In un paese
d'estate parte
XXII
di Unmei
Era madido, immobile, la sua pelle bruciava, il respiro sibilava,
imprigionato nella gola.
"Matthias!"
Troppa l'agitazione, lo spavento, anche se cercava di convincere se
stesso che non poteva essere niente di grave: può capitare di svenire,
per la febbre... un giramento di testa, la pressione bassa, non era il
caso di essere inutilmente ansioso...
"Matthias..."
Lo chiamava, ripeteva il suo nome, e l'istinto gli comandava di
prenderlo tra le braccia, scuoterlo, di risvegliarlo a forza, di fargli
aprire gli occhi, di sgridarlo per averlo fatto preoccupare...
Non era all'istinto che doveva dare retta, non in quel momento, se ne
rendeva conto, e dunque...
Doveva ragionare!
Sollevargli le gambe! Era quello che diceva il pronto soccorso, no?
E di non muoverlo, finché non avesse ripreso conoscenza...
Rovesciò una sedia e la usò come appoggio, gli aprì la zip della felpa
e gli rinfrescò il viso con un asciugamano imbevuto d'acqua, poi cercò
di fare mente locale su che altro occorreva.
Era sbagliato, sbagliatissimo... c'era qualcosa di profondamente
errato in quella situazione...
Massaggiava una mano di Matthias, continuando a chiamarlo, in
quei pochi minuti che parevano dilatarsi a dismisura, nel silenzio
profondo della casa.
Poi le sue palpebre tremarono e si aprirono rivelando uno sguardo
disorientato, vacuo; un fievole lamento gli salì alle labbra. Faticava a
respirare, a pensare, sentiva la gola
chiusa e confusione, un sacco di confusione...
Dov'era? Non ricordava.
D'istinto tentò di mettersi a sedere, ma immediatamente un giramento di
testa lo indusse a
desistere.
"Piano... aspetta ancora un attimo."
La voce paziente vicino a lui apparteneva a Keith, ed era così
rassicurante sentirla che
bastava a ridargli un po' forza; fece un debole cenno affermativo e rimase
immobile per
qualche minuto, la mente intorpidita che cercava di concentrarsi sulle
carezze che
premurose gli scostavano i capelli dalla fronte.
"...mani fredde..."
Sussurrò... ed era stupendo quel tocco fresco sulla sua pelle bollente,
era buono l'odore
invernale che Keith aveva addosso... si adattava così bene a lui, gli
faceva pensare a
serate gelide passate accanto al fuoco, per così tanti anni... e poi
altre sere, a cercare
il tepore insieme sotto spesse coltri.
Parola per parola, gesto per gesto, gli inverni dei suoi ricordi
erano tutti dolci.
******
"Ora andiamo in camera, va bene? Ce la fai?"
Con il solo aprire gli occhi gli aveva alleggerito il cuore, e con il suo
sorriso aveva
fatto sorridere anche lui... sembrava ancora cosi debole che la tentazione
di sollevarlo,
di prenderlo in braccio e di portarlo così fin sul letto era forte. Ma
era meglio farlo
camminare un po', lentamente, con tutto l'aiuto di cui poteva aver
bisogno: gli avrebbe
fatto bene, lo avrebbe aiutato a tornare in sé.
Gli passò un braccio intorno alla vita mentre Matthias si reggeva alla
sua spalla.
Scostò le coperte e lo aiutò a stendersi, accomodandogli due cuscini
sotto la testa,
disposti in modo che la sua posizione fosse più comoda possibile, e gli
accarezzò i
capelli, guardando con apprensione i suoi occhi lucidi e rossi.
Non si aspettava minimamente che Matt, d'improvviso, gli si
aggrappasse con forza,
stringendolo convulsamente, artigliandolo attraverso il morbido jersey,
mormorando parole
che non riusciva a capire; sentiva l'anormale calore del suo corpo, ed un
tremare leggero,
una ricerca ansiosa di contatto, protezione, amore.
***
Poteva vederlo.
Poteva toccarlo.
Stringerlo.
Era lì, reale, vicino a lui e non lo avrebbe lasciato andare.
Fu sufficiente che Keith accennasse appena a staccarsi da lui perché
Matthias rafforzasse
la sua stretta, articolando parole che suonavano piene d'agitazione.
"No! Non andartene! Stai qui!"
"Calmati. non vado da nessuna parte, voglio solo -"
"Non andare via!"
Quasi un grido, così disperato da farlo sentire in colpa per il solo aver
pensato di
sciogliere quell'abbraccio tormentato; gli parlò dolcemente, facendo del
suo meglio per
quietarlo, senza smettere di offrirgli il rifugio di cui aveva bisogno,
per difendersi
chissà da cosa.
"Matt, non vado via, voglio solo chiamare il dottore. Solo
questo, va bene?"
"No... non ne ho bisogno, non voglio!"
Keith sospirò con pazienza e per qualche secondo guardò il ragazzo
avvinghiato a lui, che
teneva la testa reclinata contro il suo petto, e gli occhi spalancati,
spaventati.
"Non fare capricci, per favore. Ti ho trovato svenuto, bruci...
E non so nemmeno da
quanto tempo eri lì a terra, né cosa sia successo."
Stava per dire altro, ma Matthias lo interruppe, tentando quella che
sembrava una stanca
e confusa spiegazione.
"Io...volevo...stavi arrivando... non chiamare il dottore, stai
solo tu. Ti prego,
rimaniamo qui solo noi, non voglio nessuno..."
Lo stava davvero implorando e il cielo sapeva come quella voce
arrochita lo stava facendo
sentire. Come poteva negargli qualcosa, se gli parlava in quel modo?
Così agitato e con gli occhi gonfi di un terrore indefinibile: lo sguardo
di qualcuno che
ha paura, ma senza sapere di che cosa... avrebbe fatto come voleva, non
avrebbe chiamato
nessuno...
Almeno finché non si fosse calmato abbastanza.
"Va bene... Va bene, come vuoi, ma ora basta, d'accordo?
Mettiti giù."
Matthias annuì, ed obbediente permise a Keith di riadagiarlo sui
cuscini, stringendogli
però la destra con tutte le forze che aveva a disposizione.
"Ora dormi un po'; una notte di sonno ti aiuterà a
riprenderti."
Keith aveva detto dormire.
No...
Non voleva!
Perché se lo avesse fatto, ancora una volta avrebbe sognato il
buio, il dolore, le
lacrime, la separazione.
Non voleva dormire, mai più... scosse lentamente la testa.
"No... no, l'incubo... tornerà."
"Che incubo, aingeal?"
Matthias aprì bocca per rispondere, ma si fermò: non glielo avrebbe
raccontato, così aveva
deciso e non si sarebbe rimangiato la parola tanto in fretta.
E che aveva poi da raccontare, se non di buio ed ancora buio?
Non c'è niente di spaventoso nel buio, solo i bambini lo temono,
infatti non era quello
che lui temeva, ma tutto il resto, tutto quello che in quel buio era
accaduto.
"Non... non so spiegare. Però... fa paura."
Gli accarezzò il viso.
"Capisco. Anche a me succede, quando mi capita d'avere la
febbre alta. ... lo so, è
brutto, ma il tuo corpo ha bisogno di riposare, e non puoi
ignorarlo."
Ignorarlo?
Avrebbe voluto.
Ignorare il respiro mozzo, le gambe deboli e la testa pesante, e
l'ansia di poter perdere
di nuovo Keith.
Ignorare ombre e paure lontane... cacciarle e abbandonarsi
allo sfinimento.
"Non voglio... Keith, non - "
"Belli o brutti che siano, restano solo sogni, amore.
Rilassati, e tutto andrà bene."
Keith fece per alzarsi, e Matt lo trattenne ancora, con presa
straordinariamente salda,
per un ragazzo in quelle condizioni.
****
Povero tesoro, quant'era forte il suo timore di essere lasciato
solo, come temesse che se
lui avesse varcato la soglia della camera non sarebbe più tornato
indietro.
"Ehi, tranquillo... vado solo a prendere dell'acqua. Ricordi?
Chi ha la febbre ha bisogno
di bere. "
Spiegò dolcemente; Matthias sembrò rifletterci un istante,
decidendo infine che Keith non
sarebbe certo scomparso; annuì e aprì lentamente la mano, permettendogli
di andarsene.
*****
Anche se continuava a non voler dormire, gli occhi gli si erano fatti
pesanti; Keith lo
aiutava a bere, tenendogli il bicchiere accostato alle labbra, e l'acqua
che gli scorreva
sulla lingua e nella gola gli pareva così fresca, placava il bruciore. Le
immagini si
stavano facendo sfocate, i suoni ovattati.
Che stanchezza.
Se solo avesse potuto assopirsi e non sognare.
O dormire in piacevoli visioni...
Gli sembrò di sentire un campanello trillare... probabilmente
quello di casa sua, perché
Keith si alzò... forse andava ad aprire.
Sonno.
Stanchezza.
Dalla posizione semi-seduta in cui si trovava, reclinò la testa, il
mento contro il
petto, Ma non dormì, non esattamente, non subito: prima ci fu il
dormiveglia.
In minima parte la sua coscienza era presente, anche se quasi del
tutto ignara di ciò che
gli stava accadendo attorno; il resto di sé, invece, era ben partecipe,
ma altrove.
#####Dopo tre giorni di temporali furiosi, le giornate erano
inaspettatamente calde; la
porta aperta, e quando Ewan entrò in casa trovò Edgard intento a pulire
il camino dalla
cenere; non si accorse subito di lui ed il biondino cercò di arrivare
alle sue spalle e
sorprenderlo, camminando con la cura di non far rumore. Purtroppo in molti
punti il
pavimento di assi di legno sembrava fatto apposta per cigolare, cosa
che immancabilmente
fece, al suo terzo passo, e l'altro giovane si voltò alzandosi in piedi.
"Bentornato, ti aspettavo! Hai trovato quello che
serviva?"
"Sì, due pinte d'alchole, e due di metheglin... ho dovuto
girare quattro villaggi per
trovarlo!"
"Ottimo, quasi non ci contavo. Grazie per essere andato
tu."
"Meglio quello che dover salire sul tetto per sistemare il
disastro combinato dal vento!"
Rispose, andando a riporre le fiasche nella credenza, e poi si voltò, per
il bacio di
bentornato che gli spettava, e che sapeva, non si sarebbe fatto
attendere.
Le labbra di Edgard erano sulle sue, si muovevano come se avessero deciso
di mangiarlo con
lenta ma determinata dolcezza; mangiare la sua carne e bere la sua anima,
un gesto che si
ripeteva ogni giorno, ma che donava sempre emozioni preziose, cuori che
battevano forte,
calore che si irradiava dal petto per colmare tutto il corpo.
Lo baciava, certe volte gli sembra ancora un sogno, come quelli che faceva
ad occhi aperti
ogni sera, ed invece erano reali le mani che gli accarezzavano le guance,
il mento;
socchiuse gli occhi perché voleva vedere il viso dell'altro così vicino,
così suo.
Dopo che si furono separati gli sembrò che Edgard lo stesse
guardando stranamente,
divertito e forse anche un po' imbarazzato... per lo meno, quelle furono
le emozioni che
lesse sul suo sorriso.
"Me ne ero completamente dimenticato! Scusami davvero!"
"Eh?'"
Edgard scosse la testa e alzò i palmi verso di lui, neri di fuliggine;
Ewan capì, e si
portò subito una mano alla guancia, sfregandosi piano e ritraendo le dita
sporche di nero.
"Giuro che non l'ho fatto apposta. Prima. Adesso invece sì"
Aggiunse il cavaliere, facendogli rapidamente scorrere due dita
lungo la fronte e
dandogli anche un rapido tocco sulla punta del naso, mirandolo poi con
espressione
compiaciuta, lasciando per qualche istante Ewan letteralmente senza
parole.
Poi anche lui sorrise a sua volta, e si sporse verso di lui, attirando il
viso di Edgard
verso il suo, e strofinandosi guancia contro guancia, tanto per
condividere un po' di quel
nero polveroso.
"Ti è tornato il buon umore, ne sono felice."
Gli sussurrò, stringendolo, e meravigliando non poco Edgard.
"Vorrebbe significare che sono stato di cattivo umore
recentemente?"
"Esatto."
Confermò l'altro, e andò a versare una brocca d'acqua nel bacile,
chinandosi a lavare il
viso, e spiegandogli poi quell'affermazione.
"Negli ultimi giorni hai parlato pochissimo, ed eri teso. Forse
non volevi darlo a
vedere, ma l'ho capito; volevo chiederti cosa non andasse, e visto che non
me ne parlavi
spontaneamente ho pensato fosse meglio aspettare e vedere quando ti
saresti deciso.
Però... non l'hai fatto."
Concluse, un po' amaramente, rimanendo a fissare le proprie mani
nell'acqua; sentì le
braccia di Edgard circondarlo, e le sue mani immergersi assieme alle
proprie;
intrecciarono le dita, lavandosi l'un l'altro.
"Sai che sei la persona di cui mi fido di più al mondo, non
credere che non mi andasse di
parlartene. L'ultima settimana è stata pesante, hai visto anche tu...e il
mio umore si è
forse immalinconito a causa di quella pioggia torrenziale, ma non mi sono
proprio reso
conto di essere stato scontroso, mi dispiace."
"Non è questo, più che altro eri... distante, triste. E
quando sei così mi pare di non
poter fare niente per te... se tu solo mi dicessi come aiutarti..."
"Sai che sono momenti che vanno e vengono, non te ne devi
preoccupare. E poi sono così da
sempre, no?"
"E' anche per via della morte di quell'uomo, vero?"
Chiese Ewan dopo una breve pausa, e Edgard tacque; un silenzio
significativo quanto una
risposta data ad alta voce, forse anche di più.
Ewan si sentì in dovere di ripetere ciò gli aveva già detto giorni
prima, anche se a
quanto pare inutilmente.
"Non è stata colpa tua, stava già troppo male quando ti hanno
chiamato, lo abbiamo visto
entrambi. Farneticava, vomitava sangue, e anche quegli infusi che
funzionano sempre
contro la febbre alta sono stati inutili. Hai fatto tutto il possibile, ma
doveva essere
giunta la sua ora. Non essere troppo severo con te stesso."
Edgard prese la pezza di lino ripiegata accanto al bacile, ed asciugò
il volto di Ewan,
tamponandolo con delicatezza, e poi le sue mani. Si sentiva così
imperdonabilmente egoista
da domandarsi come potesse meritare tutta la dedizione che Ewan gli
dimostrava ogni
giorno.
Il giovane che da anni gli era sempre accanto era per lui la persona più
preziosa, e
ancora non riusciva ad aprirgli completamente il proprio cuore, a
mostrarsi anche lui
debole ed umano, incerto, bisognoso che qualcuno gli dicesse 'andrà tutto
bene', anche se
era solo una bugia.
E se non Ewan, chi altri avrebbe potuto farlo?
"Questi giorni non sono stati pesanti solo per me; non hai
fatto che studiare e lavorare,
hai mangiato e dormito davvero poco. Stamattina sei partito prima
dell'aurora, hai
cavalcato a lungo ed ora sarai stanco. Perché non vai a dormire un
po'?"
"Non ne ho voglia, Edgard, è giorno pieno! Se
vuoi, piuttosto, ti aiuto a pulire il
camino... o a preparare - "
"Hai gli occhi pieni di sonno; riposati, approfitta della giornata
tranquilla. Quando lo
avrai fatto potremo dedicarci a qualcosa di più divertente per entrambi.
Ora vai: io già
finito quel che avevo da sbrigare, e credo che ora mi dedicherò
all'alfiere nero."
Spiegò, indicando con uno sguardo la figura appena abbozzata che si
trovava insieme ad
altre già finite dentro ad una cassetta... anche se a voler essere
sinceri, quelle
completate non erano poi troppo diverse da quella ancora grezza.
(Questo ragazzo non vuole arrendersi al fatto di non essere portato per le
attività
manuali NdUnmei)
(Proprio non hai resistito a metterci il tuo commentino, eh? NdEdg)
(Stai bravo, che se si sapesse in giro che parlo con un tizio morto da
ottocento anni mi
rimettono in manicomio! NdUnmei)
*****
Ewan si svegliò lentamente, piacevolmente, rendendosi così conto
di essersi in effetti
addormentato, nonostante tutto.
E si sentiva anche molto bene, rinvigorito, di ottimo umore... e
terribilmente affamato!
Il suo stomaco ribadì il concetto brontolando, e lui balzò giù
dal letto, pensando con
appetito al coniglio arrosto, profumato di salvia e ginepro, avanzato la
sera prima.
Si bloccò: voci parlavano nell'altra stanza, e in tono nemmeno molto
allegro; inclinò la
testa tendendo l'orecchio, per cogliere meglio le loro parole.
A parlare era Edgard, con...
... gli sembrò di riconoscerlo, ma non ne era sicuro.
E poi che poteva farci lì?
La presenza di quell'uomo lo metteva in agitazione... una parte di lui fu
ben lieta di non
essere stato presente quando era arrivato.
Si avvicinò alla soglia fra le stanze e scostò la pesante tenda per
sbirciare senza
essere visto.
******
Edgard sedeva a tavola, dandogli le spalle, e di fronte a lui stava il
duca suo padre.
Il nobile vestiva in colori cupi; il suo portamento era signorile e severo
come sempre, ma
sembrava smagrito, rispetto all'ultima volta che l'aveva visto;
aveva un'espressione
irritata, ma anche rassegnata, stanca, quella di qualcuno che si accorge
di stare
discutendo a vuoto, senza concludere nulla; Ewan si domandò come doveva
essere quella sul
viso di Edgard.
"Persisti! Continui a non preoccuparti minimamente del nome
della nostra famiglia!"
"Siete voi a preoccuparvene troppo, a parere mio. Per di più
mi avete cacciato, giusto?
Quindi il 'nome della famiglia' non ha più nulla a che vedere con
me."
"Oh, per dio!... senti, mi costringi persino a bestemmiare!.... A che
ti giova tutto
questo? Volevi forse dimostrarmi di essere in grado di cavartela da solo?
Bene, ci sei
riuscito! Ora - "
"Non me la sto cavando *da solo*."
Puntualizzò seccamente Edgard, e il nobile storse la bocca in
disapprovazione; per un
attimo parve sul punto di gridare in faccia al figlio... quello sciocco
giovane che
pensava di poter sempre vincere, di avere la libertà di fare ciò che
preferiva senza
preoccuparsi delle conseguenze.
Dopotutto non era lui a dover vivere in mezzo alle chiacchiere che
aveva lasciato al
castello, alle domande curiose e insinuanti dei suoi pari e dei
vassalli... non era lui a
dover ascoltare tutte le sere una moglie che lo pregava di riaccoglierlo a
casa, o a
subire l'atteggiamento distaccato di uno speziale, da sempre amico
fidato, che con il
silenzio voleva sottolineare il proprio biasimo.
Non era lui a fermarsi davanti alla porta di una camera ormai
disabitata, chiedendosi se
avesse agito per il meglio, o se si fosse fatto incautamente trasportare
dall'ira.
Perché un figlio di cui aveva sempre pensato di poter andare fiero,
nonostante tutte le
sue stranezze, gli aveva voltato le spalle in quel modo?
Perché non apriva gli occhi su ciò che era giusto e migliore, e
non accettava i propri
doveri, il ruolo di primogenito, colui che avrebbe dovuto continuare la
loro stirpe?
Perché non capiva che, quando un giorno quell'infatuazione sarebbe
finita, non avrebbe
avuto più nulla?
Orgoglio e caparbietà troncavano il dialogo già quando provenivano da
uno solo degli
interlocutori, figurarsi quando entrambi erano arroccati sulle proprie
posizioni senza
alcuna intenzione di venire meno ad esse.
"Stiamo parlando da tempo, ma pare che il discorso non ci stia
portando da nessuna parte.
Comprendo le vostre ragioni, ma voi vi ostinate ad ignorare le mie... allo
stesso modo in
cui volete ignorare ciò che mi rende felice. Stiamo solo perdendo tempo,
sarebbe meglio
che tornaste al castello, signore, la strada è lunga."
Dunque stava proprio venendo cacciato?
Trattato come un ospite estraneo indesiderato da un figlio a cui aveva
cercato di offrire
un'ultima possibilità!
Forse avrebbe fatto meglio ad esiliarlo definitivamente, obbligarlo
a lasciare anche
quella vecchia capanna, bandirlo da tutto il feudo, e poi osservare come
avrebbe fatto a
vivere, senza un tetto sotto il quale dormire e nessun altro bene al di
fuori degli abiti
che portava addosso.
Già... forse era proprio quello che doveva fare... ma Edgard era
Edgard, e pur essendo
profondamente irato con lui, anche desiderando allontanarlo dai proprio
pensieri ed
affetti, discendeva dal suo sangue, e... gli voleva bene, anche se
non era mai riuscito a
dimostrarlo come si addice ad un padre.
"Capisco. Me ne vado, ma tu pensaci. Torna al castello e prendi
moglie; liberati di quel
ragazzo, mandalo da qualche parte lontano da qui, non mi interessa dove, e
nemmeno come. È
l'unica possibilità per rimettere ogni cosa al suo posto, e riparare a
tutto il danno e
agli screzi che questa tua follia ha portato."
*****
Ewan, sempre nascostamente in ascolto, velocemente si ritrasse, e si
appoggiò con la
schiena alla parete, respirando profondamente. Ciò che il nobile aveva
appena detto non
gli piaceva, e per un istante era stato sul punto, anziché di tirarsi
indietro, di
piombare nella stanza gridandogli di andarsene, di lasciarli in pace, di
non intromettersi
mai più nelle loro vite, di non osare presentarsi lì e provare a
portarsi via il suo Edgard, dopo averlo cacciato come un criminale di cui vergognarsi.
...Che tentativo inaspettato...
Anche se capiva il perché quell'uomo trovasse disdicevole la loro
relazione, non poteva
fare a meno di continuare a covare risentimento per lui, e quell'ultimo
episodio
contribuiva solo a rendere l'astio ancora più bruciante.
Fermo sulla soglia, il duca rivolse le sue parole di commiato, volgendo la
schiena a
Edgard e limitandosi a voltare appena il viso di profilo.
"Pensa a chi sei, a quello che hai qui, e a quello che invece
ti posso offrire io."
Poi Ewan sentì la porta chiudersi, e dopo qualche istante il galoppo dei
cavalli. Si
affacciò alla finestra della camera, e vide tre persone allontanarsi; il
duca non
si era dunque recato lì da solo, due cavalieri lo avevano evidentemente
accompagnato,
attendendolo poi fuori.
Un fatto abbastanza ovvio, che il nobile non avesse viaggiato da
solo
Stava ancora osservando gli uomini allontanarsi che un violento
rumore di cocci infranti
lo fece sussultare... non il suono di qualcosa che cadeva accidentalmente,
ma quello di un
oggetto scagliato con rabbia.
Rabbrividì involontariamente al pensiero che Edgard doveva essersi
incollerito, e che
forse si sarebbe incupito di nuovo, isolandosi ancora nel silenzio,
impastando pensieri
venefici e facendoli lievitare al punto di occupargli tutta la mente.
Non sapeva come Edgard l'avrebbe presa, se si fosse mostrato subito; forse
aveva bisogno
di qualche minuto per sbollire la rabbia, per ridare compostezza al viso,
e cancellare
dalla voce il tono distaccato che aveva usato con il padre.
Un po' di tempo, insomma, per rimettere insieme il solito se stesso, e poi
Ewan sarebbe
andato da lui, lo avrebbe stretto forte e ringraziato per le parole che
aveva pronunciato,
per aver detto di essere felice, per aver affermato che lui era
importante, per averlo
scelto al di sopra di tutto.
Pensarlo gli scaldava il cuore, era un'ondata carezzevole di tepore
e fiducia che
rassicurante gli avvolgeva il corpo, e voleva dirlo a Edgard, voleva far
provare a anche a
lui le stesse sensazioni.
Ma prima che potesse fare tutto ciò la porta si aprì e si chiuse
un'altra volta, e Edgard
se ne andò; prese il cavallo e galoppò in direzione opposta a quella
presa da suo padre,
senza una meta precisa, desideroso solo di poter tenere a distanza i
propri pensieri, come
avesse potuto sfuggirli se si fosse allontanato abbastanza.
******
Tornò che ormai si stava facendo buio, ed Ewan aveva cominciato a
inquietarsi; se l'oscurità avesse preso il sopravvento, avrebbe forse avuto delle difficoltà
a tornare a
casa, nonostante la luna piena che rischiarava il cielo notturno in quei
giorni... inoltre
le strade dopo il calar del sole non erano certo luoghi sicuri, e il
sapere che il
cavaliere era in grado di difendersi benissimo non serviva a rasserenarlo
molto.
Quando Edgard aprì la porta aveva l'aria un po' stanca, ma tutto sommato
serena, gli
stivali e il fondo dei pantaloni erano sporchi di fango; i suoi occhi si
velarono di senso
di colpa nel vedere Ewan, seduto a tavola ad aspettarlo, la cena
tenuta al caldo tra le
braci del fuoco; i cocci che aveva negligentemente lasciato a terra,
uscendo, erano
spariti, restava solo sul legno l'alone del fondo di vino contenuto dal
boccale che aveva
pagato le spese del suo malumore.
Si sentì sciocco per aver compiuto un gesto tanto infantile, per essersi
fatto irritare a
tal segno dalle parole di suo padre quando ormai aveva già deciso che non
gli importava
più nulla di lui.
Non ci si arrabbia per qualcosa che ci è indifferente , e lui, invece...
Era suo padre, dopotutto... avevano gli stessi occhi, gli stessi tratti
del viso, anche se
con vent'anni di differenza; era suo padre, gli aveva insegnato ad andare
a cavallo, a
combattere, a difendere il proprio onore.
Era suo padre... ecco perché voleva che lo capisse, che lo accettasse, o
che almeno ci
provasse.
Sua madre aveva compreso. Adelius aveva compreso. Cedric aveva
compreso.
Perché lui no?
"Edgard?"
Lo chiamò Ewan, vedendolo fermo ed assorto, e lui si riscosse,
dirigendosi verso la panca
e sedendosi, desideroso di riposare dopo la lunga cavalcata senza meta.
"Scusa se sono uscito senza dirti nulla, ma... stavi
dormendo."
Disse alla fine, ed in fondo non era nemmeno una bugia: quando era
andato a controllare
nella camera da letto Ewan dormiva beatamente, e lui gli si era seduto
accanto per qualche
minuto, tentato dall'idea di stendersi anche lui solo per godersi il suo
calore e la sua
vicinanza; gli aveva preso una mano, lo aveva baciato sulle labbra, e lo
aveva quasi
svegliato, andandosene, perché il suo angelo, pur nel sonno, continuava a
stringergli le
dita.
Di lì a poco era arrivato il duca, che era riuscito a ferirlo in un
modo che apparteneva
a lui solamente. #######
Emerse dal dormiveglia lievemente intontito, ma piuttosto riposato. Non
aveva idea di che
ore fossero, non riusciva a vedere la radio sveglia, e le imposte erano
abbassate,
precludendogli la vista all'esterno.
Voltò il viso verso Keith, era sul letto accanto a lui, seduto, a
leggere. Lo chiamò,
passandosi la lingua sulle labbra secche, e lui si voltò immediatamente,
per un attimo
preso alla sprovvista, e poi con il volto illuminato da una dolce
espressione.
"Ehi, buongiorno."
Lo salutò, chiudendo il libro e posandogli subito una mano sulla fronte;
nel sentire la
sua pelle sì calda, ma non bollente come la sera precedente, si concesse
di sorridere, e
di sporgersi a dargli un bacio.
"Quanto sono felice di vederti stare meglio... mi hai fatto
spaventare, razza di
incosciente!"
Gli sussurrò poi in tono di rimprovero, staccandosi da lui.
"Scusami. - anche se non sapeva se fosse necessario chiedere
scusa, lo fece, perché la
preoccupazione, e il sollievo, di Keith erano chiaramente leggibili nella
sua voce e sul
suo viso - Credo di... di non essere stato tanto bene."
"Davvero? Deliravi e scottavi; il medico ha dovuto farti delle
iniezioni per abbassare la
temperatura. Aveva raggiunto i 106° ((scala Fahrenheit, corrisponde a 40°
in Celsius +
qualche linea)), ed eri sull'orlo dell'iperpiressia. Non è uno scherzo,
sai? Se fosse
salita ancora avrebbe potuto originare un colpo di calore, e... le
conseguenze potevano
essere molto più che gravi."
Concluse, passandogli assentemente le dita tra i capelli, e tacendo
il fatto di essere
stato sul punto di farlo portare all'ospedale; dopo le iniezioni però la
febbre era
calata, fino a raggiungere un valore di non pericolo, ed il dottore se ne
era andato,
lasciandogli la sua prescrizione, e l'istruzione di chiamarlo se la
temperatura fosse
ancora salita oltre i livelli di guardia.
"Io... ricordo che mi ero steso sul divano, volevo riposare..
poi mi sono alzato, per
affacciarmi alla finestra, ed ho visto la tua macchina, stavi
parcheggiando. Pensai di
aprirti la porta, ma come feci qualche passo in più iniziò a girarmi la
testa, non
riuscivo a stare bene in piedi. Dopodiché ho le idee un po'
confuse."
"Non ricordi di essere svenuto?"
"Ah... forse. - fece, pensosamente - Mi ricordo di te...
ma il resto è un po' nebuloso."
"Dopo che ti sei ripreso hai parlato di incubi, ed eri quasi in
preda al panico; non
volevi che mi allontanassi né che chiamassi il medico... ovviamente io
l'ho fatto lo
stesso, appena sono riuscito a sfuggire alla tua presa."
"Devo aver dato uno spettacolo davvero vergognoso."
Mormorò Matthias, abbassando lo sguardo, imbarazzato da quello che
dava l'idea di essere
stato un comportamento più che infantile.
"No. Solo triste... soprattutto per me che non potevo farti
stare meglio. Bene... ora
dovresti prendere le medicine, quindi vado a prepararti prima qualcosa da
mangiare."
E mentre Keith scendeva dal letto, un particolare fece capolino nelle
mente di Matthias.
"Mi ricordo che ieri ti avevo detto di comprare una cena
cinese; te ne sei ricordato?"
"Certo, ma un malato con la febbre non può certo mangiare
maiale piccante. Ti ci vuole
qualcosa di più digeribile, per cui... passato di verdure, sì: ce n'è
una scatola in
dispensa."
"Eeehhh? - un'espressione palesemente disgustata si dipinse in
fretta sul viso del
paziente - No! Per favore! Se proprio vuoi che stia leggero, portami
almeno il riso alla
cantonese!"
"Sorry, l'ho già mangiato io. Ci vuoi i crostini di pane, nel
passato?"
L'altro incrociò le braccia con espressione offesa, guardando
storto il suo amante.
"Si direbbe quasi che tu ti stia divertendo."
"Oh, no, come potrei?"
*******
Terminato il pasto vegetariano (fu costretto ad ammettere con se stesso
che era buono e
più gustoso di quanto credesse) e prese le sue medicine, Matt convinse
Keith a farlo
restare un po' in salotto, guardando insieme un film alla televisione.
Fosse stato per il
suo compagno, invece, avrebbe dovuto tornarsene immediatamente a letto a
cercare di
dormire, possibilmente per tutto il pomeriggio..
Sembrava aver preso proprio male la sua piccola crisi...
"Keith?"
Chiamò nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo, steso sul
divano nel suo modo
preferito, raggomitolato nella parte angolare, usando le gambe dell'altro
come cuscino.
"Dimmi."
"Mi stavo chiedendo... perché non hai studiato medicina? Mi
sembravi portato. Beh, come
scienza ormai avrà ben poco in comune con quella medioevale, però avevi
qualcosa che dava
fiducia, tranquillizzava le persone. E l'hai ancora adesso... hai l'animo
adatto."
"No."
.. Che voce infelice, lontana, antica...
"Io non ho l'animo adatto a salvare nessuno. Non ne sono
capace... e nemmeno degno."
... voce carica d'emozioni troppo contenute, che rischiavano, per
reazione, di scoppiare.
"Fronteggiare la responsabilità, il dolore... sopportare la
sensazione d'impotenza,
sentire la vita scivolare via. No Matt, non un'altra volta... ho scelto un
lavoro che non
coinvolgesse nessun sentimento, perché ero stanco di provarne.
Non li avrei sopportati.
Macchine, computer, numeri, formule, codici... posso gestirli e
controllarli senza che mi
facciano alcun male."
"Però non mi sembra che la tua strategia stia funzionando
molto bene, sai?"
Uno stupito sorriso sbocciò sulle labbra di Keith, a quelle parole piene
di comprensione.
Comprensione e anche, forse... commiserazione? Già, perché no?
Lui stesso si faceva pietà, rabbia e schifo, quando lo spleen si
impadroniva di lui.
Che poi, forse, spleen non era il termine esatto, perché la sua tristezza
era tutt'altro
che senza causa.
Il motivo del suo dolore era quanto di più solido potesse esistere,
non era stato
demolito dalla morte, dall'attesa, dalla rinascita; la fortezza del suo
tormento non
sarebbe mai stata ridotto in polvere, nemmeno in millenni, per quanti
assalti potesse
darle.
"Non importa, niente ha mai funzionato. Solo tu riesci a farmi
dimenticare, ma assieme
rendi il ricordo ancora più intenso, e questo, questo..."
[Mi salva.]
[Mi distrugge.]
[Mi fa paura.]
[Mi tiene vivo.]
[Mi uccide.]
Uno scampanellio prolungato troncò il discorso, e alzandosi per andare ad
aprire fu grato
a chiunque avesse suonato, interrompendoli.
Fu ancora più grato nello scoprire che il visitatore era Andrew, il
che gli permetteva di
lasciare i due amici da soli per farsi una passeggiata, con la certezza
che l'aria fredda
avrebbe anestetizzato i pensieri negativi.
A volte pensava che magari gli avrebbe fatto comodo fumare, per allentare
lo stress, ma
come vizio gli faceva abbastanza ribrezzo da riuscire a tenerlo lontano da
quei
cilindretti di carta e foglioline essiccate che causavano
invecchiamento precoce, alito
da posacenere, dita e denti gialli nonché cancri assortiti.
************
"Accidenti, non pensavo di trovarti così ko! Passavo da
Charing Cross e sono entrato dove
lavori per chiederti se ti andava di venire a mangiare qualcosa insieme a
me da Gatsby, ma
mi hanno detto che eri malato."
"In confronto a ieri sono perfettamente in forma... il dottore
mi ha lasciato delle
pastiglie che sembrano sommergibili, e mi ha prescritto anche delle
iniezioni, se mi verrà
di nuovo la febbre alta. Io *odio* le iniezioni!"
"Cos'è, influenza?... non potresti attaccarmela, così
me ne sto un po' a casa anche io?"
"Non ho niente di infettivo, mi dispiace. Ma se ci tieni ad
ammalarti puoi farti una
doccia gelata ed uscire nudo per strada: la broncopolmonite sarebbe
assicurata."
"Anche l 'arresto per oltraggio al pudore! Beh, comunque ho
deciso di tenerti un po'
compagnia e ti ho riportato anche questi cd."
***
"Ah, bene, cominciavo a credere che non li avrei mai più
rivisti."
Matthias prese i dischi che aveva prestato un bel po' di mesi prima a un
paio di amici,
che da tempo non si facevano più sentire.
O che a voler essere obiettivi, lo evitavano di proposito, e anche se non
c'era stata una
spiegazione ufficiale lui aveva capito benissimo il perché.
Andrew aveva preso bene che lui fosse gay e vivesse con un ragazzo,
ed anche altri amici
non avevano avuto alcun problema con quella notizia (un'amica a dir la
verità lo aveva
invidiato, dicendogli qualcosa del tipo 'non è giusto che il tuo ragazzo
sia più carino
del mio')...
Che però altri che conosceva da dieci anni, con i quali aveva
condiviso giochi da
bambini, scuola, esami, le prime vacanze da soli, gli avessero voltato le
spalle in quel
modo, era qualcosa che lo aveva rattristato molto.
In quei giorni Andrew aveva cercato di rinfrancargli l'umore con il
suo solito modo, un
po' brusco ma sincero.
"Meglio così, no? Meglio che si siano levati dalle palle
adesso, piuttosto che piantarti
il giorno in cui magari avresti avuto bisogno del tuo aiuto. Non hai perso
proprio nulla,
se non degli ipocriti con il cervello malfunzionante. Mica vorrai piangere
per loro?"
... veramente i termini usati dal suo amico erano stati un po' più
coloriti, ma il
concetto era quello...
***
"A-ha. Già che c'ero me li sono masterizzati tutti, spero non
ti secchi."
"Credevo che non ti piacessero gli U2!"
"No, infatti... ma sai che non posso resistere a tutto ciò che
è gratis. A proposito,
guarda, mi son fatto regalare un nuovo registratore per le lezioni
all'università. Così
potrò dormicchiare tranquillamente mentre lui sta attento al posto mio.
È Molto più
sensibile di quello che avevo prima. Ecco, prova... di qualcosa!
Disse Andrew, premendo il tasto REC e sbattendo praticamente sotto il naso
di Matt la
piccola e sottile macchinetta nera.
"C-che? E cosa dovrei dire?"
"Dai, su non fare il timido!"
"Ma mi sento ridicolo!!"
"Guarda che se non parli inizio a cantare! Ehm ehm... Alas my
love, ye do me wrong to
cast me out discour-..."
Il gatto inorridito corse a nascondersi sotto il divano, spaventato da
quello stonato
stridore cantilenante e anche la resa di Matthias fu immediata ed
incondizionata.
"No, va bene, ecco, sto parlando! Ok? Però non cantare! Perché
piuttosto non vai a
preparare della cioccolata calda, adesso?"
Andrew spense il registratore, compiaciuto di se stesso; sapeva bene che
nessuno resisteva
alle sue minacce canterine; pigiò il tasto play, e l'ultimo brano della
conversazione
ripartì, permettendo, o costringendo, Matthias a riascoltare le strofe
stonate che il
ragazzo aveva cantato poco prima, e il commento fatto da lui stesso.
Matt guardò il piccolo apparecchio con un'espressione che si poteva
tranquillamente
definire sconvolta, poi lo prese d'improvviso dalle mani dell'amico e mandò
indietro il
nastro, riascoltando una, due, tre volte la frase che aveva pronunciato.
"Andrew, questa... questa è la mia voce?"
L'altro lo guardò dubbioso, stupito nel vederlo così incredulo.
"Non l'avevi mai ascoltato in registrazione?"
Matthias scosse la testa, continuando a fissare incredulo il piccolo
registratore.
Certo, sapeva che la nostra voce, sentita dagli altri, non è uguale a
quella che sentiamo
noi stessi quando parliamo... qualcosa che aveva a che fare con la
vibrazione delle onde
sonore, anche se non ricordava con precisione la spiegazione esatta.
D'altra parte non era affatto importante, perché ciò che contava, ciò
che lo aveva
lasciato senza parole, era che la voce incisa sul nastro, la *sua* voce,
era la stessa che
qualche giorno prima...
... la stessa che qualche giorno prima gli aveva chiesto
"smetti".
*********
*
*
*
*
Quella notte, ancora...
un sogno che sogno non era.
Il buio non era totale, non più... scuro d'intorno, e poi sfocato, ma al
centro di esso
ora poteva nitidamente vedere il viso di Edgard;
solo il viso, nient'altro, con il doloroso pensiero che si ripeteva
nella sua mente...
... era l'ultima volta...
L'ultima volta, e non c'era un sorriso.
Un sorriso non avrebbe mai potuto esserci.
La gola faceva male, troppo, le labbra gli formicolavano, il viso di
Edgard era quello di
una statua.
[Ho paura, così tanta paura!]
Insieme, per sempre, lo aveva sempre creduto, lo aveva promesso... e
così era stato.
Solo che...'sempre' può essere un periodo breve, anche un giorno
solamente...ed il loro
sempre finiva lì.
[Non è giusto! Non così!]
Avrebbe voluto sentire la voce di Edgard ancora una volta.
Che gli raccontasse una rassicurante menzogna ...
Una parola dolce come un bacio, calda come i loro corpi nell'amore.
Ma sa che così non sarà, sa che quando, e se, Edgard parlerà lui
non ci sarà più.
Edgard non parla, recita a labbra chiuse il suo atto di dolore..
Gli sfiora il viso, ed è caldo, e la statue non sono calde, le
statue non hanno un cuore
che sanguina.
No, Edgard non è una statua, anche se forse vorrebbe esserlo, perché
la statue non
soffrono, non vivono, non amano, non hanno promesse da mantenere, paure da
affrontare,
morti da piangere.
[Ti amo.]
La non-espressione sul suo viso vacilla, e i suoi laghi d'ambra diventano
scuri pozzi di
dolore e tormento.
[Edgard...]
[Ti amo e così ti spezzo il cuore, e porto la tua vita con la mia,
e lascio su questa
terra un corpo vuoto, un'anima senza pace...
[...questa è una punizione, forse davvero abbiamo peccato?]
[è peccato, amare?]
[Amare così tanto?]
[E se lo è, perché, perché tu sei stato punito così tanto più
di me?]
Fitta di dolore.
[Addio, amore.]
________C_O_N_T_I_N_U_A___________
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