Parti: 1/1
Rating: death fic, angst, pg 17
Disclaimer: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.
Buona lettura!
Etrom
di Bombay
Non ho mai avuto problemi a svolgere il mio lavoro.
Però quella volta esitai.
Sono passati molti anni da qual giorno eppure soffro ancora.
Significa questo essere innamorati? Vivere e struggersi nel ricordo di una persona che non ‘c’è più.
Il vento mi scompiglia i capelli, ricordo quel giorno come fosse ora.
Dovevo svolgere il mio incarico, come sempre, arrivavo e lo conducevo via con me, questa volta dovevo portare via una ragazzo che non aveva ancora compiuto i vent’anni, ma questo non mi ha mai condizionato, ho portato con me bambini appena nati e con loro, a volte madri molto giovani.
Era una bellissima giornata di sole, nel parco molte persone passavano in modo diverso quel sabato pomeriggio: intere famiglie, gruppi di ragazzi che giocavano a pallone, madri che portavano a spasso i loro bambini, giovani che si allenavano.
Un ragazzo correva da solo sulla pista adibita alla corse, si fermò a prendere fiato. Si tolse gli occhiali dalla leggera montatura e si passò la maglietta sul viso detergendosi il sudore.
Alto forse un po’ troppo magro, dai capelli neri portati un po’ lunghi. Mi avvicinai a lui con passo deciso, si accorse si me, mi fissò sorridendo ed in quel momento persi me stesso.
"Ci conosciamo?" mi chiese.
"No" non dovevo esitare dove portare a termine il mio dovere.
Si portò una mano alla fronte piegandosi in avanti, istintivamente lo sostenni.
"Tutto bene?" chiesi, sapendo che non era così.
"Si ora passa" rispose con voce flebile ma sicura, lo feci sedere sull’erba ed andai a prendergli dell’acqua.
"Grazie, è da qualche giorno che mi vengono degli improvvisi mal di testa, devo decidermi ad andare dal medico" mi disse.
"Come ti chiami?" domandai anche se sapevo molte cose su di lui.
"Thomas Ford e tu?"
Aprìì la bocca per rispondere poi la richiusi, Thomas reclinò il viso di lato in attesa.
"Etrom"
"Etrom? Che razza di nome è?"
"Un nome come un altro" ribadii ridendo e quel giorno non lo portai via con me.
Il giorno dopo lo incontrai ancora deciso a compiere il mio dovere, ma non ce la feci e nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora…
Passò così un mese in cui ci vedevamo tutti i giorni. Thomas era espansivo e dolce e mi raccontava di sé della sua famiglia degli studi e dei progetti futuri. Io invece creavo menzogne su menzogne di un passato che non avevo, di legami mai esistiti.
Ci frequentammo, ci conoscemmo, ci innamorammo.
Non potevo crede a quello che stavo vivendo, mi sembrava un sogno, ma sapevo che non poteva perdurare, dovevo mettere fine alla nostra relazione, non potevo oppormi al Destino, non potevo indugiare ancora.
Quella sera cenammo insieme a casa di Thomas, mi aveva invitato visto che i suoi genitori erano fuori città per tutto il fine settimana.
Finito di sistemare la cucina Thomas mi baciò e mi condusse nella sua stanza al piano superiore.
Lo baciai rimandando ancora il mio compito.
Ci amammo quella notte, fino al mattino, fino a quando i nostri sensi vennero appagati.
Però, per me, più si approssimava il giorno più sentivo dilagare dentro di me l’angoscia. Dovevo dirgli la verità, lo avevo ingannato troppo a lungo; ma sapevo che nel momento stesso che gli avessi rivelato la verità lo avrei perduto per sempre.
"Thomas, ti devo dire una cosa importante"
I suoi occhi si fecero attenti e curiosi.
"Ti ho mentito"
"Non mi ami?" domandò allarmato.
"Si più di me stesso, questa è l’unica verità che ti ho detto, ma è giusto che tu sappia chi sono in realtà"
Sorrise mettendosi sopra di me.
"So chi sei" mormorò sorridendo dolcemente, lasciandomi senza parole.
"Non sai quello che dici"
"Etrom non è il tuo vero nome… tu sei…"
Gli posai le dita sulla labbra.
"Non dirlo” gridai “Non dirlo altrimenti…"
"Morirò"
Quando mormorò quelle parole con il volto così sereno le lacrime mi salirono agli occhi e piansi per la prima volta nella mia esistenza.
Mi asciugò le lacrime con le labbra e poi mi baciò con dolcezza.
"Sai, sono stato dal medico, due settimane fa, mi ha diagnosticato un tumore al cervello, secondo lui è un miracolo che sia ancora vivo. Non c’è molto da fare un intervento è impossibile e le cure mi allungherebbero la vita, ma non di molto, soffrendo…"
Mi scostò i capelli dal viso.
"Facciamo l’amore un’ultima volta"
Non seppi dirgli di no, così ci unimmo in un amplesso lungo e travolgente.
"Sono felice di averti conosciuto” mormorò accarezzandomi le labbra con le dita.
"Non ho paura di morire, anche perché sei tu a condurmi via"
Scossi la testa, mai incarico fu per me così doloroso.
"Ti amo… Morte…" sussurrò, sentii la vita scivolare via dal suo corpo.
Rimasi ore a piangere con il corpo esanime di Thomas stretto al petto, ripentendo il suo nome e quanto lo amavo.
Venni rimproverato e punito da Destino per la mia negligenza, ma non mi importava, se mi avesse condannato all’oblio eterno ne sarei stato più che felice, ma così non fu.
Ho sperimentato l’amore e soffro ancora. Ogni anno vengo qui in questo cimitero, davanti a questa lapide che porta il nome dell’uomo che amo.
Thomas A. Ford
15 dicembre 1985 – 15 maggio 2004
|