In un paese
d'estate parte
XXIII
di Unmei
Qualcosa lo stava distraendo dal sogno, intromettendosi nelle illusioni
elaborate dalla sua mente. Una bocca che baciava e mordicchiava il
suo torace, una mano che stava accarezzando il suo sesso, destandolo per
bene ancor prima che si fosse svegliato lui personalmente, e i tentativi
di qualcuno di sfilargli gli shorts.
Aprì gli occhi; la luce dell'abat-jour era così soffusa che
non lì disturbò nemmeno, e allungò il collo guardando davanti a sé.
"Matthias, che stai facendo?"
Domanda pleonastica.
Con un'esclamazione di trionfo il ragazzo più giovane riuscì a levargli
completamente i boxer aderenti; aveva sperato di farcela senza svegliare
Keith, ma tutto sommato l'importante era essere riuscito nell'intento di
spogliarlo.
"Negli ultimi giorni mi hai trascurato un po', e voglio
rimettermi in pari."
Spiegò, accomodandosi a cavalcioni sul suo partner e sorridendogli
con candore.
"Perché avevi la febbre, lo sai... e si direbbe che tu l'abbia
ancora."
Aggiunse, mettendogli una mano sulla fronte quando l'altro si chinò
per baciarlo.
"Sto benone! - dissentì, strofinandosi, provocante - E poi che
c'entra? Se mi venisse il morbillo non faresti l'amore con me per una
settimana?... e poi anche tu ne hai voglia."
Aggiunse, stringendo la mano intorno all'erezione di Keith, che era
già al suo massimo.
"Sarà per via della sorpresa: non capita spesso che qualcuno
mi svegli leccandomi, strappandomi i pantaloni e sedendosi completamente
nudo sopra di me."
Parlando scorreva le mani sui fianchi e le cosce di Matthias, guardando il
suo viso sorridente, scendendo con lo sguardo sul torace snello e liscio,
sul sesso eccitato, dalla pelle serica e delicata come petali di
primavera.
Profumava. Matt profumava, anche senza usare nessuna essenza, aveva un
odore dolce e lieve, a metà tra i fiori e le caramelle, così leggero che
lo si poteva sentire solo seppellendo il viso contro di lui... e così era
un profumo di cui solo lui aveva il privilegio di godere.
"Stai prendendo freddo."
Gli disse, mentre con un movimento sciolto lo tirava a sé per poi
rovesciarlo sul materasso, distendendovelo; coprì entrambi con la
trapunta e gli baciò la fronte, le tempie, immergendo le dita nei boccoli
castani.
"Abbiamo poco tempo, sai, Matt?"
Non mancava molto all'inizio della giornata, non potevano lasciarsi
andare come erano soliti fare; gli impegni incombevano, senza lasciare
abbastanza spazio per baci, carezze, giochi, per il piacere che si davano
l'un l'altro, ogni volta, prima di congiungersi completamente.
"Non importa, voglio sentirti dentro. Fallo subito. Salutami
così questa mattina."
Keith gli chiuse la bocca baciandolo, divorante e quasi rude, carpendogli
un mugolio, prima di sorpresa, poi di soddisfazione.
Si staccò da lui e si sporse, allungandosi verso il comodino, per
prendere il lubrificante. Dominato dal proprio respiro rapido e dal corpo
impaziente, dal desiderio acceso dalle parole di Matt, era pronto a
strappare letteralmente il cassetto dal suo vano, per recuperare più in
fretta il tubetto.
Prima che potesse farlo la mano di Matthias gli strinse un braccio,
per richiamarlo.
"Lascia stare."
"Ne sei sicuro?"
L'altro annuì e ricondusse Keith a sé, accarezzandogli lentamente le
spalle e le braccia, seguendo ogni muscolo; linee che ormai conosceva a
memoria ma di cui non poteva stancarsi.
"Potrei farti male, così..."
"Forse, ma non importa. La prima volta non abbiamo usato
niente, ti ricordi?"
Una luce vagamente colpevole si accese negli occhi di Keith.
"Lo so, e so anche che fu egoista da parte mia; provasti
dolore."
"È stato il dolore più bello della mia vita. Il mio corpo è
già pronto per te, ha imparato da solo quando lasciarsi andare, e
desidero sentirti completamente. Per favore?"
Per favore.
Come se fosse il caso di chiederlo!
In ginocchio di fronte a lui, tra le sue gambe aperte, gli accarezzò le
cosce, avvertendo il brivido d'anticipazione che le attraversò; avrebbe
voluto avere più tempo, ore intere da dedicargli, quella mattina, ed
invece doveva accontentarsi di quegli istanti rubati, prima di correre al
lavoro.
Si chinò su di lui; un bacio, un unico lungo bacio composto da
tanti altri, mentre le mani di Matthias si insinuavano tra i suoi capelli,
li accarezzavano, li ingarbugliavano, li tiravano, e poi scendevano;
ghermivano la schiena, seguivano la spina dorsale, affondavano nei suoi
fianchi, afferrandolo con forza, inarcandosi impazientemente contro di lui
per fargli capire che voleva altro, oltre ai baci.
"Certe volte penso che dovrei legarti."
Mormorò Keith, tra la propria bocca e quella di Matthias.
"Allora perché non lo fai?"
"Mi piace troppo sentire le tue mani addosso. Ora però
lasciami fare."
Matthias abbandono il capo all'indietro, rosso in viso e con il sorriso
estatico di un ubriaco, troppo beato dalla bocca e dalla lingua di Keith
che scendevano lungo il suo corpo perché un unico altro pensiero
occupasse la sua mente. Solo quei baci umidi che scendevano dal collo al
petto, che coprivano e succhiavano i suoi capezzoli mentre dita abili
carezzavano la pelle delicatissima dei testicoli contratti Nella
nebbiolina che lo stava avvolgendo le sue mani si muovevano come se non
gli appartenessero, e le sensazioni lo colpivano con un'intensità
amplificata, irreale.
Era forse la febbre, a dare il suo contributo? La febbre che drenava
ogni forza da lui, rendendolo ancora più vulnerabile?
Il suo corpo accolse docilmente Keith; aprendosi per lui, godendo appieno
l'attrito doloroso e desiderato, la carne che si fondeva nella carne,
usando tutta l'attenzione possibile, anche se la cautela era macchiata da
un desiderio difficilmente imbrigliabile.
Quel dolore bruciante era la prova che il momento era reale, vivo; si
morse le labbra per soffocare il grido che tentava di farsi strada fra
esse; con le lacrime agli occhi il viso di Keith era sfocato; con il
respiro affannato era difficile dirgli che andava bene così; per
farglielo capire poteva solo rivolgergli un sorriso, e circondargli il
collo con le braccia, aggrappandosi a lui.
Keith era fermo dentro di lui, assorto a guardare gli occhi lucidi e
bellissimi di Matthias.
Perso nel suo petto che si alzava e abbassava velocemente, nei
capezzoli duri e scuriti, che spiccavano come sangue sulla neve. Con la
mente offuscata, di amore, desiderio, lussuria, piacere, faticava a
frenarsi, ancora non riusciva chiedergli se andava tutto bene, se
desiderava che smettesse, se preferiva che continuasse, se gli stava
facendo troppo male.
Iniziò a muoversi, con tutta la cautela che la carnalità poteva
concedergli in quel momento, si fece indietro e poi affondò di nuovo,
misurando la propria forza come aveva fatto la prima volta.
"Keith... non... occorre tanta attenzione. Spingi di più, più fort-
- AAHH!... Sì! Keith!!"
Non voleva che fosse una specie di sveltina di poco conto: doveva essere
bello, importante come tutte le altre volte. Dominò le sue spinte perché
fossero lente e profonde, per far crescere esasperantemente il piacere e
l'attesa; cercò l'angolazione giusta per battere direttamente sulla
prostata, sentendo i muscoli di Matthias palpitare bollenti attorno a lui.
Il ragazzo non smetteva di mormorare affannosamente il suo nome,
strofinando la testa sul cuscino.
"E' così... che ti piace di più... vero?"
"Sì, io...Ti prego, più veloce... Keith non.. AHH!... non
resisto più!"
"No, è ancora troppo poco..."
Aumentò la velocità, ma non molto: non voleva dominare solo se stesso,
ma anche Matthias.
Voleva rapire tutti i suoi sensi e tenerlo in bilico il più a lungo
possibile; per questo era deciso a rallentare nuovamente, addirittura a
fermarsi, tra le proteste affannate di Matt, quando capiva che l'uno o
l'altro stava per giungere al culmine.
Un trattamento simile però non poteva essere sopportato a lungo da
nessuno dei due, e quando Matthias gli serrò le gambe intorno,
spronandolo a mantenere un ritmo più veloce, si arrese, accontentandolo.
In quel modo non ci volle molto per concludere, a pochi secondi
l'uno dall'altro; Matthias con un mezzo grido; una specie di acuto
singulto, stupito dalla repentinità e dalla violenza di quell'orgasmo che
prima gli era stato negato.
Keith si lasciò andare su di lui, soffocando un gemito nell'incavo
della sua spalla mentre continuando a spingere, si svuotava del proprio
seme.
Rimasero accoccolati per un po', a godersi lo strascico torpido
dell'amore, mentre dalle fessure delle persiane cominciavano a mostrarsi i
primi raggi di pallida luce, e quando ebbero riguadagnato un po' di
energie Matthias baciò teneramente Keith, sulla testa, accarezzandolo.
"Quanto avevi deciso di farmi aspettare? Sei un sadico."
"Mmmhhh... un sadico che arriverà tardi in ufficio, per colpa
tua."
"Cosa? Non ti ho mica obbligato, sai? Potevi anche dirmi di
no!"
Matt fece attenzione a caricare ogni parola di finto sdegno, ma non
poté impedirsi di sorridere.
"Sottovaluti le tue capacità di convincimento."
Gli rispose Keith, e gli diede ancora un ultimo bacio, prima di alzarsi,
per dedicarsi a doccia+rasatura+ vestizione+caffè a tempo record.
"Ora devo davvero scappare. E tu cerca di riposare e
riprenderti in fretta, perché sabato voglio portarti a cena fuori,
capito?"
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Mancava poco più di un mese e mezzo a natale; il primo, assieme...
Da tempo ormai Matthias non badava più di tanto a quella festa, non
avendola mai particolarmente sentita; sì, certo, i regali, l'albero ed il
grande pranzo... ma la gioia di quando da bambino andava a saltellare già
prima delle sei di mattina sul lettone dei genitori perché si alzassero,
permettendogli di aprire i doni, era ormai completamente dimenticata.
Da anni, anche se in fondo al cuore gli dispiaceva, perché gli
sembrava di aver perso qualcosa di importante, la ricorrenza era diventata
quasi un giorno come un altro.
Ma quella volta c'era Keith, e tutto sarebbe stato di nuovo pieno di
entusiasmo e calore... Loro due, insieme... sarebbe stato meraviglioso;
avrebbero addobbato l'albero, lui si sarebbe di nuovo svegliato
prestissimo per scartare i regali, avrebbero mangiato anatra con la salsa
di mele, i muffin al cioccolato, magari Keith avrebbe preparato il
syllabub, e lui ci si sarebbe probabilmente ubriacato...
Benché avesse ancora molto tempo davanti Matt era già in pieno
spirito natalizio e stava pensando a che regali scegliere; per sua nonna,
per Andrew, per sua sorella, che probabilmente sarebbe tornata da Parigi
per le feste... ma, ovviamente, soprattutto per Keith.
Decidere i vari doni lo metteva sempre in crisi, un po' perché non
disponeva poi di moltissimo denaro, un po' perché ci teneva a fare regali
sempre diversi e possibilmente non banali, e così dopo un po' le idee
fattibili venivano meno. Per quel motivo aveva deciso di approfittare
della casa vuota, e se ne stava da più di un'ora seduto sul letto a gambe
incrociate, con davanti il laptop di Keith, a navigare in internet alla
ricerca di spunti interessanti per il regalo ideale.
Un profumo gli sembrava banale...
Di maglioni aveva l'armadio pieno fino a scoppiare...
Idem riguardo agli aggeggi tecnologici, che per di più Keith poteva
avere gratis dalla ditta con la scusa che gli servivano per il lavoro...
Gioielli... Keith non portava né ciondoli, né bracciali, né
anelli, niente di niente; gli sarebbe piaciuto comprargli una fedina,
semplice, di oro bianco, con le loro iniziali incise all'interno. Però
l'idea gli faceva uno strano effetto: forse era una cosa troppo
sdolcinata, e se poi lui non l'avesse gradita?
E tutto ciò che gli sembrava un pensiero originale ed irresistibile era
completamente al di fuori delle sue tasche. Per esempio... c'era una
specchiera francese di fine ottocento; molto bella, certo, e a Keith le
cose belle piacevano, senza contare i salti di gioia che avrebbe spiccato
la parte vanesia del suo io, ma... mille sterline!
La fiaschetta in argento era davvero elegante, il prezzo accessibile, ma
non gli andava proprio di dargli l'input di portarsi il suo whisky anche a
spasso.
Decise di lasciar stare i siti di antiquariato e di pensare a
qualcos'altro.
Matthias si mordicchiò il labbro, mentre un'idea gli passava per la
testa: aprì un'altra finestra, digitando nel motore di ricerca 'sex shop'.
Unmilionenovecentonovantamila risultati!
Aprì il primo link della lista, curiosando un po' tra aggeggi che
conosceva, anche se non 'di persona', ed altri di cui a fatica avrebbe
immaginato l'esistenza.
Insomma...suvvia... un plug anale con applicata una coda da pony...
a lui più che un'idea eccitante pareva un'idea cretina.
Scorse distrattamente il solito insieme di manette, pinze per capezzoli,
bavagli, collari, eccetera... ormai erano idee trasgressive quanto un
piercing all'ombelico.
[Nastro adesivo per bondage... è diverso da quello da pacchi?]
Si chiese. E le lenzuola di vinile? Che avevano di sexy? Gli sembravano
agghiacciantemente simili ai coprimaterassi di gomma che negli ospizi si
usavano per gli incontinenti.
Saltò a piè pari tutta la sezione del sito dedicata a strani
strumenti evidentemente rubati al mondo della medicina, che già il solo
leggere di sfuggita la scritta 'divaricatore in acciaio chirurgico' gli
aveva procurato i brividi, e *non* per l'eccitazione.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione
'Altalena Kamasutra'... Interessante. Quella non era male, sembrava
promettere un sacco di divertimento e un posto in casa glielo si poteva
certamente trovare. Tutta l'imbracatura costava centoquaranta sterline, se
la poteva permettere; l'idea lo tentava.
Quasi quasi...
Beh, la prima reazione di Keith nel trovarsi davanti un regalo del genere
sarebbe stata quella di ridere e di fargli qualche battuta, giusto un paio
di centinaia, però poi l'avrebbero di sicuro provata.
[Un bel modo per festeggiare il natale, no?]
Si disse sorridendo, e leccandosi le labbra, anche se dell'ultima cosa non
si rese conto.
C'era però un'altra occasione importante, prima ancora del natale, ed era
il compleanno di Keith, il diciotto novembre. Era anche lo stesso giorno
in cui era nato Edgard, secoli prima, proprio una strana combinazione.
Per quella ricorrenza aveva già trovato il regalo: un orologio da
tasca.
Era degli anni '20, d'argento sbalzato, con catenina, ed aveva le lancette
d'oro.
Un oggetto po' insolito da regalare, ma bello; gli dava la
sensazione che sarebbe piaciuto a Keith, che sarebbe stato adatto a lui.
Nella sua intenzione, voleva simboleggiare il tempo, tutto quello che
avevano passato assieme e tutto quello che avevano ancora davanti, e così
l'idea gli sembrava anche romantica..
Era decisamente compiaciuto di aver trovato un dono simile, ecco
forse perché ora gli riusciva difficile scovare qualcosa in grado di
esserne all'altezza.
Altalena a parte.
Soddisfatto chiuse il portatile e decise di farsi un altro pisolino.
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Aveva dormito fino a metà pomeriggio, ma piuttosto male; quando si svegliò
gli dolevano le ossa e aveva impressione che gli fosse di nuovo salita la
febbre. Erano giorni ormai che la temperatura altalenava da valori quasi
normali a febbre alta. Il medico era tornato a visitarlo, ma non aveva
trovato nulla di serio.
In realtà non riusciva nemmeno a spiegarsi a cosa potesse essere dovuto
quel malessere, così gli aveva consigliato esami del sangue; poi gli
aveva prescritto antibiotici leggeri, gli aveva dato una confezione
gratuita di vitamine, e gli aveva raccomandato di stare a riposo.
Lui aveva seguito tutte le prescrizioni, ma gli sembrava fosse
cambiato ben poco.
Si alzò con l'intenzione di mangiare qualcosa per poi prendere le
medicine, ma proprio non gli riuscì: il solo odore del cibo gli dava la
nausea. Rigirò la pietanza con la forchetta, si forzò a mandare
svogliatamente giù qualche boccone, pentendosi subito.
Infine decise di desistere, perché non ci teneva particolarmente ad
aggiungere il voltastomaco ai suoi malanni.
Scostò il piatto e chinò la testa sul tavolo, di nuovo assonnato.
Possibile tanta spossatezza, quando passava le giornate a poltrire dal
mattino alla sera?
Ah, la stanza da letto, con la sua penombra, l'olio profumato di
loto nel bruciaessenze, la morbidissima e calda trapunta in cui adorava
avvolgersi come in un bozzolo... tutto molto più desiderabile che
ingoiare del cibo controvoglia.
Butto giù le medicine con un sorso d'acqua, e fece per tornare in
camera.
Forse si era alzato troppo in fretta, perché tutto intorno a lui ondeggiò;
doveva avere di nuovo la pressione bassa, una ragione di più per mettersi
tranquillo a letto.
Il pavimento si muoveva troppo, la testa non riusciva a stare dritta;
dovette appoggiarsi contro il muro, sbandando più volte prima di
raggiungere la camera, che mai gli era sembrata così lontana.
Le sue gambe cedettero proprio quando era arrivato al letto, e ciò
gli permise di caderci sopra, evitandogli di rimediare un altro paio di
lividi come quelli che si era procurato svenendo nell'entrata.
C'era un dolore noioso e ronzante nella sua testa, ma rilassandosi,
chiudendo gli occhi pareva affievolirsi, e così lasciò che tutti i suoi
pensieri andassero alla deriva.
Avrebbe voluto Keith, lì con lui: quando aveva mal di testa lui gli
massaggiava dolcemente le tempie, piano, con dei risultati migliori di
qualsiasi analgesico, e lui riusciva ad addormentarsi serenamente.
Ma in quel momento Keith non c'era, e non fu un sonno misericordioso
ad abbracciarlo.
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Non riusciva a respirare.
Soffocava.
Soffocava.
Soffocava.
Dolore.
Lacrime.
Paura.
Malinconia.
Morte.
Pietà.
Amore.
Soffocava.
Soffocava, perché le mani di Edgard...
... quelle mani forti, dolci, che sempre per lui non avevano avuto
nient'altro che gesti d'amore...
... le mani di Edgard erano strette intorno al suo collo, rubandogli il
respiro, la vita, il calore.
Facevano male, il sangue gli ronzava nelle orecchie, le membra erano
torpide.
Accettazione.
Edgard era tutto per lui, lo era sempre stato.
Lui apparteneva al suo nobile amore dal giorno in cui si erano
incontrati, e quindi egli ora aveva il diritto di ucciderlo, se ciò era
il meglio.
Solo il suo viso è nitido in mezzo alla nebbia, e non poteva frenare
l'amore che provava, nemmeno in quel momento.
Toccarlo l'ultima volta, accarezzare il suo volto, accomiatarsi da
lui ripetendogli i propri sentimenti...
E lo fece, anche se la voce non gli uscì.
Forse non era stata una buona idea; non lo vide sorridere, non vide i suoi
occhi riempirsi di luce...
Vide solo ombra, tristezza, stupore... e la stretta sul suo collo si
allentò.
Istintivamente cercò di inspirare, tirando violentemente aria nei polmoni
vuoti, ma non ci riuscì, perché la sua trachea era troppo chiusa e
dolorante.
Lo sguardo di Edgard, insostenibile, fisso su di lui.
E poi...
...una fitta di dolore, interrotta, e un suono strano, di cui riuscì solo
a cogliere l'inizio..
...era il suono del suo collo che veniva spezzato, in un unico, lesto,
efficiente movimento.
E quella era... la morte.
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Era sotto shock, immobile, disteso al centro del letto.
Il loro letto, quello grande dove ogni notte si addormentavano vicini.
Il letto che Keith aveva portato quando si era trasferito da lui,
quello dove avevano fatto l'amore la prima volta. Dove lo avevano fatto
anche quella stessa mattina.
Il letto, il rifugio, il nido, l'alcova...
Su di un letto Edgard lo aveva ucciso, su di un giaciglio di paglia che
sembrava inghiottirlo, con l'aria che si faceva rovente, e che lui non
poteva respirare, e non poteva farlo perché Edgard lo stava strangolando.
... ...
Non era malato.
Non aveva la peste.
Il suo corpo era colmo di voglia di vivere, di salute; sempre
cristallini i suoi occhi, morbidi i suoi capelli, lui stava bene, e
rassegnato piangeva la vita che stava perdendo.
Menzogna.
Inganno.
Tradimento.
Edgard lo aveva ucciso.
Keith gli aveva mentito.
E delle due non sapevo cosa gli facesse più paura, cosa lo ferisse
maggiormente.
Sentì le lacrime sgorgare, scorrergli lungo i lati del viso, perdersi tra
i capelli. Ora il mal di testa era scomparso, la febbre sparita di colpo,
completamente, ma il dolore terribile che provava, l'afflizione, la
disperazione crescevano senza sosta.
Avrebbe voluto rissepperllire quei ricordi, cacciarli in una buia e
nascosta segreta, sbarrarla e gettarne le chiavi... invece essi ormai
imperavano sulla sua mente, riducevano in frantumi ogni piccola ed ogni
grande gioia, con un solo colpo cancellavano tutti i suoi progetti.
Lentamente sentì un sentimento sordo, scuro, prendere forma dentro
di sé, che cresceva anomalo come un feto malformato, rubando il
nutrimento ad ogni altra emozione e pensiero.
Insieme al dolore, rabbia.
A fianco della disperazione, rancore.
E man mano che comprendeva, l'amore si sbilanciava, si ammalava,
diventando qualcosa di altrettanto forte, ma di polo opposto.
L'amore trasformato in astio.
E insieme a tutto questo, una piccola luce, oppressa dall'oscurità
ma testarda; la vana speranza che fosse stato solo un incubo, il prodotto
della febbre e delle sue angosce.
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Di lì a poco Keith sarebbe rincasato: aveva detto le cinque, e sarebbe
stato puntuale, lo aveva promesso.
Ancora qualche minuto, e il cuore gli scoppiava, mentre lui
indeciso, folle di sentimenti contrastanti, si chiedeva cosa... cosa...
cosa avrebbe fatto.
Il puro istinto lo avrebbe guidato fra le braccia del suo amante, perché,
anche in quella situazione atroce si dissetasse nella sicurezza che gli
donava ogni volta, infallibilmente... immergendolo in quella fiducia che
gli mancava completamente, prima di incontrarlo.
La ragione, o forse il suo cuore trafitto, volevano che lo
accusasse, senza pietà, che gli sbattesse in faccia la sua colpa e gli
chiedesse il perché di quel tradimento.
Ed ancora, il bambino spaventato ed abbandonato che era ancora vivo
in una parte di lui, l'orfano raccolto, nutrito e salvato da Edgard, lo
implorava di tacere, di far finta di nulla, di non perdere tutto quello
che avevano, di non gettare il presente in favore del passato.
Di non dimenticare che qualche ora prima stava scegliendo il regalo per
l'unico amore di entrambe le sue vite, pregustando il giorno di festa, le
promesse di un nuovo anno insieme.
Il solo pensarlo gli faceva ancora più male.
Male... sì. Ora capiva quelle parole... il suo subconscio, che già
sapeva, aveva tentato di metterlo in guardia.
[Smetti.]
[Gli farai del male.]
[Ti farai del male.]
Ecco ciò che significava, e lui non l'aveva capito... non avrebbe
potuto nemmeno immaginarlo, nel suo incondizionato amore.
Ed ora le sue mani erano piene solo di cenere.
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Le persone normali di solito si ritrovano perseguitate dal ritornello di
qualche stupida canzoncina, che inizia a suonare nella loro testa,
ripetitiva come un giradischi rotto, senza volerne sapere di uscire, o
almeno di lasciare spazio a qualche motivo un po' più apprezzabile.
Questo le persona normali, appunto, perché invece a lui capitava di
essere angariato da strofe di poesie, o al massimo di vecchie ballate, che
erano solite prendere gratuitamente in affitto il suo cervello per ore
facendo un gran baccano.
Se non altro quel giorno il poeta di corvée era uno dei suoi
preferiti, e l'ascoltarlo ormai da ore gli era stato piacevole...
fortunatamente era di buon umore, o i mesti, disillusi e tediati versi del
Poeta lo avrebbero immalinconito all'inverosimile.
E così la voce lontana lo seguiva anche in ascensore, cantandogli
un'altra poesia, e lui l'accompagnava a fior di labbra, senza emettere
suono.
<Il mio cuore è un ammiraglio pazzo / che abbandonò il mestiere
del mare / e che lo va ricordando a poco a poco / in casa a passeggiare, a
passeggiare>
Avrebbe dovuto far rilegare il vetusto, sgualcito, volume, letto dozzine
di volte. Era già vecchio quando lo aveva acquistato in quella
sgangherata bancarella dell'usato, ed ormai perdeva le pagine, ingiallite
e odorose di polvere. Sicuramente acquistarne uno nuovo gli sarebbe
costato meno, ma era troppo affezionato al suo vecchio tomo per
liberarsene.
Fu così, con animo sereno e totalmente impreparato, dimentico dei
fantasmi che tanto spesso lo assillavano [Assassino!!] [Un
assassino, per niente pentito!] che infilò la chiave nella toppa, e varcò
la soglia di casa, per percepire all'istante, anche se solo
inconsciamente, che qualcosa non andava.
Che la bomba che lui stesso aveva costruito e innescato era infine
esplosa.
********
Matthias era in piedi, davanti a lui, a pochi passi dalla porta, come se
lo stesse attendendo; infatti così era, ma senza un sorriso, una parola
di benvenuto, senza un bacio.
Era immobile, però tremava, gli occhi gonfi e le labbra pallide; il
suo corpo sembrava teso, pronto a scattare... pronto a fuggire, se lui
avesse provato ad avvicinarglisi.
"Adesso lo so..."
Disse con voce rauca, prima che lui potesse parlare.
"Adesso capisco... capisco i miei sogni bui, capisco cos'era
tutta la mia paura. Non era... non era la morte in sé, era il come... il
come!"
L'equilibrio si spezzò, e sentì altre lacrime rigargli le guance;
lacrime piene di rabbia e dolore da rendergli impossibile scindere i due
sentimenti.
"Sei stato tu!"
Singhiozzò disperato Matthias, scuotendo la testa, sentendosi come
fosse rimasto completamente solo al mondo.
*********
[Scoppia, cuore di vetro dipinto!]
Declamò il Poeta, l'ultimo verso, davvero appropriato, per poi tacere e
abbandonarlo.
Mentre il sangue che era scomparso dalle sue vene e il colore dal
suo viso, e le ginocchia si piegavano sotto quel peso mai dimenticato.
Mentre lottava per impedire al mondo di scivolare via, intanto
che il battito nel suo petto sembrava lontano ed inutile.
Mentre la nausea gli saliva in gola, e la mente continuava a
ripetergli <non sta accadendo, non è possibile... non sta
accadendo!>
Il momento con il quale aveva sperato di non doversi confrontare mai, il
cui pensiero come un tarlo aveva roso nel suo cuore sanguinanti gallerie,
era così giunto, e lui non sapeva che fare.
Gli sembrava irreale, la materializzazione della sua più grande
paura: confrontarsi con un Matthias dal cui sguardo l'amore sembrava
essere scomparso.
"Io... cosa... quanto hai ricordato?"
Si sentì dire, con una voce che a malapena riconosceva come sua, perché
non era mai stata così fragile. Così rassegnata.
[Era inevitabile, in fondo, per quanto m'illudessi.]
"Abbastanza da sapere che volevi soffocarmi, e che mi spezzasti
il collo! Che mi hai ucciso, che... che mi hai mentito! - gli gridò,
perché le due colpe avevano per lui la medesima importanza - Per
così tanto tempo ho creduto che fosse stata la peste, perché TU me l'hai
fatto credere! Sono stato male per te, ho pianto al pensiero di averti
lasciato solo, di come dovevi esserti sentito; ho creduto di aver causato
io la tua morte, infettandoti, mentre mi rimanevi accanto. Ed ora... ED
ORA..."
Smise di parlare, sfinito dalle sue stesse emozioni; dovette appoggiarsi
al muro, a testa bassa e occhi chiusi per riguadagnare l'equilibrio.
"Dimmi che mi sbaglio."
Sussurrò, supplicò. Deglutì, e tornò a guardare Keith, ancora
immobile a due passi dalla soglia.
"Ti prego, dimmi che mi sto ingannando. Che è stato solo un
incubo causato dalla febbre, e non il contrario. Dimmi che sono morto tra
le tue braccia, e che tu hai seppellito il mio corpo, e che hai posto
fiori sulla mia tomba, finché ne hai avuto la forza, prima che la
malattia..."
"Non c'è mai stata malattia. Non per me. E nemmeno per te."
Confessò, stordito come da una droga; sentiva la sua presa sulla
realtà venire meno: l'astrazione era come uno scudo dietro al quale
andare a ripararsi, uno scudo che forse poteva salvare l'ultimo brandello
intatto della sua anima.
"Tu sei morto perché io ti ho ucciso. Per questo... per questo
alle nostre anime non era dato unirsi: nell'Altromondo gli assassini...
non possono incontrare le loro vittime."
*******
Immagini si mescolarono davanti agli occhi di Matthias.
Di un ragazzo che conduce per mano un bambino, e poi di un cavaliere
accanto a un giovane biondo, di due amanti intrecciati nel loro letto, a
scambiarsi baci e promesse.
Il volto, la maschera vuota, di Edgard che strappava la vita al suo
corpo.
Faceva male, faceva male ogni istante di più, ora che a difenderlo non
c'era più la misericordiosa ignoranza che per tanto tempo aveva ammantato
i suoi ricordi.
Immagini di loro due, tornati insieme dopo tanto tempo, immagini di tutto
quello che avrebbero dovuto fare insieme, e di desideri dissolti.
"Tu dicevi di amarmi!"
Si rese conto di stare ormai piangendo senza ritegno, ma non gli
importava. La ragione del suo pianto era più che accettabile, tra rabbia,
delusione, paura, sofferenza.
Crepacuore.
"Io ti amavo! E ti amo, Matt, adesso come allora!"
"E vuoi uccidermi ancora, per dimostrarmelo?"
********
Ecco, anche se aveva creduto di non poter soffrire di più di quanto
stesse già soffrendo, quella frase urlatagli in faccia con acrimonia lo
pugnalò ancora più profondamente.
Il collo bianco e fragile di Ewan... poteva ancora sentirlo sotto le
dita.
I battiti del suo cuore, il rumore del suo collo che si spezzava, la sua
testa che ricadeva con quell'angolatura impossibile...
Keith tese una mano verso Matthias, compiendo un passo avanti; voleva
consolarlo, voleva stringerlo a sé, voleva dirgli che era successo tanto,
tanto tempo fa, voleva svegliarsi...
"Non ti avvicinare! Non toccarmi!"
Matthias arretrò, stringendosi le braccia al petto là dove esso sembrava
invaso dalle spine.
"Perché?... dimmi almeno il perché..."
L'altro abbassò lo sguardo; gli saltò agli occhi una scoloritura nel
parquet, un particolare insignificante al quale la sua mente si aggrappò
per tentare di fuggire.
"Non posso spiegarti, lo sai. Non posso... parlarti di una cosa
tanto importante, se tu ancora non - "
"Ho capito."
Lo interruppe Matthias, il suo tono si era fatto più quieto.
Forse rassegnato?
"Ho capito... ora che metto insieme i pezzi la situazione è
chiara. Tuo padre! Accettasti la sua proposta, vero? Dicesti di sì alla
sua offerta, e preferisti tornare al tuo castello..."
Keith alzò si scatto gli occhi, sbarrati, terrorizzati nel comprendere
che la situazione era ancora più grave di quanto credesse.
"Come fai sapere..."
"Perché sentii quando venne a trovarti. Disse qualcosa del
tipo 'liberati di lui e riavrai tutti i tuoi diritti'. E tu l'hai fatto,
vero? Nel modo più sicuro!"
Keith taceva, Matthias singhiozzava. Al piano inferiore qualcuno, ignaro
di loro, ascoltava Bach.
"Tu mi gettasti per riavere la tua ricchezza, il tuo titolo. Mi
buttasti come un oggetto usato ed ormai inutile. E *dicevi* di amarmi! E
*dici* di amarmi! Ma io non ti credo più..."
***********
"Mi sono dannato, ma ripeterei la mia scelta... pur se la mia
anima si facesse ancor più di pece."
Aveva parlato, o solo pensato?
Matthias lo aveva sentito?
Aveva importanza?
No... non più.
Desiderava ancora abbracciare forte il suo Matt, chiedendogli perdono, ma
sapeva che se fosse riuscito a passare al di là il baratro che ora li
separava, l'altro lo avrebbe spinto via, facendovelo precipitare.
"Vattene. Vattene, non voglio vederti! Chissà quante volte mi
hai ingannato, sin dall'inizio...Bugiardo... e traditore... VA' VIA
E NON TORNARE PIU'!!"
Che disperazione in quella voce, non sembrava nemmeno più quella di
Matthias.
Del suo dolce, amato, aingeal.
Lo stava cacciando, e lui non aveva alcun diritto di ribattere, perché
sua era la colpa.
Il cuore rallentava, fino a fermarsi, inutile massa di muscolo e sangue.
Matthias non si avvicinava a lui nemmeno per buttarlo fuori.
Matthias aveva paura di lui, e forse lo odiava.
Aveva ragione, poteva capirlo.
Keith depositò le sue chiavi dell'appartamento sul tavolino in entrata,
ben sapendo che ormai non gli appartenevano più, ed uscì.
*********************
Restò a lungo a fissare la porta chiusa.
Chiusa sul suo presente.
Chiusa sul suo futuro.
Solo una cosa rimaneva: il passato, che ora poteva anche
inghiottirlo, portarselo via, dilaniarlo.
Fissava la porta, e sentiva al di là i lamenti infelici di Matthias,
che si era infine accasciato, privo di forze.
Lui invece non poteva piangere: non poteva, perché solo gli innocenti
hanno diritto alle lacrime, e lui innocente non era.
Ed allora rise.
Una secca, dolorosa, maledetta risata di gola, il grido d'agonia della sua
anima.
Il passato...
Il passato in cui lui aveva ucciso Ewan.
Solo quello aveva un senso, ormai... il resto...
... tutto il resto...
..era finito.
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Grande stanza di un bianco abbagliante, al centro di essa solo un
televisore.
PUFF!
Compaiono Jael e P-chan... ehm, Rain ^^.
Rain accende il televisore, Jael fa partire una videocassetta; sullo
schermo compare Unmei, che accanto a sé ha un paio di valigioni.
"Ciao! Quando voi ascolterete questo messaggio io sarò già lontana
^_^, però ho pensato che dovevo spiegarvi un paio di cosette. Ebbene sì,
dopo un numero esagerato di pagine e capitoli, si scopre il Gran Segreto
di questa fic. Non è una balla, non è un equivoco: fu davvero Edgard a
uccidere Ewan; io lo so dalla primissima pagina, e sapeste che sofferenza
mantenere questo segreto con tutti!
Morivo dalla voglia di raccontarlo, specialmente nell'ultimo periodo, ma
non sono così bauca da farmi gli spoiler da sola ^^;;.
(specialmente uno di questa portata!)
Cmq io non ho mai detto chiaramente che il pulcino era morto di peste, lo
ha detto Keith ^^, il bugiardo è lui, io non ho mai negato né confermato
niente.
Se andate a rileggere certi capitoli indietro scoprirete che certe sue
frasi e atteggiamenti assumono un significato un po' diverso, adesso.
E di certo si capisce meglio anche la ragione della quasi-follia, dell'autodisprezzo,
del tormento di Keith. Pensate un po' come si deve sentire ora...
Bene, dicevo... io sto partendo, visto che alcuni di voi conoscono il mio
indirizzo preferisco trasferirmi per un po' in un posto sicuro, non si sa
mai... naturalmente continuerò a scrivere, *MA* voglio commenti!
Mandatemi (fermo posta, che mando uno dei due spiritelli a ritirare)
commenti, disegni, cioccolatini, moleskine rigati e bottiglie di Bacardi
al lime, o non saprete mai che altro accadrà! AH AH AH AH AH!!!!!!"
ps. ditemi che non ve lo aspettavate, per favoooooooooreeeeeeeeee!!! O mi
sentirò un'imbrattacarte fallita!!
*Fine del messaggio.*
Rain: "Secondo me sono le ferie che le fanno male."
Jael: "E meno male che ha solo quindici giorni, pensa fosse un
mese!"
Rain: "E chissà cosa potrà combinare di qui al 17!!"
Jael: "Ah, te l'ho detto che nel prossimo capitolo compariamo
anche noi? Tu, principalmente."
Rain >.<: "Grazie tante! Chissà perché la cosa non mi
rassicura."
Jael -_-: "Perché sei paranoico."
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