In un paese
d'estate parte
XXIV
di Unmei
Erano le dieci di sera passate da un pezzo, e Monica stava per uscire
dall'ufficio e tornarsene a casa, già preparandosi alle lamentele di un
marito che negli ultimi tempi, poverino, era stato un po' trascurate.
Era un periodo denso di lavoro, e così passavano poco tempo
assieme... forse era il caso di concedersi una vacanza, per farsi
perdonare.
Aveva sempre desiderato fare un bel viaggio ai tropici, magari
avrebbero potuto consentirsela per il loro quinto anniversario di
matrimonio, che sarebbe stato di là ad un paio di mesi. Lasciarsi dietro
l'inverno migrando in spiagge meravigliose e semideserte, dall'acqua
trasparente.
Stava chiedendosi che luogo potesse essere migliore, Bali, o le
Seychelles, quando passò davanti ad una porta di là della quale
proveniva un veloce ticchettio di tasti; siccome aveva creduto di essere
ormai rimasta da sola, e siccome la porta in questione apparteneva
all'ufficio di Keith (il quale se n'era andato un bel po' di ore prima),
decise di bussare timidamente ed affacciarsi.
In effetti il suo collega era proprio lì, alla scrivania; la luce era
spenta e l'unica illuminazione, piuttosto spettrale, proveniva dello
schermo del computer al quale il giovane stava lavorando.
"Ehi, ma tu non eri andato via presto, oggi?"
Domandò la donna, appoggiandosi allo stipite.
"Mi sono reso conto di avere troppo da fare, e sono tornato.
Tu, piuttosto... una donna incinta non dovrebbe lavorare fino a
quest'ora."
Monica inarcò le sopracciglia, perplessa.
"Io non sono incinta!"
"No? Allora devi essere solo ingrassata."
"Ma brutto..."
Monica accese la luce e marciò fino a Keith, con un pugno alzato che era
pronta a calargli sulla testa senza usare troppa delicatezza, ma quando
gli fu vicina e poté vederlo bene si fermò; anche se la sensibilità
femminile non era il suo forte era evidente che qualcosa non andava. E non
solo per l'espressione, o meglio la mancanza di essa, sul viso del suo
amico, quando di solito dopo una battuta così maligna avrebbe avuto
stampato un bel ghigno soddisfatto.
Era pallido come la morte, e tutto il suo linguaggio corporale denotava
abbattimento; il labbro inferiore poi era martoriato e sanguinante, e lui
continuava a tormentarlo, mordicchiandolo con ferocia.
Lui distolse per un attimo l'attenzione dal lavoro e guardò verso
di lei, con gli occhi di qualcuno che avrebbe tentato un sorriso, se solo
avesse potuto.
"Scusami. Dico idiozie per forza d'inerzia, a quanto
pare."
"Keith, ma cosa è successo? - prese dalla borsa un fazzoletto
pulito e cominciò cautamente a ripulirlo dal sangue, mentre lui,
completamente apatico, la lasciava fare. - Fino ad oggi pomeriggio eri di
ottimo umore, ed ora sembri uno spettro. Guarda cosa ti sei fatto..."
Non rispose, e lei capì che non era il caso di insistere: esistono
fatti che si preferisce non condividere nemmeno con gli amici più fidati,
e quello che lo turbava doveva rientrare nella categoria. Aveva inteso però
di cosa potesse trattarsi, e così si espresse con tutto il tatto di cui
era capace.
"Senti, se vuoi... se non hai un posto dove andare a dormire...
puoi stare da me, stanotte. Abbiamo una stanza per gli ospiti, e c'è un
letto molto comodo. E credimi, ne avresti bisogno."
Keith scosse la testa, lentamente.
"Ti ringrazio, ma non posso. Devo finire questo lavoro, e ho
poco tempo."
"Il termine di consegna è tra dieci giorni, non è il caso di
affannarsi.
Anche se ti riposi per questa notte, finirai lo stesso in anticipo.
Allora?"
"No... io... devo farcela per domani. Poi andrò via, Monica, e
non voglio farlo senza aver tenuto fede all'impegno preso."
La donna lo guardò, preoccupata.
"Che significa, Keith? Non hai certo l'aspetto di qualcuno che
parte per le vacanze."
"Già... in effetti io... non so bene cosa farò. Non so
quando... se tornerò. Ho vissuto ad occhi chiusi per troppo tempo, ed ora
che ho dovuto aprirli..."
La sua voce si arrochì; tacque e chinò il capo, rendendosi conto di non
avere né la voglia, né la forza di continuare. Non aveva molto da dire,
dopotutto.
Niente che potesse essere spiegato... non a Monica, nonostante le volesse
bene.
"Proprio non so se devo fidarmi a lasciarti solo."
Commentò lei con un sospiro, e gli accarezzò la testa,
sfiorandogli una tempia con un bacio leggero.
"Sono patetico fino a questo punto?"
Chiese, stancamente.
Sentiva un tale peso, addosso... un senso di estraniazione.
La sua vita era cambiata troppo repentinamente e lo aveva lasciato
completamente disorientato.
A che punto di riferimento doveva rifarsi?
Quando si era trovato davanti Matthias così sconvolto, aveva
sentito la propria vita sfuggirgli di mano, aveva distinto chiaramente il
proprio futuro, così come lo aveva immaginato, dileguarsi.
Si era ritrovato intontito, incredulo, stranito, morto di dolore.
Poi c'era stata qualche ora in cui aveva solo sperimentato una
sensazione di irrealtà; come se avesse vissuto un incubo... era giunto a
credere che se fosse tornato a casa avrebbe trovato tutto come sempre.
Perché... perché non era possibile che tutto fosse finito così...
Infine la realtà era esplosa in tutto il suo cupo fulgore, e lui vi stava
annegando.
Più niente, più niente.
Aveva giocato puntando ogni cosa, ed aveva perso tutto.
Poteva continuare ad essere brillante, poteva ostinarsi a
comportarsi da forte, ma la maschera non avrebbe funzionato. Inutile.
Voleva solo abbandonarsi.
Lasciarsi andare.
Come chi ha lottato a lungo, ed inutilmente, non provava desiderio
di continuare; dolce malinconia per il passato, desiderio per il seducente
oblio. Voleva chiudere gli occhi ed immaginare che avrebbe trovato braccia
gentili ad accoglierlo.
Ma davvero, davvero aveva perso Matthias?
Sentì una nausea acida riempirgli la gola.
Patetico?
Sì, notevolmente.
*********************
Lavorò ininterrottamente fino alle sei del pomeriggio del giorno
successivo.
Era una febbre: immergendosi nel lavoro, senza staccare gli occhi
dallo schermo, facendosi circondare dal brusio dell'attività, dai
frammenti ascoltati delle vite degli altri, poteva ignorare se stesso.
Più aveva da fare, più poteva illudersi, riservandosi l'autocompatimento
per quando sarebbe stato completamente solo, e avrebbe avuto tutto il
silenzio ed il buio che desiderava.
Che fare della vita, ora?
Non aveva più Matthias, non aveva più una casa dove tornare... lui
stesso non aveva più un senso.
Una stanza d'albergo, il luogo dove avrebbe passato quella notte, e chissà
quante altre.
Ma ricominciare tutto da capo aveva tutta l'aria di essere un'impresa
molto faticosa... perché farlo?
A questo pensava, aspettando la metropolitana; a tutto quello che aveva da
fare, a tutti i giorni che si sarebbero susseguiti... uno dopo l'altro...
Pensava anche al metrò che sarebbe arrivato veloce... e che, anche
rallentando, ci avrebbe messo comunque un po' a fermarsi completamente.
E i binari, a pochi metri da lui... le traversine, anche loro una
dopo l'altra, proprio come i giorni.
Avanzò di un passo, senza rendersi conto di stare trattenendo il fiato.
Stanco com'era, desiderava riposare, i suoi occhi lo imploravano di
lasciarli chiudere.
"Ma che fai!"
La motrice era ormai in vista, lui aveva già superato la linea di
sicurezza dipinta per terra, e qualcuno lo aveva afferrato per un braccio,
tirandolo bruscamente indietro.
Voltò lo sguardo verso colui che aveva parlato, senza provare nessuna
reale emozione.
"Oh. Quanto tempo... chi si rivede."
"Non posso certo stare a guardare mentre ti butti sotto un
treno."
Disse Rain, incollerito ed allarmato, decidendosi a mollargli il
braccio solo quando un vagone si fermò davanti a loro, aprendo le porte.
"Non ti preoccupare, quando deciderò di suicidarmi sceglierò
un modo che non faccia infuriare centinaia di viaggiatori diretti a casa..
sai quanti ritardi causerebbe, recuperare brandelli di cadavere dai
binari?"
Rain si passò una mano tra i capelli, con espressione esasperata.;
avrebbe accettato il sarcasmo se esso avesse rappresentato un segnale di
ripresa, ma in quel caso l'indizio era del tutto negativo. Conoscendolo,
avrebbe anche potuto parlare sul serio.
"Davvero lo faresti, Edg?"
Gli chiese, seguendolo a bordo, nella carrozza stipata
all'inverosimile, ma l'altro non rispose.
Un silenzio, però, che parlava già da sé.
"Hai aspettato dei secoli per ridurti così? Per lasciarti
distruggere dalla prim-"
"Dannazione! Ma allora non ti rendi conto di quanto è
successo!"
La voce alta e brusca di Keith per un momento aveva zittito il
brusio degli altri passeggeri.
"Forse sarà meglio parlarne in albergo."
Commentò Rain, e rimasero in silenzio per tutto il resto del percorso.
***********
Keith aveva buttato la giacca di pelle sul letto, e si era lasciato
sprofondare nella poltroncina; la mignon di whisky l'aveva finita in una
sola sorsata, e lui si era ripromesso di acquistarne di migliore, il
giorno dopo, perché quelle marche da supermercato proprio non riusciva a
sopportarle; se doveva ubriacarsi, obbedendo ad un classico e sempre
valido cliché, desiderava farlo con un minimo di buon gusto.
Dall'altra parte della stanza Rain lo guardava, senza parlare.
Probabilmente attendeva che fosse lui a farlo, perché si sfogasse.
Parlare...
Sfogarsi...
Si alzò per tornare al frigobar.
Mignon di gin.
Mignon di rhum.
Mignon di tequila. Non gli piaceva, ma andava bene lo stesso.
Due bottiglie piccole di champagne.
Ottimo, per brindare al proprio fallimento.
Il problema, a reggere tanto bene l'alcool, era che quelle poche
cose certo non potevano bastare ad ubriacarlo.
A meno che il suo amico che era lì con lui, tanto bravo nei
trucchetti, non gli facesse qualche regalino proveniente da una
distilleria.
Un sogghigno amaro gli piegò le labbra; trovarsi faccia a faccia
con se stesso in quelle condizioni non gli piaceva affatto... e visto dal
di fuori doveva essere ancora più disgustoso.
Ma non aveva proprio la forza per scrollarsi la polvere di dosso e
rialzarsi; era più facile rimanere a terra.
Ed aspettare che qualcuno si decidesse a seppellirlo.
"È stata colpa mia, vero? Mi sono ficcato da solo in questa
situazione..."
"Diciamo che... che hai commesso un errore le cui conseguenze
si sono gonfiate a dismisura."
Rain andò a sedersi sul bordo del letto, appoggiando i gomiti sulle
ginocchia, a schiena curva; i sentimenti cupi che Keith stava
provando riempivano la stanza di una nube di negatività, densa, oscura,
pesante... soffocante come fumo di gomma bruciata, così forti che lo
stavano ferendo.
[Non è questo che dovrebbe fare l'amore.]
Pensò, guardando Keith.
Il tormento, la rabbia, il rimpianto, si erano sedimentati anno dopo
anno in fondo al suo cuore; un'anima spezzata in due, che si era
nuovamente saldata, ma imperfetta come un osso mal calcificato.
La ferita nel suo cuore, che avrebbe avuto bisogno d'aria, per
sanare... era invece stata sempre chiusa, e non aveva mai potuto guarire.
"Quando, tempo fa, Matthias ti chiese come eravate morti, tu
avresti dovuto tacere. Non per nulla nei patti era stabilito di non
raccontargli alcunché... proprio per limitare al massimo l'eventualità
di una simile situazione. Gli hai raccontato una bugia, e lui l'ha presa
per buona. Ma anche se sopiti, i suoi ricordi c'erano tutti, esattamente
come per te. La menzogna che gli hai raccontato, dolorosa, e la verità,
ancor più dolorosa, hanno lottato dentro di lui a lungo; prima solo
inconsciamente, poi in sogni strani ed angoscianti, infine nella febbre
che tanto ti ha fatto preoccupare. È comprensibile che... - sospirò -
che rendendosi conto dei fatti reali si sia sentito tradito, ed abbia
avuto paura di te."
"Vorresti dire che se io avessi taciuto le cose sarebbero
andate diversamente, e non sarei qui a dare spettacolo di me stesso?"
"Non lo so... ma è certo le sue memorie si sarebbero
presentate fluidamente, con meno traumi, limpide, e non frammentarie e
spaventose come sono state."
"Io forse... forse lo ingannai perché speravo di convincere
anche me stesso. Di crearmi una finta verità credibile abbastanza da
poter viverci dentro. Forse, se non gli avessi mentito ora mi odierebbe un
po' di meno."
Il solo averlo pronunciato, il solo aver pensato che Matt in quel momento
lo odiava, gli strinse spietatamente lo stomaco.
Chiuse gli occhi, e appoggiò la testa contro il muro; quando li
riaprì la luce che brillava in essi aveva un che di sinistro. Declamò ad
alta voce, mimando il movimento delle dita sull'arpa.
"Amors est rage et derverie
Ki toute gente enserre et lie
Amors escaufe, Amors esprent,
Amors deçoit, traïst et ment
Amors noircist viaire et taint
Amors atrait, Amors enlace
Amors... Amors... non ricordo più. In ogni caso è molto appropriato,
vero?"
"Edgard, smetti di farti del male inutilmente."
Lo pregò Rain, con voce dolce e addolorata.
"Inutilmente, dici? No... se sento dolore almeno significa che
sono ancora vivo. Giusta punizione per aver mentito, no? Solo di questo mi
pento, di avergli raccontato quella bugia."
"Non è da te arrenderti in questo modo! - Rain non sapeva
onestamente che altro dire, o fare, per ricondurre alla ragione quel
giovane; tirare fuori un uomo dalla disperazione era già difficile, e
riuscirci con qualcuno che si attaccava morbosamente ad essa sembrava
impossibile - Non dovresti essere qui, a piangerti addosso e a bere...
dovresti essere alla sua porta, dovresti parlargli, e chiedergli scusa, e
chiedergli di cominciare un'altra volta..."
"Con che diritto?"
Chiese stancamente Keith, giocherellando con il sigillo di una
bottiglia, lo sguardo appannato; vederlo in quelle condizioni stava
abbattendo anche Rain.
"Edg, io posso capire quello che provi, ma..."
"Puoi capire? *Cosa* puoi capire, tu? Non hai nemmeno l'umana
concezione della vita e della morte, e dici di capire *questo*? - aveva
alzato la voce, inaspettatamente, riacquistando di colpo lucidità, ma poi
sembrò dispiaciuto di aver usato un tono aggressivo con chi stava
tentando di aiutarlo - Io... io ho passato secoli ad avere paura. Prima,
il terrore che non lo avrei mai più potuto incontrare. E una volta
ottenuto il permesso, mi sono angosciato chiedendomi se, una volta
ritrovatolo, lo avrei visto già innamorato di qualcun altro. Oppure che
avrei fatto se non si fosse più innamorato di me. Ho passato una vita
addormentandomi pensando: forse domani lo incontrerò, ed era la mia più
luminosa speranza ed il mio più cupo terrore.
Quando l'ho avuto di nuovo tra le braccia ho avuto paura del giorno in cui
avrebbe ricordato... per il dolore che ciò gli avrebbe causato. Infine...
paura che mi avrebbe odiato per quello che gli ho fatto, paura che non
avrebbe rinnovato il suo perdono. Ed ora... eccomi."
Rain capì che in quel momento Edgard, o Keith, stava piangendo. Le
lacrime all'esterno non si vedevano, perché una volta arrivavate agli
occhi esse tornavano indietro, scorrendo dentro di lui; gli bruciavano la
carne, sfregiavano la sua anima. Piangeva a modo suo lacrime che erano
acido, e che lo avrebbero pian piano ucciso. Forse era vero che lui non
poteva capire cosa stava provando... nessuno può comprendere del tutto il
dolore di un'altra persona ... si può arrivare ad intenderlo, ma resta
comunque un 'idea astratta, perché il cuore sanguinante non è il
proprio.
Keith si guardò le mani, e notò che stavano tremando, pallide e fredde.
"Dovetti farlo! Non volle andarsene... glielo avevo detto, lo
avevo pregato! Ma lui non volle... che altro potevo fare?"
"Basta, ora."
Rain gli tolse di mano la bottiglia, e lo costrinse ad alzarsi; Keith non
aveva abbastanza energie per opporsi, e così accettò di sedersi sul
letto, appoggiandosi mollemente ai cuscini contro la spalliera. Pochi
minuti dopo gli fu messo tra le mani un fumante mug colmo di tisana, che
profumava di menta, camomilla, verbena. Quando lo assaggiò sentì che non
c'era zucchero, ma era lo stesso piuttosto dolce.
"Questo ti farà sicuramente meglio, o per lo meno non ti
causerà un'ulcera."
Lo guardava, mentre mandava giù la bevanda, e si chiedeva che potesse
fare per aiutarlo, per alleviare il peso che lo opprimeva. Non era facile:
fino a che non avesse di nuovo avuto Matthias al fianco, qualsiasi rimedio
sarebbe stato semplicemente momentaneo.
L'unica cura possibile era farli tornare insieme, ma non riusciva a
vederne il modo. O meglio, il modo c'era, eccome, ma faceva letteralmente
a pugni con le loro leggi di non interferenza. Lui e il suo compagno
potevano aiutare i loro protetti, sorvegliarli, dar loro consigli,
indirizzarli, ma non intromettersi con forza nelle loro vite, modificando
il loro destino.
Potevano indicare loro una strada, ma non costringerli a
percorrerla.. o metterli su di essa se loro non riuscivano a trovarla; era
una delle leggi più importanti del mondo celeste, ed infrangerla portava
a conseguenze non molto piacevoli... come minimo ci si poteva ritrovare
degradati ai ranghi più bassi della loro gerarchia.
Ma gli bruciava troppo restare a guardare... non essere in grado di
aiutare... quando lui stesso aveva sempre creduto che le cose
sarebbero andate bene.
Non poteva assistere mentre due persone che si amavano in quel modo
gettavano tutto ciò che avevano, e si facevano volontariamente del male
E Matthias, come stava in quel momento?
Rain chiuse gli occhi, cercandolo spiritualmente per vedere che stesse
facendo.
°°Il ragazzo era rincasato dal lavoro; essendo la febbre svanita, quel
giorno aveva preferito tornare alla libreria, cercando di reagire, per non
consumarsi nell'infelicità.
Il suo tentativo non aveva avuto successo, però: aveva parlato lo stretto
necessario, sempre a bassa voce, sempre sentendo freddo e solitudine. Tre
volte si era chiuso nel bagno del negozio ed aveva pianto, sfogandosi
quando non riusciva più a mantenere quel faticoso controllo su se stesso.
In quella casa, da solo, stava rannicchiato sul divano, senza aver
cenato e senza avere nessuna intenzione di farlo; fissava il vuoto,
stringendosi le ginocchia al petto.
Lo vide alzarsi, e dirigersi in camera, dove rimase qualche istante
sulla soglia, a osservare la stanza; entrò piano, come se qualcuno ci
stesse dormendo e lui non volesse svegliarlo facendo rumore.
C'era uno dei maglioni di Keith, piegato sulla poltroncina, uno di
quelli larghi e morbidi che indossava in casa, per mettersi comodo; era
quello che aveva indossato solo un paio di giorni prima.
Matthias allungò una mano, timidamente, come se esitasse, e lo
accarezzò; poi un singhiozzo gli scosse il petto, e di colpo afferrò
l'indumento, e vi sprofondò il viso, sforzandosi di trattenere le
lacrime.
Oh sì, c'era ancora il suo profumo, addosso, anche se lieve lo
poteva sentire benissimo.
Sedette a terra, stringendo a sé la maglia, strettamente come
avrebbe abbracciato Keith, se fosse stato lì... perché anche se aveva
paura, anche se si sentiva tradito, turbato, sperduto anche se non sapeva
più cosa pensare...continuava ad amarlo, completamente, immensamente, con
tutto se stesso.°°
Ecco, dunque, entrambi soffrivano, entrambi si amavano, ed entrambi non
avevano la forza di incontrarsi.
No, non li avrebbe lasciati così, non finché c'era speranza che
potessero tornare insieme.
"Edgard, devi andare da lui."
Gli disse, il tono simile a quello di un ordine, prendendolo per le
spalle; ma nonostante tanta foga, Keith si limitò a scuotere la testa,
rigirandosi tra le mani la tazza ormai vuota.
"Lasciami in pace."
Sussurrò, senza nemmeno guardarlo in viso.
"Se lo rivuoi indietro non puoi permetterti di restare qui a
distruggerti! Non è da te.. Tu hai sempre lottato, hai sempre avuto il
coraggio e la forza necessari a dominare la tua vita. Perché vuoi
arrenderti ora?"
Nessuna risposta.
"Lui sta soffrendo, Edgard!"
"Per colpa mia. Colpa mia. Colpa mia. Come posso mostrarmi a
lui? Io sento di... di non poter sostenere un'altra volta quello sguardo
su di me... non posso, sapendo che mi teme. Non voglio ferirlo
ancora."
Non stava andando affatto bene, non riusciva a convincerlo. Ma avrebbe
trovato il modo! Esiste sempre una possibilità, e lui aveva già in mente
cosa fare.
"Dovresti provare a dormire, adesso. Quando ti sveglierai
riposato e più tranquillo riuscirai a capire ciò intendo... e se non ti
ho persuaso io, manderò qualcuno che dovrebbe riuscirci."
Finalmente Keith lo guardò, una minuscola scintilla di curiosità, ma durò
poco più di un attimo, poi, meccanicamente, si alzò, dirigendosi verso
il bagno.
Sì, una doccia calda poteva almeno cancellare il gelo che sentiva,
e che lo aveva intorpidito al punto da rendergli difficile muoversi
scioltamente.
Quando sentì l'acqua scorrere Rain decise che era arrivato il momento di
andarsene; prima di scomparire però gli lasciò sul letto biancheria ed
abiti puliti, che avrebbe indossato il giorno successivo, quando sarebbe
tornato da Matthias, e si sarebbero chiariti, per tornare insieme... perché
sarebbe andata così, ne era certo.
Lui doveva soltanto parlare con Matt: spiegargli, aiutarlo a capire,
prepararlo a riaccogliere il suo innamorato... e lasciare che la scossa
definitiva a Edg la desse Jael: se lui con l'emotività non era riuscito a
convincerlo, forse la logica avrebbe avuto maggior successo.
****************************************************
Fu costretto a frenare l'entusiasmo, perché quando cercò Jael scoprì
che era al momento occupato con Lariel. Fu tentato di infischiarsene
dell'ordine di non disturbarli, e di entrare comunque, ma l'intervento di
un altro dei Guardiani lo dissuase. Pensandoci, dopotutto, era meglio
pazientare, che complicare la situazione irritando uno dei Sommi,
rischiando qualche provvedimento che avrebbe potuto limitare la sua libertà
di azione.
Quindi aspettò, per quasi due ore, fino a quando Jael non entrò nel loro
salotto, pareti di opale, mormorio di fontanelle di pietra, luci azzurre.
"Mi hanno riferito che mi cercavi."
"Finalmente, cominciavo a non poterne più! Bene... hai visto
anche tu quello che è successo a Edgard e Matthias, no?"
L'altro annuì, sedendosi di fronte a Rain.
"È uno degli argomenti di cui stavo discutendo con Lariel. In
effetti una situazione simile era ragionevolmente prevedibile, a partire
dal momento stesso in cui Edg ha mentito a Matthias."
"Probabilmente è vero, ma dobbiamo riparare finché siamo in
tempo! Se ora lasciamo che le cose si sviluppino per conto loro non accadrà
niente di buono."
"Vuoi intervenire? Lo hai già fatto, no? Che altro hai in
mente?"
"Non mi è servito a molto parlare con Edgard, sarebbe meglio
che lo facessi tu. Convincilo a reagire, rimettilo in piedi: tu sai come
far leva sull'orgoglio, come irritare le persone..."
L'altro inarcò sarcasticamente un sopracciglio, incrociando le
braccia.
"Oh, molte grazie. E tu intanto che combinerai?"
"Parlerò con Matthias. Lui ha bisogno di... di un appoggio, di
qualcuno che rinnovi la sua fiducia, che gli faccia ricordare che non ha
mai odiato Edgard, e che non può iniziare ora."
Jael sospirò, e per qualche minuto fu silenzioso, con la testa china e lo
sguardo assorto; come poteva dire a Rain che il lungo colloquio con Lariel
era proprio dovuto alla decisione di quest'ultimo di sollevarli
dall'incarico di Custodi di quella coppia?
Aveva detto:
'L'impegno doveva durare sino a che Ewan non avesse ricordato il proprio
passato, e questo ormai è già avvenuto da mesi. Non c'è motivo che
continuiate ad occuparvi di loro.'
'Sì, ma i suoi ricordi non sono ancora completi! Lasciandoli ora
sarà stato tutto inutile: significa privarli della possibilità che era
stata loro promessa."
Aveva protestato. Aveva insistito. Tutto inutile, il suo superiore
era stato irremovibile, aveva anzi tassativamente vietato di intromettersi
in alcun modo in quella situazione, facendogli notare che lasciarsi
trasportare dalle emozioni non era cosa che si addicesse a lui,
soprattutto se aveva intenzione di passare di rango.
Già, già, già.
Chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte.
"Parlare non servirebbe a nulla. Non vedo che potrei dire a
Edgard di speciale per farlo tornare in sé: si sta volontariamente
lasciando sprofondare per punirsi e non saranno le mie parole a
distoglierlo dalla sua decisione. L'unico a potergli ridare equilibrio è
Matthias, ed ora come ora sai che è impossibile."
"Ho detto che gli parlerò! Gli racconterò..."
"Che cosa? Tu non puoi dirgli niente, lo sai bene... deve
ricordare da solo. Poi sarà libero di tornare da Edgard, o di
allontanarsi da lui definitivamente. Però... lo shock ha bloccato la sua
memoria: non credo proprio che altri ricordi affioreranno
spontaneamente."
Rain lo fissò, analizzando per bene le sue frasi, domandandosi come gli
fosse saltato in mente di domandare collaborazione a qualcuno che ormai da
tempo dimostrava, eufemisticamente parlando, di tenerlo in una
considerazione pressoché pari a zero.
E lui, stupidamente, continuava a considerarlo un compagno, un...un...
Si rifiutò di continuare il pensiero, perché la persona di cui lui si
era innamorato non era così. Controllato, sarcastico, irritante, lo era
sempre stato.. ma quell'indifferenza era inaspettata e dolorosa, perché
rivolta a due persone loro amiche... ed anche a lui stesso.
"Tu non hai intenzione di aiutarmi, vero?"
Chiese, fremente, sporgendosi verso di lui. Gli occhi del suo
compagno sembravano un verde oceano ghiacciato.
"Se servisse a qualcosa magari ti aiuterei, ma ciò che vuoi fare è
completamente inutile."
"Oh, d'accordo...allora tu stai qui e fai qualcosa di *utile* -
si alzò in piedi, questa volta letteralmente furente - io vado almeno a
tentare di aiutare qualcuno che meriterebbe di vivere e di amarsi in pace.
Ma non sto a spiegarti, visto che non capiresti!"
Tentò il balzo dimensionale che lo avrebbe riportato nel mondo umano, ma
non avvenne nulla; rimase interdetto solo per un paio di secondi, poi il
suo sguardo si fissò nuovamente su Jael.
"Sei tu ad interferire!"
"Sto solo evitando che tu ti metta in grossi guai."
"Finiscila! D'accordo, non vuoi aiutarmi, ma non puoi impedirmi
di farlo."
"Posso eccome, invece. Con questa tua idea balorda
danneggeresti anche me, oltre te stesso, e probabilmente anche Edgard e
Matt, per cui sono costretto a impedirti di nuocere fino a che non ti
sarai calmato."
Rain si risedette pesantemente, guardando torvo il compagno.
"Non puoi... non puoi riuscirci a lungo, impiegheresti troppe
energie! Mi basterà aspettare un po', e non riuscirai più a tenere in
piedi la barriera."
[Non sai quanto ti sbagli.]
Rispose mentalmente l'altro. Il discorso di Rain sarebbe stato corretto se
le loro forze fossero state ancora in pari, ma visto come stavano le cose
avrebbe potuto impedirgli di effettuare il trasferimento per i prossimi
cinquecento anni senza colpo ferire. Certo non aveva intenzione di
farlo... e certo non era bello che Rain lo fissasse in quel modo.
Come dicevano, gli umani? ... 'se gli sguardi potessero uccidere'...
Ormai sembrava che l'equilibrio fra loro si fosse definitivamente
spezzato.
Forse era vero che erano squadra male assortita sin dall'inizio, e alla
lunga la loro incompatibilità li aveva separati.
Eppure... gli era sempre sembrato che potesse funzionare, e si era
abituato all'idea, tanto che... tanto che gli dispiaceva che finisse tutto
in astio, anche se proprio la rabbia di Rain lo aveva convinto a prendere
finalmente una decisione.
Si alzò, e gli parve di sentirsi meglio, ora che era riuscito a
scegliere... e chissà se la sua scelta si poteva dire di comodo. Forse sì,
in fondo era la più semplice... o meglio, quella ottimale.
"Capisco che tu sia arrabbiato con me, ma in ogni caso non
posso permetterti di commettere stupidaggini: agisci sempre senza pensare
alle conseguenze, e non sempre può andarti bene. Quindi... restatene qui
buono, e sarà più facile per tutti e due."
"Dove vai?"
La voce di Rain era secca, ancora arrabbiata, ma ormai inquinata
dalla preoccupazione; presentiva che le cose dovevano essere più gravi di
quanto aveva creduto, e che quello non sarebbe stato un banale litigio.
"Perché dovrei restare?... messi come siamo, credo che la
conversazione languirebbe."
"A me sembra piuttosto che tu stia evitando di discutere con
me, e così te ne scappi vigliaccamente! E se vuoi negarlo, resta seduto lì
e parliamone!"
Il biondo scosse la testa, con un gesto veloce si scostò i capelli dal
viso.
"Ho altri impegni, Rain. Mi dispiace sinceramente che finisca
in questo modo: dopo tanto tempo per me eri diventato... un amico."
Probabilmente era in ritardo, per ammettere una cosa del genere, ma
dirglielo era un dovere. Avrebbe potuto farlo prima, ma la poca
dimestichezza con le emozioni e il suo carattere avevano giocato a suo
sfavore.
"C-cosa?"
Rain non riusciva a capire se l'incredulità che stava provando era più
dovuta al fatto che Jael lo avesse chiamato amico, o a quelle parole che
somigliavano troppo ad un addio.
Non intendeva forse... rompere la loro coppia?
Jael avrebbe potuto chiederlo... e visto che sembrava essere tanto in
confidenza con Lariel da permettersi di dargli del tu, pur se non in
occasioni ufficiali, avrebbero potuto accordarglielo, nonostante ottenere
uno scioglimento fosse piuttosto difficile.
Rain era arrabbiato con lui, anche più delle altre volte, ma non voleva
mandare tutto in fumo! Non poteva credere che l'altro volesse davvero
rifiutarlo... separarsi e ricominciare per conto proprio!
Avere accanto un nuovo compagno gli appariva un'idea aliena e
completamente sbagliata, inaccettabile. Sentendosi spaventato, spiazzato,
da quel pensiero, non riuscì a mantenere la mente fredda, e si ritrovò a
gridare
"Perché ti comporti così? Perché cazzo non parli chiaramente? Mi
consideri tanto cretino da non essere degno di un discorso come si
deve?"
Che linguaggio colorito... Rain somigliava decisamente agli esseri umani.
"Addio, Rain."
Salutò, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la porta.
"Addio un corno! Torna qui!"
Tentò di alzarsi, ma non ci riuscì, un qualche tipo di forza lo teneva
come incollato al divanetto.
"Ti avevo detto di metterti tranquillo."
Se possibile, quel tono pacato gli dava ancora di più sui nervi.
"All'inferno! Ora sono davvero arrabbiato! Tu non hai alcun
diritto di trattarmi così!"
"Forse... ma lo faccio lo stesso."
Rain ridacchiò, esasperato... anche se drammatica, la situazione gli
sembrava oltremodo grottesca.
"Era proprio un'altra persona, quella di cui sono
innamorato."
A quelle parole Jael si arrestò; solo pochi passi lo separavano dalla
porta, ma contro la sua volontà le gambe si rifiutavano di compierli.
Con gli occhi fissi sulla sua schiena, felice di aver ottenuto finalmente
una reazione, Rain decise di continuare; tanto, perso per perso, non
vedeva come la situazione potesse peggiorare.
"Oh, almeno c'è qualcosa che nemmeno tu avevi capito! Non me
stupisco, in questo caso particolare. Io ti amo!... nonostante sia la più
grossa stupidaggine della mia esistenza."
Parole che non avrebbe voluto sentire.
[Tu, mi ami, dici.]
[Eppure hai visto con i tuoi occhi... hai visto con i tuoi occhi quanto
dolore, quanto strazio sia capace di portare l'amore. Quanto lasci
indifesi, quanto renda ciechi.]
[E poi cosa c'è da amare, in me? Io non vedo nulla.]
[Ciò che per te è pregio, per me è difetto, e viceversa.]
[Siamo zenit e nadir, e nonostante tutto dici di amarmi. Forse lo credi
soltanto.]
[In ogni caso hai del coraggio, te lo riconosco.]
Finalmente le sue gambe si mossero. Avanzò, tendendo una mano per aprire
la porta, ma appena sulla soglia la voce di Rain lo bloccò ancora.
"Hai sentito quello che ho detto? Non puoi restare in silenzio,
maledizione!... finiscila con questo atteggiamento, non lo sopporto. Ho
diritto ad una risposta! Dì quello che ti pare, anche una bugia, ma
parla!"
Silenzio.
In certe situazioni anche pochi secondi paiono un tempo infinito.
"Io non ti amo, Rain."
Non voleva sentire nient'altro, e senza guardarsi indietro abbandonò la
stanza.
_________C_O_N_T_I_N_U_A__________________________
@@Traduzione del brano recitato da Keith (tratto da 'Il Lai di Narciso',
anno 1170 ca)@@
Amore è furore e follia
Che prende e lega ogni persona.
Amore brucia, Amore infiamma,
Amore inganna, tradisce e mente.
Amore uccide, Amore stringe,
Amore oscura il viso e lo sbianca,
Amore attrae, Amore allaccia [...]
e continua con:
Amore su folle traccia li mette / Amore li fa tanto cavalcare / che
smarriscono la loro via.
*****************************************************
Ci siete? Tutto ok? Non lo odiate troppo, il mio Jael, vero? Io l'ho
adorato! ^__^
Certo mi aspetto tuoni e fulmini dal Comitato in sua difesa, ma non mi
scompongo.
(e poi poverino.... se ha bisogno di farsi difende, come i panda e le
foche monache, è solo perchè è uno smidollato...)
Commenti e insulti al solito indirizzo ^^
Grazie per la lettura e la pazienza!
Chu ^*^
Unmei
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