Visto che nessuno
mi ha detto di lasciar perdere, ecco qua il secondo capitolo di questa
follia….mi scuso per aver trattano così male YoYo e Hisa che in fondo non
c’entra nulla! ^^; Ringrazio le persone che mi hanno incoraggiato ad andare
avanti: Pam, Natsume, Saya, Minako-Tsukino e Dany; grazie milleeeeee!!! ^o^
Spero che questo capitolo vi piaccia e se non vi piace risparmiate le
minacce di morte! =PP Buona lettura!
Fairy
Angel
parte II - Rage
di Kima
E nel silenzio colato
ad arte la porta si aprì. E dall’uscio aperto, col tipico passo, fece il
suo ingresso. Fuori era già sera. Oltre i vetri il tramonto infuocato, il
crepuscolo bluastro, la sera si erano succedute fino a quel buio attimo.
Un silenzio quieto avvolse Yohei, prendendolo in contropiede e
lasciandolo, per un istante, senza fiato ne’ battito. Una sensazione
asfissiante gli si avvinghiò addosso, ripetutamente, strozzando anche la
sua voce che, tremando, mormoro un cadente “H-Hanamichi?”.
La luce netta del
corridoio ritagliava la silhouette della porta e del ragazzo nel buio,
illuminava appena il resto della stanza, seguendo i lembi e i profili lucidi
si poteva immaginare l’interno e l’arredamento semplice. Avvolto nuovamente
da quella strana sensazione, lugubre, enorme, e nevrotico per quel ronzio
sordo, sentì la gola scoppiargli:
- Hanamichi? Hanamichi?!
Hanamichi!!!- cominciò a chiamare sempre più forte, fermo alla porta,
immobilizzato da un presagio così orribile che rifiutava di dargli forma,
che rifiutava di accettare urlandogli contro quel nome, sperando in una
prossima risposta anche accennata. Le sue labbra si serrarono di colpo,
chiuse gli occhi, respirò a fondo, quell’aria ferma gli corse giù,
direttamente ai polmoni, quasi pungendo, quasi stretta nel suo corpo, sempre
più piccolo, perso in quel silenzio persistente, invincibile. - H-Hana-chan…rispondi…-
sembrava pregare stringendo gli occhi e riaprendoli, con dita tremanti,
premette l’interruttore dando finalmente luce alla stanza.
La preghiera nel vuoto,
una lacrima sul viso, una goccia che precipita nei gorghi dei desideri
appassiti ancor prima di esser proferiti, delle speranze che, enormi,
spaccano il cuore, intaccano la ragione.
Preso da una furia
improvvisa, il coraggio della disperazione, probabilmente, si apprestò al
letto e fissando il viso pallido, immobile del suo amico cominciò a
scuoterlo con forza.
- Hanamichi, Hanamichi,
vuoi rispondere?! Apri gli occhi! Aprili immediatamente! Mi hai sentito?
Aprili subito…- la rabbia e il tono della sua voce scemarono portandolo a un
silenzio stordito. Guardò, un secondo, tutto quello che lo circondava, sentì
il cuore ristringersi, strizzarglisi nel petto; quell’aria lugubre, così
stretta addosso, gli tagliava la pelle. Quasi involontariamente alzò la mano
portandola al polso di Hanamichi sperando, forse, in chissà quale miracolo,
le sue dita scivolarono disperate sul braccio dell’amico, arrivandosi al
cuore pregando con tutto il suo essere che bastasse il suo amore per farlo
tornare a battere…le calde lacrime che gli riempivano gli occhi cominciarono
a scorrere giù per le guance, singhiozzi soffocanti gli riecheggiavano nel
petto pieno solo di quel dolore che pesava, un nodo alla gola gli impediva
di parlare, sommessi mugolii nervosi e respiri troncati erano il suo sfogo,
il suo corpo agitato da mille fremiti. Sopraffatto dal dolore, si tuffò sul
petto di Hanamichi, nascondendo il viso nelle braccia e continuando a
piangere e a mormorare qualcosa di incomprensibile, una cantilena infinita
di chissà quali parole, di chissà quali tristi tinte.
Un boato di temporale,
aprendosi, di unì alle grida incontrollate della sua anima e, mentre la
lacrime bagnavano quel corpo inerme, una pioggia gelida discese il suo
riflesso grigio sulla città.
Pioveva fitto. Erano
passati due giorni interi e la pioggia non accennava a cessare; tutto
rassegnato alla furia del vento, le luci e i colori sciolti, liquidi
brillavano in cerchi concentrici nati da lacrime stanche cadute nel e dal
nulla. Sembrava che l’acqua piovana volesse lavar via qualcosa di
indelebile, un’onta greve e livida come il volto mutevole del cielo. Yohei
ascoltava lo scroscio della pioggia con occhi sbarrati, vacui e secchi per
le innumerevoli ore di pianto; nel silenzio lugubre della camera il tempo si
scioglieva in una gelatina insipida capace di logorare, sfiancare,
rosicchiare i nervi.
Era il giorno del
funerale di Hanamichi. Il giorno dell’addio e lui non si era mosso di lì.
Sul suo letto sfatto, con la schiena contro la parete, tra le lenzuola
stropicciate si teneva le gambe al petto, le dita intrecciate in una nervosa
morsa. Ondeggiava la testa pesante d’insonnia avanti e indietro battendo la
nuca, un regolare tonfo. Il nulla. Dentro, fuori, ovunque. Quella casa che
era stata la sua gioia, la sua libertà ora valeva come oracolo del suo
dolore, altare ultimo del suo amore sepolto…tutto era finito. Questo
pensiero tornava a trapassargli la mente agguerrito e lui lo scacciava
ancora e ancora, con nuova e più disperata convinzione.
Appena la porta si aprì,
Yohei sobbalzò, la fastidiosa luce del corridoio gli si proiettò in una lama
sugli occhi schiusi, alzò di più il viso cercando di mettere a fuoco la
figura ferma sulla soglia.
- Chi è?- chiese con voce
malferma, bassa.
- Sono Hisashi. Posso
entrare?- disse l’altro, nervoso, le dita sulla maniglia e il viso stanco.
Non doveva aver dormito
molto negli ultimi giorni, un po’ come tutti coloro che erano riuniti,
quella sera, nell’appartamento dei due. Nella stanza attigua, infatti,
stavano, in uno stato di stordimento generale, Ryota e Ayako, accoccolati
sul divano, Takenori e Kiminobu, a testa china su un bicchiere forte, Kenji
e Okuso, chi si scambiavano brevi frasi di circostanza, e Fukuda, che con
sguardo vacuo, guardava la pioggia cadere. Akira era partito subito dopo il
funerale per tornare a Osaka, alla sua università, dal suo viso era scappato
il sorriso e anche la sua cresta era sparita; alla stazione, con Ryota e
Hisashi, aveva cercato di riprendere il suo tono, ma, fallendo, si era
limitato a una pacca sulle spalle e alla raccomandazione di tener su “il
piccolo Mito”, come lo chiamava lui. Anche Toru, dopo la cerimonia, si era
staccato dal gruppo, aveva un esame a giorni e voleva almeno tentare di
studiare, ma l’idea di lasciare solo Kenji lo impensieriva un po’, si era
congedato da lui con un lungo abbraccio cercando di infondergli la sua
forza, ora in camera sua, sperava di esserci riuscito.
Mitsui aspettava la
risposta dal moretto in silenzio, tratteneva a stento la preoccupazione e il
nervosismo che lo dilaniavano.
- Chiudi la porta…-
ordinò facendo di sì con il capo Mito. L’altro obbedì immediatamente e con
le mani in tasca andò verso il letto dove sedeva anche Yohei, si accomodò in
fondo, in un piccolo angolo, una mano nell’altra, appoggiando i gomiti alle
ginocchia, tenendo la testa sciolta in avanti.
- Siamo tutti preoccupati
per te…esci di qua- esordì Hisashi porgendogli uno sguardo greve. L’altro si
limitò a mantenere il silenzio intatto. - Davvero…non ci riusciamo a vederti
così…sai, Akira sembrava proprio un altro oggi; gli è dispiaciuto molto non
poter rimanere qui con noi, con te, gli si leggeva in faccia…sai anche tu
quanto vuole bene a te, quanto ne voleva ad Hanamichi…- continuò cercando di
stimolare una qualunque reazione.
Mito mugugnò qualcosa
nella penombra.
- Cosa? Scusami, non ho
capito- Hisashi dosava piano le parole, parlava con calma, un tono
conciliante.
- Ho detto: eppure
neppure lui c’era…- ripeté quasi scocciato di dover sprecare voce.
- Anche lui, come tutti
noi, ha i suoi casini. Siamo tutti distrutti da quello che è successo, ci ha
presi alla sprovvista…tutto, tutto questo è così strano…dubito che sia la
realtà, spero di svegliarmi e sapere che una delle persone a cui più tengo è
ancora lì pronta a sorridermi…- Hisashi continuava con quel tono calmo così
inusuale per lui. Sembrava una confessione, più che un discorso tra amici
legati dal lutto…
La voce del moretto si
piegò in una risata isterica.
- Tenere…voi tenete a
lui…per questo ci sono solo io a confortarlo ogni notte, ogni attimo…sì,
certo, per questo…- disse acido, il disprezzo colorava ogni parola.
- Non dire così, negli
ultimi tempi si fidava solo di te, non ci ha più chiesto nulla, non ci ha
permesso di avvicinarci di un passo. Credi che per noi sia stato facile
vederlo in quello stato e sapere di non poter fare un bel niente?!- il più
grande si stava alterando, gesticolava, si era alzato in piedi per accendere
la lampada che stava sulla scrivania per cercare di intravedere, almeno, gli
occhi dell’altro.
Ancora un riso, strano.
Un fruscio di lenzuola; Mitsui percepì che si stava alzando, si avvicinava.
- E credi che per lui è
facile sentire i vostri compassionevoli sguardi addosso, vivere nel terrore
dei vostri giudizi? Tu, voi, non sapete un cazzo…vi permette di dirci cosa
fare senza sapere un fottutissimo cazzo di quello che ha passato, di quello
che ha sofferto. E ora mi vieni pure a vomitare addosso tutte queste belle
parole per alleggerirti la coscienza?! Be’…te le puoi anche risparmiare!
Anzi mi fai un favore! Ho la nausea della tua bella faccia ipocrita…-
Gli occhi di Yohei
furoreggiavano a un palmo da quelli di Hisashi, appiccicato al muro, con le
dita dell’altro strette intorno al collo quasi a fargli mancare il fiato.
Mitsui lo fissava
cercando di convincersi che si stava sbagliando, che quello non era il Mito
che aveva conosciuto, a cui voleva bene, che aveva amato ai tempi del liceo;
ma quel fascio di nervi e rabbia e disperazione in cui il piccolo Yohei si
era trasformato non lasciava adito a dubbi…lui era Yohei Mito e stava
subendo quella realtà così tremenda da digerire: nulla sarebbe stato come
prima…
Yohei si mosse veloce e
scaraventò Hisashi a terra che cadde pesantemente su un fianco svegliandosi
dai sui pensieri, fissò il più piccolo: i quegli occhi scuri, in cui, in
quel momento, la luce non era che un lieve bagliore, sibilava una fiamma
indomita.
Hisashi si tirò su
cercando di allontanarsi dal suo amico immobile, che fiero e trasfigurato in
un’aura fosca, lo fissava con odio, con un sorriso folle sul volto liscio.
- Ho capito, me ne vado…-
mormorò l’universitario non sapendo più che fare. Yohei sgranò gli occhi,
gli fu di nuovo addosso sbattendolo all’altra parete.
- Tu non vai da nessuna
parte…- gli sibilò all’orecchio.
Mitsui incapace di
controllarsi gli mollò un destro in pieno viso facendolo barcollare,
indietreggiare, fermare, per fissarsi le mani sporcate dal sangue che
perdeva dal naso; l’espressione di Yohei cambiò improvvisamente, cominciò a
pulirsi ossessivamente il rosso dalla faccia e due rivoli gelidi gli
solcarono gli occhi sbarrati e poi, giù, fino al mento…
Fine - Capitolo 2
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