In un paese d'estate

parte XXI

di Unmei


Solo nebbia, nebbia, fonda e buia... solo debolezza e membra pesanti, e un silenzio sporco di brusio che forse era immaginato, nato dai suoi sensi.
E poi... il fiato, che manca...è  una fiamma che si spegne... la mente è lucida, la mente capisce, la fine che s'avvicina, la fine ingiusta, la fine triste, ma lui non cerca di sottrarsi.
Perché quello è il destino... ed è inevitabile per definizione.
Però l'angoscia... la paura... troppo forti... un lungo sogno, la vita... un bel sogno, da cui era costretto a svegliarsi chiudendo gli occhi in uno sconosciuto oblio.
Lacrime!
Le sentì affiorare e scorrergli sul viso, silenziose, rassegnate, colme di dolore per se stesso, per il suo amore, per la vita che lasciava incompleta, di rimpianto per tutto quello che non sarebbe più potuto essere.

Alzare un braccio, il gesto più faticoso mai compiuto nella sua vita... perché esso pesava troppo, e non voleva obbedirgli, lento e stanco, già perso, già cadavere... alzare il braccio, sfiorare quel viso ancora una volta, l'ultima... il Suo viso gentile, il Suo viso adorato.
Le sue gote sono asciutte, lui non piange... si è già staccato dal mondo.
Non piange, né lo farà...
Ferma la mano su quella guancia, gli riesce un vago, debole, morente sorriso... vorrebbe dirglielo, vorrebbe parlare, ma non ce la fa...
Riesce solo a muovere le labbra, senza emettere un suono... il suono che sarebbe voluto uscire e che è rimasto nella sua gola dolente...
... un suono... l'ultimo... nella mente lo sente, ma nell'aria non vibra.
 "Ti amo."
[Scusa. Scusa se lo dico, ora che ti fa così male. Scusa, non dovevo.]

Quel volto è ancora asciutto, s'è fatto di pietra liscia.
Solo, sente un tremito... un contrarsi, ma resta immobile, e poi...
Le forze non bastano più, la mano scivola via... cade.
Un dolore... un lampo... appena sentito, perché dopo non resta più nulla... non c'è abbastanza coscienza per quella fitta, che sembra interrompersi a metà.
Perché infine la Morte...
...la Morte...
...la Morte...
... ti abbraccia.
E a volte il suo abbraccio è dolce...
... a volte.


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Matthias si svegliò di colpo, balzando a sedere sul letto.
Tremava incontrollabilmente, con il fiato imprigionato in gola, il cuore che percuoteva il petto, scandendo un ritmo convulso, e il terrore che gli serpeggiava addosso.
 Respirò forte, deglutì dolorosamente, si passò una mano sul viso... era più di una settimana, ormai, che si ripeteva, ed ogni volta era più realistico.
Uno strano sogno, fatto solo di sensazioni, immerso nell'oscurità... un incubo di cui aveva capito sin dalla prima volta il significato.
Era la sua morte... la morte che avveniva nell'istante in cui lui apriva gli occhi, al sicuro nel suo letto, sempre immerso nel buio, ma in uno amichevole, benigno, che non faceva paura.
 Quel buio... perché? Era morto cieco? Senza poter più vedere la luce, senza più poter vedere Edgard?
Non voleva saperlo... pregava che quella reminiscenza finisse lì, che quel sogno non tornasse più.
Ogni volta era riuscito a placare l'agitazione, a riaddormentarsi, chiudendosi in posizione fetale, così rassicurante, e aveva lasciato che a guidarlo nel sonno fosse il respiro tranquillo di Keith.
Keith...
Mai gli era passato per la testa di raccontargli il sogno, nemmeno la prima volta, e neppure lo avrebbe fatto se esso fosse tornato altre mille: ricordava troppo bene la reazione che aveva avuto, quando gli aveva chiesto della loro morte, mesi prima; la voce incrinata, il suo tremare, lo sguardo perso; il velo si era dissolto e per la prima volta aveva mostrato fragilità, il bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi... ed un dolore mai sopito.  Mai più gli avrebbe causato qualcosa di simile, mai più avrebbe detto parole che potessero resuscitare una tale angoscia.


Quella notte però il sonno non tornò, sembrava avesse completamente abbandonato il suo corpo, e lui si sentiva fin troppo sveglio; un'occhiata all'orologio sul comodino lo informò che erano le quattro e tre quarti del mattino; oscenamente presto, ma a differenza dal solito non provava il desiderio di crogiolarsi nel piacevole calduccio del letto. 
Abbandonò le coperte e rabbrividì, affrettandosi a infilarsi la morbida tuta che si era tolto la sera prima, e si mosse cercando di non far rumore, uscendo dalla camera da letto per poi andare in cucina a prepararsi una tazza di latte caldo.


Mentre il pentolino si scaldava sul fuoco, lui sbirciò attraverso le persiane; fuori era ancora buio pesto, e una nebbiolina umida già avvolgeva la città come un manto; anche se non era inverno di nome, ormai lo era di fatto: nelle giornate brevi e scure, nel vento freddo, nei vetri appannati e nella brina che luccicava sulle strade e sulle macchine la mattina. Forse era una sua impressione, va gli sembrava che quello fosse il novembre più gelido che avesse mai vissuto.

******


Circa un'ora e mezza dopo sentì la sveglia suonare in camera... immaginò la quotidiana imprecazione che Keith rivolgeva all'apparecchio, e decise di preparare una colazione speciale per addolcirgli il risveglio... ruppe qualche uovo in una padella, qualche minuto dopo sentì l'acqua scorrere nella doccia, e solo un bel po' di tempo dopo udì il rumore del phon.


Quando Keith entrò in cucina trovò ad attenderlo Matthias, già ben sveglio e non assonnatissimo come era di solito a quell'ora del mattino; inoltre, invece del solito bricco di caffè e delle fette di pane tostato con marmellata, trovò ad attenderlo una colazione a base di toast, uova strapazzate e bacon, succo d'arancia e persino delle focaccine al sesamo.
 "Beh? Che è successo? Sono ancora nella casa giusta o mi sono svegliato in una dimensione parallela?"
 "Considererò questa frase un segno d'apprezzamento."
Keith inclinò la testa, guardandolo con attenzione.
 "Matt, ti senti bene? Non sto scherzando: non ha un bel colorito, e hai anche le  occhiaie"
 "Deve essere perché non ho dormito molto bene questa notte."
Keith gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla fronte, lasciandola lì ferma qualche istante.
 "Hai la febbre; faresti meglio a restare a casa. Oggi."
 "Ma..."
Iniziò fa dire, e Keith lo interruppe immediatamente poggiandogli un dito sulla bocca.


 "Se te stai tranquillo e buono a riposare forse domani sarai di nuovo in forma... invece uscendo con questo freddo e stancandoti potresti prenderti una gran influenza. Così poi io sarei costretto a passare una settimana a prepararti brodini e a dormire in un'altra stanza per evitare che mi attacchi qualche malanno."
 "E tu mi lasceresti in camera da solo? Non sai che i malati hanno bisogno di compagnia ed affetto?"
 Matt imbronciò le labbra, rivolgendo a Keith un comico sguardo da cucciolo ferito.
 "Compagnia e affetto? Veramente io quando sono malato mordo chiunque tenti di avvicinarsi a me.  Comunque, Matt, preferirei davvero che tu rimanessi a casa."
Matthias diede un mezzo sospiro; poteva capire i sentimenti di Keith, soprattutto in quel momento: presumeva fosse comprensibile una certa apprensione, riguardo la sua salute, anche se gli appariva un po' esagerata.
 Poi però pensò che lui era morto prima di Edgard, e che non sapeva cosa fosse successo dopo, come l'altro si fosse sentito, quanto fosse durata la sua solitaria agonia.
 "Beh... va bene, allora. Sarà divertente passare una giornata come quando da bambino restavo a casa da scuola perché non stavo bene: sprofondato sul divano, a sgranocchiare biscotti guardando i cartoni animati."
 "E cosa ci sarebbe di tanto diverso da quello che fai di solito?"
Osservò perplesso Keith, e Matt lo incenerì con un'occhiataccia.
L'altro piegò le labbra in un mezzo sorriso, e finalmente sedette per godersi l'abbondante colazione; restare a casa a poltrire era un'idea che allettava anche lui, ma quello non era proprio il giorno giusto per prendere vacanza: lo aspettava una noiosa conferenza alla quale non poteva proprio mancare, e doveva attraversare tutta la città per raggiungere il centro congressi dove si sarebbe svolto l'incontro... a ben vedere era probabilmente già in ritardo, rischiava di rimanere invischiato nel traffico, quindi meglio sbrigarsi.

******


Prima baciò Matthias, la cui bocca era calda per la febbre, che comunque nulla toglieva al suo entusiasmo nel rispondere, anzi, sembrava che il suo innamorato non fosse affatto del parere di lasciarlo andare via. Sapeva di aver ben poche speranze di vincere contro quei sospiri deliziati e contro le dita che gli accarezzavano il collo insinuandosi tra i capelli sottili della nuca; contro voglia si staccò da lui, tenendo dolcemente il suo viso tra le mani per qualche istante.
Poi si chinò a grattare il gatto dietro alle orecchie, salutando anche lui.
 "Mi raccomando, Bestiaccia, se dovesse venire qui il suo amante, avvisami subito sul cellulare."
Il felino miagolò una qualche risposta e gli piantò le unghie nei pantaloni in segno d'affetto, tentando una scalata lungo la sua gamba.
 "Non so se sei più scemo a dire certe cose in generale, o a dirle al gatto in particolare."
Brontolò Matthias, ma in tono del tutto affettuoso; le abituali strane uscite di Keith che lo avevano preso in contropiede, imbarazzandolo, quando lo aveva conosciuto, gli erano diventate familiari, e dolci, quando erano spensierate come in quel momento. 
Si avvicinò a lui, che era impegnato a staccarsi il micio (ormai accomodatosi all'altezza del ginocchio) dai pantaloni di velluto; gli diede un bacio su una guancia, liscia, respirando il suo buon profumo di sapone neutro e acqua di colonia.
 "Ci vediamo questa sera."
 "Forse tarderò, quindi se vuoi cena pure senza di me."
 Matthias scosse la testa.
 "No; tornando fermati a comprare qualcosa al take away cinese. Riso alla cantonese.. pollo fritto e maiale piccante!"
  "Proprio sicuro di non preferire il brodino?"
 "Solo quando sarò un vecchio sdentato!"
 E l'altro decise di approfittare del fatto che per il momento i denti ci fossero ancora tutti per dargli un ultimo bacio, prima di uscire.


Trovando l'ascensore occupato Keith decise di non aspettare e scendere per le scale, ed aveva appena finito la prima rampa quando udì la porta di casa aprirsi e la voce di Matthias gridargli:
 "Non dimenticare gli involtini primavera!!"
 Sorrise, e sperò che la giornata che lo aspettava passasse in fretta.

******

Si sporse dal finestrino quanto più gli era possibile, ma non gli riuscì di vedere il capo della lunga coda di macchine, né tantomeno poté capire che cosa l'avesse causata: d' accordo il traffico, ma quello era peggio del solito!
 Controllò per l'ennesima volta l'orologio, e tamburello innervosito le dita sul volante; avrebbe tardato, ne era certo... e se avesse tardato *troppo* probabilmente non avrebbe più potuto prendere parte all'incontro.
 Beh, in genere adorava perdere le conferenze, ma quella era la prima a cui sarebbe intervenuto  tra i capi-progetto... sarebbe stato seccante non essere presente. Bisognava anche aggiungere che il pranzo che sarebbe stato offerto ai partecipanti nel lussuoso ristorante del Centro costituiva quantomeno un incentivo per la sua buona volontà. 
Insomma, per una volta che aveva l'intenzione di svolgere quasi di buon grado un compito di rappresentanza, il Fato complottava contro di lui?
Sbuffando digitò sul cellulare il numero di Monica, per informarla della situazione, ed azionò il tergicristallo, per cancellare le minute gocce che avevano preso a scendere, leggeri e sottili aghi d'acqua. E come aghi sembravano acuminate, pensò, guardandole, pioggia capace di far sanguinare il cuore.
Che malinconia improvvisa, sciocca ed immotivata! Strana sensazione di vuoto, di vano.
 Vuoto... era ciò che si era creato intorno, di proposito, in quella sua nuova vita. 
Nei pochi amici, quei pochi che gli si erano avvicinati anche quando lui aveva tentato di allontanarli,  facendosi accettare quasi a forza, violenza di cui era stato alfine grato. 
 Vuoto con genitori indifferenti, con i quali non aveva mai fatto neppure un tentativo, per se stesso o per loro, di diventare una famiglia...
Per quanto più gli era stato aveva cercato di muoversi in una bolla di solitudine, resistente e sicura... perché nessuno si affezionasse a lui.
Perché nessuno avrebbe dovuto rimpiangerlo, se se ne fosse andato... perché di lui restasse un giorno solo un ricordo distaccato, privo d'emozione.


Parlò brevemente con Monica, senza riuscire a fare molto caso alle proprie parole né a quelle di lei: un dolore fastidioso e continuo come un ronzio aveva ripreso a farsi sentire nella sua testa; quando la chiamata finì gettò distrattamente il cellulare sul sedile del passeggero e frugò nel vano portaoggetti, cercando dell'aspirina e trovandone solo il tubetto vuoto... dunque poteva solo sperare che l'emicrania non peggiorasse.
 Stress... era stress la causa di quei dolori che iniziavano sfumati come fantasmi per poi farsi lancinanti, glielo aveva detto anche il medico.
Stress, e poco rispetto per la propria salute.

 <Dorme e mangia in maniera irregolare, non va proprio bene.>
 <Due whisky ogni sera... crede forse sia una buona abitudine?>


Erano le stesse cose che gli ripeteva Matt, e senza nemmeno pretendere una parcella... al massimo gli nascondeva la bottiglia di Talisker.

**"Dai, Matt... non sono mica un alcolizzato!"
 "Lo so, ma ti fa male lo stesso!"**


 "Dopo i trent'anni metterò la testa a posto, prometto."
 Ripeté a bassa voce, con un sorriso, la risposta che solitamente dava a Matthias.

 "Trent'anni? Cosa ti fa pensare di riuscire a festeggiarli?"
Quella voce...
... quell'odiatissima voce, che per mesi l'aveva lasciato in pace, tornava a farsi sentire.  Strinse le mani sul volante, facendo finta di nulla.
 "Non mi puoi ignorare... non a lungo, e lo sai. Ed eri decisamente troppo sereno in quest'ultimo periodo, per lasciarti stare. Poco divertente, già..."
 Non rispose.
Non l'avrebbe più fatto, perché ogni volta che vi aveva dato retta gli aveva fatto del male, risvegliando in lui dubbi e sensi di colpa, rimpianti, nient'altro che emozioni negative.
Ma fingere di non ascoltare non bastava a farla tacere, perché la voce parlava dentro di lui, incitando fantasmi che si agitavano nel suo cuore.
 "Comincia l'atto finale! Vincere o perdere tutto! Sai che il passato si ripete sempre, vero? Il tempo è un cerchio, tutto è un ciclo... con diversa apparenza ogni cosa ritorna..."
 "NO!! - picchiò con rabbia i pugni -  Che senso avrebbe questa nuova possibilità? Essere nati e vissuti ancora solo per soffrire allo stesso modo?
 "Nessun senso... niente ne ha."
La voce scomparve, e mentre la pioggia cominciava a scendere più forte involontariamente i suoi ricordi tornarono al passato, a quando tutto sembrava aver trovato un felice equilibrio ed invece la fine stava a poco più un soffio da loro.

*****


#######Il fabbro salutò dalla soglia di casa, mentre lui rimontava a cavallo; il fratello dell'uomo si era rotto una gamba e lui aveva avuto il suo bel da fare per riallineare l'osso e poi metterlo in trazione, sfruttando un gancio che sporgeva da una trave del soffitto. Non avrebbero dovuto esserci complicazioni, se avessero eseguito le sue istruzioni, lasciando il ferito in pace abbastanza a lungo da permettere alla frattura di risaldarsi; l'incidente si sarebbe risolto senza conseguenze, forse al massimo un lieve zoppicare, che comunque non gli avrebbe pregiudicato alcun movimento. 
Tornando verso casa si sarebbe fermato presso il carpentiere, che gli stava costruendo un barroccio con cui sarebbe stato più comodo per lui ed Ewan spostarsi assieme, permettendo loro anche caricare i bauletti di spezie e medicine con facilità.


La previsione di Ewan si era rilevata esatta: i genitori di Casey avevano passato parola e altre persone si erano rivolte a lui, in cerca di qualche cura, di consigli o medicine; alcuni fiduciosi, altri perplessi, probabilmente nel giudicarlo un po' giovane per essere uno speziale.
Sempre come pronosticato non era mai stato pagato con moneta sonante, ma talvolta con uova, pane nero, o con pinta di birra scura... oppure addirittura quel piccolo carro che l'artigiano si era offerto di costruire come ricompensa, eternamente grato loro per aver salvato la vita della moglie.
Edgard in tutta onestà avrebbe voluto dirgli che la donna non aveva proprio niente di grave, solo una lieve intossicazione alimentare a cui era stato facile rimediare con un emetico... probabilmente se la sarebbe cavata anche da sola, pur mettendoci qualche giorno... però la gratitudine dell'uomo era stata così sincera, e l'idea di avere un pratico mezzo di trasporto così allettante, che alla fine aveva preferito tacere. 
Fu proprio mentre si stava recando alla bottega dell'artigiano che incrociò una persona che mai si sarebbe aspettato di incontrare da quelle parte, e in quelle circostanze.


 "Cedric?"
Disse stupito, rivolto al giovanotto dalla testa fulva e riccia. L'altro fermò il cavallo, e si voltò verso di lui. Alzò una mano in cenno di saluto, sorridendo, e si avvicinò a lui.
 "Stavo proprio cercando te!"

*********

  Decisero di discutere comodamente, andando a sedere al grezzo tavolo di una locanda, prendendo anche qualcosa da bere.


   "Non ho molto tempo,  affari urgenti mi aspettano a casa e sono già sulla strada del ritorno, ma prima di andarmene volevo vederti. Ero venuto a trovare te, ma non ti ho trovato; tuo padre è stato piuttosto brusco, in merito, e non sono riuscito a vedere tua madre, ma Adelius mi ha raccontato a grandi linee cos'è successo, e mi ha detto dove trovarti. Diamine... non avevi un guaio più grosso in cui cacciarti? All'interno delle mura del castello è proibito persino pronunciare il tuo nome... il duca mi ha quasi accusato di aver avuto una cattiva influenza su di te, per quelle poche volte che ci siamo sbronzati assieme! E tuo fratello ha un atteggiamento che mette i brividi, si comporta come se fosse già lui il padrone di tutto."
 Edgard sogghignò, divertito dall'atteggiamento preoccupato di colui che era stato il suo principale 'compagno di disastri' in tempi ormai andati.
 "Io sto bene, Cedric. Mio padre e il mio cosiddetto fratello non mi riguardano più, e ti assicuro che la mia situazione non è poi così disperata; in realtà mi sto stupendo di me stesso, sai?"
 "Oh, ti prego! Un tempo ti saresti rifiutato di dormire in una camera che non avesse le pareti coperte di pellicce, o di portare fibbie che non fossero preziose. Come puoi dirmi di stare bene?"


Vero. Un tempo era esattamente così: amava tutto ciò che la sua ricchezza poteva offrirgli, gli piaceva scegliere le stoffe, i gioielli, i cavalli e i finimenti che più avrebbero sottolineato il suo status. Era gentile ed amichevole con la plebe, e generoso, ma nonostante ciò continuava, forse inconsciamente, a tenere un muro tra 'lui' e 'loro': un muro alto e saldo che avrebbe impedito a quei mondi estranei di mescolarsi. Forse quel muro esisteva ancora, benché lui ormai si trovasse dall'altra parte di esso.


  "La sera mi sento soddisfatto della giornata trascorsa, è sia un buon segno, non credi? Sul serio... capisco il tuo punto di vista, ma ciò che ho vissuto in questi mesi ha fatto bene alla mia anima; forse ho trovato la mia strada, in maniera un po' brutale, ma efficace."
L'altro giovane scosse la testa e si riempì nuovamente il boccale di sidro.
 "Sicuro di non parlare per un qualche strano tipo di entusiasmo? Anche un soldato può farsi esaltare dalla vita da campo e dall'euforia per qualche battaglia vinta ... ma nonostante ciò è sempre ben felice di tornare infine a casa propria. E questo posto certo non è casa tua."
 "Io posso dirti come mi sento ora; non so come sarà domani, tra un mese o tra un anno, ma sono pronto ad affrontarlo; ti è così difficile avere fiducia in me?"
 "Certo che no! Però... sarà che al tuo posto io non avrei saputo che fare..."
 "Con le tue doti saresti potuto diventare un oste."
Propose Edgard, e Cedric si interruppe mentre stava portandosi il bicchiere alle labbra.
 "Sto cercando di fare un discorso serio!"
 "Già... per una volta che sei sobrio..."
 "Edgard! "
 "Scusa."
 "Senti... tu ed Ewan potete venire da me, se volete. Come sai mio padre è morto un anno fa, ed io ho già ereditato il feudo, quindi non ho bisogno dell'autorizzazione di nessuno. Mio figlio è in fasce, ma quando sarà abbastanza grande da impugnare una spada potresti essere tu a insegnargli, giacché, mi tocca ammetterlo, te la cavi meglio di me. Ewan sarà libero di fare ciò che preferisce... so che è un bravo scrivano, quindi..."
 Edgard interruppe il suo volo con un gesto della mano.
 "Ti ringrazio, Cedric, la tua è un'offerta generosa, ma non posso accettare. Pensaci. Una delle cose che preferisco di questa situazione  è che posso amare Ewan liberamente. Abbiamo una casa solo nostra dove non dobbiamo temere intromissioni, e se anche qui, in paese, ci scambiamo un gesto d'affetto, nessuno ha da ridire. Non so se tutti abbiano davvero capito il nostro rapporto, se fanno finta di non vedere o se pensano che siamo fratelli o cosa, ma in genere questa gente ha problemi più seri a cui pensare che non il 'chi ama chi'. Se accettassi la tua offerta dovremmo tornare a nasconderci, a sentire frasi sussurrate alle nostre spalle, al poter avere solo la nostra stanza per amarci.
 Inoltre accogliere in casa un nobile ripudiato dal padre non è cosa da poco...ed insieme a lui ospitare il suo amante... potresti risentirne anche tu, generando il biasimo tra i tuoi vassalli."


 Cedric parve valutare le sue parole, solo in principio un po' contrariato; Edgard aveva ragione e se ne rendeva conto, capiva anche bene quali erano i suoi sentimenti. Lui, come suo padre, e come suo nonno, e come chissà quanti tra i suoi avi, non si era sposato per amore, ma per interessi economici e politici; rispettava sua moglie, le voleva bene, e quei sentimenti erano reciproci, ma oltre ad essi non v'era niente di più profondo, nessuna passione.
 Era chiaro che il suo amico non volesse barattare quella nuova serenità per tornare in seno ad un mondo che lo aveva cacciato già una volta.
"Come preferisci. Beh, in ogni caso... se aveste bisogno di qualcosa, cercatemi." #######


Colpi di clacson dietro di lui lo strapparono ai suoi pensieri.  L'ingorgo pareva essersi sbloccato; spinse sull'acceleratore e mise a tacere i vecchi ricordi.


****************************


Matthias si sentiva intorpidito; per un po' di tempo era rimasto per un'ora a leggere e poi gli occhi gli si erano fatti pesanti, piano, senza che se accorgesse; i libro gli era scivolato dalle mani, e aveva reclinato la testa, chiuso gli occhi, forse dormito.
Forse, perché non ne era del tutto sicuro: era stato come essere svegli, ma non avere forza abbastanza per pensare, subendo invece passivamente confusi spezzoni di frasi, ombre di immagini che affioravano  nella sua mente, consci di galleggiare nel nulla. In bocca aveva un sapore dolciastramente  sgradevole, spesso, impastato, e la parte di lui che aveva ancora una debole coscienza gli stava dicendo che avrebbe dovuto bere qualcosa, un bicchiere d'acqua, una tisana alla menta... quella gli avrebbe fatto particolarmente piacere, profumata, buona; ma non aveva abbastanza forza alzarsi, poté solo socchiudere un po' gli occhi.


 Strano... gli sembrava che ci fosse qualcuno, lì, insieme a lui. Qualcuno di familiare, la cui inspiegabile presenza non lo spaventava, al contrario... era rassicurante; avrebbe potuto giurare di sentire il sedile del divano abbassarsi sotto il peso della persona che vi si sedeva, ed una mano accarezzargli leggera il viso, presente, reale, chiudergli gli occhi e poi posarsi sul suo petto.
 "Smetti ora, per favore - disse una voce, e anche se gli era familiare non era riuscito a riconoscerla, ad abbinarla ad un volto - Gli farai del male."
  "Perché?"
"Ti farai del male."
"Chi sei?"
Sussurrò, un soffio debole tra labbra secche.
 "Chiudi la tua mente. Smetti."


Dopo quell'ultima, implorata, parola la presenza svanì e il suo senso di spossatezza cominciò a dileguarsi, permettendo alla coscienza di allargare il proprio spiraglio. Era rimasto disteso per qualche minuto, con gli occhi aperti, a fissare il soffitto, e si era infine alzato, le ginocchia molli come se le giunture si fossero sciolte. In  cucina si era preparato la desiderata tisana alla menta, ed ora girava lentamente il cucchiaino nella tazza per far sciogliere il miele, cercando di trovare una spiegazione per l'esperienza appena vissuta.
Un'interpretazione per la voce non identificata eppure ben nota, per le parole che aveva pronunciato, per il palpabile dolore di cui erano intrise.
 - - Smetti... chiudi la tua mente... - -
 Era una preghiera, evidentemente rivoltagli perché cercasse di fermare i propri ricordi... ma come poteva serrare la mente se non aveva nemmeno idea di come l'avesse aperta?
Ogni memoria si era sempre presentata spontaneamente, al di fuori del suo controllo; non era certo come un rubinetto che poteva essere aperto e chiuso a piacimento... altrimenti avrebbe già fatto volentieri a meno dell'angosciante sogno che lo stava tormentando.


 Chi gli aveva parlato? Con la vista sfocata non era riuscito a vederlo... e forse non era stato nemmeno visibile; lui aveva captato solo un'ombra, con la coda dell'occhio... eppure aveva sentito la mano che lo toccava, chiaramente.
Gettò il cucchiaino nel lavello e sorseggiò la menta; il liquido caldo eppure fresco fu straordinariamente ben accolto sia dalle sue papille che dalla sua mente, che riprese lucidità.
 "Inutili paranoie! È solo la febbre, mi fa sempre strani scherzi... forse la temperatura è salita e ho delirato un po'."
 Le sue stesse parole gli suonarono rassicuranti, e decise di non pensarci più.

*****


La chiave girò nella toppa, e lui ormai non vedeva l'ora di potersi riposare; una doccia calda, poi la cena che aveva comprato seguendo i desideri di Matt, e per fargli una sorpresa aveva anche acquistato, in una confetteria, una piccola torta al cioccolato. Infine aveva in mente di guardare un bel thriller insieme al suo ragazzo, nel mentre di stuzzicarlo ancora un pochino e di fargli il solletico mordicchiandogli le orecchie. 
La serratura scattò, ma quando spinse la porta non riuscì ad aprirla che di una fessura, poiché dopo qualcosa la bloccò..
 Che strano..
 "Matt? Ci sei?... mi stai combinando qualche tipo di scherzo?"
Non ebbe risposta, se non gli acuti, urgenti, miagolii di Bestiaccia;  stupito provò ad imprimere una forza maggiore, ed allargò un po' lo spiraglio, quanto bastava da poter sbirciare all'interno.
Vide a terra un braccio disteso, ed una mano pallida.
 "Matthias!"
Il nome suonò amplificato tra le spoglie pareti dell'atrio, mentre Keith  con un'unica spinta apriva l'uscio, spostando con ciò a viva forza il corpo inerte che giaceva ad un passo dalla soglia.


_____________C O N T I N U A____________________



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