Capitolo nuovo!!! A me piace abbastanza, spero
anche a voi...
ah, e il prossimo potrebbe essere una side story, ambientata prima del resto
della storia, su J e R...sempre che loro vogliano collaborare ^^
Ci si sente al fondo!
In un paese
d'estate
capitolo
XVIII di
Unmei
#######Si era vestito lentamente, allacciando gli abiti con mani che
tremavano, ed era rimasto scalzo e con i capelli spettinati, troppo
agitato per pensare di mettersi completamente in ordine. Tutto ciò che
gli riuscì di fare fu di andare su e giù per la stanza per un po', e poi
sedersi sul letto, stringendosi le braccia al petto con tutta la forza che
aveva in corpo, come per farsi scudo dal male che sentiva di nuovo,
pericolosamente, vicino.
Il cuore continuava a correre, così forte da stordirlo, da fargli girare
la testa...dov'era finita tutta la luce che aveva riempito la camera
quella mattina? Anche se le imposte erano spalancate sembrava che non ne
entrasse più nemmeno un pallido raggio.
Non era passata nemmeno un'ora da quando dal suo bel cielo azzurro era
stato calciato sulla terra...e a giudicare dal dolore della caduta, doveva
aver rovinato su sassi ben acuminati.
Poteva essere tutto un brutto sogno?
Che avesse solo immaginato la manifestazione di una delle sue più cupe
paure, sotto le sembianze di quell'uomo severo e vestito di scuro?
Serrò forte gli occhi e poi li aprì, tentando di risvegliarsi, ma nulla
era cambiato, ovviamente: la camera era sempre vuota, e i ricordi di
quegli attimi si ripetevano ancora e ancora nella sua testa.
...Era stato agghiacciante lo sguardo nobile genitore, e forse ancor di più
il fatto che non avesse pronunciato nemmeno un'altra parola, dopo il nome
del figlio; semplicemente era rimasto a fissarli con occhi di fuoco
qualche istante, e poi se ne era andato: comparso e scomparso tetro come
un fantasma.
Anche Edgard non aveva detto quasi nulla: si era rapidamente vestito e,
prima di uscire per raggiungere il proprio padre, lo aveva baciato, mentre
lui era rimasto immobile e frastornato tra le lenzuola, senza riuscire a
proferire verbo.
"Stai calmo, aspettami qui."
Si era raccomandato, e poi lo aveva lasciato, in quella stanza che aveva
visto i suoi momenti più felici e quelli i più bui, testimone di
sorrisi, lacrime, sogni e paure.
Non avrebbe dovuto accettare di rimanere lì, e permettere che andasse da
solo; avrebbe dovuto essere con lui, a condividere qualsiasi cosa il duca
avesse avuto da dirgli, perché quali che fossero le parole che quell'uomo
gli avrebbe rivolto, sarebbero state indirizzate ad entrambi. Ma
spaventato e stordito qual era, che utilità avrebbe mai potuto avere la
sua presenza? Forse sarebbe servita solo a dare il sangue alla testa al
duca, peggiorando la situazione...quindi non poteva far altro che
attendere, pur sentendosi meschinamente inutile.
*****
Si accorse che qualcuno doveva essere entrato solo quando sentì il rumore
della porta che veniva chiusa; Ewan rialzò la testa, e Edgard era lì,
era tornato, ed il suo viso sembrava non rispecchiare emozioni.
La sua fronte era piana, la bocca non aveva alcuna piega che denunciasse
rabbia, o preoccupazione, anzi, gli abbozzò un tranquillo, tenue sorriso,
quando i loro sguardi si incrociarono.
Il più giovane si alzò, raggiungendolo, perché l'altro non aveva mosso
un passo, ma si era appoggiato con la schiena alla porta, senza parlare,
guardando fermamente in un punto indefinito davanti a sé.
"Edgard, è... andato tutto bene?"
Gli poggiò una mano sul petto, per richiamare la sua attenzione, o
semplicemente perché non poteva fare a meno di toccarlo, perché il
contatto era rincuorante, ed il cavaliere abbassò lo sguardo su di lui.
In quel momento, Ewan si accorse che gli occhi che gli erano sembrati
sereni erano invece offuscati, e lo guardavano con...tristezza...con
amarezza; se davvero gli occhi erano una finestra sull'anima, quella del
suo signore stava davvero soffrendo, in quel momento, anche se le emozioni
stavano venendo accuratamente represse.
*****
Il viso di Ewan era terribilmente angosciato, con lo sguardo spalancato
fisso nel suo. La domanda aveva il tono di un'implorazione...dell'implorazione
di una risposta positiva.
Poteva dargliela?
Non lo sapeva; in un certo senso si rendeva conto che il proprio era cuore
sollevato per l'essersi chiarito con il proprio padre...e d'altro canto si
sentiva circondato da un'atmosfera fittizia, come se ancora non riuscisse
a capacitarsi di quant'era accaduto. Si chinò sul suo protetto,
baciandolo a fior di labbra mentre gli accarezzava una guancia con il
dorso delle dita.
*****
Qualcosa, in quel gesto d'affetto, fece stringere il cuore di Ewan: un
senso di ineluttabile, come la precisa certezza che le loro vite stessero
per prendere una svolta brusca e definitiva...come se potesse annotare
quell'esatto momento come fine ed inizio del loro mondo personale.
"Tutto bene, sì...in un certo senso, considerato quello che
sarebbe potuto succedere."
La risposta di Edgard, anche se espressa con voce sommessa, sembrò
rimbalzare tra le pareti della camera, come eco, e in quel silenzio
assoluto le parole che vi aggiunse, necessarie a completare la
spiegazione, parole che in nessun caso sarebbe stato possibile tacere,
rimbombarono con ancora maggior potenza.
"Non sono più un nobile...né faccio più parte di questo
casato. Mio padre mi ha disconosciuto, e sono stato cacciato dal
castello."
Le frasi vennero assimilate dalla mente di Ewan, ma lui si rifiutò
di comprenderle, o di credervi.
Disconosciuto...ripudiato... bandito dalla propria famiglia, privato del
proprio nome.
Non era vero.
Non era giusto.
Il duca non poteva aver deciso una cosa del genere... era troppo.
Edgard stava solo scherzando.
Era così...
Voleva prendersi gioco di lui, voleva spaventarlo un po', per poi ridere e
dirgli che era stata una burla...
Ma a dispetto di quei pensieri sentì gli occhi pizzicare, la vista
appannarsi per una cruda consapevolezza: era lui, la rovina dell'uomo che
amava... la perdita di titolo, ricchezza, privilegi... tutto a causa sua.
Chinò il viso, l'unico modo che avesse per potersi nascondere, in quel
momento, detestandosi con tutta l'intensità di cui era capace.
"Mi dispiace...è colpa mia.è solo per colpa..."
Un singhiozzo strangolato concluse la frase; e poi grandi lacrime
cristalline, non più trattenute, uscirono incontrollabili dai suoi occhi,
scivolando sulle guance come perle sulla seta.
"Non hai nessuna colpa, Ewan, semplicemente perché essa non è
quella che tu credi. Ascoltami. Guardami. - Edgard gli prese il viso tra
le mani, sollevandolo con gentilezza perché i loro occhi si incontrassero
ancora - Se colpa c'è, essa appartiene solo alla crudeltà del mondo.
Forse anche a me, ma non a te. Mai, a te."
"Tu non capisci! Io...- doveva spiegare, doveva dirglielo... e
se poi l'avesse rimproverato, o anche percosso, gli sarebbe andato bene;
forse si sarebbe addirittura sentito meglio, perché sapeva di meritarlo -
questa notte mi sono svegliato, per la sete, ma qui non c'era più
acqua...così sono sceso, per riempire una brocca al pozzo...e...e tornato
qui ho evidentemente dimenticato di tirare il chiavistello. È per questo
che tuo padre ha potuto aprire la porta...per colpa mia! Mia!"
"Smetti di dire queste cose, non sono vere. È successo, e basta...ed
in ogni caso, se non per questo motivo, sono certo che prima o poi mio
padre ne avrebbe avuto abbastanza di me, e mi avrebbe cacciato
comunque."
"Ma se io non ci fossi stato, a-adesso..."
"Adesso sarei solo."
Vedere Ewan così afflitto e costernato gli procurava molto più sconforto
di quanto avrebbe mai potuto causargliene suo padre con tutte le parole,
il veleno, le minacce che potevano esserci al mondo; chissà perché
proprio il più innocente desiderava assumersi tutte le colpe...quando in
realtà lui si era 'quasi' impegnato a peggiorare la loro condizione. La
discussione con suo padre era sfociata in un litigio che interessava
almeno gli ultimi cinque anni, un rinfacciarsi colpe vere o presunte,
incomprensioni, screzi, divergenze d'opinioni. Invece di tentare di
placarlo si era lasciato trasportare, ben sapendo di non poter comunque
vincere...che stupido.
Certo chinare vilmente il capo non sarebbe servito a cambiare le cose,
mentre così gli restava la magra consolazione di aver mantenuto la dignità...
una qualità tanto decantata, ma ben poco utile nella pratica.
"Ewan, non piangere, ti prego... vedi... a me spiace solo che
non avrò più nulla da offrirti, d'ora in poi."
"Mi hai già offerto...anche troppo... visto lo sciocco che
sono."
"È vero, lo sei, ma non per il motivo che pensi: sei sciocco a
credere d'essere sciocco."
Lo attirò più strettamente a sé, e sentì che tremava come un
pulcino caduto dal nido; non sarebbe riuscito a tranquillizzarlo con le
parole, non sarebbero bastate poche ore per rasserenarlo; poteva solo
rimanere lì, abbracciandolo, tentando in quel modo di fargli capire
che sarebbe andato tutto bene, se solo avessero voluto.
"Ce ne dovremo andare domani all'alba... tentiamo di passare il
nostro ultimo giorno qui senza tristezze e rimpianti. Continueremo a stare
assieme, è questo che conta, e non importa se qui o da qualche altra
parte."
*****
Il suo cuore gli era così orribilmente stretto e dolorante perché una
delle sue più grandi paure di era avverata: aveva causato il male di
Edgard.
Non gli dispiaceva per se stesso: era figlio di braccianti, sin dalla
nascita la sua sorte avrebbe dovuto essere simile a quella dei suoi
genitori: vivere in una stamberga di fango, e vestire abiti poveri,
addormentarsi oppresso dalla fame, avere le mani rovinate e callose a
causa del lavoro pesante; lui tornava a quella che avrebbe dovuto essere
la sua vita, poteva esserne spaventato, però non aveva il diritto di
lamentarsi.
Ma Edgard...non aveva nulla a che spartire con quel mondo, non doveva
farne parte.
Come faceva a non essere furioso con lui?
Avrebbe dovuto picchiarlo, sgridarlo, allontanarlo, non
abbracciarlo...quell'abbraccio...avrebbe voluto che fosse ancora più
stretto, avrebbe voluto farsi assorbire da esso. Il pensiero di essere
amato era semplice, eppure straordinario... come il fatto che a qualcuno
possa importare così tanto di lui da perdonargli anche l'errore più
fatale.
*****
Lo tenne fra le braccia per lunghi minuti, senza dirgli nulla, se non
sussurrando qualche volta il suo nome, incoraggiante, come se stesse
provando a richiamarlo dalla tristezza.
Lo sentiva placarsi lentamente, forse più per rassegnazione che per
convinzione.
Non vide il suo volto, quando finalmente parlò, perché Ewan continuava a
tenerlo chino contro di lui, mostrandogli solo i sottili capelli
dorati.
"Dove andremo?"
Le parole gli uscirono stanche e rauche, ma almeno la voce non era più
rotta; se voleva dargli un po' di animo quello era il momento in cui
tentare.
"Ai margini all'estremo sud delle terre di mio padre c'è un
vecchio capanno di caccia; non viene più utilizzato da almeno una decina
d'anni...visto che sono stato esiliato dalla famiglia, dal castello, ma
non da tutto il feudo, credo che potremmo stare lì, almeno per il
momento. Ha due camere, due camini, e dovrebbero esserci alcuni vecchi
mobili, probabilmente malconci, ma meglio di niente; se non altro avremo
un tetto sopra la testa. Magari un tetto bisognoso di riparazioni, ma
comunque..."
"E come pensi che faremo a vivere, a- -"
"In un modo o nell'altro ce la caveremo. Per cominciare, ho del
denaro mio, e a circa un quarto d'ora di cammino dal capanno scorre un
fiume; se impareremo a pescare per lo meno avremo una fonte sicura di
cibo. In quanto al resto, ci penseremo quando sarà il momento."
"Ma non puoi più pescare o cacciare liberamente! Se ti
dovessero- -" Edgard lo zittì posandogli l'indice sulle labbra:
"Non ti preoccupare."
***********
Alla fin fine avrebbe potuto portare via ben poco, di quel che c'era di
suo, per una banale questione di trasporto: avrebbe potuto portare via il
suo cavallo, ma nemmeno un piccolo carro su cui sistemare i suoi oggetti;
il duca gli aveva ringhiato che doveva già ritenersi fortunato a non
essere stato cacciato su due piedi, senza dargli nemmeno il tempo di
prendere pugnale e mantello.
La generosità di quell'uomo era a dir poco commuovente, pensò Edgard
arricciando le labbra, mentre disponeva nei suoi bagagli vestiti e
coperte, e si concesse anche un paio di libri. Avrebbe portato l'arpa, e
certo anche la spada, ma le altre armi erano troppo ingombranti, così
come i trofei, simboli di vanità a cui si accorse di tenere in una
maniera che non si aspettava.
Ewan non voleva portare con sé i propri colori e strumenti, poiché,
diceva, sarebbe stato troppo triste, una volta finiti gli inchiostri,
avere ancora tutto sotto gli occhi e non poterlo usare, né aveva voluto
prendere alcuno dei rotoli che aveva già terminato, per il medesimo
motivo.
***********
Si misero in cammino ad un'ora antelucana, in un silenzio irreale; il sole
non era ancora sorto del tutto : il cielo cominciava appena ad
illuminarsi, l'erba era ancora bagnata e la giornata si preannunciava
fredda e umida: il tempo sembrava essere tornato indietro al grigio
novembre..
Edgard avrebbe preferito non accorgersi del proprio fratello, che li
osservava da una delle finestre, ma non disse né fece nulla: non voleva
che anche Ewan lo notasse; depresso e scoraggiato com'era non aveva certo
bisogno di avere come ultimo ricordo del castello l'espressione
crudelmente soddisfatta di Thomas.
Lui invece voleva averla ben fissa in mente, per essere sicuro di non
dimenticarla mai, nell'attesa del giorno in cui avrebbe di nuovo avuto
l'occasione di mettergli le mani addosso, e ripulire il mondo dalla sua
infausta presenza. Si voltò a guardarlo, e l'altro ricambiò la lunga
occhiata, alzando una coppa cesellata come per un brindisi, e poi bevendo
con gusto un lungo sorso.
[Strozzatici.]
Gli augurò mentalmente, tornando a guardare davanti a sé, deciso a
lasciarsi quel posto alle spalle il più in fretta possibile.
Il giovane non aveva nemmeno potuto salutare la propria madre, poiché il
duca glielo aveva proibito: aveva detto che la donna poteva dimenticare di
avere un figlio chiamato Edgard, e che quindi evitasse anche di nominarlo.
Sicuramente la duchessa aveva tentato di intercedere a suo beneficio, come
tante altre volte, e per tal motivo si era probabilmente dovuta scontrare
con le parole dure del marito, e ciò lo addolorava profondamente.
Con Adelius aveva invece potuto parlare, anche se in un primo momento non
era stato ben sicuro di come spiegargli la propria cacciata: voleva essere
sincero, ma teneva molto sia al suo rispetto che al suo affetto e non
avrebbe potuto sopportare di vedere sul suo viso un'espressione simile a
quella del proprio padre...sarebbe stato troppo triste, troppo doloroso.
Ma il vecchio lo aveva compreso, come sempre, e senza giudicarlo.
"Che non fosse un semplice affetto, mi era chiaro - gli aveva
detto - Traspariva nei vostri gesti e nelle parole, e si rese evidente
nella rabbia folle che vi portò quasi ad uccidere vostro fratello. Se
vostro padre non lo capì non può biasimare che se stesso...e se ancora
non comprende, purtroppo credo non lo farà mai, per quanto io desideri
sbagliarmi."
Ecco chi gli sarebbe più mancato: il suo maestro, i suoi consigli, le sue
parole che gli dicevano sempre la verità, anche quella che lui altrimenti
non avrebbe visto, o che si sarebbe rifiutato di notare.
Gli aveva augurato buona fortuna, dicendogli che si sarebbe recato da loro
appena possibile... e lo aveva abbracciato. Non lo aveva mai fatto prima,
in tanti anni, e nel rendersene conto provò malinconia; avrebbe voluto
aggiungere qualcos'altro a quel loro discorso, ma il medico gli parve
turbato come non l'aveva mia visto, quasi fosse sul punto di commuoversi.
Per tal motivo si congedò in fretta: sapeva che Adelius sarebbe stato
infastidito dal mostrare a qualcuno le proprie lacrime, esattamente come
lui: non era nella loro educazione e nemmeno nel loro carattere.
Attraversarono a cavallo le vie ancora deserte della città, e poi i
campi, borghi isolati, ancora e ancora, entrando nel bosco e seguendone il
sentiero, fino a sbucare nella brughiera, proseguendo senza mai fermarsi
per tutto il giorno, onde raggiungere il prima possibile quella che
sarebbe diventata la sua casa...sua e di Ewan.
*************
Ed infine eccola, raggiunta ormai all'imbrunire, esattamente come
se la ricordava: il basamento era di robusta pietra, ma per il resto i
muri erano di legno resistente: larice e sorbo montano, un riparo
era più che solido, e in generale, in condizioni abbastanza
soddisfacenti: gli scuri erano tutti ma riparare ma, contrariamente a
quanto aveva previsto, il tetto appariva in discreto stato, ad un primo
esame: la paglia era tutta al suo posto e non sembravano esserci buchi.
"Allora, entriamo?"
Disse, cingendo incoraggiante le spalle di Ewan con un braccio;
guardò il suo viso, ancora adombrato; chissà quanto doveva sembrargli
ostile quella casa, e ancor più piccola e meno accogliente di quanto
fosse in realtà, poiché la stava guardando con occhi pieni di dispiacere
e rimpianto; certamente niente gli sarebbe apparso bello, in quel momento,
nemmeno una reggia parata a festa.
Fece un passo in avanti, trascinando con sé il suo immobile compagno.
Ruppe il lucchetto con un colpo di spada, il metallo arrugginito cedette
subito, e spinse la porta, che si aprì con un lamentoso cigolio.
La parola più adatta a descrivere l'interno della casa era: polvere. Ce
n'era ovunque, spessa, sul pavimento di legno, sulle pareti, sui pochi
mobili, il suo odore riempiva l'aria, e poi ovunque c'erano ragnatele,
veli fragili e biancastri.
In quella prima stanza l'arredamento era costituito da un tavolaccio con
due panche, uno sgabello, e contro la parete una specie di alto armadio;
accanto al camino c'erano dei ciocchi di legna, ancora per la maggior
parte ordinatamente disposti, e dentro al focolare stava un grosso paiolo
annerito dal fuoco.
A separare quell'ambiente dall'altro c'era un muro divisorio di assi di
legno, con una tenda a sbrindellata a coprire il vano di passaggio. Edgard
avanzò, per vedere quante altre comodità fossero loro riservate; fece
qualche passo, e si voltò per controllare se Ewan lo stesse seguendo, ma
il ragazzo era immobile, ancora intento a osservare crucciato il polveroso
grigiore della loro nuova abitazione.
******
Dopo aver scostato quel sipario fu quasi grato che Ewan non fosse andato
con lui a controllare: tutto era così spoglio da essere desolante, e
un'abbondante quantità di fuliggine era caduta dal camino, sporcando
tutto intorno; c'era un solo grande giaciglio, ma il fieno del materasso
doveva essere marcito, a giudicare dall'odore, e probabilmente era anche
pieno di insetti. Senza dubbio bisognava farne subito un gran falò, poi
avrebbero cercato qualcos'altro su cui dormire. Alcuni lumi contenevano
ancora un po' d'olio, ma non sarebbe bastato a lungo...altra cosa a cui
provvedere appena possibile. C'era anche un baule punzonato, la cui chiave
girò a fatica nella serratura, e che rivelò al suo interno alcune grezze
coperte, un paio delle quali erano ormai buone solo per far stracci, cosa
di cui avevano comunque bisogno, per poter dare una ripulita a quel posto,
e vari mazzetti di salvia essiccata, messi a tener lontane le tarme, e
nient'altro.
Intanto anche Ewan aveva cominciato a darsi da fare: quando Edgard tornò
da lui lo trovò intento ad esaminare il contenuto dell'armadio della
prima camera, disponendolo sul tavolo: un paio di brocche, scodelle e
alcuni piatti e boccali, tutto in terracotta. Poi alcuni spiedi, un paio
di cucchiai di legno, un pentolino ammaccato, un cesto di vimini.
Edgard si avvicinò alla credenza, per completare l'inventario dei loro
nuovi beni; non era rimasto molto altro: un secchio e, sullo scaffale più
in basso, alcuni attrezzi: un martello, una roncola, un seghetto ed un
sacchetto di chiodi di varie misure.
"Bene! -esclamò, esaminando con più attenzione quegli oggetti
- Questi mi saranno utili per riparare le imposte... certo se avessi la
minima idea di come fare sarebbe meglio, ma suppongo che non si possa
pretendere tutto."
Si avvicinò ad Ewan, togliendogli dalle mani la scodella che stava
pensosamente rigirando
"A quanto sembra avremo un bel da fare, vero? Ma sono troppo
stanco per pulire ora...libero il letto da quella specie di pattume, lo
affumico, e poi propongo di andare a dormire. Mi aiuti?"
L'altro annuì, e Edgard gli fece un sorriso, tentando di strapparne uno
anche a lui.
"Bene; allora...non ci metteremo molto"
*****
La giornata era stata impegnativa sia dal punto di vista fisico che
da quello emotivo, e nonostante la loro situazione non fosse delle più
rosee, si trovarono ad avere una discreta fame; prima di coricarsi
consumarono un po' delle provviste che avevano portato con sé: divisero
focacce e frutta secca e qualche bicchiere di vino alla luce tremula di
alcuni moccoli di candele. Infine Edgard tentò di sistemare alla meglio
il letto: stese due delle vecchie coperte sulle spoglie assi di legno, ed
una la ripiegò più volte a formare una specie di cuscino di fortuna.
Esaminò il risultato con occhio disilluso, e anche senza provare a
sedervisi capì che non doveva essere molto comodo.
[Di più per il momento non posso fare.]
Pensò, e per concludere il lavoro distese sul giaciglio la coperta ampia
e lussuosa che faceva parte del suo bagaglio: aveva un che di assurdo in
quella stanza tanto desolata.
Assurdo e beffardo: sembrava rendere ancora più evidente quanto fosse
facile stravolgere e deviare i fili della vita.
*...non hai più niente e non sei più nessuno...*
[No, questo non è vero. Sbagli, padre.]
E mentre Ewan lo raggiungeva per coricarsi, fu ancora più convinto che,
con tutta la sua ricchezza e il suo potere, l'unico a non possedere
alcunché, tra loro, fosse proprio il duca.
*****
"Sei ancora triste?"
L'oscurità rimase silenziosa e immobile; il rumore del respiro del corpo
accanto fu l'unica risposta.
"Fa un po' freddo, lo so...domani vedrò di pulire i camini, così la
sera potremo accendere il fuoco, e staremo molto meglio. Sembrerà tutta
un'altra cosa, vedrai."
"Se fossi stato più accorto non saremmo in questa
situazione...né saremmo costretti a rannicchiarci in questa maniera sul
nudo legno."
Edgard sospirò; che altro doveva dire, o fare, per porre fine a
quegli inutili ed immotivati sensi di colpa?
"Ewan, mio caro testardo, che pensi preferisca ci sia, nel mio
letto? Un materasso di piume, oppure te?"
Avvicinò il viso al suo, per potergli parlare all'orecchio, perché a
volte i sussurri arrivano più in fretta al cuore che non le parole
pronunciate ad alta voce.
"Puoi continuare ad angustiarti, a rimuginare, a ipotizzare 'cosa
sarebbe successo se'...ma non servirà; se è invece possibile trovare
qualcosa di buono in questa situazione abbiamo l'obbligo farlo. Se
dovessimo restare qui la vita intera, vorresti forse passarla tutta in un
assurdo rimorso?"
"Tu...sembra sempre che nulla ti spaventi e nessuno ti metta in
soggezione. Non hai remore nemmeno quando sarebbe saggio averne."
"Questo perché sono uno scriteriato. È risaputo."
Rispose Edgard con tono leggero, e si sentì sollevato nell'udire la breve
e sottile risata di Ewan; forse una risata ancora poco convinta, ma
finalmente un cenno positivo Quando il riso si spense, però, di nuovo
nella voce del ragazzo sfiduciato c'era il segno delle lacrime, anche se
diverse da quelle piante fino a quel momento. Queste erano piene di rabbia
e d'astio, e bruciavano come non mai, mentre scendevano, con tutto il
fuoco della loro inutilità.
Erano sentimenti a cui non era avvezzo, sensazioni e pensieri che dentro
di lui non avevano mai avuto posto, che ora lo stavano lacerando, e
lui non sapeva come difendersi, ignorarli, cacciarli.
Forse nemmeno voleva...forse per una volta desiderava che tutto fosse
buio, dentro e fuori se stesso.
"Odio tuo padre! Lo odio per quello che ti ha fatto, e perché
ha sempre tentato di cambiarti! Egoista! Lo odio perché non ti ha mai
capito, e nemmeno ci ha provato!" Mentre si sfogava le sue mani si
stringevano a Edgard, aggrappandosi alla sua schiena, senza accorgersi di
stare conficcandogli le unghie nella carne, segnandola con graffi
profondi.
"È difficile capire uno come me."
La pacatezza nella sua constatazione contrastò con il livore di Ewan; non
gli disse nient'altro e lo lasciò libero di sfogarsi: forse così si
sarebbe sentito meglio, o almeno si sarebbe stancato abbastanza da
addormentarsi, lasciando alla notte e al riposo il compito di quietare il
suo cuore.
*******
Quando il mattino dopo aprì gli occhi fu costretto a chiuderli
immediatamente, a causa della luce che lo investì; le finestre erano
state spalancate e, vista l'aria frizzante, Ewan aveva provveduto a
coprirlo sistemando la coperta in modo che formasse un doppio strato.
Si tirò a sedere ed un guizzo di dolore gli attraversò il collo e la
schiena: una notte senza un materasso dove poggiare le ossa non era certo
il massimo per rinfrancarsi, ma supponeva di non potersi lamentare più di
tanto, proprio lui che non aveva fatto che sbandierare i lati positivi
della situazione.
In ogni caso quel giorno stesso avrebbe cercato di procurarsi del fieno
per preparare un giaciglio un po' più comodo e caldo.
Già si vedeva, l'ex-erede di uno dei casati più antichi e nobili di
Britannia costretto a rubare nei fienili per potersi procurare un letto
degno di tal nome...non sapeva se ridere o deprimersi.
Mah, rubare... a dir la verità ancora non era costretto a tanto: aveva un
po' di denaro, suo padre aveva pur potuto diseredarlo, ma non togliergli
tutto ciò che aveva vinto con tornei e scommesse; immaginò che si
sarebbe trovato più a proprio agio comprando ciò che gli serviva,
e certamente qualsiasi contadino sarebbe stato contento di intascare
qualche moneta.
Nello stretto necessario da procurarsi con urgenza faceva ricadere anche
altro olio per i lumi, e leggere tele traforate da fissare ai telai delle
finestre... e riguardo al cibo, farina, castagne, miele, e formaggio, più
economico della carne.
A tal proposito... quanto gli sarebbe bastato il denaro che aveva
portato con sé?
Abituato all'abbondanza di carni speziate, a possedere abiti e oggetti
sontuosi, non poteva certo dire di conoscere il vero valore dei soldi;
mettendo di imparare a vivere come un uomo quasi povero, gli sarebbero
bastati anche alcuni mesi, ma poi? Avrebbe dovuto trovarsi un lavoro o si
sarebbe dato al brigantaggio?
...come aveva detto appena due giorni prima, se ne sarebbe preoccupato al
momento opportuno.
Massaggiandosi il collo indolenzito si alzò e uscì a respirare a pieni
polmoni l'aria mattutina.
*****
Trovò Ewan inginocchiato, intento a liberare dall'erba alta il passaggio
davanti la piccola casa, usando la roncola come un falcetto. Ne aveva già
ammonticchiata un bel po', chissà da quanto stava andando avanti.
"Buongiorno."
Al suono della sua voce il ragazzo si volse, e gli sorrise.
Un sorriso autentico.
Finalmente.
Si alzò in piedi spolverandosi le ginocchia, e sollevò il viso per
accogliere il bacio mattutino di Edgard.
"Guarda - disse poi, indicando un folto cespuglio che cresceva
quasi a ridosso del muro - malva! Ieri non l'avevamo notata...beh, era
anche circondata di erbacce, ed era quasi buio... Quando stamattina l'ho
vista ho pensato che sarebbe stato carino farti trovare un decotto, per
quando ti saresti svegliato, sai, una specie di colazione. Sono andato
fino al fiume e ho preso una brocca d'acqua...e mi sono ricordato che non
possiamo ancora accendere il fuoco solo quando sono arrivato qui. Che
svanito, vero?"
A Edgard non importava della malva, né della colazione; c'era una sola
cosa che era felice di vedere:
"Oggi mi sembri molto più sereno."
Gli disse, e il biondino scosse le spalle, mentre con una mano si tirava
indietro i capelli; aveva l'aria spensierata di un ragazzino,
infinitamente lontana dagli occhi afflitti degli ultimi due giorni.
"Non lo sembro, lo *sono*. Sai...stamattina ho aperto gli occhi
e non riuscivo a capire come mi sentissi; mi sembrava di trovarmi in una
specie di sogno. M'è venuto da pensare: è solo per un po', poi tutto
tornerà alla normalità, devo aver pazienza, aspettare e fare finta di
nulla, finché non finirà. Ma subito dopo mi sono reso conto che mi stavo
raccontando bugie: tutto questo non sarà per qualche mese soltanto...
verosimilmente questo tempo potrebbe essere per sempre. Potrebbe diventare
la mia intera vita... ed allora voglio impegnarmi perché sia la migliore
possibile, e perché sia felice, come hai detto tu. Non voglio farmi
piegare dalla cattiveria e l'intolleranza altrui... senza contare che
altrimenti ti stancheresti di vivere con un musone imbronciato e
lacrimevole, e mi lasceresti."#####
Matthias rientrò improvvisamente in sé, in maniera così inaspettata
che, trovandosi sul divano di casa sua, con il giornale abbandonato in
grembo, per qualche secondo non riuscì a capire dove si trovasse, e come
ci fosse finito. Poi la nuova coscienza ebbe il sopravvento su
quella vecchia, e mai come in quel momento il suo salotto gli sembrò
confortevole ed accogliente; si lasciò cadere su un fianco, sospirando
soddisfatto e strofinando la guancia contro i morbidi cuscini. Aveva la
strana impressione di aver appena compiuto un giro di boa, un punto
saliente nei propri ricordi, come se ormai non mancasse molto alla
fine...forse alcuni mesi, certo meno di un anno. La mente tornò alle
parole dette da Keith la scorsa estate, nel loro letto d'albergo a St.
Ives, quando sull'orlo del tracollo emotivo si era accusato di non essere
stato in grado di salvarlo. Forse credeva che se fossero stati al castello
avrebbe avuto la possibilità di farlo curare, e più probabilità di
sottrarlo alla morte...forse aveva provato a portalo lì, e non aveva
fatto in tempo, e di ciò si incolpava.
Doveva dirglielo...dirgli che poteva smettere di addossarsi una colpa del
genere; Keith avrebbe dovuto sapere anche meglio di lui che in quei
tempi remoti non esisteva alcuna cura per la peste, e chi era tanto
fortunato da guarire vi riusciva con le sole proprie forze.
Di nuovo, come ogni volta che riusciva a riappropriarsi di un ricordo,
desiderava la vicinanza del suo compagno, e poter parlare, raccontargli,
fargli le domande che gli venivano finalmente concesse, fino a che non
raggiungeva il limite oltre il quale all'altro non era dato di rispondere.
Erano le dieci di sera, ma Keith era ancora al lavoro: Matthias,
rincasato, aveva trovato un suo messaggio in segreteria che lo avvisava
che avrebbe fatto molto tardi, e che sperava di rientrare entro l'ora di
colazione, per salutarlo prima che andasse in libreria.
Aveva pensato che scherzasse, ma ora gli stava sorgendo il dubbio che
avesse parlato sul serio, ripensando al suo strano modo di gestire orari,
i giorni lavorativi e di vacanza; una volta gli aveva spiegato che lui
operava per progetti, e che quello era il perché di tanta elasticità...sicuramente
doveva essere un metodo comodo, se si era dotati di una buona capacità di
organizzazione: non aveva dubbi sul fatto che lui, invece, si sarebbe
trovato nella confusione più totale nel giro di breve tempo.
Aveva voglia di vederlo subito, almeno una mezz'ora; chissà se gli
sarebbe seccato se fosse andato a trovarlo; dopotutto Keith era già stato
diverse volte da lui in negozio, talvolta fermandosi per ore...
Deciso: alzò la cornetta del telefono e chiamò un taxi.
*****
Secondo le indicazioni del portiere, il piano dove si trovava l'ufficio di
Keith doveva essere quello, il quindicesimo; l'uomo non era sembrato
nemmeno stupito che qualcuno chiedesse informazioni così al di fuori
dell'orario 'canonico' d'ufficio; solo, visto che Matt aveva cercato una
persona in particolare, si era premurato di citofonare al diretto
interessato, chiedendo il permesso di farlo salire.
Matthias non sapeva bene cosa aspettarsi: l'altro non parlava molto del
proprio lavoro, nemmeno quelle domeniche pomeriggio in cui si attaccava a
computer, tabulati e diagrammi.
Distratto dai propri pensieri, varcando la soglia quasi si scontrò con un
tizio atletico e dai capelli rasati che stava uscendo in quel momento,
camminando con un passo spedito quasi militaresco, e, mentre era voltato a
osservare perplessamente lo sconosciuto, finì dritto addosso a Keith che
era andato ad accoglierlo.
"So di essere irresistibile, ma potresti almeno salutarmi,
prima di saltarmi in braccio!"
Keith sorrideva compiaciuto, guardandolo da dietro le lenti sottili degli
occhiali da riposo; quando li indossava, secondo Matt, aveva un po' l'aria
dello scrittore, o dello psicologo. Una volta gli aveva raccontato quella
sua idea, ma l'altro era rabbrividito, e lo aveva pregato di non
accostarlo mai più ad uno strizzacervelli.
"A...scusa! Ti sono praticamente salito sui piedi!"
"Uhm, tanto sei leggero. Come mai da queste parti? Hai bisogno
di me?"
"In un certo senso non è che sia urgente, però se non fossi
venuto qui ora forse non saremmo riusciti a incrociarci prima di domani
pomeriggio, e volevo parlarti di persona."
"È successo qualcosa?"
La voce preoccupata fece comprendere a Matt di avere probabilmente dato
un'impressione sbagliata.
"No! No... desideravo vederti e basta, raccontarti una cosa...
quindi, se hai un po' di tempo..."
A Keith fu improvvisamente chiaro il motivo di quella visita inattesa.
"Vieni, ti conduco nel mio antro."
*********
L'ufficio personale di Keith era piuttosto ampio, aveva un'intera
parete in vetrocemento, una lunga scrivania con prolunghe semicircolari,
affollata di computer, tastiere, scanner ed apparecchi di cui lui ignorava
sia il nome che l'uso. Schedari e armadi erano tirati a lucido, e i muri
erano decorati con stampe astratte e con... un bersaglio per le freccette?
C'era poi un parte della stanza che sembrava voler essere un pezzo di
casa: un lungo divano dalla linea moderna, color blu cupo, un tavolino di
cristallo con un puzzle da duemila pezzi fatto a metà (raffigurava un
antico planisfero), un piccolo frigobar e una macchina da caffè sopra un
mobiletto dalle ante scorrevoli.
"Ma tu vieni qui a guadagnarti da vivere oppure a
giocare?"
"Se ti interessa, al piano di sotto ci sono il ristorante
interno e la sala giochi, e al ventesimo la palestra e la sauna. Io ho
proposto anche la fumeria d'oppio, ma fino ad ora non c'è stato niente da
fare."
Fece sedere Matthias sul divano, e si mise di fronte a lui su una
poltroncina per gli ospiti.
"Non voglio nemmeno immaginare come saresti, sotto l'effetto
dell'oppio. - sospirò il ragazzo, appoggiandosi allo schienale - Quindi
quando mi hai lasciato il messaggio avevi in mente di fermarti qui a fare
spinning e saune?"
"Ho un progetto da finire: la scadenza per la consegna sarebbe
tra una settimana, ma ormai ho quasi terminato e ho pensato di fermarmi
fino a tardi, come facevo una volta. Lavoro qui da prima di laurearmi, e
non ho mai avuto orari precisi. M'è capitato spesso di dormire in
ufficio, magari anche di rimanerci tre giorni di fila, ordinando da
mangiare ad una gastronomia qua vicino...figurati che tenevo qui anche
accappatoio e ricambi!"
"Angosciante!"
"A me non dispiaceva, anzi...certamente mi divertivo di più
qua a casa mia. Non è molto che ho smesso di trascorrerci intere
nottate: è solo da quando sto con te che ho cominciato a dare una
regolata ai miei orari, e ad uscire alle cinque del pomeriggio come un
bravo impiegato qualsiasi."
"Vorrei ben vedere! - esclamò piccato Matthias - Non gradirei
per niente una tua prolungata sparizione perché preferisci amoreggiare
con un computer piuttosto che con me."
"Ma che espressione minacciosa! - Keith gli arruffò i capelli,
tentando di ingarbugliarglieli quanto più gli era possibile. Poi fermò
la propria mano, pur continuando a tenerla sul suo capo - Dovevi dirmi
qualcosa, no? Parla, ti ascolto; intanto preparo del thè e qualcosa da
sgranocchiare: non ho ancora mangiato, oggi."
*****
Il racconto di Matthias durò per tre quarti d'ora, nei quali non si limitò
a narrare i fatti che aveva ricordato: si sfogò ancora, ma se senza farsi
completamente prendere dall'emotività. Parlò a ruota libera,
interrompendosi di tanto in tanto a sorseggiare la bevanda, e tornò a
dichiarare la propria rabbia, le proprie speranze, rinvangando tanti altri
momenti, ribadendo la propria repulsione per il duca che li aveva
scacciati.
Keith lo ascoltò senza interromperlo: lui da molto tempo aveva perdonato
il proprio antico padre, già dalla sua passata esistenza, e i pensieri
astiosi non lo avevano più sfiorato.
Però il suo compagno aveva tutto il diritto di odiare ancora quell'uomo,
di dargli ogni colpa, se ne sentiva il bisogno, se serviva ad
alleggerirgli il cuore.
"Tu credi che potrebbe... che potrebbe accadere di nuovo?"
In quel lungo, appassionato monologo, fu la prima domanda diretta che gli
rivolse, e quasi lo prese alla sprovvista.
"Uhm? Cosa?"
Interrogò Keith porgendogli la scatola di pastesfoglie, che stranamente
Matthias rifiutò: ai suoi occhi si mostrava per la prima volta l'idea che
la loro relazione potesse creare loro dei problemi, discriminazioni. Non
tanto a lui, che il signor Maxwell ogni tanto delirava sul fatto di
lasciargli la libreria, quando sarebbe andato in pensione, di là a
qualche anno...quanto a Keith, che sembrava avere una buona ed appagante
carriera davanti.
Non voleva correre il rischio di danneggiarlo, nemmeno per sbaglio.
"Potremmo subire un'altra ingiustizia simile? ...magari perdere
questo lavoro che ti piace, a causa di noi due..."
"Forse potrebbe, il mondo non è certo un bel posto. Ma almeno
finché starò qui, e visto che mi ci trovo a meraviglia non ho intenzione
di andarmene, non accadrà nulla del genere."
"Sei davvero sicuro?"
"Ormai lavoro qui da sei anni, conosco bene sia me che i miei
gusti!"
"Eh?... Oh! Capito."
Matthias arrossì d'imbarazzo nel rendersi conto che allora i colleghi che
lo avevano visto dovevano aver capito che lui era il ragazzo di Keith...
magari aveva anche fatto la figura del tipo geloso che va a controllare di
persona se il partner è veramente a lavorare, o chissà dove.
L'essere malizioso rispondente all'appellativo di Willberg non riusciva
proprio a resistere ai rossori di Matthias: gli provocavano
l'irrefrenabile desiderio di stuzzicarlo..almeno in una situazione come
quella;
in altre gli davano istinti ben diversi, e poco adatti ad essere sfogati
sul divano del suo ufficio.
"Pensa che proprio qui ho avuto un corteggiatore molto
insistente. Ci sono voluti più di sei mesi perché si arrendesse e si
mettesse l'anima in pace."
L'informazione, buttata lì con naturalezza, ebbe l'effetto desiderato:
Matthias aggrotto le sopracciglia e lo fissò intensamente, evidentemente
infastidito dal pensiero che qualcuno avesse tentato di usurpare una sua
proprietà.
"Davvero? E chi sarebbe?"
"Il tale che se ne stava andando quando sei arrivato tu."
"Che cosa?! Quella specie di Yul Brynner?"
"Beh... a me Brynner piace; mi è sempre sembrato molto
affascinante. Aveva un che di esotico, ed era davvero..."
"Ahhh! Non voglio sentirti mentre tessi le lodi di altri
uomini!"
Si coprì le orecchie con le mani, ma udì ugualmente l'altro che diceva
sornione:
"Quanto mi diverto a prenderti in giro!"
Matthias tentò di sferrargli un calciò, ma lui spinse indietro la
poltroncina a rotelle, mettendosi al di fuori della sua portata.
"Matt, ma è stato prima che noi ci incontrassimo! Non
guardarmi così male!"
*****
Keith sembrava genuinamente sereno e felice, avrebbe voluto vederlo sempre
così, lontano da quei momenti di malinconia che lo rendevano silenzioso
ed distante. Se almeno avesse voluto condividere i pensieri che lo
angosciavano avrebbe potuto fare qualcosa di concreto per sollevarlo:
invece sembrava vergognarsi di ammettere di avere paure o debolezze.
Considerò concluso il momento di gioco e tornò serio, appoggiandosi con
i gomiti sulle ginocchia.
"Hai ancora molto da fare?"
"Ormai ho quasi finito, ma credo comunque di averne per tutta
la notte..."
"In questo caso forse sarebbe meglio se me ne tornassi a casa,
invece di continuare a farti perdere tempo. Chiamo un taxi e vado...
sperando che domani sia una giornata più tranquilla."
"Se ti va puoi dormire qui. Io l'ho fatto un sacco di volte, te
l'ho detto; mi ero apposta scelto un divano molto comodo, ci starai
benissimo. Quando avrò finito ti sveglierò, okay?"
Matt guardò dubbiosamente il sofà, che aveva indubbiamente un'aria
invitante, con quei cuscini spessi e soffici.
"Sicuro che non ti disturbo, se resto?"
"Basta che non russi come tuo solito."
"Io non russo, perfido!"
Esclamò risentito Matthias, lanciandogli un cuscino e colpendolo in
pieno.
****
Chiuse i programmi, spense i processori e guardò l'orologio: si erano
fatte le quattro del mattino, ed era riuscito a finire un paio d'ore prima
del previsto e non avrebbe potuto essere più soddisfatto. Ora poteva
anche prendersi un paio di giorni di pausa e stare un po' tranquillo,
prima di passare al prossimo incarico; aveva una gran voglia di recuperare
tutto il sonno perso nelle ultime due settimane e smaltire l'overdose di
caffeina che aveva ingurgitato.
Pregustava già il suo bel letto, le lenzuola pulite e fresche, la
trapunta leggera e morbida, il buio silenzioso della camera... il perfetto
regno di Morfeo.
Si avvicinò al divano e si chinò, apprestandosi a svegliare Matthias, ma
ad un tratto cambiò idea. Ritrasse la mano e si sedette accanto a lui,
osservandolo nella luce smorzata della lampada.
I ricordi proseguivano, era inevitabile, e lui era felice vedere come quel
suo ragazzo dall'aria ancora un po' adolescenziale riuscisse a non farsi
dominare troppo da essi: i suoi timori di vederlo seriamente traumatizzato
o immalinconito da reminiscenze dolorose si erano dimostrati eccessivi,
forse addirittura immotivati. Anche il ricordo dello stupro era stato
superato e vinto in fretta, senza strascichi.
Ewan era diventato più forte, o forse aveva solo smesso di ostinarsi a
volere addossarsi sbagli che non aveva commesso...
Ewan era diventato Matthias, ed era così simile e così diverso da
sorprenderlo ogni giorno, per questo lo ammirava ed era orgoglioso di lui,
molto più di quanto lo fosse di se stesso.
Gli parlò come avrebbe desiderato fare qualche ora prima, senza però
riuscire a decidersi.
"In realtà avevo paura anche io, sai?...di lasciare tutto, di
stravolgere la mia vita, di non essere in grado di rinunciare a tutto ciò
a cui ero abituato, di non riuscire a farcela in un mondo così
estraneo. E anche di non potere più renderti felice. - gli accarezzò la
testa, i capelli che profumavano sottilmente di Baby Shampoo -
Tutto il coraggio e la disinvoltura che dimostrai erano solo il tentativo
di aiutare te, di farti sentire meglio. Perché... se tu avessi avuto
fiducia in me, io stesso mi sarei sentito più sicuro; sei stato tu a dare
forza a me, anche se probabilmente sei convinto del contrario, e prima o
poi te lo confesserò. Quel nuovo inizio... quella vita così
completamente diversa e imprevista, dopotutto si rivelò buona, vero?
Difficile, ma buona: Anche se ciò che ho adesso è molto meglio, certe
volte mi pare di morire di nostalgia, e se non avessi te non so... non so
proprio come farei."
Gli posò una mano sul petto, scuotendolo con gentilezza.
"Svegliati, Matt. Torniamo a casa."
______________________ CONTINUA _______________________
That's all...questa volta non ci sono spiegazioni particolari (ehi!!! Cosa
sono quelle facce felici???)
Se proprio volessi fare due chiacchiere di fine capitolo, potrei citare la
moglie del mio ex prof di diritto ed economia, che delle volte faceva
veramente le improvvisate a scuola per controllare che suo marito fosse
veramente ad insegnare...c'è da dire che in quel caso la povera donna era
un po' esaurita ^^;;;..c'è anche da dire che il suo marituzzo faceva
battute terribili 'alla Keith', solo più cattive!
Ah, messaggio speciale per 'qualcuno'..... che capirà di sicuro che mi
sto a lei rivolgendo ^^;;;;......come ormai avrai intuito, le due pagine
di anteprima che ti ho mandato erano un falso spudorato!
^________________^
L'ho fatto per tre motivi:
1: perchè mi divertiva da matti l'idea di farti preoccupare per
Matt pucci
2: perchè King of Bastard mi ha chiesto di farti uno scherzetto
3: per far gioire un po' Knives
Prima di lanciarmi contro un'anatema e smettere di duplicarmi cd vari
pensa al lato positivo: ho scritto due pagine speciali tutte e solo per
te! Non ti commuove tutto ciò?
^______^
Baci anche da Ingel!
Grazie per la lettura e la pazienza,
Kisu
Unmei
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