NOTE: le parti racchiuse tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel passato. 
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci, dei protagonisti.
Mi spiace per voi, ma questo capitolo è riuscito un cicinino più lungo della media....perdono!!! E per di più ho come l'impressione che coli ancora più sappyness deglialtri...ri-perdono!!! Questo accade quando si scrive smangiucchiando cioccolata alla fragola (era buona!) e dando retta a due pg troppo innamorati...last but not least darei la colpa anche a Nicolino Caverna (meglio noto come Nick Cave ^^) che mi ha fatto da colonna sonora, perchè quel brutto tipaccio con la sua vociaccia mi fa sempre commuovere, sigh!



In un paese d'estate

di Unmei

parte XV


L'acqua della doccia scendeva gelida, tanto da mozzargli il fiato.
Estingueva dalla sua mente ciò che rimaneva del sonno, assottigliava la nebbia e lo costringeva a svegliarsi del tutto.
Strapparsi alle coperte era stata un'esperienza devastante...il corpo sembrava far fatica a muoversi, rispondeva pesantemente e lentamente ai suoi ordini, come se stesse camminando immerso in una melma densa e appiccicosa...
Proprio vero che il sonno della ragione genera mostri...citazione fatta a sproposito, d'accordo, ma ironicamente poteva anche starci bene.
Cazzo...come poteva sentirsi un tale straccio? Eppure non aveva bevuto, non più di quanto fosse abituato a fare, solo un paio di whisky...anzi, era bourbon, si corresse; robaccia americana, non c'era da aspettarsi altro che starne male, in fondo.
E in quel momento stava semplicemente così, con gli occhi chiusi, immobile sotto l'acqua che gli scivolava addosso e gli inzuppava i capelli.
Dormire poco, pazienza...
Dormire poco e male era una gran seccatura.
Dormire poco, male e svegliarsi già con il mal di testa gli faceva desiderare di trovarsi sotto due metri di terra.
Keith ruotò il miscelatore, rendendo per alcuni istanti il getto bollente, e una nube di vapore riempì velocemente la cabina mentre la sua pelle iniziava, per reazione, a pizzicare.
Di nuovo fredda
E ancora bollente.
E fredda un'altra volta.
Avvolgersi infine in un grande e soffice asciugamano profumato fu quasi una consolazione.

Se ne fosse rimasto a casa, la sera prima, invece di vagabondare intere ore per la città, probabilmente si sarebbe risparmiato l'emicrania; sarebbe forse bastato andare a dormire, o almeno riposare: chiudere gli occhi, ignorare tutto. Ma non ci era riuscito, non quella volta, mentre le parole stampate sul libro somigliavano solo a nere file di formiche, prive di senso, e le pareti si chiudevano attorno a lui, soffocandolo, e il tempo passava greve. Provava così tanta pesantezza, ed affanno..alzarsi e percorrere l'appartamento, avanti e indietro, perché le gambe ferme non volevano stare, e poi accendere lo stereo e riempire il vuoto di musica, solo per riportare il silenzio dopo appena un minuto, accorgendosi che i suoni lo urtavano esattamente quanto la loro mancanza.  Non poteva continuare a stare al chiuso, o avrebbe urlato, e cambiatosi in fretta d'abito aveva preso la porta, pochi soldi nel portafoglio e le mani affondate in tasca.
Aveva camminato veloce, a testa china, con i capelli che frapponevano un difensivo sipario tra il suo viso e gli sguardi di chi gli passava accanto; non aveva imposto una direzione ai proprio passi, aveva lasciato che fossero loro a portarlo; era entrato in un locale, uno di quelli dove gli alcolici li servono tranquillamente anche dopo la mezzanotte, e si era seduto da solo, ordinando da bere, e poi di nuovo fuori, e la notte cominciava a essere troppo fredda per il suo soprabito di pelle, ma lui aveva continuato a vagabondare, con le spalle irrigidite, senza rendersi conto delle ore che si susseguivano e di quanto si stesse facendo tardi...almeno fino a quando, già giunto sotto casa, non aveva dato uno sguardo casuale all'orologio. 
Appena aperta la porta si era accorto che  Matthias era già rincasato, e per qualche secondo, disorientato, era rimasto a guardare il suo giubbotto appeso in entrata; era convinto che quasi sicuramente sarebbe rimasto a dormire con il suo gruppo di amici, o almeno così gli aveva detto. 
Si domandò a che ora fosse tornato, e che avesse pensato non trovandolo...e anche a che spiegazione avrebbe dovuto dargli il giorno successivo.
Era entrato nella camera silenziosamente, cauto, sentendosi spregevole come un ladro, infilandosi nel letto e stringendosi al suo compagno...era certo che, se lui fosse stato in casa, non si sarebbe sentito così male, così solo...
Perché solo, in certi momenti, continuava a sentirsi, disperatamente e inevitabilmente...
E poi, così stanco e fuori fase da faticare persino ad addormentarsi, e passare quel che restava della notte, o meglio, delle prime ore del mattino, in un confuso dormiveglia.
Unico lato positivo di tutta la faccenda: era domenica e avrebbe avuto tutta la giornata per rimettersi in sesto; probabilmente un paio di aspirine e del caffè forte lo avrebbero riconciliato con il mondo dei vivi.
Quel giorno per niente al mondo avrebbe messo un piede fuori di casa, si promise vestendosi, un largo maglione a V, leggero e morbido, celeste, e pantaloni comodi,  appena un tocco di colonia, irrinunciabile e sacrosanto. 
[Sarà mica vero che sono vanitoso?]
Si domandò, specchiandosi un'ultima volta.
... Beh, forse un pochino sì, ma non c'era niente di male, giusto?


***

Arrivò silenziosamente in salotto, fermandosi a osservare Matthias seduto sul divano, tutto preso da un film in televisione, così carino, con i boccoli in disordine e addosso la stessa tuta grigio mélange che gli aveva prestato lui il giorno in cui si erano incontrati, le mani nascoste dalle maniche troppo lunghe.
L'indumento era ormai entrato a pieno titolo nel guardaroba di Matt, anche se non lo indossava mai  fuori di casa: gli dava l'aria di un ragazzino che avesse frugato nell'armadio del fratello maggiore.
Era così assorto che arrivare silenziosamente a lui sarebbe stato fin troppo facile; piano piano, con passi lenti, fin dietro lo schienale...si fermò per un attimo, chinandosi un po' in avanti...ancora solo un secondo e...gli calò di colpo le mani sulle spalle.
"Buongiorno!"
Lo salutò, mentre Matt sobbalzava, con un mezzo strillo. Il ragazzo più giovane si voltò verso di lui, con una mano sul petto.
"Sei tu!"
"E chi speravi che fosse?"
Chiese Keith sorridendo, appoggiandosi con le braccia allo schienale.
"Fossi stato malato di cuore ci sarei rimasto secco, sai?"
Lo guardò con rimprovero, voltandosi completamente e sistemandosi in ginocchio
"Però non lo sei, giusto?"
"Se lo fai un'altra volta, probabilmente lo divento."
Stava per replicare ma non poté farlo, perché Matthias gli aveva circondato il collo con le braccia e lo stava baciando, trascinandolo giù, verso di sé, e costringendolo a scavalcare lo schienale. Beh, quello era sicuramente meglio di un intero tubetto di aspirine; lo stringeva, e il bacio era un vero assalto, la bocca di Matt si muoveva golosa sulla sua, avventurando la lingua in profondità, e intanto il ragazzo lo aveva spinto giù, finendo con lo sdraiarsi sopra di lui, senza mai lasciarlo andare...faticosamente Keith liberò una gamba, che gli era rimasta piegata in una posizione scomoda, e la lasciò ricadere pigramente dal divano. Un attimo dopo il suo audace angioletto aveva lasciato le sue labbra, ed era occupato ad infilarsi sotto la sua maglia; non solo le mani: ci stava intrufolando dentro con tutta la testa, seminando baci e piccoli, delicati morsi mentre risaliva verso di lui.
Lui gli accarezzò il capo attraverso la stoffa, chiamandolo teneramente per nome, e anche 'piccola talpa', vista quella buffa maniera di andare fino a lui.
A Ewan piaceva fare l'amore di mattina, appena svegli, con il corpo ancora molle di sonno e le lenzuola piene del loro calore...ed anche Matthias, in altre occasioni, aveva dimostrato di apprezzare molto la cosa; ciò che stava facendo in quel momento però era leggermente diverso, un po' più...aggressivo, ma comunque apprezzatissimo.
Infine, con un po' di fatica, il ragazzo riuscì a sbucare con la testa dalla sua scollatura, ridente, tutto rosso e spettinato più che mai, e lo baciò un'altra volta, ma con più calma, lentamente; un bacio interminabile e tenero, mentre la mani sul petto continuavano la loro carezza.

"Buongiorno anche a te!"
Gli disse infine Matt, ricordandosi di non avere ancora ricambiato il saluto mattutino.
"Spero di essere l'unico a cui lo auguri così."
"Sapessi ieri che buonanotte ti sei perso!"

L'espressione di Matthias era raggiante, carica delle memorie riaffiorate, di una felicità che gli traboccava direttamente dal cuore; ogni ricordo che gli si presentava lo faceva sentire ancora più legato a Keith, e quell'ultimo in particolare lo aveva completamente rapito. 
E come avrebbe potuto essere diversamente?
Udiva ancora le parole di Edgard, il crepitio del fuoco...sentiva le sue carezze, e il profumo di calendula.  Riassaporava il gusto di quel primo bacio che sapeva di vino e cannella...
La gentilezza, le paure dissipate, il cuore più leggero, la passione, i sorrisi, le lacrime, la speranza...
Si domandava come avrebbe reagito quando gli avrebbe raccontato tutto, ciò che avrebbe detto e fatto...beh, sul fare lui aveva una mezza idea da proporre: gli sarebbe piaciuto ripetere tutto ciò che era successo quella lontana notte medioevale, parola per parola, gesto per gesto.
Un po' come giocare...il gioco più bello e sensuale del mondo.
Il suo compagno lo scrutava con un mezzo sorriso perplesso e lo sguardo interrogativo, intuendo che nell'entusiasmo di Matt c'era un che di diverso dal solito, senza però riuscire ad indovinare cosa; ma non importava, a lui bastava che fosse felice, qualunque fosse il motivo.
"Se adeguata alla dimostrazione di poco fa, indubbiamente una buonanotte che mi avrebbe fatto dormire poco."
"Perspicace!" - gli morsicò dolcemente il mento - "Se tu fossi stato in casa, però, l'avresti sperimentata in prima persona."
"Uhhm...di', non è che mi hai ammaccato la macchina e stai cercando di ammansirmi?"
Altro morsetto, ma meno gentile; così quella mattina Keith era di umore spiritoso, a quanto pareva.
"Io guido benissimo!"
Protestò, e si accorse di aver lasciato il segno dei denti; per farsi perdonare fece saettare la punta della lingua su quell'impronta.
"E la festa com'era, Matt?"
"Noiosa, tanto che all'una ero già a casa. Avrei voluto aspettarti sveglio, sai, per darti un benvenuto come si deve... e invece poi mi sono addormentato nel giro di poco. Ma tu dove sei stato, Keith? Credevo di trovarti."
[E perché hai fatto così tardi?] Quell'altra domanda non la pronunciò, forse per non apparire invadente, senza immaginare di stare offrendo il preludio ad una farsa...una farsa da parte di entrambi.

Immaginava che Matthias gli avrebbe chiesto che fine avesse fatto la sera precedente, e saperlo sarebbe anche stato suo diritto. Però...però aveva un'aria così gioiosa che non voleva rovinarla assillandolo con un malessere interiore che riguardava solo se stesso.
[Mi sentivo di merda e ho vagato per ore senza meta come uno squallido fallito; ho bevuto in un locale di second'ordine e poi, in giro per Soho, sono stato avvicinato da cinque o sei puttane e da altrettanti spacciatori...tanto per dire in che sublime stato di grazia mi trovassi.]
Perché farlo preoccupare inutilmente per qualcosa che ormai era passato?
"Sono stato al cinema, poi ho passato un'oretta al Marquee ad ascoltare un po' di musica. Nemmeno io ho fatto molto tardi, probabilmente dormivi da poco quando sono tornato."

Era  una bugia...
Matthias non riusciva a crederci...che motivo poteva avere Keith per mentire, per di più su una cosa trascurabile come l'ora a cui era rincasato?
...A meno che non avesse qualcosa da nascondergli...
...qualcosa che non voleva lui sapesse...
"È un sacco di tempo che non vado al Marquee, che gruppo suonava?"
Fece la domanda cercando di apparire tranquillo, spontaneo; quella che gli stava dando era l'occasione di ritrattare e dirgli la verità.
Ma Keith si strinse nelle spalle, scrollando appena la testa.
"Ah, non ricordo il nome; non era un granché...o per lo meno non era il mio genere."

Se non avesse saputo per certo che stava fingendo ci sarebbe cascato; mentire fissando l'interlocutore negli occhi, parlando con voce così franca, non era cosa di cui tutti fossero capaci.
E se lo avesse fatto già prima? Se quella fosse stata solo una bugia tra altre, l'unica di cui lui si fosse, per puro caso, accorto?
Come fosse stato lui il bugiardo, Matthias non riuscì a sostenere il suo sguardo e voltò il viso, verso il televisore.
Non provava più il desiderio di svelargli dell'ultimo tassello che si era unito al puzzle incompleto dei suoi ricordi; era come se, trovandosi al largo cullato da onde gentili, improvvisamente un violento cavallone lo avesse sbattuto a riva, senza fiato e dolorante, e al posto del sale sentisse il gusto acre e sconosciuto del tradimento e della delusione, peggiore di quanto avesse mai potuto immaginare.
Eppure glielo aveva detto, il giorno stesso in cui si erano dichiarati l'uno all'altro:
**""Posso accettare qualunque cosa..qualunque cosa se sei sincero""**
Sincero...
Lo amava comunque, lo avrebbe amato in ogni caso, ma voleva vedere fin dove si sarebbe spinto Keith: fino a che punto avrebbe persistito nella finta...o quando avrebbe deciso di dirgli la verità.
Gli avrebbe dato tempo fino alle cinque del pomeriggio, e poi...
Poi  avrebbe affrontato la situazione alla sua maniera.
Il cuore, però, lo stava implorando di dirgli tutto subito, di rivelargli che la menzogna era già scoperta.
[Così è come se anche tu stessi mentendo a lui. Così anche tu lo stai ingannando, e forse in maniera peggiore. Chiedigli spiegazioni, parlate, chiaritevi, ma non fare finta di non sapere.]
Per la prima volta in vita sua non gli diede retta.


****

Il salone era di cristallo opalescente ed aveva l'aspetto fragile e sottile di una bolla di sapone, pronta a infrangersi per un respiro, a svanire nel nulla d'improvviso in una pioggia di goccioline iridescenti; al centro di esso una fontana disegnava archi e arabeschi con zampilli d'acqua azzurrina, fresca e profumata come le rose bianche, e il suo quieto rumore era una melodia antica e tranquillizzante; un luogo di sbalorditiva bellezza, ma fredda e irreale; luce bianca, splendore indifferente a gioia e dolore, meraviglia immutabile nel tempo, rilucente e priva di vita come un diamante. 
Lì, su uno schermo incorporeo la scena di quel doppio inganno era stata seguita da qualcuno che non l'aveva approvata per niente.
"No...così non va bene. Stanno sbagliando entrambi"
Disse sconsolatamente Rain, incrociando le braccia sul petto. Minare la fiducia una volta poteva significare non essere più in grado di ristabilirla tale e quale a prima; perché quei due umani erano così sciocchi da non rendersene conto? Forse era il caso di fare un bel discorsetto ad entrambi. 
Jael chiuse il collegamento con un vago gesto della mano, considerando di aver visto già abbastanza, tanto più che in passato, secoli prima, tra Edgard e Ewan era avvenuta una scena piuttosto simile.
[E quando Matthias se ne ricorderà, che potrà pensare di te, Edg?]
"Ecco che il sogno piano si sfalda a causa di una piccola bugia."
Disse amaro, andando a sedersi sul bordo della fontana, allungando una mano verso gli sprizzi d'acqua che presero a danzargli vivacemente attorno, senza però sfiorarlo.
"No...non esistono le piccole bugie" - il suo compagno andò a prendere posto accanto a lui; alzò il viso a guardare il soffitto trasparente, altissimo e lontano - "Se una bugia fosse davvero piccola non ci sarebbe bisogno di raccontarla; il fatto stesso di mentire su qualcosa designa l'importanza della stessa. Può esserci una bugia crudele, una sciocca, una dolorosa, ma non una piccola."
Per lunghi secondi non ebbe risposta, ma d'altra parte nemmeno ne attendeva una: non stava tentando un discorso, o chiedendo un parere, ma solo esponendo un'idea della quale era convinto.

"Fingere o tacere, cos'è più grave secondo te, Rain?"
Il suo tono era d'improvviso lieto, quasi ilare, come se la domanda fosse stato un indovinello, un giochino divertente; e difatti sorrideva, Jael, nel guardarlo in attesa di una replica; ma era un sorriso ingannevole, quello di qualcuno che attende solo tu metta un piede in fallo.
Rain lo capì, ma non si tirò indietro.
"Fingere, ne sono certo."
Gli occhi verde acqua che Jael gli fissò addosso gli fecero per un attimo desiderare di allontanarsi da lui; era uno sguardo bruciante che sembrava squarciarlo e leggergli dentro, scoprendo inesorabilmente segreti e timori; invece non si mosse, e rimase immobile, a sostenere l'indagine dell'altro, domandandosi cosa gli passasse per la mente, ed anche cosa passasse per la propria, ad esser franchi.
Poi l'espressione accigliata svanì, e Jael rise aspramente, scuotendo adagio la testa, e Rain si convinse che doveva essere ammattito.
Troppo lavoro, forse...
Stress emotivo...no, più probabilmente stress a-emotivo.
Attese la fine dello sfogo passeggero prima di posargli con circospezione una mano sul braccio.
"Ehi, sei sicuro di non avere bisogno di una vacanza? Mi spieghi cosa c'è di tanto divertente?"
"Spiacente, è un'ironia che credo di poter cogliere solo io." - e il suo viso ridiventò serio, quasi sconsolato. Mesto, mentre terminava la propria risposta - "Vedi,  Rain, fingere e tacere sono la stessa cosa; si comprendono l'un l'altra. Fingendo taci la verità, e tacendo...inganni comunque. In entrambi i casi, sei destinato a causare un danno."
Velocemente posò una mano su quella del rosso, e gli strinse le dita sul polso con una forza di cui non si rese conto nemmeno lui.
"...stanco di tacere..."
Mormorò  assente, un'inflessione stanca, esausta, nella voce.
Non avrebbe dovuto essere così difficile...che stare così male era indice d'imperfezione, di controllo insufficiente. Di debolezza? Anche...
Che tipo di debolezza?
Quando aveva iniziato a nascondersi dietro inutili vigliaccherie? Non lo aveva mai fatto, non era da lui.
Eppure...
"Jael, vuoi deciderti a dirmi cosa ti preoccupa?"
...non voleva smettere di udire quella voce...
"Niente."

Tanto bastava a fargli perdere la pazienza, quella volta anche per tutte le altre. Si alzò in piedi bruscamente, spalancando le braccia.
"Abbiamo parlato dell'effetto negativo che le menzogne hanno sui rapporti e tu subito ne racconti? Finiscila di prendere in giro entrambi!"
"Non ho nulla da raccontarti."
Rispose più duramente di quanto desiderasse, arricciando le labbra, e si alzò in piedi; in realtà era infastidito da se stesso, e non dal suo compagno, che stava semplicemente dicendo la verità.

Se aveva voglia di litigare, Rain non si sarebbe tirato indietro; gli bloccò la strada spintonandolo all'indietro, mentre un vivido alone cremisi e turchese cominciava a scintillargli attorno.
"Ipocrita!"
Esclamò, esasperato, frustrato, arrabbiato. Quando, come e perché le cose avevano iniziato ad andare male? Perché tutto quel freddo tra di loro? Gli stava tendendo una mano, protendendola quanto più poteva, ma l'altro continuava a ignorarla, a scansarla.

A quell'ultima parola Jael non rispose a voce, ma a sua volta liberò la propria aura, energia intensa, viola e screziata di porpora, investendo il compagno.
A Rain parve di soffocare: non era così l'ultima volta che l'aveva sentita: non così forte, e soprattutto non così ostile... la conferma di volerlo tenere a distanza.
Si sentì...tradito, ferito... Indietreggiò di un passo, e perse l'equilibrio.
Le energie gli venivano meno... svanivano dal suo corpo, evaporavano...l'energia dell'altro annebbiava la sua coscienza...
...non vedeva chiaramente...era come perdersi, non riuscire più a percepire se stesso...provò a resistere, ma era doloroso, ...resistere...più semplice arrendersi, farsi portare via, che tanto all'altro non ne sarebbe importato...

La strana sensazione svanì repentinamente, e lui sbatté le palpebre, semistordito, accorgendosi di essere caduto a terra. Cominciava però a sentire i propri ritmi e le energie tornare velocemente normali, forti e saldi, ed era un sollievo.
Jael ora gli era accanto, ed era lui a sorreggerlo, con un braccio attorno alla sua schiena mentre le forze si stabilizzavano.
"Mi dispiace!...mi dispiace, non volevo, ho perso la calma. Stai bene?"

Era affranto; shockato forse anche più di lui e pallidissimo.
Non era mai successo nulla di simile tra loro: battibecchi, discussioni animate sì, litigate, soprattutto in passato...ma mai attacchi, scontri di quel genere.
Un'altra riprova che qualcosa stava andando storto. Per il momento, però, era opportuno chiudere il discorso, poiché nessuno dei due era apparentemente in grado di portarlo avanti.
"Sì...sì, va bene. Stai tranquillo."
Ancora un po' disorientato accettò l'aiuto che l'altro gli offriva per alzarsi, e per qualche istante si tenne appoggiato alla sua spalla.
Lontani e vicini, come una molla impazzita...

"Posso ritenere concluso il vostro piccolo, disdicevole litigio?"
Entrambi si volsero verso la direzione da cui proveniva la voce.
Alto, la pelle di un candore marmoreo e i capelli argentati, gli occhi grigi e freddi come l'inverno. Lariel incuteva soggezione, suscitava rispetto, ma certo non simpatia.
Lui lo sapeva benissimo e non se ne curava...probabilmente, anzi, la cosa gli dava orgoglio e probabilmente anche un certo divertimento.
Gli altri due si scambiarono un'occhiata, decidendo entrambi che la risposta era positiva: per quel giorno si erano già spinti troppo oltre i limiti del buonsenso.
"Ora è tutto a posto."
"Bene."
Il Capo dei Sommi fece un cenno d'assenso e avanzò.
"Quanto avete sentito, Signore?"
A Rain parve strana la sua presenza lì, al di fuori degli alti quartieri: Lariel non era tipo da scendere facilmente dal proprio piedistallo.
"Abbastanza."
Rispose quello, sorridendo cortesemente, prima di aggiungere una richiesta. 
"Devo parlare con il tuo compagno, Rain. E con lui solo."
Aggiungere che doveva andarsene era del tutto scontato.

****
"Questa volta ci sei andato vicino."
"A che ti riferisci?"
"Ad entrambe le cose" - disse Lariel, passandogli accanto e andando a sedersi - "Sia allo svelare il tuo segreto, sia ad ucciderlo. Francamente non comprendo perchè tu ti sia fermato."
"Oh. Io invece comprendo benissimo il perché tu non comprendi."
"Jael, il fatto che il livello di gerarchia che ci separa stia per accorciarsi del suo penultimo scalino non ti autorizza ad usare un tono sarcastico con me. Sei ancora un Superiore, e non un Consigliere."
"Chiedo scusa."
"Il discorso vale anche per l'accento strafottente."
Ammonì l'altro, fissandolo. Simili eppure diversi...ciò che ancora non poteva comprendere era se le differenze fra loro fossero dovute ad una questione d'età ed esperienza o di carattere.
Probabilmente entrambe le cose.
"Esiti ancora; non è da te."
"Lo so, ma non riesco a farne a meno."

Jael era irritato; che pretendeva di saperne, Lariel? Lui non aveva conosciuto i suoi stessi dubbi, l'ambizione che si scontra con...strano doverlo ammettere...con l'affetto.
"So cosa stai pensando. Hai ragione, ma solo in parte."

Il tono del superiore si era ammorbidito, e anche il suo volto sembrava più dolce, più vero, un po' malinconico. Che la sua aria impenetrabile fosse solo un paravento che si era imposto a forza?
Chiuse per un momento gli occhi.
"Il suo nome era Kijan, lo sai?"
"Tutti lo sanno."
"Già, hai ragione. Colui che dovetti sacrificare per giungere dove sono ora; senza batter ciglio, appena ne ebbi la possibilità. Kijan...ma c'è una cosa che non sai. Che nessuno immagina." - riaprì gli occhi, luccicanti, limpidi, fissandoli su Jael - "Io lo amavo. E lui amava me."
Jael inarcò le sopracciglia.
"Credo di aver capito male."
Ovvio, non c'era altra spiegazione, oppure Lariel aveva un bizzarro senso dell'umorismo: bizzarro e poco piacevole. Per di più quello non era certo un discorso che si aspettava di ascoltare, o che avesse voglia di fare; purtroppo non poteva nemmeno tirarsi indietro...non con un superiore.
"No, ho detto proprio ciò che hai sentito. Ti stupisce? Un essere umano ha un necessario ed irrinunciabile bisogno dei sentimenti; noi invece possiamo farne razionalmente a meno. Possiamo rinunciarvi, se vogliamo, ma questo non significa che ne siamo immuni, anche se spesso, erroneamente, ce ne convinciamo. Io avevo deciso di non rinunciare."
Innumerevoli ricordi stavano riaffiorando, gli stessi cui solitamente cercava di non badare, gli stessi che voleva illudersi di poter dimenticare, pur sapendo benissimo che non ne sarebbe mai stato capace.
"Ed allora perché? Perché lo hai tradito? Sacrificato...se lui era davvero importante per te, perché non hai esitato a condannarlo, senza dargli nemmeno una possibilità?"
Il Sommo sorrise; non si aspettava che le sue ragioni venissero capite, ma ci avrebbe provato lo stesso.
"Perché tale era il nostro accordo: che l'uno non sarebbe dovuto divenire un intralcio per l'altro. Che se ci fossimo trovati in una situazione come quella che alla fine ci ha coinvolto, non avremmo indugiato. Un patto, una promessa...quello che intendevamo come onestà. Né io né lui avremmo sopportato di essere pesi, ostacoli. Anche lui avrebbe avuto il diritto di sacrificarmi, eventualmente, e in ogni caso il mio amor proprio non gli avrebbe perdonato il fatto di avermi risparmiato. Allo stesso modo nemmeno lui avrebbe accettato quel tipo di salvezza: era orgoglioso quanto me, se non di più. Immagino che anche tu preferiresti la tua stessa fine alla coscienza dell'inferiorità, ho ragione?"
Ci volle qualche secondo prima di ottenere una risposta.
"Hai ragione."
"Però non tutti sono come noi."
Concluse Lariel, e si alzò, facendo per andarsene; aveva rivelato su se stesso già più di quanto avesse voluto e avrebbe fatto meglio a chiudere immediatamente quella discussione se voleva evitare di demolire completamente l'accurata facciata che si era costruito.
Peccato che il suo interlocutore avesse deciso che il discorso non era ancora terminato.
"Io... posso dargli ancora tempo?"
Era una mezza domanda, una specie di affermazione pronunciata con un tono stranamente esitante.
"Non all'infinito, hai visto anche tu quello che può succedere se non riesci a frenarti. E poi...dopo quanto è avvenuto poco fa, comincerà a capire da solo cosa sta avvenendo, e apprezzerà ancora meno il tuo comportamento."
Attese le domande che dovevano ancora venire; sapeva che c'erano.
"Kijan ti manca?"
"Immensamente."
"Perché allora lasci credere a tutti che non t'importasse nulla di lui?"
"Così è più facile; e poi che senso avrebbe, ormai, dire la verità?"
Girò le spalle, questa volta fermamente deciso ad allontanarsi..
"Ancora una cosa."
...ed invece si fermò un'altra volta, voltandosi.
"Se tu potessi tornare indietro, prenderesti la stessa decisione?"
Lariel sorrise, inclinando la testa, ultimo gesto prima di tornare ad indossare la sua maschera antica e soffocante.
"Rifarei tutto tale e quale. Era il nostro patto."


****

Ore 5 p.m.

Il gatto tendeva agguati alla pallina di gommapiuma e era Keith sommerso da cartacce e appunti, assorto nei calcoli davanti al suo portatile sin da dopo pranzo, borbottando di tanto in tanto che avrebbe dovuto immaginarlo che la settimana supplementare di vacanza gliela avrebbero fatta scontare, in un modo o nell'altro.
"Non ti rovini gli occhi, passando tante ore davanti al computer?"
Da dietro Matthias gli cinse la spalle con le braccia, appoggiandosi a lui; il termine era scaduto, e la bugia era perdurata fino a quel momento. L'idea lo feriva.
"Non ti preoccupare...tra poco faccio una pausa."
"Keith, devo uscire per una mezz'ora."
Disse in fretta; slacciò l'abbraccio e si diresse in camera a cambiarsi senza aspettare la risposta e senza nemmeno avere coscienza precisa di quello che avrebbe fatto.


****


Stesso giorno, ore 8.00 p.m.

Matthias si accorse che sullo schermo del cinema scorrevano i titoli di coda; era l'ultimo spettacolo del pomeriggio, e se gli avessero domandato che trama avesse il film a cui aveva appena assistito, non avrebbe saputo rispondere; troppi pensieri avevano assorbito la sua attenzione e non aveva badato a nulla, quasi raggomitolato sulla poltroncina di velluto con le braccia strette al petto e il maglione tirato fin sopra il naso.
Uscendo dalla sala riaccese il proprio cellulare, trovando due chiamate in segreteria; Keith lo cercava, ma non era ancora il momento di tornare a casa...
[Chissà poi cosa penso di dimostrare, agendo così. È un comportamento infantile, lo so, però...voglio che stia un po' in pensiero, e non conosco un altro metodo. Forse sto sbagliando anche io, forse avrei fatto meglio a parlarne subito, o a lasciar correre, ma ormai è fatta...]
Poteva pensare ciò che più gli pareva, per convincersi, ma niente cancellava il suo vago senso di sconforto; il cielo si era fatto scuro, l'aria sapeva di sera, di buio, era frizzante e stranamente leggera, in totale contrasto con le sue emozioni.
Nonostante tutto aveva un po' di fame e si fermò in un fast food; fish and chips ed una cola, e la musica a volume troppo alto...quei posti non gli piacevano più, perché ci era entrato, allora? Solo per far passare ancora un po' di tempo, probabilmente, ignorando lo squillare del cellulare, da solo in un posto dove tutti gli altri erano in compagnia.
Ne aveva di tempo da far passare...tornò al banco a prendere un altro cartoccio di patatine fritte e poi sedette di nuovo al suo tavolo in fondo alla sala, provando a concentrarsi nella lettura del vecchio e sciupato tascabile che aveva portato con sé, già letto ed amato almeno una decina di volte; ma il freddo al cuore non voleva andarsene: strana tristezza, con gli angoli smussati ma comunque pesante. 
[Vorrei tornare a casa.]
[Non mi piace stare lontano da te, in questo modo così sbagliato.]
[Non mi piace quello che sta succedendo...forse ho solo peggiorato le cose.
Forse avrei dovuto lasciare tutto come stava, anche sapendo che era una bugia...]
[Ma iniziando con l'accettare una bugia, poi forse si rischia di accettarne passivamente altre, e poi ancora altre...]
[...]
[...Pillola rossa o pillola blu?...]


****


Ore 10 p.m.

L'ascensore era guasto; Matthias sbuffò e si preparò a salire i suoi tre piani a piedi, passo lento, camminando rasente al muro, tanto da sfiorarlo. 
Non era rientrato a tarda notte, ma l'essere scomparso per cinque ore poteva dirsi sufficiente, a parere suo.
Si fermò e si stropicciò gli occhi: bruciavano da morire.
Si sentiva così stupido...
"Matthias!"
In tre balzi Keith fece un'intera rampa di scalini, e Matt si trovò stretto in un abbraccio che non riuscì a ricambiare.
"Dove sei stato? Avevi detto mezz'ora, e ormai è notte. Ti ho chiamato...stavo venendo a cercarti!
"Dove mi avresti cercato, in un città di sette milioni di abitanti?"
La sua voce era stata sommessa come il fruscio della seta, ma anche ruvida come lino grezzo, e quell'ultima inflessione era completamente estranea a lui...fuori posto, stonata.
Keith lo lasciò andare, guardandolo in viso, colto in contropiede da quella freddezza insolita e inaspettata.
"Matt? Qualcosa non va?"
Non rispose, si scostò e gli passò oltre, inumidendosi le labbra secche.
"Matthias!"
"Non potremmo parlare in casa? - chiese, fermandosi, ma senza voltarsi - Non mi va di discuterne qui fuori."
In fondo era pentito del proprio comportamento, ma ormai era tardi per tirarsi indietro...e insensato, anche, visto che inventare una giustificazione per quell'assenza prolungata sarebbe stata un'altra bugia.

"Allora, cosa c'è?"
Matt moriva di sete, e finì il suo succo d'arancia, prima di rispondere; sui fornelli c'era la cena pronta, ma intatta, e il tavolo preparato per due, come sempre.
"C'è che...che lo so che mi hai mentito. Riguardo ieri sera..."

Se gli avessero dato un pugno in faccia sarebbe stato più facile da sopportare; più facile che ascoltare quel tono scorato, più facile che accettare il fatto che Matthias si stesse tenendo a distanza da lui.
"Non...non stavi dormendo, allora."
"No. Keith tu...hai i tuoi segreti, lo so e lo accetto, se così deve essere. Ma almeno non aggiungere ad essi le bugie; mi fa star male, mi fa sentire... sottovalutato."

L'altro rimase in silenzio, guardando gli occhi rattristati, e la piega amara della sua bocca.
Bugie, segreti...per Matt era difficile accettarli, ma se credeva che per lui fosse semplice raccontarli, o mantenerli, si sbagliava; essi erano la causa del suo malessere, loro era la colpa dello stress, e della paura.
[Se ti ho mentito, anche in passato, in quel tempo lontano, l'ho fatto per difenderti, per tutelarti contro pesi che solo io meritavo, e che ancora merito. Se mento adesso, i motivi sono gli stessi.
Non perché ti sottovaluti, al contrario; sei troppo prezioso perché io ti infastidisca con il lezzo degli altrui peccati, o con il veleno e il rancore che appartengono ad altri. Di me non m'interessava, l'essere un reietto non aveva importanza...ma tu facesti più di una volta le spese che io avrei dovuto saldare. Davvero mi perdonasti, per la vita e la morte che subisti a causa mia? E mi perdoneresti ora,  se ti dicessi tutta la verità?]
Quella era la risposta che avrebbe voluto dare, quelle le parole, i sentimenti che desiderava sfogare...ma non poté; era la sua debolezza e non riusciva ad ammetterla.
Non ammettere le debolezze è solo segno di altra debolezza...
...ma lui non aveva mai preteso di essere forte, quello era solo il ruolo a cui era stato chiamato, così le parole che disse furono ben altre.
"E mi hai fatto stare in ansia per così poco?"
L'espressione di Matthias passò dal triste all'arrabbiato.
Così poco?
Valutava la sua richiesta di sincerità con un 'così poco'?
"*Tu* sei stato in ansia?? Io almeno sono uscito di pomeriggio, e sono tornato ad un'ora decente, non alle prime luci dell'alba! *Tu* sei uscito di notte senza lasciare nemmeno un messaggio...E alle cinque passate mi sono svegliato e ancora non c'eri! Come pensi che mi sia sentito, eh? "
"Ah...ti sei solo destato a quell'ora. Avevo capito che mi avessi aspettato sveglio; invece eri così preoccupato che ti sei addormentato."
Avrebbe desiderato prendersi a schiaffi appena terminata la frase...e si sarebbe preso volentieri a pugni non appena visto il viso di Matthias sbiancare di colpo.
Il ragazzo gli passò accanto troppo svelto perché lui riuscisse ad afferrarlo, e non ce la fece a bloccarlo prima che raggiungesse la camera da letto.
La serratura scattò nel momento in cui agguantò la maniglia, e non poté più entrare, perché Matt si era già chiuso dentro.
"Matthias...Matthias, scusa. Mi sono espresso male, non intendevo dire quello che ho detto."
Bussò, e lo chiamò ancora, ma non gli rispondeva; non udiva nessun rumore provenire dall'altra parte, solo silenzio innaturale e più rumoroso del baccano.
"Per favore, fammi entrare; non abbiamo ancora finito il discorso." 
"Lo è invece...perché sei tu a non aver intenzione di parlare davvero." 


****

Si era seduto al centro del letto, stringendo le gambe al petto e poggiando la testa sulle ginocchia.
Non voleva litigare; farsi male a vicenda era così sciocco ed inutile...ma era poi un litigio, quello? Non sapeva dire, non aveva mai litigato con qualcuno che amava come amava Keith.
I bisticci tra amici sono una cosa...
Quelli con i parenti un'altra ancora...
Ma tra amanti? Se significava alzare la voce, insultare, picchiare, allora no, non avevano litigato.
Se invece voleva dire rinfacciarsi le colpe e ferirsi reciprocamente, allora sì, quello era un litigio.

Qualcosa di caldo e morbido si strusciò contro di lui, miagolando.
Strusciò e miagolò ancora e, accorgendosi di non ottenere attenzione, il micio prese a chiamare il suo padrone toccandolo insistentemente sul fianco con una zampina vellutata, fino a quando egli non si voltò verso di lui.
"Che ci fai qui, stupido gatto? Eri sotto il letto? Lo sai che non voglio."
Matthias lo prese in braccio, accarezzandogli la testolina mentre l'animale ronfava fusa deliziate, spingendo il capo contro la sua mano.
"Tu non hai di questi problemi, vero, Bestiaccia? Hai tutto il cibo e le coccole che vuoi, sei un gatto fortunato."
"Meow?"
L'animale sembrò ascoltarlo con attenzione, drizzando le orecchie e scrutandolo con i suoi occhi enigmatici; forse lo capiva davvero, dopo quattro anni passati assieme, e sicuramente avvertiva la tristezza nella sua voce, e probabilmente sapeva anche cosa significavano quelle gocce che inumidivano le ciglia del padroncino, e che questi asciugò velocemente con la manica.
Nella sua testa di gatto pensò che magari una strofinatina contro il mento e qualche lappata con la sua linguetta ruvida lo avrebbero fatto sentire meglio, e così ci provò.
Quel fagottino peloso lo stava rasserenando un po'...accarezzarlo era rilassante, tranquillizzante...e poi il miciastro si era anche messo a leccarlo e a lui quasi veniva da sorridere.
"Mi stai facendo il solletico, palla di pelo."

****

Ore 12 p.m.

La porta della camera era ancora chiusa a chiave, e da sotto di essa filtrava la luce ancora accesa.
Matthias dunque non dormiva.
Provò a bussare di nuovo, ma non disse nulla e rimase in silenziosa attesa fino a che non fu l'altro a parlare, solo alcuni minuti dopo, con voce sommessa e un po' rauca, stanca.
"Devi dirmelo...e devi essere sincero. Devi giurare su noi due che mi dirai la verità, adesso."
"Lo giuro, Matt. D'ora in poi sarò sempre sincero, va bene."
Ancora un momento di silenzio, sembrò quasi che il ragazzo dall'altra parte della porta stesse prendendo il fiato prima di un tuffo.
"Sei stato con qualcun altro ieri notte?"
Lo disse con una crepa nella voce...dopotutto era la cosa più facile da immaginare e da temere, quella che poteva giustificare un rientro così tardo ed una menzogna su di esso.
"NO! Non pensarlo nemmeno! Matthias, ci sei solo tu...prima, ora e sempre! Pensa di me tutto il male che vuoi, ma ti prego, non credermi un traditore!"
Sentirsi porre quella domanda gli aveva mandato il petto in fiamme, gli aveva reso bollente il cuore e gelide le mani; il germoglio di quella che aveva considerato una piccola frottola senza importanza era dunque il dubbio sulla sua fedeltà...
Se lo meritava, in fondo.
Se lo meritava e basta.
"E  Edgard?  - Un silenzio durante il quale Matthias si morse dolorosamente le labbra, soffocando tanta paura quanta ne aveva avuta nel porre la domanda precedente - Ha avuto qualcun altro?"
  Così infinitamente triste la voce di Keith nel rispondere...triste perché stava facendo star male la persona che avrebbe voluto, e dovuto, preservare da ogni dispiacere.
"Nessuno dopo di te, dal giorno in cui ci unimmo fino al nostro ultimo istante. Nessuno, nemmeno con il pensiero."
"E prima di quel giorno?"
"Prima è un altro discorso...prima non ha importanza."
"Voglio saperlo, Keith."
Lui sospirò, e appoggiò la fronte contro la porta.
"Prima sì...ma storie di poche notti. Dietro a sé non hanno lasciato nemmeno il chiaro ricordo di un nome, o di un viso."
"Donne o uomini?"
"Matt, che senso può avere-"
"Donne o uomini?"
Chiese ancora, inesorabile; voleva saperlo e non sapeva perché.
Fu Keith a esitare, prima di rispondere; non avrebbe mai creduto di dover rinvangare anche quelle esperienze, da sempre taciute.
"Entrambi... Donne quasi sempre, ma un paio di volte..cavalieri miei pari."
Nella stanza Matthias, seduto a terra, la schiena contro la porta, non seppe se ridere o se piangere; chiuse gli occhi, chinando la testa.
"E pensare che...che la mia paura era quella di ripugnarti, poiché io, un ragazzo, mi ero innamorato di te...e tu, invece già non ti eri posto il problema...mi sento così sciocco."
Finì di dire, soffocato.
Ma pensandoci, avrebbe dovuto immaginarlo...non aveva forse dimostrato, Edgard, di sapere già cosa fare, e di come farla, a letto con un altro maschio?
"No, Matt...ti prego. Ciò che feci prima non aveva niente a che fare con l'amore: quel sentimento era per me solo un'idea astratta: il tema di poemi e ballate, conosciuto per sentito dire. Non avevo mai creduto che qualcuno potesse amare me tanto quanto non avevo mai pensato di potermi innamorare davvero. Ma poi...ho aperto gli occhi su di te, e grazie a te."
La porta continuava a restare chiusa, e nessuna risposta proveniva da dietro di essa.
"Matthias, posso entrare? Apri, per favore."
Udì un leggero singhiozzo, ma nient'altro; rimase in attesa, in piedi, immobile per mezz'ora prima di allontanarsi ancora.
Quanto sarebbe stata lenta a finire, quella notte?

Ore 3.15 a.m.

Keith non era più andato a chiamarlo.
Alla porta era stato, sì, diverse volte; aveva visto la sua ombra filtrare da sotto la fessura della porta, e sostare a lungo prima di andarsene, ma non aveva più bussato.
In quella stanza, da solo, non stava bene.
Quel letto era troppo triste e vuoto se occupato da lui soltanto, e anche la rabbia, la tristezza non riuscivano più ad avere ragione d'essere; erano già arse completamente, lasciandosi dietro cenere e odore di bruciato, e solo un po' d'irritazione era rimasta, grigia, leggera e impalpabile come un filo di fumo.
Scese dal letto e cautamente, per non provocare alcun rumore, girò la chiave e finalmente uscì dalla stanza.

****

Nella camera libera Keith non c'era, e sembrava non esserci nemmeno entrato...credeva che ormai fosse andato a letto, troppo assonnato per insistere oltre; poi  notò una tenue luce accesa in cucina e capì che era ancora sveglio...e che se voleva parlargli, quello era il momento.
Il cuore prese a battergli follemente, come per un esame importante, e forse lo era...un esame per la loro relazione, il primo, e sperava anche l'ultimo. 
Non sapeva cosa avrebbe provato vedendolo, o cosa gli avrebbe detto per spezzare il ghiaccio, sperò solo che le parole e i gesti sorgessero spontanei come sempre.

Si affacciò alla porta, e nel guardarlo sentì  un'onda violenta di emozioni infrangersi contro il suo cuore, e se vi fossero state barriere, sarebbero state spazzate via in un solo istante.
Davanti ai fornelli, illuminato solo dalla tenue luce della cappa, stava spegnendo il fuoco sotto il bollitore; aveva un'aria stanca, e gli occhi tristi; anche i suoi gesti sembravano rispecchiare una dolorosa astrazione...come agisse sotto un pilota automatico: azioni ripetute per abitudine, comandate a memoria, mentre la testa era occupata in tutt'altro. 
Keith non era la tipologia di ragazzo il cui aspetto potesse ispirare tenerezza; una marea di altri sentimenti e sensazioni sì, molti dei quali non esattamente casti...ma non tenerezza.
Eppure in quel momento Matthias se ne sentì pervadere, tanta da traboccargli dagli occhi, da fargli desiderare di stringerlo forte per confortare entrambi.
Avanzò di un passo ancora, stavolta facendo quanto rumore bastava per farsi notare.
Rimasero a guardarsi per qualche secondo, muti, e poi fu Keith a parlare.
"Sto facendo del thè, ne vuoi?"
Mentalmente Matthias gli fu grato per aver preso la parola, ed averlo fatto scegliendo un argomento così leggero e totalmente scollegato con quanto era successo; così era più facile far tornare tutto alla normalità. Nel rispondere avanzò ancora e andò a sedere al tavolo, sistemando la sedia di lato per non volgere le spalle al suo ragazzo.
"A quest'ora?"
"Tanto non riesco a dormire."
Spiegò lui scrollando le spalle, ed aggiunse altre foglioline all'infuso. 
"Faresti meglio a riposare, domani devi lavorare."
"Pazienza. Dirò che non sto bene e rimarrò a casa...e anche tu domani devi lavorare."
Lui scosse le spalle, dondolandosi sulla sedia.
"Mi darò malato."
Keith si permise un sorriso appena accennato, cominciando a versare latte e zucchero nella tazza del Matt; se veramente avessero passato tutto il giorno successivo assieme, sperava che le cose si appianassero entro il sorgere del sole, o non avrebbero resistito l'uno al silenzio dell'altro.

****

Dopo qualche minuto gli posò davanti un mug di thè ed una fetta di pratie di mele; poi gli sedette vicino, più o meno allo stesso modo di alcuni mesi prima, il giorno in cui erano tornati l'uno tra le braccia dell'altro dopo un tempo smisurato.
Restarono in silenzio alcuni minuti, sorseggiando la bevanda e assaggiando di tanto in tanto un po' di dolce; la luce era soffusa, il silenzio amplificava i rumori...il tintinnio dei cucchiaini, il ronzio del frigorifero, il rumore di qualche macchina.
A Matthias venne in mente di quando era bambino, e talvolta il pomeriggio faceva i compiti proprio lì, su quel tavolo, invadendolo di libri, quaderni e pastelli, lui seduto ad un capo e sua sorella all'altro...
Ora la persona che amava di più al mondo era seduta a quello stesso tavolo, e lui non sapeva cosa fare; non era più arrabbiato, e nemmeno davvero triste: voleva lasciarsi quell'episodio alle spalle, e considerarlo solo come un fraintendimento, una svista da parte di entrambi. 
E così, un po' distratto, un po' pensieroso, non si avvide di aver poggiato la tazza facendola sporgere troppo dal bordo; essa gli sfuggì dalla presa, e lui, sorpreso, la guardò cadere, aspettandosi di lì a poco un rumore di cocci infranti...che invece non ci fu.

I riflessi li aveva sempre avuti pronti, così, allungando d'istinto la mano, era riuscito ad afferrare il mug, seppure per un pelo, cosicché l'unica cosa che finì sul pavimento fu ciò che rimaneva del thè.
Keith riconsegnò la tazza al legittimo proprietario, esclamando un soddisfatto:
"Salva!"
E quasi si stupì, poi, di non ricevere un complimento per la sua prontezza.
"Keith! Ti sei bruciato?"
Gli occhioni nocciola di Matthias erano spalancati, e lui si guardò noncurantemente la destra, dorso e palmo, quasi non fosse nemmeno sua, per poi asciugarla con un tovagliolo di carta.
"No...ormai era solo tiepido."
"Lo sai che avresti potuto scottarti? Solo per acchiappare una tazza!"
Lui sorrise: Matt era di nuovo entrato in 'modalità chioccia' senza nemmeno accorgersene.
"Ma è la tua preferita, no? È quella che usi sempre."
"È vero, ma...- abbassò velocemente gli occhi - ma non era il caso di rischiare di farsi male."
"Sì, invece."
Keith si sporse sulla sedia per essere più vicino a  Matthias, e rimasero a guardarsi a lungo, di nuovo immersi nel quiete notturna, mentre i loro pensieri sembravano intrecciarsi telepaticamente, fili di seta rossa che si stringevano ogni giorno di più.
Dicevano: basta con questa sciocchezza...
Non voglio che inizi un nuovo giorno senza aver fatto pace...
Non farmi stare da solo per quel che resta della notte...
Sono stanco, ho voglia di dormire, ma solo se vicino a me ci sarai tu...


"Scusa se ti ho mentito; io giuro, giuro veramente, che non lo farò mai più. Mi perdoni, Matt?"
Intanto avvolgeva delicatamente uno dei suoi riccioli attorno a un dito, come faceva tante volte, quando erano sotto le lenzuola, ad attendere il sonno, e lui sentì un leggero solletico alle guance, caldo formicolio che poi scese sul il collo e scorse lungo la schiena.
"Non sono proprio capace di dirti di no."

****

[Va di nuovo tutto bene...come la prima pioggia d'autunno anche questo momento un po' amaro è finito. Non so se dobbiamo aspettarcene altri, spero di no, ma in ogni caso...se mai ci saranno, possano sempre finire come questo, in uno stretto abbraccio, in un bacio pieno di perdono e promesse, nel tuo respiro che mi sfiora, in questo nostro mondo privato, 'quasi' perfetto.]
Matthias si stava sciogliendo sempre di più in quella stretta, anche perché si sentiva sfinito...però non era ancora quello il momento di farsi prendere dal sonno: c'era da festeggiare la pace fatta...
...e pure qualcos'altro: e la celebrazione era stata rimandata anche troppo. 
Si staccò un pochino da Keith e scosse la testa per darsi una svegliata; e poi gli intrecciò le dita dietro il collo, alzando il viso a guardarlo con occhi socchiusi e un sorriso innocentemente seducente, meritando contemporaneamente l'aureola e la coda da diavoletto.
"C'era una cosa che avrei voluto raccontarti stamattina, ma poi non l'ho fatto. Hai voglia di sentirla adesso?"


_____________________Continua__________________________________


Okay, è andata!^__^Il capitolo dove tutti litigano...! ...non so nemmeno se mi piace o no, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro, vero? 
Commenti?

Sempre grazie per la lettura e la pazienza!

Chu chu

Unmei










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