da questi
particolari che sono riuscito a capire fino a che punto fosse
nervoso.
Accarezzandolo piano gli ho slacciato i pantaloni e lui mi ha aiutato
a farli scendere lungo le cosce. Poi ho cominciato a masturbarlo
lentamente, nel modo che lo fa più godere.
Nel momento in cui l'ho penetrato sono rimasto fermo dentro di lui
per qualche istante, solo per ammirare l'espressione del suo volto
passare rapidamente dal dolore al piacere. E poi mi sono mosso piano,
con lunghi movimenti languidi e lui si adattato al mio ritmo, senza
perderlo nemmeno per un attimo, con le braccia strette intorno al mio
collo e il respiro corto, contro il mio orecchio.
Poi si è addormentato per un po', con la testa appoggiata sul mio
addome ed io sono rimasto a guardare il suo respiro profondo
sollevargli il petto ad intervalli regolari, mentre la luce del
pomeriggio cambiava dolcemente.
Adesso siamo di nuovo sulla strada e secondo i miei calcoli se
continuiamo a mantenne una media di cento all'ora arriveremo alla
città più vicina prima che faccia notte. Allora prenderemo una stanza
in un anonimo hotel e poi.. e poi si vedrà.
Andrà tutto bene, lo so, deve andare bene. Ho un credito lungo una
vita con tutti gli dei del mondo, ed è ora che si decidano a
pagarmelo, qualunque sia la posta in gioco.
Intanto, abbiamo oltrepassato le colline e avanziamo dentro una
valle, su un terreno aperto, costeggiando una prateria punteggiata da
pochi alberi scheletrici. Ma la strada è in ottime condizioni e il
motore va a meraviglia, mantenendosi ad alto regime.
All'improvviso comincia a soffiare un vento da nord che fa inclinare
la moto sotto le sue raffiche. All'orizzonte scorgo un orlo nero
contro il cielo. Quella lunga striscia scura che avanza, non può
che
essere un temporale e noi gli andiamo direttamente incontro.
Il tempo di uscire dalla valle e le nubi temporalesche ci sono
addosso. Il sole scompare in un attimo e il vento soffia intorno a
noi sempre più rabbioso. Rapidamente si fa buio intorno a noi. Sento
Shun stringersi a me con più forza, allora allungo la mano e spingo
l'interruttore del fanale. Nello stesso istante un lampo illumina
come un occhio terrorizzato il paesaggio, lo segue subito il fragore
del tuono e le prime gocce di pioggia, cominciano a cadermi sulle
mani. Rallento e abbasso la testa per ridurre la resistenza
dell'aria.
Un altro lampo, e prima ancora che possa giungere il tuono la vedo..
una figura bianca di donna stagliata nel mezzo della carreggiata.
Istintivamente blocco i freni, le ruote stridono sull'asfalto viscido
e la moto schizza via, chinandosi di lato. Il ciglio della strada mi
viene incontro ad una velocità spaventosa, insieme agli alberi e ai
cespugli, e il tutto da una prospettiva completamente sbagliata. Il
fragore del tuono copre lo schianto.]
# Qui c'è solo un deserto di sabbia bianca sotto un cielo color
latte. Ovunque si posi l'occhio, nient'altro che questo. Eppure,
proveniente da qualche luogo lontano, mi sembra di udire il suono del
mare. È l'unico rumore, a parte il sibilo del vento, che di tanto in
tanto, solleva mulinelli intono ai miei piedi.
Un altro scherzo di Arles, non c'è altra spiegazione..
Forse il suo piano è di farmi diventare pazzo, e se è così devo
ammettere che ci sta riuscendo benissimo. Sono davvero stanco ed
esasperato. Crollerei bocconi qui a terra, restando immobile fino
alla fine del tempo. L'unica cosa che desidero in questo momento è di
trasformarmi in una bella mummia bianca e levigata, sepolta per
sempre sotto questa sabbia. E così potrei finalmente riposare in
santa pace.
Ma c'è un pensiero che mi spinge ad andare avanti. Forse qui, da
qualche parte c'è anche Shun e se è così io devo raggiungerlo, non
posso lasciarlo vagare da solo in mezzo a questo niente.
Però, ormai da un pezzo, la mia ricerca procede a casaccio. Ho gli
occhi incollati dalla sabbia, sabbia sotto i denti, nella gola, nei
polmoni..
Ho perso il conto di tutte le volte che sono caduto e ogni volta
rialzarsi è sempre più difficile, sempre più privo di senso.
Se non sono morto, morirò presto, per la fatica, ancora prima che per
la sete. Anzi, in quanto a questo ho solo l'imbarazzo della scelta.
La mia pelle è secca e sottile come carta velina e le mie labbra si
spaccano in piaghe sanguinanti. Sono i sintomi della disidratazione..
dopotutto, forse, morirò prima di sete.
Mi siedo per un momento, cercando di riprendere le forze e di fare il
punto della situazione. I miei occhi vagano su questo uniforme
paesaggio bianco che sembra non avere confini.
Se solo riuscissi a raggiungere il mare..
Improvvisamente il vento mi porta alle orecchie un nuovo suono. È
talmente assurdo che sulle prime nemmeno ci faccio caso. Ma diventa
sempre più chiaro, al punto che
non posso più ignorarlo. È una voce umana e sta cantando.
Ma sì, dico a me stesso, perché no? Se faccio il conto delle cose
incredibili della mia vita, che qualcuno canti in un deserto non è
poi la cosa più strana che mi sia capitata. D'altra parte appena poco
tempo fa ero lanciato su una moto a cento all'ora, insieme a quello
che dovrebbe essere mio fratello e che invece per qualche ragione
incomprensibile è il mio amante. E adesso sono qui ad ascoltare
misteriose voci in mezzo al nulla.. E con questo? Cose che possono
capitare a tutti, in fondo.
Faccio forza con le braccia per rimettermi in piedi e seguo la
direzione di quel canto. Mi sembra che trascorra un'eternità, ma
finalmente la nebbia lattiginosa si dirada e scorgo, seduta
tranquillamente sulla sabbia, la sagoma di una donna. Ha lunghi
capelli che le volano intorno al viso, lineamenti minuti, ancora
infantili ed è vestita col lusso di una bambola leziosa.
Lady Saori Kido!
Faccio appena in tempo a pronunciare quel nome sulle labbra riarse
che vengo travolto da un cosmo così immenso da togliere il fiato.
Lentamente mi avvolge, caldo e tenero, come sempre, e in un attimo
fatica, sete e disperazione sembrano svanire, spazzati via da una
speranza senza attesa, da una serenità senza torpore.
Persino il vento ora sembra più fresco e porta un sentore di
salsedine, come in un mattino di primavera. Guardo davanti a me,
seguendo la direzione dello sguardo d'Atena e sono sopraffatto
dall'immensa distesa del mare, aperto davanti ai miei occhi.
Cos'altro posso fare? Mi avvicino alla figura seduta, senza più ombra
di rabbia o di dolore e mi siedo accanto a lei. Atena non fa il
minimo cenno di aver notato la mia presenza, semplicemente continua a
canticchiare fra sé quella nenia monotona, mentre pettina la sabbia
con le dita.
<Ecco, siamo a posto, adesso posso dirlo. Questo è davvero e in
assoluto il sogno più assurdo che abbia mai fatto,> penso.
In quel preciso istante lei smette di cantare e comincia a parlare,
sempre con lo sguardo fisso sul mare che scintilla di un azzurro
profondo.
"Un uomo, una notte, sognò di essere una farfalla," dice,
assaporando
le parole ad una ad una, "Era un sogno felice. Volava leggero
nell'aria e si posava di fiore in fiore, gustandone il nettare
dolcissimo. Poi la farfalla, stanca del suo volo, si posò sulla
corolla di una margherita addormentandosi di colpo. Esattamente in
quel momento il sognatore si svegliò e non fu più in grado di dire se
lui era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o se era la
farfalla che stava sognando di essere un uomo." (*)
Tace e per la prima volta volge lo sguardo nella mia direzione,
fissandomi con le sue pupille intense.
Sarebbe così facile abbandonarsi dentro quegli occhi e lasciarsi
andare. Sarebbe facile per chiunque, ma non per me.
"Già," dico, con sarcasmo, "so perfettamente come ci si
sente. Non so
se lo hai mai provato, ma per esperienza personale ti assicuro che è
piuttosto frustrante."
"Davvero?" chiede, con la sua vocetta da tredicenne saggia.
"Chi lo
sa? Forse dipende dal tipo di sogno. Anzi, devo aver sentito dire che
da alcuni non ci si vuole più svegliare. Mi sono sbagliata?"
Non posso impedirmi di arrossire. Una ragazzina petulante e saccente
è il peggio che uno come me può aspettarsi di incontrare e se poi è
anche una dea col dono dell'onniscienza..
"Dove siamo?" chiedo tentando di cambiare discorso, perché non
sono
certo il tipo da farsi intrappolare in discussioni in cui so di avere
tutto da perdere.
"Ti piace?" mi dice per tutta risposta, "E' l'unico luogo
in cui il
tempo continua a scorrere normalmente. Altrove l'ho sospeso per un
po', in attesa che tu decida se vuoi davvero distruggere
l'universo."
La guardo stupefatto, soprattutto per la nota di spazientita ironia
che risuona nella sua voce.
"Io non ho nessuna intenzione di distruggere un bel niente"
rispondo
piccato, "non ho mai desiderato niente del genere."
"Hai desiderato di modificare l'ordine delle cose. O anche di questo
non ne sai niente?" i suoi occhi accusatori sono puntati su di
me, "Hai o no desiderato di vivere un'altra esistenza?"
"Sì, questo sì," ammetto, "Come tutti quanti, che c'è di
male?"
"Niente di male a parte il fatto che questo tuo desiderio sta per
realizzarsi e questo provocherà.. come spiegarlo? Una specie di
squarcio nella maglia del reale."
"Ma quale desiderio realizzato?!? E' tutto solo un sogno, lo hai
detto anche tu un momento fa!"
Lei scuote gravemente la testa.
"Lo era da principio," dice con calma, "E tale avrebbe
dovuto
rimanere. Invece è diventato qualcos'altro. Quella che per te era
solo una possibilità tra infinite altre, adesso è la tua unica
realtà. Ma non avrebbe mai dovuto accadere, nella tua unica realtà
sei il Saint della Fenice, che ha combattuto e vinto contro Arles a
prezzo di fatiche e delusioni e dolori infiniti. Nella tua unica
realtà Shun è tuo fratello. Ti sei appropriato di un'altra realtà
senza averne il diritto, spero solo che tu sia in grado di
comprendere la gravità di questo fatto."
"Ma Arles mi ha detto che avevo la potenza per creare un altro mondo.
Se è così perché non dovrei approfittarne? E' davvero così terribile
se per un'unica volta utilizzo miei poteri per fare a modo mio? Non
credi che mi sia sacrificato abbastanza?"
Ho appena finito di pronunciare queste parole che già me ne pento.
Lei infatti mi avvolge in un'occhiata fredda come il ghiaccio di Hyoga.
"Ma pensa un po', Arles!" dice "Be', ammesso pure che sia
così, da
quando in qua ti sei messo a credere nelle parole di Arles? Nemmeno
quando eri suo alleato ti sei mai fidato di lui. Ma come puoi pensare
di creare un intero mondo? Ma chi credi di essere? Nemmeno io che
sono Atena ho questo potere. Ogni possibilità è già un mondo. Quello
che per gli esseri umani rappresenta solo una scelta tra infinite
altre, un <se fosse..> qualsiasi, altrove è reale. E quella che per
te è l'unica realtà, in un altro luogo ed in un altro tempo è solo
una vaga possibilità. L'universo è.. è come un diamante dalla
infinite sfaccettature. Ma è dall'esistenza di ciascuna faccia che
dipende l'esistenza del diamante. Distruggine una sola e avrai
distrutto tutto. Tu, invece, stai tentando di distruggerne
addirittura due, pensa un po'.."
Sotto quel torrente di parole sento la testa che mi gira. Non sono il
tipo adatto a certe disquisizioni cosmiche. Mi alzo in piedi e mi
guardo intorno spazientito. Atena fa scorrere tranquillamente la
sabbia tra le dita.
"Mi dispiace, ma proprio non riesco a credere che basti uno stupido
desiderio per distruggere l'universo."
"E hai ragione. Infatti, neanche tu, da solo, potresti arrivare a
tanto. Qualcuno sta cercando di usare la tua forza.."
"Arles?"
Atena scuote la testa.
"Uff, di nuovo questo Arles! Ricordati che lo abbiamo sconfitto mesi
fa, e definitivamente, ti assicuro."
"Ma io ho parlato con lui.."
Atena batte le mani una contro l'altra per ripulirle dai residui di
sabbia, poi alza lo sguardo su di me.
"Non era Arles," dice con calma. "Aveva il suo aspetto, ma
non era
lui. O per meglio dire non del tutto. Era qualcosa di molto più
potente e di più subdolo."
"Qualcosa?"
Atena si alza in piedi e mi guarda negli occhi.
"Non può nemmeno considerarsi vivo, non nel senso comune del
termine.
È.. un'entità.. ma a suo modo ha emozioni e soprattutto una immensa
volontà, tesa ad un unico scopo."
Comincio a capire.
"Distruggere tutto?"
"Sì, la distruzione di tutte le infinite possibilità che ciò che
è
caos e disordine possa prendere una forma."
La guardo perplesso, non posso dire di comprendere veramente ciò che
ha appena detto.
"Ci sono molti nomi con i quali è conosciuto," continua lei,
"Caos
non è che una fra le migliaia. Ma ogni nome riesce ad esprimere solo
una porzione della verità. Quell'entità non si lascia definire.. essa
è prima di ogni essere e prima di ogni definizione. È prima di ogni
ordine e di ogni forma. 'Al principio era il caos', ricordi?"
Rifletto sulle sue parole. Poi, improvvisamente scoppio a ridere.
"E naturalmente fra tutte le possibili infinite persone di questo
bell'universo a forma di diamante, ha scelto me come alleato. È
davvero sorprendente che ogni cattivo in circolazione, se ha bisogno
d'aiuto, si guarda attentamente intorno e alla fine.. bingo.. trova
me."
"Lui ha semplicemente sfruttato la tua stanchezza e il tuo desiderio
di una vita normale, come Arles ha sfruttato la tua rabbia."
"Ci sono milioni di persone al mondo che nutrono dei desideri, mille
volte più pericolosi dei miei, perché proprio io?"
"Perché c'è una sola persona capace di generare un cosmo abbastanza
forte da sovvertire l'ordine dell'universo," fa una breve pausa, poi
riprende, "Vedi, Ikki, tu devi cercare di capire! È nell'ordine
dell'universo che ci sia almeno un mondo in cui le forze di
sentinella contro il male e il caos siano di una potenza inaudita.
Quello è il nostro mondo, lì io regno come Atena, e in quel mondo
tu
sei la Fenice. È grazie all'esistenza di quel mondo che possono
esistere le altre infinite possibilità. Tutte quelle infinite
possibilità in cui io non sono che una ragazza qualsiasi o
addirittura non sono mai nata. Ma se l'ordine viene sovvertito chi
difenderà gli altri mondi?"
Taccio guardandola dubbioso. Lei scuote la testa e sospira, con
l'aria di una maestrina che ha a che fare col discolo della classe
"Le cose stanno già cambiando. Guarda tu stesso."
Alza la mano e distende il palmo verso l'alto. Sospeso su di esso
appare un piccolo globo cangiante. Fisso il mio sguardo dentro quella
sfera. Da principio non vedo nient'altro che una sorta di movimento
vorticoso, poi le immagini cominciano a prendere forma e vedo..
Vedo me stesso disteso su di un letto. Dal mio corpo escono fili
trasparenti collegati a macchine dall'aspetto strano.
Sollevo il volto verso Atena. "Sì," dice "La Fenice sta
morendo e
stavolta non ci sarà rinascita, perché insieme a lei perirà
l'universo. È naturale, non si possono vivere due esistenze
contemporaneamente. Ma ora guarda il resto."
La scena cambia rapidamente. Il punto di vista adesso è dallo spazio,
fissato su un pianeta azzurro, circondato da nuvole che scorrono
veloci. Ma a guardare attentamente vi sono come delle macchie scure
sulla superficie. Sono numerose e sembra che aumentino velocemente.
"Cosa sono?" chiedo.
"Aspetta, ti faccio vedere meglio".
La scena cambia ancora. E' come uno zoom che mette a fuoco una di
quelle zone d'ombra. Ma ciò che scorgo non si lascia descrivere
adeguatamente con le parole. Posso solo dire che è come un'enorme
bocca, spalancata in un immondo sbadiglio, solo che questo sbadiglio
sta inghiottendo il mondo.
"Il caos!" dice Atena.
Improvvisamente una rabbia immensa mi prende alla gola, insieme ad un
senso di nausea per tutta questa vita di merda. Non ci sto, no, non
ci sto ad essere sempre io il colpevole di tutto ciò che di più
immondo può accadere, soprattutto non ci sto in questo caso, quando
tutto quello che volevo era..
"Non è leale! Io non volevo questo. Ho soltanto cercato di ubbidire
ad una di quelle tue stupide leggi," dico, tentando di controllare
una voglia spaventosa di fare tutto a pezzi.
Lei mi guarda stupita. "Quale legge?"
Sono davvero esasperato e non controllo più le mie parole. Ma
all'inferno, in fondo perché no? Se davvero è onnisciente ormai lo
saprà da un pezzo.
"Ho solo tentato di evitare l'incesto." urlo fuori di me,
"Per questo
ho desiderato di vivere un'esistenza in cui Shun non fosse mio
fratello, solo per ubbidire ad una di quelle tue idiotissime leggi
morali."
Lei mi guarda stupita, poi i suoi occhi diventano due fessure.
"Sei tu che non sei leale, Ikki," il suo tono è tagliente come
una
lama, "Non mi pare di aver mai dettato comandamenti, né mi ricordo
di
aver mai sentenziato cose come: <Tu non giacerai con tuo fratello>."
La guardo sbigottito, mentre sento il sangue pulsarmi forte nelle
tempie.
"Stai cercando di farmi credere che non l'avresti considerato un..
un'infrazione?", le sibilo in faccia.
Atena sospira vistosamente, con gli occhi rivolti al cielo.
"Ikki, tu stai solo trasformando in un sofisma i termini della
questione e la tua cattiva fede è pari solo alla tua sfacciataggine.
Vuoi davvero che io creda che ti saresti tanto preoccupato delle mie
leggi? O che sia stato uno scrupolo morale a impedirti di portarti a
letto Shun?"
Per un attimo resto a bocca aperta di fronte alla franchezza delle
sue parole, ma poi il senso di esse mi colpisce come una mazzata e la
mia rabbia raggiunge il parossismo.
Stringo i pugni e l'affronto digrignando i denti.
"E cos'altro allora?"
"Forse solo la tua paura."
"PAURA!!! E di chi, di te?"
"No, appunto, non di me. Di me assolutamente no. Di Shun, piuttosto,
di quello che avrebbe pensato se avesse saputo cosa provi davvero per
lui. Non è il mio giudizio che temevi e nemmeno quello del mondo
intero. Ma di Shun ti importava, vero? Non avresti mai sopportato che
potesse giudicarti un mostro."
"Sta' zitta!!! Sta' zitta.. cagna schifosa.. sta' zitta."
Entrambe le mie mani la afferrano e cominciano a scuoterla con
violenza. Sento la carne morbida delle sue spalle gracili e il suo
corpo che non oppone la minima resistenza. È Atena, ma è anche una
fragile ragazza.
La spingo con forza e lei cade riversa sulla sabbia.
Bene! Alla fine l'ho fatto. Ho alzato le mani sulla dea della
giustizia. E questo segna definitivamente la fine della mia breve
carriera di Saint di Atena.
Rimango immobile a guardarla, l'ira è scivolata via ed è rimasto solo
un senso di disgusto. Ma non chiederò scusa, non l'aiuterò nemmeno a
rialzarsi. Non sono il tipo da lacrime di coccodrillo.
Lei si toglie i capelli dal viso e si alza in piedi tranquillamente,
scuotendosi la sabbia dal vestito.
"Va bene," dice, "ammetto di aver esagerato." Rimango
a fissarla come
un allocco.
"Comunque, credo che il messaggio sia arrivato lo stesso, non è
vero, Ikki?"
Distolgo lo sguardo dal suo viso e lo fisso su un punto imprecisato,
dietro di lei.
"Se solo avessi voluto, avrei potuto avere Shun in qualsiasi
momento," mormoro.
"Sarebbe stata un gran vittoria davvero," risponde con calma
ironica, "Tu sei sempre stato l'unico centro intorno a cui ruotava la
sua vita. Padre, madre, fratello, amico. Se solo avessi voluto,
avresti potuto possedere un bambino privo di volontà e trasformarlo
definitivamente in una appendice da manovrare a tuo piacimento."
Tace per un attimo, quando parla di nuovo la sua voce ha una nota di
dolcezza.
"Fortunatamente il tuo affetto per lui ti ha impedito di macchiarti
di una simile bassezza."
La guardo in viso, stupito. Lei ora sta sorridendo serena.
"Lo sai perché la mia fiducia in te sarà sempre incrollabile, Ikki?,"
sussurra così piano che faccio fatica a sentirla, "Perché qualunque
cosa possa accadere, lo so che troverai sempre dentro di te il modo
di prendere la decisione necessaria. Al di là di ogni scusa e di ogni
sofisma.."
"Ma tu lo capisci che io lo amo," sbotto senza riuscire più a
trattenermi, "E questo non è un sofisma."
"Questo è l'origine di ogni sofisma," dice lei e un'ombra di
tristezza si disegna sul suo volto delicato.
Va bene, basta così. Mi sento esausto e sconfitto, lascio che la
stanchezza mi piombi addosso, senza più tentare di contrastarla. Mi
siedo sulla sabbia, abbracciandomi le ginocchia contro il petto.
"Dimmi cosa vuoi che faccia?"
"Lo sai. Devi sconfiggerlo al più presto e dovrai farlo da
solo."
Sento la sua mano sulla mia spalla, vorrei scostarmi, ma lascio che
quel contatto fisico mi conforti un po', almeno per una volta.
"Cosa ne sarà di Shun?" chiedo, "intendo.. insomma.. lo
sai a chi mi
riferisco."
Lei annuisce e sorride con una dolcezza immensa.
"Vivrà il suo destino, come te e come me. Come tutti.. soltanto il
suo destino.."
sussurra e le sue parole sembrano correre leggere sul vento. #
["Shun, svegliati," seduto sul ciglio della strada, bagnato fino
alle
ossa, sto cercando di farlo rinvenire, scuotendolo piano.
La moto è riversa per terra, ma tutto sommato sembra in buone
condizioni.
Lui batte le ciglia una o due volte e poi apre gli occhi..
"Ikki.. Ikki? Ma cosa è successo?"
"Abbiamo avuto un incidente con la moto, ho paura che tu abbia
battuto la testa. Non fare movimenti bruschi. Hai male da qualche
parte?"
Il suo volto si tende in una smorfia. "Chiedimi se c'è qualche parte
che non mi fa male, almeno facciamo prima," dice tra i denti.
"Ce la fai a rimetterti in piedi?"
"Se ce l'hai fatta tu, posso farcela anch'io," mi risponde,
sforzandosi di sorridere.
Lo aiuto a sollevarsi e lo faccio sedere sul guardrail. Poi sollevo la
moto e la metto sulla carreggiata. È una fortuna che questa strada sia
tanto poco frequentata, se avessimo preso l'autostrada a quest'ora ci
avrebbero arrotato mille volte.
"Dove andiamo?" mi chiede Shun stupito, notando la direzione
della moto.
"Torniamo indietro," dico montando sopra e cercando di accendere
il motore.
Lui mi raggiunge e si ferma accanto a me.
"Indietro? Come indietro?"
Lo guardo in viso, nei suoi occhi spalancati per lo stupore, ma sono
costretto a distogliere lo sguardo.
"Indietro a combattere," dico, dando gas al motore e fingendo di
interessarmi alla ruota, "Non possiamo darla vinta a quello stronzo
di Arles, proprio non sarebbe onorevole."
Lui mi guarda per un paio di secondi, completamente disorientato, poi
senza dire una parola si mette il casco e monta dietro di me.
Accelero a fondo e in un attimo la strada bagnata di pioggia scorre veloce
sotto le ruote nere.]
Fine V parte.
* Si tratta di un racconto cinese, mi pare, che ho letto tanto tempo fa e
che non riesco più a rintracciare. Spero di essermelo ricordato bene,
comunque se non è proprio letterale, il senso è quello. SOS, se qualcuno
sa di cosa si tratta e dove potrei reperirlo me lo dica, per piacere,
vorrei tanto rileggerlo.
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