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Fanfic/serie/Slam Dunk/Ruhana parte I di Mel
Il tocco leggero della palla sul legno, passi e movimenti veloci. Grida, un sussurro. “Do’hao” “Kitsune maledetta” Era tutto come sempre a Kanagawa. L’ allenamento si protrasse un po’ più del solito, come d’ obbligo in quel periodo precedente al campionato. Quando si ritirarono negli spogliatoi Sakuragi, nonostante la stanchezza, fu rapidissimo nel cambiarsi e nell’ uscire dopo aver velocemente dato un accenno di saluto al gruppo. Uscendo finalmente dalla palestra gli altri notarono Mito che attendeva sotto un albero, appoggiato al tronco. Il ragazzo moro, non scorgendo la sua testa rossa amica, fermò il gruppetto chiedendo notizie. “Se cerchi Sakuragi è già andato via” rispose Miyagi “Ah…..capisco…..” L’ espressione di Mito era pensierosa. “E’ successo qualcosa?” domandò Kogure guardando il ragazzo moro negli occhi “No…..niente…” Ma la sua espressione seria e il suo sguardo ancora preoccupato e vagante di certo facevano supporre tutto il contrario. Nei pochi giorni seguenti la presenza di Mito fuori dalla palestra era una costante e l’ attenzione della squadra si concentrò su Sakuragi, ma niente sembrava diverso dal solito… giocava male come al solito, si distraeva come al solito, litigava con Rukawa come al solito, si autoproclamava il tensai mondiale come al solito, era pieno di lividi non come al solito, ma era un aspetto piuttosto trascurabile considerando il soggetto………erano più o meno i soliti particolari eppure qualcosa che non si coglieva di fondo era diverso.
“Akagi?” “Dimmi Kogure….” rispose il capitano senza guardarlo, continuando a fissare il gioco dal fondo campo “Ecco….pensavo a Sakuragi…..” “Si …capisco” “Il suo atteggiamento non è cambiato – continuò Kogure osservando la testa rossa litigare con la volpe – però tante cose…..non so……anche tutti quei lividi, tutti i giorni ed ora ogni volta che litiga con Rukawa non arriva più alle mani……non so davvero” “Si capisco il tuo punto di vista…ma forse ci stiamo ostinando a voler vedere delle diversità ….forse ci stiamo lasciando suggestionare dal comportamento di Mito” “Mi auguro sia così……” rispose Kogure sistemandosi gli occhiali “Comunque – disse Akagi voltandosi finalmente verso il suo compagno – per lui e per la squadra è meglio continuare a stare attenti” Kogure annuì serio mentre, a poca distanza da loro, Ayako ascoltava in silenzio guardando l’ oggetto della loro discussione. A fine allenamento Mito si decise ad entrare in palestra scusandosi e chiedendo il permesso di parlare con Sakuragi. Il rossino si avvicinò sorridendo, apostrofandolo radioso. “Ehilà Yohei” I due cominciarono a parlare, ma a Kogure ed Ayako non sfuggì l’ ombra di apprensione che ancora velava il viso solitamente tranquillo dell’ amico di Sakuragi. Improvvisamente, mentre si stavano dirigendo tutti verso gli spogliatoi il tono di voce di Sakuragi si alzò facendoli girare. “Yohei!!BASTA! Te l’ ho già detto, ora devo andare” Sakuragi fece per andarsene poi si fermò tornando con un passo vicino all’ amico e gli disse qualche altra parola, con più calma, fino a lasciarlo con un sorriso da “tensai. Mito gli rispose alzando una mano in un cenno mesto di saluto e lo vide raggiungere i suoi compagni. Nello spogliatoio nessuno chiese niente e Sakuragi presa la sua roba stava per andarsene in fretta e furia senza neanche farsi la doccia, ma mentre varcava la soglia la voce di Akagi lo richiamò. “Sakuragi c’ è qualche problema ?” “No Gori, perché?” “No …ecco..” Sakuragi notò di avere su di sé gli sguardi di tutta la squadra. “Beh, se è per la scenata con Yohei non temere è semplicemente una questione di bande, ci hanno sfidato, ma io non ho intenzione di accettare, non posso far rischiare alla squadra l’ ammissione ai campionati, ehehehe sono pur sempre il genio del basket no?” Rise ancora, poco convinto e poco convincente. Akagi annuì “Bene” Sakuragi uscì velocemente, Rukawa fissò un secondo ancora la porta poi si diresse alla doccia, gli altri lo imitarono ben presto e Kogure passando accanto ad Akagi sussurrò sospirando. “E’ una buona scusa” Akagi annuì gravemente.
Sakuragi correva per la strada.
‘Dannazione…stavolta ho quasi esagerato anche con Yohei, poverino, era solo preoccupato…ma io non posso …… e poi ………… quella bugia ai ragazzi ….quanto mi odio per averlo fatto…..detesto queste cose …eppure non posso …non posso proprio….’
Passò qualche altro giorno, Yohei non si presentò più dopo quella scena e Sakuragi sembrava quasi fuggire alla fine di ogni allenamento. I lividi aumentavano ogni giorno e anche il pallore sul suo volto. Akagi aveva organizzato una partita di allenamento: due squadre, terzo anno contro secondo e primo, Akagi, Kogure, Mitsui contro Sakuragi, Rukawa, Miyagi.
Play game.
Rukawa riuscì ad intercettare il passaggio che Kogure stava facendo a Mitsui, per fargli piazzare un tiro da tre dopo che Akagi aveva vinto la palla a due, segnando il primo canestro, come sempre era al massimo, dette uno sguardo ai suoi compagni, ma indugiò un attimo in più su Sakuragi, il rossino già ansimava eppure avevano appena cominciato. La partita proseguì. Sakuragi era veramente diverso dal solito, molto più lento e meno potente, il respiro effettivamente ansante e il sudore che scivolava, insolitamente copioso, su quei segni bluastri sulle sue braccia, sulla schiena, sul collo. Kogure lo seguì un po’ con lo sguardo. “Ehi, scimmia rossa, vedi di muoverti, stiamo facendo tutto da soli” protestò a gran voce Miyagi Sakuragi rispose gridando che bastava la sua presenza per farli vincere poiché era un genio e ricevuto un passaggio proprio dal playmaker provò un tiro a distanza. Saltò, anche se sentiva di non averne la forza e seguì la traiettoria sorridendo mentre la palla entrava. “Sono un genio” si sussurrò Ricadde ed improvvisamente sentì il mondo scivolare via dai suoi sensi. Rukawa alle sue spalle si sentì urtare da qualcosa e si voltò di scatto mentre Sakuragi si accasciava su di lui perdendo conoscenza. D’ istinto lo afferrò al volo posandolo poi a terra. Il gioco si interruppe mentre Ayako accorreva insieme agli altri. “E’ svenuto” constatò Kogure Gli altri si avvicinarono al corpo immobile del loro compagno, un corpo difficile da vedere così fermo, solo il torace che si alzava e abbassava li rassicurava sulle sue condizioni. “Mi sembrava strano oggi….” disse Miyagi Kogure scosse la testa attirando l’ attenzione dei suoi amici. “Non è solo oggi…..” affermò tristemente “Parli di tutti questi lividi?” chiese il playmaker “Anche….” rispose lui “Ayako, quali sono le sue condizioni?” domandò Akagi Ayako aveva passato una mano sulla fronte del ragazzo steso sul legno della palestra. “Non ha la febbre …..non capisco! Stanchezza forse….” “Ayako …. – continuò il capitano – alzagli la maglietta” Sollevarono tutti lo sguardo su Akagi, come in attesa, ma senza dire una parola Ayako eseguì tirando delicatamente su la stoffa leggera. Le mani di Ayako scoprirono il bel corpo del ragazzo. “Kami sama che gli è successo?” gridò Mitsui “E’ pieno di lividi, graffi e tagli …e quest’ ematoma così esteso sul fianco….” osservò Kogure Rukawa fece scorrere il suo sguardo profondo su quel corpo fino alla testa vicina alle sue ginocchia, l’ espressione su quel volto di solito così allegro e sicuro era rilassata, ma non serena. Vedere quel viso senza più neanche l’ ombra di un sorriso. Non sembrava il suo. Non sembrava il do’hao, pensò il numero undici in silenzio.
“Ayako, occupati di lui, quando si riprende chiederemo spiegazioni”ordinò il capitano
Il gioco riprese silenziosamente mentre a bordo campo la bella manager si prendeva cura di Sakuragi. Ognuno rifletteva nel silenzio della propria concentrazione.
Rukawa sospirò in un soffio, mentre seguiva il suo perfetto tiro da tre con occhi distanti. Aveva da molto tempo l’ impressione che qualcosa non andasse. Lui poteva considerarsi spesso ‘vicino’ al ragazzo dai capelli rossi, non nel senso normale del termine ovviamente, ma abbastanza vicino da accorgersi di ogni piccolo cambiamento. In quell’ ultimo periodo le loro risse si erano pian piano modificate. Sakuragi si limitava, nella forza e nel numero di litigi, rimaneva in silenzio molto più del solito e per il ragazzo dai capelli neri, più abituato a sentire che a parlare era stato immediato l’ accorgersene. I suoi pugni ormai erano quasi blande carezze innocue e se prima si era convinto che lo facesse perché per entrambi non era che un gioco, ora si stava lentamente convincendo che non era la volontà a far mancare la forza a quei colpi, ma la completa assenza di energia. Quelli non erano più i pugni del do’hao. Da un po’ di tempo, da troppo forse. Entrambi, come da tacito accordo, non usavano mai tutta la propria forza e neanche lui vi era mai stato costretto, eppure aveva avvertito ormai qualcosa di diverso, qualcosa che aveva uno strano nome se associata a quell’ uragano dagli occhi nocciola. Debolezza.
Il ragazzo dai capelli neri si accorse con uno sbuffo di non riuscire a concentrarsi e si scoprì a lanciare un paio di occhiate furtive su quel corpo steso poco lontano. Sentiva una strana ed indefinita agitazione. Possibile che si preoccupasse? Lui?
Mentre la partita volgeva al termine Sakuragi aprì lentamente gli occhi incontrando quelli grandi della ragazza mora.
“Akagi”chiamò lei ad alta voce senza aggiungere altro
Tutti i giocatori si girarono verso di loro, avvicinandosi poi velocemente.
Sakuragi tentò di tirarsi a sedere puntando un gomito sul legno lucido. Improvvisamente si accorse di avere la maglia sollevata e con uno scatto allarmato la riportò a coprire la pelle livida.
“Che cosa ti è successo?” si sentì subito domandare
Alzò lo sguardo davanti a sé e li vide. I suoi compagni, la sua squadra. Si ritrovava ora con tutti quei visi attenti e preoccupati intorno. Abbozzò un sorriso, facendo appello a tutta la sua volontà.
“Niente, non temete”
Sentiva gli occhi lucidi, voleva scoppiare piangere, ma non se lo sarebbe mai permesso. Mai.
“Do’hao”sentì da lontano
Rukawa era rimasto al centro della palestra a palleggiare silenziosamente, rivolto verso di lui.
Hanamichi sorrise. Stranamente quella parola lo fece sentire meglio, più forte, più determinato. Doveva comunque rispondere.
“Baka kitsune”sussurrò
Ed era come dire ‘Sto bene…tutto a posto, come sempre’
Ma Kogure insisté senza perdere altro tempo. “Insomma Sakuragi, cosa ti è successo?”
Hanamichi riportò su di loro la propria attenzione.
“Ah…ricordate quella banda che aveva osato sfidare me ed il guntai?Beh alla fine sono venuti loro da noi e …per difenderci ……penso abbiate capito, sono visibili anche i segni………….. – aggiunse volutamente poi proseguì –…..mi dispiace Akagi ...non succederà più……”
Il capitano sbuffò esasperato. “D’ accordo – disse – …ma non dovevi venire ad allenarti come se nulla fosse, ora prendi la tua roba e vai a riposarti a casa……….”
Quell’ ultima frase….. ‘vai a riposare a casa’……….. …oh si, avrebbe riposato lì…..
Alzandosi Hanamichi sorrise ironico con sé stesso poi autoproclamandosi tensai della ripresa andò negli spogliatoi.
Pochi istanti dopo Sakuragi li salutò, uscendo dopo aver gentilmente rifiutato di essere accompagnato.
In strada si ritrovò con gli occhi lucidi e le labbra strette per la rabbia. Pensava. ‘Maledizione!Perché diavolo sono svenuto, dovevo resistere……ora sanno dei lividi, avevo la maglia sollevata quando mi sono svegliato……mi sono dovuto rifare alla scusa dell’altro giorno…..ma non potrò continuare così……………….oramai ho promesso al capitano di non lasciarmi coinvolgere in altre risse….eppure domani avrò ancora questi lividi……….se non di più…………per non creare problemi cosa posso fare? Potrei solo lasciare il club …………….. NO..NO…….kami …..non voglio nemmeno pensarci ………………ma non posso fare diversamente………….’
La tristezza cominciava ad avvolgerlo, come ogni singola volta in cui cominciava a trascinarsi su per le scale del condominio. Pochi passi ancora fino a casa sua.
E Hanamichi non aveva mai neanche immaginato quanto fosse pesante portarla addosso per ognuno di quei maledetti gradini. Troppo forse per un semplice sedicenne dagli occhi limpidi.
In palestra ormai stavano per chiudere ed allontanarsi quando alcuni di loro scorsero Mito fissarli di sfuggita.
Kogure lo seguì con lo sguardo. “Ragazzi ………io ….”
Rukawa si allontanò, non voleva tollerare oltre quei discorsi vani ed inutili. Le parole non erano certo state create per lui. Ayako lo richiamò con fermezza, riteneva che avessero bisogno di prendere una decisione tutti insieme. Ma il ragazzo dagli occhi azzurri si girò lentamente senza avvicinarsi e con voce bassa e profonda osservò.
“Mito non ha lividi”
Quasi un sibilo gelido, un avvertimento che nessun altro aveva notato. Prese la propria bicicletta ed alzando una mano in segno di saluto sparì oltre il cancello.
Erano rimasti in un silenzio dagli accenti interdetti. Non solo perché quel ragazzo così silenzioso aveva parlato, ma più semplicemente per quello che aveva detto.
Perché era la verità.
“Cazzo, è vero!!”esclamò Miyagi “Già…..Mito non sembra affatto uscito da una rissa”confermò Mitsui con una nota di orgogliosa esperienza
“Forse non le ha prese come Hanamichi”provò il playmaker
Ayako scosse la testa. “Pensi che il capo dell’ armata Sakuragi ne prenda più degli altri?”
“Hai ragione” annuì teso Ryota
Il capitano interruppe ogni altro commento.
“E’ chiaro che Sakuragi deve averci mentito……ma se lo ha fatto deve esserci di certo un motivo……..ma non sta a noi indagare sulla sua vita………”
Sguardi delusi sfiorarono quello deciso di Akagi, ma il ragazzo proseguì incurante.
“Certo….a meno che questo non comprometta l’ unità della squadra…………..e mi sembra di capire che sia così, no?”
I giovani giocatori annuirono soddisfatti.
Un’ ultima frase chiuse la discussione. “Domani vedremo, ora tutti a casa”
Sul divano di casa sua Rukawa ascoltava il silenzio. Aveva già tratto tutte le sue considerazioni dall’ osservazione dell’ amico di quel do’hao ed ora si chiedeva solo perché non smetteva di pensarci…..di pensare a lui…a quei lividi………….forse era il silenzio ………silenzio come quello che aveva accompagnato la fine dell’ allenamento quel giorno in palestra, senza quel do’hao rumoroso, dopo che si era sentito male…..quello fu il suo ultimo pensiero prima di assopirsi…………….
Un pensiero dominato dal silenzio.
Il giorno seguente Sakuragi si presentò agli allenamenti. Ayako e Kogure non erano d’ accordo su quella scelta, era passato troppo poco tempo, sarebbe potuto essere da imprudenti. Ma il ragazzo dai capelli rossi insisté, molto più del solito.
Hanamichi voleva giocare. Se lo ripeteva mille volte in un istante. Voleva il fuoco di quello sport dentro di sé, forse per l’ ultima volta.
Si era rigirato nel letto tutta la notte per trovare una soluzione che unisse tutti i pezzi di quello che rimaneva della sua vita. Ma non l’ aveva trovata. Ed ora, anche se il suo corpo non rispondeva che a patto di numerose fitte, voleva giocare. Sentire il sudore dei suoi sforzi scorrere sulla pelle. Sentire le grida d’ incoraggiamento. Sentire la consistente ruvidezza di quella palla arancione fra le dita. Sentirsi vivo e forse davvero per l’ ultima volta.
Voleva giocare a tutti i costi.
Il suo sguardo serio e profondo li convinse, poco, ma li convinse ed entrando in campo quello stesso sguardo color miele sfiorò per un istante quello intenso di Rukawa.
In quell’ allenamento sembrò tornare tutto come sempre. Le proclamazioni di genialità, le risate, le battute.
Tutto esattamente come prima. Come sempre.
Fino a che un bussare discreto alla porta non interruppe ogni serenità.
Akagi si fece avanti mentre un signore distinto in giacca e cravatta avanzava cautamente verso di loro. Tutti si immobilizzarono regalando la loro attenzione al nuovo arrivato.
Ma Rukawa e Mitsui, vicini sul campo a Sakuragi, si lasciarono attirare dall’ innaturale irrigidimento di quel corpo, risalendo dalle mani contratte alla gola obbligata a deglutire a vuoto fino agli occhi, nei quali si accesero, come un incendio che divampa nel buio più profondo della notte, miliardi di strali infuocate dal colore dei mattoni caldi al tramonto.
Parlando a voce appena udibile il distinto sconosciuto si presentò come un assistente sociale e chiese educatamente di poter conferire un attimo con uno di loro.
“Chi desidera?”chiese gentilmente Akagi
“Sakuragi, Hanamichi Sakuragi”rispose senza incertezza alcuna l’ uomo
Mentre Akagi si voltava per richiamare il proprio giocatore sentì al suo fianco una presenza rigida e silenziosa. Sakuragi era già lì, immobile, gli occhi fissi in quelli più piccoli dell’ uomo.
Congedandosi dal suo capitano il ragazzo dai capelli rossi si allontanò di qualche passò con l’ assistente sociale.
“Forza, riprendiamo l’ allenamento”gridò Akagi
Il gioco riprese, ma nessuno poté fare a meno di lanciare ogni tanto qualche sguardo in direzione del loro compagno. La loro già scarsa attenzione fu definitivamente interrotta quando udirono la voce di Sakuragi alzarsi pericolosamente di tono.
“NO!Ho detto di no!”
L’ assistente sociale cercò di calmarlo con qualche parola mentre pezzi di una discussione confusa risuonavano bassi negli angoli della palestra.
“No, non lo farò mai, ve l’ ho già detto”
“Non puoi continuare così, lo sai………il tuo futuro………non ci pensi?”
“Si, ma non è questo il punto, ho detto di no e la mia parola è una sola”
“E’ meglio se ti prendi un altro po’ di tempo per pensarci…..”disse pacatamente l’ uomo
Sakuragi lo colpì con uno sguardo di puro fuoco e scosse la testa. “La mia risposta definitiva è no, fate già abbastanza e vi ringrazio, ma adesso ho da fare, arrivederci”
L’ assistente sociale scosse la testa tristemente, riflettendo con l’ asta dorata degli occhiali la luce artificiale dei neon della palestra mentre Sakuragi si allontanava. Salutata cortesemente la squadra l’ uomo si congedò.
Questa volta Akagi si fece subito avanti.
“Insomma Sakuragi si può sapere cosa sta succedendo?”
Senza guardarlo il ragazzo dai capelli rossi rispose. “Niente, ho solo qualche problema di poco conto”
In un istante si rese conto del silenzio che, veloce come le nubi di un temporale estivo, era sceso fra i suoi compagni. Disperatamente si sforzò di ritrovare il tono di sempre.
“Ovviamente niente che un tensai come me non possa risolvere ah ah ah”
Quella risata forzata non migliorò né la situazione né il suo umore. Così vuota e priva di vita tanto che Rukawa si girò odiandolo per avergliela fatta udire.
“Possiamo fare qualcosa?”tentò ugualmente Kogure
“Non temere, non è niente di grave e poi io sono il genio, ricordalo megane-kun ed ora ad allenarsi, abbiamo un campionato e dobbiamo vincerlo”
La fine dell’ allenamento giunse lenta e tranquilla, senza altre sorprese, si diressero tutti negli spogliatoi e mentre Hanamichi ne apriva la porta per tornare a casa udì il suono ritmico della palla sul parquet. C’ era ancora qualcuno in palestra. Si affacciò velocemente. Intravide la maglia rossa ed i capelli neri.
Rukawa.
Era vero. Di solito quella kitsune si fermava dopo la sessione normale per continuare da solo e si faceva lasciare dalla manager le chiavi per chiudere la porta.
Un pensiero velocissimo si stagliò nitido, sembrava essersi scritto da solo su quel pavimento lucido che ora Hanamichi fissava con occhi sorpresi.
La palestra…………le chiavi………..solo……
Si!Kami, si!Poteva essere la soluzione. La sua soluzione.
Ringraziò con un basso sussurrò quella volpe solitaria e corse a casa.
Il giorno seguente Hanamichi si diresse nella classe di Akagi. Il capitano lo accolse con una lieve nota di sorpresa.
Sakuragi si sedé al banco davanti al suo e chiese gentilmente il permesso di poter rimanere, in quelle sere sempre più vicine all’ inizio del campionato, in palestra ad allenarsi più del solito per affinare le tecniche apprese.
Il capitano non si risolse ad accettare subito. Avrebbe fatto bene a lasciare Sakuragi e Rukawa insieme? Poteva fidarsi di quel ragazzo che sembrava nascondere qualcosa?
Alla fine lo sguardo serio di Hanamichi e le sue promesse di fiducia lo convinsero.
Così dopo ogni allenamento il ragazzo dai capelli rossi si tratteneva fino a tardi, senza disturbare.
Quello che nessuno sapeva era che dopo quegli allenamenti supplementari, quando anche Rukawa era tornato a casa, in palestra venivano spente le luci e chiusa la porta. Ma nessuno usciva, nessuno si allontanava dall’ edificio.
Hanamichi rimaneva lì. Della piccola stanza degli attrezzi aveva fatto la sua camera. Aveva i materassini da ginnastica come letto, il cavallo ginnico come appendiabiti, gli step come mensole. Aveva portato lì un po’ della sua roba. Qualche libro e qualche rivista.
Ora lui viveva lì. Nella sua palestra.
La mattina si svegliava prestissimo, si concedeva una doccia calda negli spogliatoi e poi iniziava ad allenarsi dopo aver aperto la porta. Mangiava a scuola e comprava alla mensa anche la propria cena. Nei fine settimana si impegnava come poteva per lavorare in qualche bar e mettere da parte i soldi, le altre sere si dedicava allo studio o alla lettura.
Non aveva certo risolto tutti i suoi problemi, ma si sentiva più tranquillo, poteva riposare e conservare le forze, in attesa di qualcosa, qualunque cosa che segnasse la fine di quell’ agonia indescrivibilmente lunga.
Il capitano e la manager si dissero contenti dei suoi sforzi sportivi, della sua dedizione, il suo gioco era migliorato e le sue promesse si erano rivelate fondate e affidabili. L’ unico disturbato dal rinnovato impegno del do’hao fu Rukawa. Da troppe sere costretto a dividere il suo ambiente naturale, la palestra, con quel ragazzo confusionario, decise di cercarsi un campetto privato vicino casa.
Nei pochi giorni seguenti nuovamente tutto sembrò essere tornato come sempre. Le risate di Hanamichi sembravano più vere, la sua allegria faceva bene alla squadra ed i suoi allenamenti davano risultati. Più nessuno era tornato ad interromperli ed i lividi sul suo bel corpo dorato cominciavano già a sparire senza che ne comparissero di nuovi.
Era tutto immobile, perfetto. Ma non di quell’ immobilità serena, che conclude un ciclo di eventi. Un’ immobilità malata. Imposta. Uno scendere dalle giostre. Per prendere respiro e raccogliere le forze.
Perché si sentiva nell’ aria di quella palestra che qualcosa era come stato lasciato in sospeso.
All’ orizzonte si preparavano nuovi eventi.
Una sera la pioggia cominciò a scendere fine, inondando in breve le strade ed i parchi. Osservando irritato quelle strali d’ acqua fredda oltre la soglia il ragazzo dai capelli neri rientrò in palestra, rassegnato ormai a dividere il resto del suo allenamento con il do’hao. Si allenarono fino a tardi, tra le solite risse e gli insulti di sempre, fra gli one on one dai risultati scontati ed il rumore incessante della pioggia.
Ritenendosi soddisfatto il ragazzo dagli occhi chiari decise di tornare finalmente a casa mentre Sakuragi gli gridava da lontano che non sarebbe stato da meno di lui e che essendo un genio avrebbe fatto più tiri dei suoi per superarlo almeno in quello e solo dopo sarebbe andato via.
Mentre Rukawa si allontanava la luce della palestra era ancora accesa ed illuminava la fitta oscurità circostante con raggi fusiformi che fuggivano dalle ampie vetrate. Ma giunto al cancello l’ asso dello Shohoku sbuffò indispettito. Doveva tornare indietro. Stanco per l’ allenamento aveva lasciato negli spogliatoi la cartella, non che fosse un oggetto importante, ma aveva bisogno delle chiavi se voleva tornare a casa. Non poteva certo sperare che qualcuno gli aprisse. Da tempo ormai quello era un compito esclusivamente suo. E ad accoglierlo oramai pensava sempre e solo il vuoto silenzioso di una casa disabitata.
Si girò e tornò indietro lentamente, controvoglia, stanco ed assonnato. E doveva anche sbrigarsi, perché se il do’hao era andato via lui sarebbe rimasto fuori di casa e le nubi scure che lo sovrastavano non auguravano certo una notte limpida e serena.
Da lontano osservò le vetrate rese chiare dai neon poi, improvvisamente, la luce si spense. Si estinse. Affrettò il passo, ma non vide nessuno uscire. Lentamente posò una mano sulla porta e la spinse per aprirla.
Il silenzio, perfetto e totale , si interrompeva solo per lasciarsi scandire gli attimi dal gocciolare lento delle fronde bagnate verso le pozze scure.
Rukawa avanzò di un passo nell’ oscurità. Le luci dei lampioni non raggiungevano l’interno della palestra ed il ragazzo dai capelli neri si scontrò contro qualcosa.
“Ma che cavolo……”
Era la voce di quel….
“Do’hao”mormorò Rukawa alzandosi nella penombra della soglia Il numero undici fece appena in tempo a scorgere una tenue luce sulla sinistra che le enormi luci al neon si accesero.
Sakuragi immobile davanti a lui lo fissava, sorpreso.
“R-Rukawa?Che diavolo ci fai ancora qui?”
Gli occhi profondi ed azzurri di quel ragazzo si soffermarono seri e freddi sul compagno di fronte a sé.
Sakuragi indossava una semplice canottiera bianca e stretta ed i pantaloni bassi di una tuta nera, lunghi fino alle punte dei piedi scalzi.
Nel silenzio una sola affermazione.
“Ho dimenticato la cartella negli spogliatoi”
Mentre il ragazzo moro vi si dirigeva velocemente Sakuragi si fece da parte, visibilmente imbarazzato.
I pensieri corsero a velocità folle nella sua mente.
‘Maledizione non ci voleva proprio, ora la kitsune sospetterà di certo qualcosa ..che devo fare?Forse dovrei dirglielo…..no…meglio di no, già mi odia, lo riferirà certamente al capitano ed io non saprò più dove andare……….è meglio inventarsi qualche buona scusa…….si, ma chi credo di ingannare, la volpe non è stupida………kami, cosa devo fare…………per prima cosa chiudiamo lo stanzino, si vede tutto………bene…….merda, è già tornato………………’
Il silenzio si fece subito pesante. Uscito dalla spogliatoio Rukawa si diresse verso la porta, ma si fermò, osservandosi attentamente intorno e lasciando scivolare infine gli occhi profondi sulla figura tesa ed immobile di Sakuragi.
“H-Hai….trovato quello che cercavi?”chiese il ragazzo dai capelli rossi inciampando nelle parole ‘Che imbecille sono, che domanda scema, così non va sono agitatissimo’
“Si e tu cosa fai ancora qui”
‘Maledettissima kitsune di solito se ne frega degli altri ed ora se ne esce con queste domande’ “Stavo per tornare a casa”
“Vestito così?”rispose gelido Rukawa
‘Fatti gli affari tuoi…se volessi prendermi una polmonite?’ “Stavo finendo di vestirmi”
“Al buio?”
‘Dannatissimo volpino pulcioso’ “Mentre mi stavo vestendo è andata via, ho sentito un rumore alla porta e sono venuto a controllare e ad accendere l’ interruttore”
“Hn”
‘Contenta ora, baka kitsune?’
Attorno non si sentiva alcun rumore, neanche un lieve suono.
“Beh..io….io finisco di vestirmi….ci vediamo” concluse Sakuragi voltandosi per raggiungere gli spogliatoi
Era dispiaciuto, non avrebbe mai voluto mentire così spudoratamente, soprattutto alla volpe, a Rukawa, erano rivali ed era vero, ma si erano sempre detti tutto con sincerità, finendo a fare rissa, certo, ma con senza falsi complimenti o menzogne. Ma non aveva avuto altra scelta. L’ opportunità che si era conquistato era la sua unica salvezza e la sua sola soluzione. Non poteva perderla.
I suoi piedi scalzi non fecero rumore sul parquet lucido mentre dava le spalle al suo compagno e se ne andava per fingere di vestirsi.
All’ improvviso, nel silenzio completo di quella sera di fitta pioggia la mano di Rukawa afferrò Sakuragi per un braccio. Il ragazzo dai capelli rossi si voltò di scatto, sorpreso.
Una sola frase, nel mare infinito di quei suoni di sola pioggia.
“La palestra non è un appartamento”
Hanamichi sgranò i suoi occhi caldi un istante solo poi la sua espressione seria ricomparve mentre si strattonava dalla presa di Rukawa. Negare sarebbe stato inutile e sciocco.
“Io…io non posso fare diversamente”mormorò
Il ragazzo moro rimase in silenzio, Sakuragi si strinse le braccia al petto.
“Per quanto sia improbabile, ti chiedo di non dirlo a nessuno ……io non saprei che fare se dovessi andare via da qui……”
Occhi color miele si alzarono per incontrare in cerca di promesse e conferme occhi color tempesta. Si fissarono a lungo.
“Per favore – chiese Hanamichi scandendo quelle parole pesanti – non dirlo a nessuno”
Rukawa scrollò le spalle. “Non puoi vivere qui….”disse semplicemente
Sakuragi non attese altre parole e lo interruppe.
“Lo so, ma ti ho già detto che non esiste altra soluzione………..i soldi che ho non bastano per pagare un affitto…….sarò costretto a lasciare la squadra……”
Quella frase sembrò avere l’ effetto di fermare il tempo negli occhi blu di Kaede. ………….. ‘lasciare la squadra’…………… Silenzio.
“Rukawa te lo chiedo di nuovo….per..”
“Puoi venire a vivere da me”
Una proposta gelida e bassa. Passarono letteralmente alcuni minuti. Nessun suono, il respiro bloccato, gli occhi spalancati dalla sorpresa e dall’ incredulità di quella frase scioccante.
“R-R.Ru..ka..wa….ma.a stai……b-bene?”
Il volpino lo fissò gelido ed incurante
“M..ma ..co..me.cos.a…tu….”
“Hai finito, do’hao?”
“M-Ma tu non …mi sopporti …non facciamo che litigare…..e poi i tuoi e……gli altri e………….kami……”
“Do’hao …– sbuffò spazientito –…..io vivo praticamente solo e degli altri non mi interessa niente…..e comunque ti chiedo qualcosa in cambio…….”
Hanamichi rise, spontaneamente, senza forzature, rise davvero.
“Ah…ora ti riconosco kitsune”
Poi un pensiero gli tolse il fiato ed il sorriso. ‘Un momento conoscendo questa kitsune congelata sicuramente come minimo mi chiederà di fargli da schiavo’
La voce di Rukawa si levò chiara.
“Sarai a mia completa disposizione ….”
‘Ecco lo sapevo’
“…..per quanto riguarda gli allenamenti di basket” mormorò il ragazzo moro fissandolo negli occhi
“Eh?”
“Si – concluse Rukawa avvicinandosi alla porta – e poi ti occuperai delle faccende domestiche”
“Cosa???”
“Decidi in fretta do’hao, se no me ne vado”
Sakuragi lo fissò incredulo. Ancora non credeva possibile averlo sentito parlare così tanto e senza litigarci……ed ora si vedeva invitato a casa sua ed aveva solo pochi secondi per decidere………. Cosa doveva fare?
“E-Ehi..a.aspetta un attimo…………….io non so………che…..”
“In un caso o nell’ altro mi vedrò costretto a riferire la cosa al capitano…..”sussurrò il ragazzo dagli occhi chiari come se parlasse tra sé
Hanamichi si riscosse e avvicinandosi prese la propria decisione.
“D’ accordo accetto, ma ho anch’ io la mia condizione…….tu starai zitto e nessuno saprà niente, niente di niente, intesi?”
Rukawa lo squadrò con attenzione, soffermandosi sui suoi occhi seri e decisi. Poi schiuse le labbra e disse.
“Prendi la tua roba, veloce, io ho sonno”
Passò un solo altro attimo isolato, Sakuragi fissò la porta dalla quale la volpe era appena uscita e poi sparì nello stanzino degli attrezzi a raccogliere tutte le sue poche cose. Si vestì completamente ed uscì.
Camminavano ormai da un po’, uno accanto all’ altro, senza parlare. Kaede pensò di essere impazzito. Lui, proprio lui…….il freddo e scostante volpino….aveva fatto una proposta simile al suo dichiarato nemico, il do’hao. Ripensò a tutto quello che era successo. Se lo era trovato lì davanti, in evidente imbarazzo, vestito come se fosse appena uscito dal letto. Aveva notato lo stanzino prima ancora che quel ragazzo dai capelli di fuoco avesse avuto il tempo di chiuderlo. E poi….sentirlo inventare tutte quelle vane scuse, mentre la verità si sarebbe presentata con schiacciante evidenza anche al più stupido dei do’hao……..il suo viso espressivo aveva tradito ogni parola falsa e i suoi occhi si erano tinti di dispiacere nel dover ingannare………….. …….quel do’hao davvero non sapeva mentire….. …ma il suo sguardo era così profondamente triste e spento, come non lo era mai stato e non gli era piaciuto, non gli era piaciuto affatto….. ………e poi si erano parlati, aveva indagato e fatto quella proposta ed ora camminavano a fianco, se lo trovava accanto, stranamente silenzioso…… …già….. …che ne sarebbe stato del silenzio di casa sua adesso?
In fin dei conti non gli importava ………si diceva che il silenzio era d’ oro, vero? E non era sbagliato solo che tutti tralasciavano quanto pesante potesse essere……………esattamente come quel prezioso materiale…..a volte anche di più forse…..
Non gli importava…non gli importava affatto……..di niente …….adesso lo avrebbe avuto a casa ed almeno avrebbe potuto smettere di preoccuparsi sapendolo al sicuro.
Quell’ ultimo pensiero lo fece fermare, lì , sulla strada deserta……scioccato……..poi scuotendo la testa lo ignorò lasciandoselo scivolare addosso ed accelerò il passo fino a raggiungere una bassa villetta buia.
Rukawa aprì la porta, subito un’ ombra nera si staccò dalle altre ed invase l’ ingresso stendendosi a terra. Kaede accese la luce e con una carezza sul musetto salutò il proprio gatto.
Hanamichi si guardò intorno osservando con curiosità quell’ ambiente nuovo e ben arredato. Casualmente fissò i suoi occhi in quelli del piccolo felino ed allungata una mano fece conoscenza. Un attimo dopo si sentì chiamare dalla volpe e salì con lui al primo piano seguendolo in una stanza.
La camera era ampia e spoglia, impersonale. Una perfetta camera degli ospiti. Il gusto occidentale privilegiato ai piani inferiori non si perdeva nemmeno nelle stanze superiori ed un letto europeo, poco più piccolo di un matrimoniale, si ergeva in un angolo, senza lenzuola, sovrastato da un’ enorme finestra scura per la notte che regnava fuori. Tende di gusto classico e delicato sfioravano con le loro dita filamentose il lucido parquet caldo, un tappeto giaceva inerme ai piedi di un bel comodino, una lampada dorata vicina.
Sakuragi lasciò andare a terra la borsa. Quel rumore attirò l’ attenzione di Kaede.
“Tutto quello che ti può servire è lì nell’ armadio”mugolò tremendamente assonnato il volpino, indicando un bell’ armadio scuro
Hanamichi lo guardò sorridendo. Un bel sorriso, pensò distrattamente Rukawa.
“Hai sonno, eh? Che strano…”scherzò a voce bassa il rossino
“Do’hao”si sentì rispondere
“Buonanotte Rukawa”
“ ‘hao…‘notte”sussurrò tra due sbadigli il ragazzo moro
La mattina dopo Kaede si svegliò tardi. Si alzò lentamente…. ..era sempre un trauma per lui separarsi da quelle lenzuola calde. Scese dopo la doccia ed alzò un sopracciglio osservando la cucina. Era tutto pulito e sulla tavola apparecchiata faceva bella mostra di sé la colazione. Doveva essere stato il do’hao si disse, lo aveva preso in parola ed aveva cominciato subito…..ma dov’ era andato? Non era in casa pensò o ne avrebbe avvertito la presenza……… Era tardi. Senza domandarsi altro Kaede mangiò ed uscì.
Quella notte Hanamichi si era rigirato a lungo nel letto comodo della kitsune. Un letto vero. Pensò a come fosse finito lì.
Kami….vivere insieme alla volpe……loro due….. Rise coprendosi con il lenzuolo fin sopra il naso poi rimase a fissare l’ oscurità.
Aveva accettato. Poteva sembrare che lo avesse fatto con superficialità, in realtà aveva pensato bene alle parole ‘Io accetto’. La sua situazione non gli aveva concesso requie né altre possibilità. Ed anche se il suo stesso orgoglio si era ribellato apertamente a quell’ elemosina aveva dovuto accettare.
Continuare a vivere in palestra sarebbe stato rischioso. Rukawa avrebbe parlato. E se non lo avesse fatto lui qualcuno prima o poi lo avrebbe scoperto. E dopo sarebbe stato ancora più umiliante cercare aiuto.
Aveva fatto bene. Se lo era detto una volta in più prima di addormentarsi.
Ora rimaneva solo il sapore amaro della pietà che sicuramente aveva convinto Rukawa a quel gesto. Ma avrebbe messo le cose in chiaro. Anche con lui. Molto presto.
Durante l’ allenamento un Sakuragi rilassato ed allegro si avvicinò quasi di nascosto a Rukawa.
“Allora volpe….piaciuta la mitica colazione del tensai?”
“Hn”sbuffò lui
“E’ un si sicuro…..io sono un genio in cucina……ah ah ah ah”
“Sakuragi!!!Smettila di ridere come un pazzo ed allenati…..e tu Rukawa non lo istigare…..”richiamò il capitano
Il tempo passò veloce, come mai prima. Verso la fine della sessione il ragazzo dai capelli rossi fece per andarsene quando Rukawa lo richiamò.
“Dove pensi di andare?”
“Non so – mormorò – forse ….a casa tua?” Rise, sinceramente divertito per quell’ assurda situazione.
“Non dimenticare che sei a mia completa disposizione per il basket ed io voglio allenarmi ancora”
“Kitsune maledetta…è tardiiii……”
“Do’hao”
“Va bene, va bene”
Continuarono ancora un po’. Rukawa si faceva passare i palloni o gli chiedeva di rimanere fermo per poterlo dribblare con finte sempre nuove. In silenzio Hanamichi lo osservò. Avrebbe provato più interesse a sfidarlo in uno one on one, ma non poteva dimenticare che era a sua completa disposizione, così si limitò a guardarlo.
Poco più tardi erano in cucina, Sakuragi preparava la cena, affettando con precisione le verdure. Pensava. Quella sera doveva uscire. Doveva chiedere a Rukawa.
Seduto al tavolo Kaede diede uno sguardo al giornale poi lo gettò su una sedia e fissò i suoi occhi attenti sulla schiena del compagno. I minuti passavano lenti, pigramente. Era qualcosa che non vedeva da tanto. La schiena di qualcuno che preparava la cena per lui. Sentì l’ atmosfera di quella stanza farsi più calda, accogliente. Un ricordo quasi nostalgico lo lambì, fuggendo poi prima di venire respinto con decisione.
Una voce lo richiamò dal suo migrare fra i pensieri.
“Kitsune…”
“Hn?”
“Stasera io dovrei uscire…..ma farò piuttosto tardi…..e non posso svegliarti per farmi aprire …come possiamo fare?”
Con un gesto lento il ragazzo moro gli indicò le chiavi di casa. Significava ‘Prenditele’.
“Grazie”sussurrò il rossino porgendogli il piatto
I giorno passarono. I primi furono di rissa. Litigavano spesso, anche senza motivo, si azzuffavano nel salotto o in cucina e poi, come se nulla fosse, si alzavano ignorandosi , mangiavano insieme e si sedevano a guardare la tv.
Una settimana, volata, fra allenamenti supplementari, faccende domestiche e solitari rientri notturni. Oramai i segni dolorosi sul suo corpo e l’ espressione scura dei suoi occhi erano scomparsi senza che nemmeno lui se ne rendesse conto. Doveva così tanto a quella volpe scontrosa. Anche quella sera lui doveva uscire. Ma non per incontrare gli amici o passare la sera a vagabondare divertendosi. Lavorava. Per gli amici non aveva più tempo. Ed aveva da poco avuto la fortuna di trovare quel lavoro serale. Tutte le sue giornate erano piene d’ impegni tra la scuola, il basket e la volpe. E gli piaceva che fosse così nonostante tutto. Era un ragazzo, un giovane ragazzo ed aveva bisogno di sentirsi utile, impegnato, per poter credere di valere ancora qualcosa.
E Rukawa poi non aveva chiesto niente. Assolutamente niente. Né quando lo aveva visto perdere i sensi, né quando lo aveva scoperto in palestra, né quando lo sentiva rientrare sempre più tardi ogni sera. Niente. Quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio non faceva domande. Ma Hanamichi non si sentiva più di chiamarla indifferenza. Preferiva pensare fosse discrezione. E la apprezzava, così tanto come mai avrebbe potuto credere possibile. Era con lui, ma si sentiva libero. Libero di decidere, di pensare, di prendere quel respiro che gli serviva per chiarire i pensieri e trovare le soluzioni adatte. Usciva ogni sera, per lavorare duramente. Sorridendo con velata tristezza si diceva che la volpaccia sicuramente lo credeva fuori con Yohei e il guntai. Se solo avesse saputo da quanto più non li vedeva. Ma non si sentiva sminuito. Non doveva dimostrare niente, si sentiva tranquillo. Quel silenzio privo di domande mute e sguardi di condanna era piacevole e riposante. Era il suo silenzio. Il silenzio di quella volpe.
La volpe…. Rukawa… ….. La proposta. La convivenza. Non se lo sarebbe mai aspettato. Non ne capiva il motivo. Per quale ragione il suo compagno così appartato, solitario, riservato aveva deciso di dividere la propria quotidianità con uno come lui? E non era solo il pensiero nato dalla convinzione di essere sempre stati solo nemici…era qualcosa di più…un domandarsi profondo….. Lui…lui avrebbe davvero diviso la propria casa con Rukawa se solo la situazione fosse stata all’ opposto? Avrebbe rinunciato alle proprie abitudini, alla propria vita privata senza poi sapere nulla di certo, senza arrogarsi il diritto di chiedere niente? Non lo sapeva. Sapeva solo che quel ragazzo dagli occhi azzurri lo aveva fatto. Per lui. Poteva pensare tranquillamente che lo avesse fatto per avere qualcuno che tenesse in ordine la casa. Ma in fin dei conti una persona sola non ha mai bisogno di pulire spesso e poi il tempo trascorso in casa veniva ridotto dai lunghi allenamenti. Forse cercava qualcuno da sfidare per allenarsi. Ma anche quella come spiegazione non valeva molto. Avrebbe potuto sfidare e battere chiunque. Ne aveva tanti di validi avversari. Era dura da ammettere, ma era la verità e Hanamichi preferiva evitare di mentire persino a sé stesso. La kitsune avrebbe potuto misurarsi con molti giocatori di alto livello. Che bisogno poteva mai avere di un principiante? Non capiva e non trovava soluzioni. L’ unica valida ragione che si ripresentava con costanza alla sua mente veniva ogni volta rifiutata dal suo orgoglio. Non voleva la sua pietà. Non ne aveva bisogno. Se lui non lo avesse scoperto in palestra sarebbe potuto vivere lì senza nessun problema apparente. Aveva tutto quello che gli serviva. Non era felice certo, né tranquillo. Sempre con il pensiero che qualcuno potesse scoprire tracce del passaggio. Un libro dimenticato fuori posto, una briciola di panino, un lenzuolo o un vestito non accuratamente nascosto nella sacca sotto una cesta. Eppure poteva essere fiero di sé e vivere con un orgoglio. Se davvero avesse scoperto che era solo la mera pietà quella ragione se ne sarebbe andato. Dopo averlo picchiato. Se ne sarebbe andato davvero.
Scosse la testa. Riconobbe la familiare insegna del locale ed entrò. Ora doveva solo pensare a lavorare.
Passò un altro giorno. Hanamichi si sforzava di capire i comportamenti di quel ragazzo, ma senza risultato. Al seguente allenamento ricomparve il distinto assistente sociale. L’ uomo, con il falso sorriso cordiale stampato sul piccolo viso chiese nuovamente di poter discutere con il ragazzo dai capelli rossi. Mentre Akagi si voltava per chiamare Sakuragi dal fondo del campo arrivò proprio la sua voce. Un tono secco, arido, mortalmente serio.
“Mi dispiace, ma io non ho proprio niente da dirle…se ne vada ora…ha già disturbato abbastanza…..”
Il capitano lo richiamò, infuriato per una tale mancanza di rispetto. “Sakuragi!”
Hanamichi non si mosse di un passo,alzò gli occhi, allontanando lo sguardo fino ad incontrare la fierezza dipinta sul viso di Akagi e parlò. Una nota dura nella voce, involontariamente troppo simile al sibilo gelido che Rukawa era solito riservare agli altri.
“Non sono problemi tuoi Akagi, stanne fuori”
Non capitano. Non Gorilla.
A dimostrazione che quella frase non era uno scherzo.
Nella palestra piovve un silenzio immenso e pesante. Discretamente l’ assistente sociale si congedò e nessuno si sentì di parlare o scherzare sull’ accaduto fino a quando non si separarono per tornare tutti a casa.
La sessione supplementare con Rukawa passò nel completo silenzio. Poche parole, dette stranamente solo dal ragazzo moro, per spiegare come voleva allenarsi quella sera. Mentre i pensieri correvano a velocità folle sulle autostrade della mente.
A casa cenarono senza parlare poi Sakuragi uscì e Kaede non lo sentì rientrare.
Poche ore dopo, a scuola, tutto era tornato come sempre. Quella loro vita sembrava una spirale immensa che girava su sé stessa e cresceva, cresceva, sembrando ferma e stantia, ma avviandosi inesorabilmente alla conclusione.
Quel pomeriggio Hanamichi era tornato allegro come sempre e la volpe bruna non poté fare a meno di chiedersi quali pensieri gli riportassero alla mente le visite in palestra di quell’ uomo.
Ma la vita proseguiva, senza attendere le risposte a quelle domande. La verità, come sempre del resto, esigeva a tributo solo un po’ di tempo ancora.
Una domenica. Le domeniche a casa Rukawa erano consacrate al basket. Così Kaede, tuta e sacca sulle spalle larghe, scese con l’ intenzione di trascinare il do’hao al campetto.
Lo cercò in cucina infilando la bella testa mora oltre lo stipite, ma non lo vide. Attraverso il grande arco passò in salotto e si fermò.
Sakuragi era in terra. Alle prese con l’ aspirapolvere. Aggrovigliato nel lunghissimo cavo dell’ elettrodomestico. I fili lo circondavano attorcigliandosi come serpenti divertiti intorno alle sue membra. Infuriato il rossino tentava di districarsi, ma più si agitava più il filo si avvolgeva attorno al suo corpo.
Immobile sulla soglia della sala Kaede incurvò morbidamente le labbra deciso a non concedersi di più, ma ben presto il pensiero che così conciato quel do’hao sembrasse sul serio una scimmia rossa che litiga con delle liane lo fece completamente capitolare.
La sua voce si levò in una risata fresca e spontanea, inondando la quiete e attirando lo sguardo incredulo di Hanamichi.
Il ragazzo dagli occhi nocciola arrossì intensamente mentre alzava gli occhi ad incontrare il meraviglioso spettacolo offerto dal suo compagno.
La voce chiara, divertita, fresca, i denti candidi appena scoperti sotto le labbra tese e perfette.
I loro sguardi s’ incrociarono e ancora steso a terra Hanamichi lo vide nascondersi dietro lo stipite della porta per continuare a ridere.
Alzandosi in piedi il ragazzo dai capelli rossi si liberò di quei fili molesti e raggiunse il compagno. Lo trovò seduto sulle scale, con l’ espressione di sempre, ma col volto illuminato da due occhi che brillavano ancora divertiti.
Solo un paio di frasi. Una familiarità che cresceva ogni giorno di più.
“Sei pronto per giocare a basket?”
“Un attimo solo, non ho ancora finito in salotto e non osare ancora venire a ridere di me, baka”
Giocarono fino a sera, Kaede che lo guardava provare da solo finte che aveva imparato osservandolo, il tramonto che faceva da cornice ad un canestro.
Quella sera Sakuragi uscì senza neanche cenare.
Rukawa si rigirò nel letto, si era addormentato e poi svegliato di nuovo. Un rumore forse. Si, un rumore della notte fuori. Fissò gli occhi profondi nel soffitto pensando. Pochi istanti dopo sentì il suono di chiavi che aprivano la porta d’ ingresso. Sorrise all’ oscurità. Gli era venuta in mente una sciocchezza. Quanto tempo era passato dall’ ultima volta che qualcuno, che non fosse lui stesso, entrava in casa usando le chiavi?
Tanto, tanto tempo. Un particolare lo distrasse da quelle riflessioni. Dopo il suono della porta non aveva avvertito nessun altro rumore, nemmeno quello dei passi stanchi del do’hao sulle scale.
Certo il suo compagno poteva essersi fermato in cucina a bere o essersi appoggiato sul divano.
Si girò, deciso a riprendere sonno eppure non ci riuscì. In soli pochi attimi aveva capito che fino a quando non avesse capito il perché di quello strano silenzio il sonno sarebbe fuggito da lui.
Sbuffando decise di scendere e faticosamente uscì dal letto, scese le scale e nella penombra dei lampioni scorse a terra la figura distesa di Sakuragi. Si avvicinò velocemente per controllare il suo respiro, trattenendo involontariamente il proprio.
Lo avvertì distintamente. Lento e regolare.
Hanamichi dormiva lì, nell’ ingresso.
Dannazione pensò Rukawa…gli stava facendo concorrenza se si addormentava persino lì. E lo stava anche cambiando. Lo sapeva da un po’.
Lui. Un ragazzo come lui che si preoccupava della sorte degli altri, che rinunciava alla propria solitaria individualità per dividere la sua stessa casa. Lui che si preoccupava, si domandava, proponeva, giocava, rideva. Lui. Sorridendo ironico si disse di non riconoscersi più.
Se lo tirò addosso e lentamente riuscì a trascinare quel do’hao fino al divano. Lo fece stendere lì e lo coprì poi tornò di sopra.
La mattina seguente il leggero aroma di tè svegliò Hanamichi. Il ragazzo si guardò attorno, mettendosi a sedere, ricordava vagamente di essersi addormentato all’ improvviso, nell’ ingresso mentre si sedeva troppo stanco per togliersi le scarpe in piedi …ma poi come aveva fatto ad arrivare fino al divano? Pigramente si stiracchiò guardando l’ ora. Spalancò gli occhi fissandoli nelle lancette lente e regolari. Era tardissimo! E lui aveva un obbligo ogni mattina: la colazione per la volpe. Si alzò al volo, ma non trovò nessuno in casa, non sentì suoni o rumori. A testimonianza del passaggio del suo compagno trovò una semplice teiera ed una tazza vuota. Le lavò poi corse verso la scuola convinto che la kitsune fosse molto arrabbiata con lui.
La mattinata passò in un lampo, quando si ritrovarono negli spogliatoi Sakuragi si avvicinò a Rukawa e si decise a parlargli senza aspettare, invano, che fosse l’altro a dirgli qualcosa.
“Ehi kitsune…scusa per stamani”
Senza girarsi Kaede mugolò un “Hn”
“Potevi chiamarmi…. – mormorò il ragazzo dai capelli rossi a disagio – ma hai mangiato stamani?”
La volpe rimase in silenzio mentre dalla palestra giungevano già i primi rumori ovattati.
“Oi kitsune rispondimi”lo richiamò Hanamichi
Una sola frase, pronunciata guardandolo negli occhi.
“Io di solito non mangio la mattina”
“Ma cosa stai dicendo? E le colazioni preparate finora da me chi……”
Il ragazzo dai capelli rossi si fermò, lasciando in sospeso quelle parole dal significato strano, profondo.
Rukawa sollevò lo sguardo. I due ragazzi si fissarono negli occhi a lungo mentre le labbra della volpe si aprivano in un ultimo ‘do’hao’ appena accennato che pose fine alla discussione.
Il gioco riprese dopo il fallo laterale. Hanamichi era distratto, guardò un paio di volte verso il compagno dagli occhi chiari. Alle volte non lo capiva affatto. Quella maledetta volpaccia reticente non si faceva mai capire, neanche quando tentava di parlare. Aveva detto che di solito non mangiava la mattina, eppure tutte le volte che lui aveva preparato qualcosa tornato a casa non aveva trovato più niente…. Non capiva….. Che mangiasse solo per fargli piacere? Per non farlo lavorare inutilmente? Sbagliando l’ ennesimo passaggio decise di accantonare quel pensiero molesto. In fin dei conti cosa gliene importava delle sue abitudini alimentari? Era solo una faccenda domestica come le altre……. E se quella mattina aveva fame avrebbe sempre potuto chiamarlo.
Sulla strada per casa nessuno disse niente. Ma quando Rukawa aprì la porta si voltò appena entrato e chiese.
“Ti servono le chiavi anche stasera?”
“Si…devo uscire dopo, ma tornerò presto”
“Hn – lo squadrò porgendoglielo – vedi di non addormentarti in giardino stavolta perché io non verrò a controllare”
“Ma che simpatico kits…..”
Improvvisamente si interruppe, ricordando. Rammentava di aver avuto accanto qualcuno quella notte, nel dormiveglia era stato aiutato a raggiungere il divano. Era stata la volpe allora…..
Confuso il ragazzo dagli occhi nocciola borbottò ancora qualcosa prima di chiudersi in camera. Da un po’ non lo capiva davvero. Perché lo aiutava così? Eppure erano sempre stati nemici dichiarati, si odiavano e se lo erano detti…rivali…continuavano ad esserlo… ..ed allora quei giorni insieme com’erano da considerarsi? Le spiegazioni di tutta quella situazione gli sfuggiva miseramente fra le dita e mettendo da parte quei pensieri la sua mente volò a quello che lo aspettava quella sera……. Fra poco sarebbe dovuto uscire per tornare a casa sua.
Anche Kaede nella propria stanza rifletteva in silenzio. Pensava a sé e a lui, a loro insieme, a quella convivenza, a cosa era cambiato e a cosa era rimasto uguale. Eppure avvertiva ancora la pressante sensazione che non fosse tutto a posto, che tasselli più o meni grandi ancora mancassero e che si sarebbe dovuto preoccupare ancora.
Sakuragi uscì mentre lui scendeva le scale.
La porta si chiuse e guardando la cena pronta sul tavolo Kaede capì che il suo compagno non aveva mangiato. Strano. Uno come Sakuragi…..sentì di nuovo quella strana sensazione ……ma poi perché se ne preoccupava …..non si capiva……. Non si capiva affatto.
Quella sera Rukawa si attardò in salotto leggendo una rivista sportiva. Non lo voleva ammettere nemmeno con sé stesso, ma lo faceva perché sapeva che l’altro sarebbe rientrato presto. Quella strana agitazione non lo voleva lasciare, nonostante tutti i suoi sforzi la sentiva sempre più pressante ad ogni nuovo rintocco di orologio. Si stava facendo tardi ormai. Si alzò, sospirando esasperato di sé stesso. Se ne sarebbe andato a dormire. In fin dei conti era sempre Kaede Rukawa, aveva sonno e di quel rossino non gli importava poi nulla.
Mentre attraversava l’ atrio diretto alle scale sentì il rumore della porta e si voltò.
I suoi occhi azzurri si fecero scuri in un istante.
Il sangue colava denso e lento sul viso pallido di Sakuragi.
Una ferita sulla fronte, il respiro corto e una mano stretta allo stipite, per non cadere.
Avanzando lentamente Hanamichi si chiuse quella porta alla spalle.
“Sakuragi”sussurrò Rukawa
Il ragazzo dai capelli rossi alzò uno sguardo vitreo e vuoto su di lui. Per Kaede fu come un pugno nello stomaco incassato bene. Rimase immobile mentre, avanzando molto lentamente, Sakuragi gli scivolava accanto, superandolo.
“Grazie” sentì mormorare
E capì.
Quel ragazzo dagli occhi nocciola stanchi e troppo sinceri lo stava ringraziando. Lo stava ringraziando per tutto quello che aveva fatto. Per tutte le domande che non aveva pronunciato nel momento in cui lo aveva visto comparire sulla soglia. Per avergli dato la possibilità di avere un posto sicuro dove tornare.
Ma mentre lo sentiva salire quei gradini alle sue spalle Kaede si sentiva solamente furioso. Furioso con sé stesso. Furioso per i propri irrazionali pensieri. Perché quando lo aveva visto stremato reggersi alla porta e guardarlo con quegli occhi spenti aveva desiderato con tutte le sue forze correre lì a sostenerlo……. …..a proteggerlo.
Era notte, prima di andare finalmente a dormire Kaede si diresse in bagno. Sperava che il suo compagno si fosse curato quella brutta ferita, ma non se la sentiva di bussare alla sua porta e chiederglielo. Lui che amava la riservatezza aveva ben imparato a rispettare quella degli altri. Si accostò comunque a quel legno chiuso. Senza saperne il motivo.
Improvvisamente si fermò. Sentiva dei suoni soffocati. Troppo simili a singhiozzi. Non ne poté avere al certezza, ma strinse fra le mani la maniglia.
Il suo cuore batteva troppo forte,lo rimproverò perché gli impediva di sentire. Poi qualche parola mormorata lo raggiunse.
“…..Kami…………..ti prego……………………….abbi pietà….di me…”
Lui dai capelli neri sgranò i suoi bellissimi occhi. Una preghiera?
Sakuragi stava pregando?
Non ci credeva. Non ci credeva.
Sentì dolore. E si allontanò.
Soltanto il buio ed il silenzio della sua stanza lo calmarono.
Agli allenamenti Hanamichi si toccò con una mano il vistoso cerotto che gli copriva la fronte. Alle domande dei suoi compagni di squadra aveva risposto dicendo che durante un allenamento aveva centrato in pieno il tabellone. I più risero, non era poi una cosa così strana. Da un po’ ormai era tornato tutto come prima, nessuno si preoccupò o ricercò la sincerità in quegli occhi dolenti per tante bugie. Solo uno sguardo si levò serio incontrando quello caldo del ragazzo dai capelli rossi. In risposta a quell’ implicita domanda silenziosa Hanamichi abbassò il suo di sguardo. Voleva dire ‘Mi dispiace volpe, ma non posso fare altrimenti’
Ed era vero. Si fissarono ancora, immobili sul campo. Fino a che Akagi non li richiamò per impedirgli di finire in un altra rissa. Ma entrambi sapevano che oramai i loro non erano più sguardi fatti di rancore. Distogliendosi da quei pensieri ricominciarono a giocare.
Qualche altro giorno, esattamente uguale a tutti gli altri. Era un sabato. E senza avere altri impegni Kaede decise di avvalersi dei suoi diritti sul do’hao per trascinarlo al campetto. Dopo solo uno one on one lo osservò. Aveva il fiato corto per la stanchezza, il corpo completamente sudato, lo sguardo perso. I suoi movimenti erano lenti ed imprecisi. Era stanco.
Kaede sospirò. Sapeva quanto dovesse esserlo. Anche quella settimana aveva tardato ogni sera. Senza pensarci mise via il pallone e disse.
“E’ meglio smettere”
Hanamichi si avvicinò squadrandolo. Si fronteggiarono un istante sul campo.
“Pensa per te stupida volpe….io sono il tensai,cos’ è …hai paura di continuare a giocare?”lo sfidò ansimando
Rukawa lo guardò negli occhi sorridendo lievemente.
Era quello il do’hao che conosceva.
Il giorno dopo Kaede uscì all’alba, per correre sulla spiaggia. Rientrò a metà mattinata con l’ intenzione di tornare al campetto in compagnia di Sakuragi. Lo cercò per casa, girando silenziosamente per le stanze perfettamente ordinate, poi varcò la soglia del salotto. Lui era lì.
Disteso sul divano, di fianco, le gambe piegate, il viso che affondava nella stoffa morbida, le ciocche rosse che contrastavano con il bianco avorio come un fiore rosso che si apre sulla sabbia dorata di un deserto ed un braccio che si stendeva oltre il bordo sul quale aveva appoggiato il musetto il suo gatto.
Dormivano, tutti e due.
Continuando a guardarli il ragazzo dagli occhi azzurri non poté fare a meno di notare l’ espressione rilassata del suo viso. Così diversa da quella del giorno in cui era svenuto in palestra.
Kaede si sentì stranamente sollevato, rimase lì, in silenzio, a chiedersene il motivo mentre continuava a far scorrere i suoi occhi su quel corpo steso. Era bello. Veramente.
Distogliendosi da quel pensiero assurdo Rukawa capì che per quel giorno avrebbe dovuto rinunciare ai suoi progetti con lui. Chissà come doveva essere stanco il do’hao se si addormentava anche poche ore dopo essersi svegliato. Ma lui sarebbe andato lo stesso. Si alzò ed uscì, piano.
Hanamichi dormì tutto il pomeriggio. Si svegliò sbattendo un paio di volte le palpebre. Fissò gli occhi velati sul soffitto perfettamente bianco ricordandosi dov’ era e cosa stava facendo. Increspò le labbra in un mezzo sorriso ironico pensando a quanto era passato dall’ ultima volta che si era potuto permettere di dormire di pomeriggio su un divano senza…… No……voleva lasciare da parte quei pensieri, si sentiva bene, sospirò e si mise a sedere. Quella sera sarebbe dovuto uscire per l’ ultima volta. Pensò alla volpe.
“Oh – esclamò come ricordando qualcosa d’ importante – la cena”
“Do’hao”sentì alle sue spalle
Si voltò e nella languida penombra del crepuscolo scorse il profilo di Rukawa seduto su una poltrona poco distante.
“Oi kitsune………da quanto sei qui?Perché non mi hai svegliato?”
“Hn”
Hanamichi alzò un sopracciglio. Che cavolo di risposta era?
Si alzò in piedi.
“Beh..hai fame?”
“Hn”
Forse era un si. Lo ignorò.
“Io vado a preparare la cena, cosa vuoi?”
Attese. Se si sentiva rispondere con un altro ‘Hn’ lo avrebbe preso a pugni.
“Ordina una pizza”
“Perché?”chiese sorpreso lui dagli occhi nocciola
“Voglio una pizza”
“Tsk, maledetto volpino, la verità è che non ti fidi ancora della cucina del meraviglioso tensai………volpe di poca fede”borbottò Hanamichi allontanandosi per telefonare
Poco dopo si affacciò dicendo che si sarebbe fatto una doccia nel frattempo e che se suonavano avrebbe dovuto aprire lui.
Ancora qualche minuto di silenziosa quiete poi mentre il ragazzo dai capelli rossi era ancora al piano di sopra suonarono alla porta. Rukawa aprì poi si accostò alle scale per chiamare il do’hao giusto nell’ istante in cui l’ altro scendeva.
Jeans stretti, il petto nudo, un asciugamano a coprire i capelli ancora umidi.
Veloce si riaffacciò alla mente di Kaede il pensiero irrazionale di quel pomeriggio. Era veramente, inconsapevolmente, attraente.
Si scambiarono uno sguardo poi Sakuragi uscì.
Quella sera, nel silenzio della sua casa Kaede si stese sul divano e ritornò con la mente a quel giorno quando proprio su quello stesso divano aveva pensato e ripensato fino ad addormentarsi allo strano comportamento del suo compagno dai capelli rossi e alle sue bugie. Lui che non aveva mai rivolto il pensiero a qualcosa che non fosse il basket.
E poi scorse con la mente tutto il resto. La proposta che aveva fatto, proprio lui che aveva sempre amato il silenzio e la libertà. Inspiegabilmente arrivò a domandarsi se lo avrebbe fatto per chiunque della propria squadra o solo per…lui. E poi erano passati tutti quei giorni. Quanti?Due settimane e mezzo forse? Si….due settimane e mezzo che vedeva solo lui, che giocava solo con lui, che lo sentiva ridere e parlare e gridare e scherzare ed arrabbiarsi, che lo vedeva dormire e cucinare e lamentarsi per delle sciocchezze, ma poi faticare più del necessario. Due settimane marchiate da quei sensi d’ angoscia e preoccupazione quando lo sapeva fuori, chissà dove. Due settimane di strana convivenza con quel ragazzo che sembrava non preoccupasi affatto del proprio bell’ aspetto…che girava per casa spesso…così…………………provocante……kami, si, era l’ unica parola che gli era venuta in mente…….. Lo aveva conosciuto, capito………. Lo aveva visto per com’era….così ingenuo e sincero e semplice …………..
Ma perché…..perché pensava a lui?
Tanto non sarebbe rimasto tutto così. Appena Sakuragi avesse risolto i suoi problemi se ne sarebbe andato, così come era arrivato, all’ improvviso.
Quella considerazione lo rattristò e se ne stupì e spaventò al tempo stesso, poi si arrabbiò di nuovo con sé mentre accarezzava al buio il suo gatto con la solita espressione impassibile. Provava tutte quelle emozioni, lui….lui che credeva di non aver mai avuto sentimenti, lui……………
Non capiva perché, ma quel do’hao riusciva a farlo sentire così, in tutte quelle maniere diverse e contrastanti, tutte insieme.
Si alzò sapendo la risposta a buona parte di quelle domande, ma ignorò tutto e salì per stendersi nel letto.
In quell’ ultima sera di lavoro Hanamichi rifletteva spostando nel retro le pesantissime casse di alcolici. Pensava un po’ a tutto, un po’ a niente. Pensava alla sua situazione, a come era finito a vivere con la volpe, lui che aveva gridato così spesso di odiarlo anche se sapeva da tempo di farlo più per abitudine che per reale necessità. I motivi per cui avrebbe dovuto continuare ad odiarlo erano troppo sciocchi. Per il basket sarebbe bastato continuare ad allenarsi con costanza, per la Akagi invece era ormai tutto passato, la ragazzina non lo interessava più da parecchio ormai.
Rise.
E così aveva avuto la possibilità di osservare la kitsune nella sua tana. Non che poi fosse diverso.
Silenzioso, introverso, gelido, riservato e …………bello…..no, non semplicemente bello…………..stupendo……. ..e lo era ancora di più quando si svegliava ancora assonnato e scendeva le scale ad occhi chiusi, quando leggeva assorto raggomitolato sul divano, quando usciva dalla doccia coi capelli umidi di schiuma e vapore……….in quei momenti poi il corridoio si riempiva del profumo del bagnoschiuma rimasto sulla sua pelle……..
Hanamichi scosse la testa, cercando di concentrarsi solo sul lavoro. Ma ricominciò a pensare a quando l’ aveva visto ridere così spontaneamente, a quando aveva sentito il suo odore sulle lenzuola la notte e sugli asciugamani con i quali si tergeva il viso la mattina.
“Basta”sbottò esasperato….. ..ma ormai era partito con i pensieri.
In quel periodo così difficile non avrebbe mai creduto possibile trovare un po’ di serenità. Tutta quella serenità. Andare via di casa, senza essere più solo, dividere una bella villetta con un ragazzo della sua età, amare insieme a lui lo stesso sport. Non lo credeva possibile eppure era successo. Tutto era cominciato la sera in cui era stato scoperto e poi ‘invitato’, o meglio ‘costretto’ a trasferirsi da lui. Aveva dovuto accettare solo qualche condizione, piacevole in fin dei conti. Niente in confronto a quanto dovesse essere costato all’altro. Eppure era successo. E così in fretta. Senza un motivo. Rukawa non era obbligato da niente, non aveva nulla da dover ricambiare, nulla da offrire, nemmeno in nome dell’ amicizia. Amici non lo erano mai stati eppure senza accuse e senza domande era stato l’ unico ad offrirgli una aiuto materiale, concreto. E continuava a fare molto. Lo lasciava uscire ogni notte affidandogli addirittura le chiavi della sua casa. Lo sopportava, pensava a lui….. …da quella colazione saltata per non svegliarlo alla notte in cui lo aveva riportato sul divano, passando per gli allenamenti saltati fino alla cena di quella sera comprata per non farlo lavorare ancora ……….oh si..lo aveva capito……altro che ‘mi va la pizza stasera’……..era un altro il motivo…….lui era un tensai e lo aveva capito…cosa si credeva quella kitsune imbrogliona……
Sorridendo come non faceva da tempo pensò infine che tutti gli aspetti osservati e scoperti non erano altro che facce di un’ unica personalità. Tutto quello che aveva visto era il vero Kaede Rukawa. E gli piaceva.
Passarono pochi altri giorni sereni, fra tutte le solite cose...le partite al campetto, le cene saltate e le private e silenziose riflessioni. Quel loro silenzio non pesava più e quelle risate che da sempre erano mancate in quella casa ora ne riempivano gli angoli nei momenti più impensati e qualche sguardo fugace a tavola, sulla strada per casa, nel corridoio prima che ognuno rientrasse nella propria stanza.
Ma una sera Hanamichi chiese il permesso di fare una telefonata.
“Hn”era un assenso, il ragazzo dai capelli rossi lo intuì subito
Kaede si voltò per salire in camera e lo lasciò lì, in privata solitudine.
Sakuragi compose il proprio numero di casa attendendo una risposta.
Si era già chiuso la porta alle spalle e doveva di nuovo scendere. Rukawa sospirò irritato. Si era dimenticato nel salotto la rivista che stava leggendo. Scese, ma non varcò la soglia.
Lì, vicino al mobiletto d’ ingresso c’era Sakuragi che, sommessamente, parlava al telefono nella penombra scura della stanza, le luci erano tutte spente, stavano entrambi per andare a dormire prima che lui chiedesse il permesso per quella chiamata.
“Mamma……non fare così…….sono io….Hanamichi…..”
Quella voce così triste e spenta era davvero la voce di quel do’hao? Senza volerlo Kaede rimase lì, immobile, nell’ ombra densa delle scale.
“No….no……io, io..sono io…andiamo…ti ricordi?Si…no..non posso…lo sai….dai..”
Il ragazzo dai capelli neri avvertì nel silenzio quasi irreale dei singhiozzi provenire dall’ altra parte del telefono...una voce di donna …appena percettibile, ma una voce di donna che si lamentava. Poi improvvisante il tono di quella voce cambiò completamente, si sentirono urla sconnesse, minacciose.
“No….non lo farai, lo so che non lo farai , che non lo vuoi fare, smettila di dirlo……….ti prego, smettila”rispose Hanamichi
E poi ancora singhiozzi e attimi dopo alte grida e frasi senza senso e versi e suoni. Il tono delle risposte di quel ragazzo dai capelli rossi sempre più triste e sofferente e disperato e basso.
Kaede non si spostò, nel buio continuò ad ascoltare quella conversazione assurda.
Ancora un tono normale e le ultime frasi.
“Va bene…….si sto bene…..si bene……si, me lo hai già chiesto……ma cosa importa quante volte…..beh sei o sette……si sto bene…..sto bene ho detto…….lo so……….ed io ti ho detto che non lo farai perché non lo vuoi fare……….vero? Vero? No, lascia stare la vicina………ora basta…lasciala stare…..si, sto bene………… …….buonanotte mamma……”
Il silenzio coprì ogni cosa aleggiando leggero dopo il lieve suono del ricevitore finalmente abbassato.
Un singhiozzo.
Kaede sussultò. Questa volta lo aveva udito. Perfettamente.
Piccoli singhiozzi soffocati interrompevano irregolari la quiete pesante prendendo nell’ aria il loro posto, risuonando tristi fra le ombre.
Kaede avanzò, senza far rumore.
Sakuragi era seduto a terra accanto al telefono, le ginocchi al petto, la testa fra le mani, tremante per i singhiozzi e le frasi spezzate che cercava di mormorare.
“P…pe….per..ché………….ba.sta…...n.n.non.n.n.ne posso più……”
Un altro passo, involontario, automatico quasi.
“Pe…p.per.chè…….sei…s.sei…morto….per.chè………..?”
Kaede sgranò i suoi occhi azzurro mare….. …quelle parole e tutto quel dolore……………… parlò prima di rendersene conto….
“Hanamichi”chiamò nell’ oscurità
Lui dagli occhi nocciola alzò di scatto la testa, anche nel buio quasi completo quel viso dorato sembrava così pallido e malato di tristezza.
“R..R-Ru….kawa”si alzò, fissandolo
Il ragazzo dai capelli d’ ebano si avvicinò ancora, lentamente, come temesse che l’altro fuggisse lontano. Rimasero uno davanti all’altro e poi…. ..con tutta la calma possibile, mentre il viso di Hanamichi si piegava verso quella spalla Kaede sollevò le braccia stringendole in una presa forte intorno a quel corpo che, inesorabilmente, riprendeva a singhiozzare più forte di prima.
Abbracciati.
Al buio, in silenzio, a lungo.
Quella mattina che seguì Sakuragi non era a casa. Un solo piccolo biglietto faceva mostra di sé accanto alla colazione.
‘Io devo andare via, ti ringrazio di tutto kitsune. Hanamichi Sakuragi.’
Lì sotto una piccola busta chiusa, dentro dei soldi tutti stropicciati. ‘Per le spese’ c’ era scritto al posto del mittente.
A scuola lui non c’ era. In palestra nessuno lo vide.
Kaede pensò alla sera precedente. Non sarebbe dovuto restare ad ascoltare quella conversazione, non si sarebbe dovuto far vedere, non avrebbe dovuto abbracciarlo. Quando se ne era reso conto il suo corpo si era già spostato di propria volontà, autonomamente. Si era aspettato un pugno, una testata, qualcosa che lo allontanasse e lo colpisse da parte di quel do’hao così orgoglioso ed invece….. ….invece aveva solo sentito l’ immenso abbandono con il quale Hanamichi aveva lasciato scivolare la sua testa sulla sua spalla irrazionalmente offerta. Quanto doveva essere grande il suo dolore.
Hanamichi era andato via all’alba, dopo una notte insonne piena di dolore e ricordi. Aveva pianto davanti a Rukawa. Sarebbe morto piuttosto che farlo un’ altra volta. Ma rimanendo lì sarebbe successo, si, sarebbe successo di nuovo. Avrebbe di nuovo visto quegli occhi pieni di una strana comprensione fissarlo, avvicinarsi insieme a quel corpo caldo e quelle braccia confortanti, l’ espressione seria e disponibile, senza scherno o derisione o compassione e lui avrebbe ceduto del tutto. Avrebbe raccontato ogni cosa, ogni singolo, insopportabilmente doloroso, avvenimento. Perché aveva disperatamente bisogno di un amico. Da un po’ sembrava non averne, non averne mai avuti, lui, che da sempre se ne era circondato per fare di loro la sua forza. E così non aveva nemmeno provato a declinare l’ offerta generosa di quella spalla. Ma ora sapeva che non gli era più permesso. Non poteva più. Doveva smettere di mostrare debolezza.
Entrò in casa e decise che doveva essere l’ ultima volta che lo faceva con quell’ enorme dolore addosso.
Quando Rukawa rientrò a casa il silenzio lo investì, come una doccia di acqua gelida, quello stesso silenzio che aveva sempre fatto parte di lui gli sembrava ora come un qualcosa privo di senso, perché nessuno sarebbe più sceso correndo dalle scale interrompendolo. Nessuno più lo avrebbe fatto rintanare negli angolini della casa ridendo allegramente o offendendo per gioco.
Com’ era strano pensare tutte quelle cose. Tutti quei piccolissimi particolari che in sole tre settimane avevano completamente cambiato le sue innate abitudini. Se ne era accorto e lo aveva sentito. Le sue consuetudini erano state costrette a conformarsi a quella presenza rossa e briosa. Inesorabilmente. Ma non se ne era mai dispiaciuto. Non aveva mai provato fastidio. Non aveva avuto rimpianti né pentimenti.
In quelle tre settimane mai.
Tre giorni. Passarono tre semplici giorni senza che Sakuragi tornasse a scuola, agli allenamenti o a casa di Rukawa.
Si perché ogni tanto anche lui aveva sperato di rivederlo comparire sulla soglia, con un sorriso un po’ imbarazzato che voleva dire ‘Scusami, mi sono sbagliato, non volevo andare via’
Il quarto giorno erano tutti molto tesi. In palestra non sapevano niente. E neppure i professori, i compagni di classe, il preside. Nessuno sembrava sapere niente. Mentre quell’ allenamento penoso volgeva al termine Yohei si affacciò alla porta della palestra per guardare velocemente dentro. Kogure lo notò e lo richiamò a voce alta.
La precaria attenzione di tutti i giocatori fu inevitabilmente conquistata da quel richiamo. Tranne il numero undici. Quel numero lì continuò a seguire il tiro perfetto che aveva eseguito e andò a riprendere la palla.
Mito avanzò con circospezione. Nemmeno l’ alone di un sorriso sul suo viso pulito.
“E-Ehm…scusate l’ interruzione………..volevo solo vedere se Hanamichi era qui…….”
“No, non c’ è”sospirò Kogure
“Capisco….beh scusate il disturbo..ci vediamo..”mormorò
Fece per allontanarsi, ma il capitano lo fermò.
“Mito……..cosa sta succedendo?”
Yohei lo guardò negli occhi poi abbassò la testa.
“Io….non è mio diritto parlarvene…”sussurrò più rivolto a sé che agli altri
“Possiamo immaginarlo – intervenne il vice capitano – ma non abbiamo altro modo per sapere, Sakuragi è sparito da giorni e noi non sappiamo come fare, non possiamo fare niente ………non ti vogliamo costringere a dirci tutto….basta anche soltanto la tua parola che lui sta bene………è un nostro compagno…”
La voce seria e triste, lo sguardo sincero. Al quale facevano da specchio tutti gli sguardi di quei giocatori.
Un loro compagno.
Yohei sorrise tra sé. Se solo anche Hanamichi li avesse sentiti…..come sarebbe stato felice per quelle parole.
Ma lui non sapeva ciò che chiedevano. Non sapeva niente ed era preoccupato. Così preoccupato. Da settimane ormai. Avrebbe desiderato il loro aiuto, ma non poteva chiederlo. Per farlo avrebbe dovuto parlare, spiegare…..rivelare.
“Io….non lo so……mi dispiace ………non lo so…”disse
Ayako avanzò di un passo senza curarsi di quei rifiuti.
“Lo abbiamo visto così cambiato, così…triste…e tutti quei lividi e le sue scuse e le sue bugie…..è cominciato tutto quel giorno in cui si è sentito male…..poi ci sono state le visite di quell’ assistente sociale e altre tre settimane durante le quali sembrava tornato felice e spensierato ed ora……..è sparito, sparito nel nulla”
Più che un’ invocazione era uno sfogo. Uno sfogo amaro per quella situazione che li vedeva come stupide pedine impotenti, lasciate all’ oscuro di ogni mossa. Ma forse non erano le uniche.
“Ma cosa stai dicendo?”chiese Yohei fissandola
Ayako raccontò velocemente cosa era accaduto in quell’ ultimo mese. Proprio quando avevano cominciato a sperare, a convincersi che fosse tornato tutto a posto Sakuragi era sparito.
“Ora capisco molte cose”si lasciò sfuggire il ragazzo moro
“Ma noi no, Mito…….cosa possiamo fare, dove sarà lui ora?”domandò Kogure
“A casa lo hai chiamato?Noi non abbiamo potuto avere il suo numero”chiese Miyagi
“Non risponde nessuno”si sentì dire
Il silenzio scese su di loro, calando come un pesante sipario sulla scena. E sarebbe davvero stata la conclusione. Ma Yohei non voleva e non poteva arrendersi. Sentiva su di sé sguardi rispettosi che però bruciavano dalla voglia di sapere per poter agire.
Sospirò rumorosamente.
“Va bene, anche se non mi sento in diritto di farlo vi dirò quello che so”
“Sono cose che ti ha raccontato lui?”domandò Ayako
Mito scosse la testa.
“Non tutto…….è così tanto che non parliamo”un sussurro tristissimo
Di nuovo il silenzio. Più teso e più sofferente.
Yohei prese respiro, come se stesse per immergersi in una realtà passata sporca e irrespirabile.
“Molto probabilmente voi non sapete nulla di lui, della sua vita, del suo passato e non me ne stupisco, nonostante non faccia che parlare Hanamichi non ama raccontare di sé, è così riservato su quello che lo riguarda ed ora poi lo è diventato ancora di più……beh lui è figlio unico …suo padre, il suo adorato padre, morì due anni fa….”
La prima confessione. La morte del padre.
Mito alzò lo sguardo su di loro, li aveva tutti intorno, chi più vicino, chi più distante. Attenti. Notò la prima vena di dolore nei loro occhi. Ma sapeva che attendevano il resto.
“Suo padre morì d’ infarto, ma Hanamichi forse lo avrebbe potuto salvare se mentre usciva di casa per cercare soccorsi non avesse incontrato dei teppisti che lo aspettavano per una rissa. Mentre lo picchiavano suo padre morì”
La seconda confessione. La presunta colpa di Hanamichi.
Si, presunta, possibile, probabile, ma mai definitiva, mai certa. Lui non l’ aveva mai considerata così. Lui non aveva mai smesso di ripetergli ‘Non sei stato tu’. E ci credeva. Fermamente.
Ayako si portò una mano a velare la bocca colma di un urlo d’ angoscia. Alcuni sguardi si abbassarono, altri si chiusero un attimo per arginare i pensieri. Altri non fecero alcun movimento, rimanendo increduli a fissare gli occhi scuri di Yohei.
La sua bassa voce riprese ancora.
“Per così tanto tempo ho cercato di fargli capire che non avrebbe potuto fare niente lo stesso, ma lui ha sempre preferito continuare a sentirsi responsabile e ne porta il peso da allora……”
Silenzio. Ancora, solo, silenzio.
“Sua…… madre …..non si riprese mai dall’ accaduto, piangeva e si disperava continuamente invece che stringersi al proprio figlio e consolare entrambi lei preferì dedicarsi a tempo pieno al lavoro, lasciando Hanamichi sempre da solo, notti e giorni e settimane intere….e lui lo aveva accettato, con la speranza che tutte quelle distrazioni le avrebbero permesso di ritrovare un po’ di pace……ma tutti quegli sforzi non fecero che peggiorare irrimediabilmente la situazione……fino ad un completo esaurimento……..da quel momento in poi io non ho saputo più nulla, prima passavo i pomeriggi con Hana, a fargli compagnia, poi d’ un tratto lui non mi disse più niente………ed inevitabilmente abbiamo finito per allontanarci piano piano……….è successo circa un mese e mezzo fa…….lui scappava via dopo la scuola e dopo gli allenamenti……….avevo provato anche ad andare direttamente a casa sua, ma lui non mi lasciò neppure entrare, da dietro la porta mi chiese di non chiamarlo, di non cercarlo per un po’ di tempo, io ho aspettato, ma mi preoccupavo e così, quando potevo, venivo qui a controllare, a tentare di parlargli …………………………………”
Mito scosse la testa, lentamente, tristissimamente.
“Ma…..cosa…è successo a sua madre?”domandò con un filo di voce Ayako
“Beh…lei è semplicemente impazzita……….”
L’ ultima confessione. La pazzia di sua madre.
I loro cuori persero un battito.
“Che cosa….significa………………..?”chiese pallido Kogure
“Lei…lei alle volte non lo riconosce……….spesso i loro vicini hanno dovuto chiamare la polizia…..per le urla che si sentivano nel cuore della notte, per il rumore continuo di vetri ed oggetti infranti che lei scaraventava a terra, contro i muri e contro……………………..contro di lui………..”
“I….i..suoi lividi…allora..”sussultarono mentre Miyagi lo ricordava
“Si…. – annuì Yohei – ma lui…sono certo che non si sia mai difeso…non avrebbe potuto farle del male…….”
“Ecco il perché della visita di quell’ assistente sociale……ma se sua madre è un pericolo per lui come….” Kogure fu bruscamente interrotto da un grido di Ayako.
“Ma se è sparito da quattro giorni oh kami……KAMI…..Akagi dobbiamo trovarlo, dobbiamo andare da lui…..”
La precarietà della situazione li colpì bruciando al loro interno come una scarica di corrente elettrica ad alto voltaggio. Hanamichi rischiava. Erano ben quattro giorni che nessuno aveva sue notizie. Poteva essere in pericolo.
Corsero allo spogliatoio per cambiarsi. Nel giro di pochi minuti erano velocemente diretti verso la casa del loro compagno, guidati da Yohei, seguiti anche da Rukawa. In verità nessuno si sarebbe aspettato la partecipazione del loro numero undici. Giustamente nessuno di loro avrebbe mai potuto neanche immaginare che quelle tre lunghe settimane, in cui Sakuragi sembrava essere tornato il solito ragazzo allegro, lui le aveva trascorse proprio a casa del loro compagno dai capelli neri.
La parole di Yohei lo avevano colpito. Drammaticamente colpito. Non poteva immaginare come dovesse essere vivere in quel modo. Ne aveva avuto un piccolo assaggio la volta in cui aveva stretto fra le braccia quel corpo singhiozzante pure stille di dolore. Ora sapeva. Come un’ onda intensissima si era riversato in lui quello stesso strano sentimento già provato. Preoccupazione. Ed ora correva insieme agli altri. Sperando. Per quell’ agitazione che correva insieme al sangue nelle vene e per una cosa di cui doveva parlare con quel do’hao.
Gli stessi sentimenti d’ angoscia erano l’ adrenalina di tutto quel piccolo gruppo di ragazzi. Nelle loro menti continuavano a risuonare quelle parole, quelle rivelazioni incredibili. Qualcuno non le aveva ancora accettate del tutto, non le aveva collegate agli avvenimenti, non riusciva a farle collimare con l’ immagine sorridente di un ragazzo spensierato dai capelli rossi. Eppure anche quello poteva essere uno dei tanti modi che l’ animo umano può trovare per affrontare una situazione così difficile.
L’ essere attivi, allegri, esibizionisti, confusionari poteva voler dire affrontare con ottimismo una grande difficoltà.
Nascondersi nell’ entusiasmo, cercare consensi, cercare forza e speranza.
Hanamichi era forte, molto, molto forte. Ne ebbero tutti la certezza pensando a lui, alla vita riservatagli. In quei momenti se ne convinsero. Ma adesso era la paura a muoverli.
La paura di poter arrivare tardi, tardi per qualsiasi cosa.
La loro consapevolezza era ora quella di poter fare qualcosa, di voler con tutte le loro forze fare qualcosa. Per lui. Per il loro compagno.
Ma il terrore del tempo così dannatamente veloce aleggiava sugli animi.
Corsero tutti e sette su per le scale, veloci e tesi, con sicurezza videro Mito fermarsi di fronte ad una porta uguale a tutte le altre. Lo guardarono mentre il ragazzo moro suonava ossessivamente il campanello.
I secondi scivolavano veloci fra il suono metallico ed irritante del campanello ed i loro respiri ansanti che tentavano di tornare regolari.
Nessuna risposta. Sguardi preoccupati corsero fra di loro.
Yohei non si arrese. Alzò la voce, chiamandolo, battendo i pugni sulla porta, gridando.
L’ irritazione e il senso d’ impotenza serpeggiavano fra di loro.
Yohei non si arrese, non si arrese.
“APRIIII!HANAMICHI APRI!Siamo tutti qui, tutti qui per te…tutti Akagi, Ayako, Miyagi, Kogure, Mitsui e Rukawa….apri, apri la porta”
Voleva sperare ardentemente, con tutto il cuore che lui fosse veramente dietro quella porta, indeciso se aprire o meno. Che ci fosse. Che fosse vivo. Che stesse bene.
Lentamente la maniglia cominciò a girare, uno spiraglio di porta si aprì e cigolando lasciò finalmente scorgere il loro compagno che emergeva ora nitido dall’ oscurità dietro di sé.
Continua……
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