Questa fic nasce in modo strano…un po’ per il pretesto dell’ennesimo pair assurdo che mi farà rischiare le penne per mano di Mina-Tsuki, un po’ per sfogare le mie sempre più frequenti depressioni; diciamo che è terapeutica e suicida. Ringrazio Pam e Akira 14 per essersi entusiasmate alla mia idea e la cugi per avermi consigliato, quindi è a loro che va questo primo capitolo. Ora spieghiamo un po’ di cose: Hanamichi e Kaede sono in terza, Rukawa è il capitano della squadra e ha mollato il rosso per uno sbarbatello di matricola. Per il resto mi sembra tutto abbastanza chiaro, ma è anche il primo capitolo quindi abbiate fede! Se non volete che la continui ditelo subito che mi risparmiate fatica e tempo! =P Buona lettura.

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Fairy Angel

parte I - End

di Kima

 

Preparava tutto con meticolosa calma, forse mai era stato così attento in vita sua, le pillole, la lettera…a quel punto anche il suo modo, così disordinato, impulsivo, si era estinto, alla fine era cambiato; già alla fine…alla fine di quella storia, durata due anni, solo lui era rimasto, a pezzi come un puzzle in fondo ad una scatola. Se ne sarebbe andato, per sempre, in un posto migliore, sì, ne era sicuro, un posto in cui la sua ombra non avrebbe potuto risucchiarlo mai più. Per lui aveva cambiato tutto: si era dedicato al basket, si era reso conto di essere omosessuale, se ne era andato di casa. Ora viveva con Yohei, l’unico che lo capiva, l’unico che avrebbe pianto sinceramente per lui…ma neppure questo scalfiva la sua convinzione, aveva deciso, era inutile continuare così, solo soffrendo non sarebbe andato lontano, si era anche ritirato dalla squadra da quando lui ne era diventato capitano… e non era solo quello a far male… combattere con quel nemico così forte e invisibile era sempre stato difficile, ma mai fino a quel punto… tutto era crollato. Nulla aveva più senso…c’era solo quel dolore, sordo che cresceva, cresceva, cresceva in lui, come una pianta maligna, un parassita, che soppiantava, succhiandola, la sua anima. Era indescrivibile… dolore, abbandono, rabbia, solitudine, inadeguatezza… no. Era diverso…era…marcire dentro; già…unica definizione possibile. Stava marcendo, proprio con un cadavere…agli sguardi compassionevoli dei suoi ex amici, che chiedevano "ma che hai?!", cosa avrebbe dovuto rispondere?! L’unico a cui servivano risposte era lui! L’unico tormentato era lui! Un angelo dalle ali in fiamme.

Aveva sempre conosciuto la sua fragilità, strisciando nella sua pelle era inevitabile, ma ora quello strisciare continuo era l’unica cosa concessa, ora ne sentiva il prezzo…

Nessun abbraccio, nessun bacio, nessuna canzone avrebbe potuto fermare, coprire, anche solo per un attimo, il grido devastante che gli si spandeva dentro, come una marea.

Strinse gli occhi, forte, fortissimo, e li riaprì, lentamente, solo quando lacrime bollenti cominciarono a scendere copiose, bruciando sulle guance; con la vista confusa, annebbiata di pianto afferrò la foto del suo amato Kaede e la lettere che aveva scritto per lui, a pezzi, in quelle due ultime settimane. Con una parentesi amorevole abbracciò la sua stanza, con la carta da parati messa con Yohei tra le risate, i pochi mobili scelti quale là in qualche negozio di usato e tanto, troppo, silenzio, o forse rumore di ricordi.

Sentì un’onda atroce salire, improvvisamente, come il gonfiarsi di quella putrida pianta, che, avida, lo privava del suo stesso fiato. Boccheggiò, quasi, poi tornò a respirare, faticosamente, come arrancando alla superficie dopo un apnea forzata, come tornare indietro davanti all’indifferenza generale, tornare nel proprio nido di vergogna, vergogna di esserci e essere diversi da quello che ci si aspetta; ancora qualche lacrime continuava la sua corsa, la cancellò con un gesto veloce.

Poi buttò la cornice contro la parete, preso da una rabbia incontrollata, febbrile, non sarebbe stato poi così difficile farla finire; sarebbe sparito, nel nulla, per sempre, a nessuno sarebbe importato poi molto…sarebbe costato giusto qualche lacrima di circostanza e poi il limbo dal dimenticatoio, nulla di più. Forse era anche troppo per un fastidio, un peso per tutti come lui, sarebbe bastato qualche minuto, qualche dannato minuto e infine...il buio: un oblio senza fine, vestito da lunghe e sontuose tenebre, in lutto perenne, in perfetta linea col suo essere, un sonno infinito. Se lo aspettavano le fiamme le avrebbe abbracciate come amiche se, invece, le nuvole, da cui tutto è palese, lo attendevano quiete le avrebbe odiate in modo viscerale, profondo, capace di pervaderlo, trasfigurandocisi completamente.

Però, infondo, un oblio vale l’altro…o quello terreno o quello che, forse, c’è dopo, non importava. Essere soli è lo stesso in qualsiasi luogo, perdersi nel nulla è lo stesso in ogni tempo, soffrire e imputridire è lo stesso ignobile processo indistintamente dal contesto…

Cadde sulle ginocchia, la schiena diritta e i pugni chiusi di braccia frementi, tremanti di rabbia. Almeno quello gli era concesso, no? Almeno sottrassi da quello sfacelo era giusto, vero? Non poteva aggiustare le cose, non poteva riconquistare gli amici e lui…be’…meglio non pensare a lui…non poteva tornare dai suoi, solo quello gli era concesso; un bivio inutile gli si piantava, ora, dinanzi: aveva scelto…

Lanciò un’occhiata alla foto, a terra, coperta di schegge di vetro; sarebbe bastato un attimo e in quell’attimo non pensare a nulla e sarebbe stato finalmente libero…Senza contarle, mise le pillole sul palmo, subito alla bocca e giù, in gola, spinte dall’acqua. Quasi più sereno si stese sul letto, lasciando i piedi a terra e le mani a penzolare dal bordo; le lenzuola profumavano di buono, detersivo e sole, Yohei doveva averle cambiate quella mattina, solo ora se n’era accorto…

Quel ragazzo era davvero in gamba…ci si poteva davvero fidare di lui e in quel periodo era stato l’unico a stargli vicino, a tenerlo in piedi, a dargli la speranza e i sorrisi di cui aveva disperato bisogno; l’unico così folle da rovinarsi la vita dietro a lui e tutti i suoi casini, prima i suoi, poi il basket, Rukawa, l’appartamento e il declino di tutto nel medesimo ordine…

<Scusa amico…scusa…non volevo, però…questo è quello che posso..i-io non sono forte…n-non merito perdono o cose così...mi sono perso e-e neppure la tua mano può portarmi indietro…n-non possiamo farcela…no, sta volta proprio no…>

Pensò con lo sguardo perso al soffitto, una leggera nebbia andava ammassandosi ai suoi occhi stanchi anche solo di stare aperti.

Bastava col pensare, bastava col farsi solo che male, era meglio non riflettere affatto, era meglio non compatirsi, l’unica cosa da fare era liberare la mente e attendere…

Una lacrima si dilatò sul lenzuolo e i suoi occhi si chiusero. La sua agognata fine.

Fine - Capitolo 1





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