NOTE: le parti racchiuse
tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel
passato.
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice
il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci,
dei protagonisti.
Un capitolo tranquillo, rilassato, non capita nulla di speciale ma è un
momento di necessaria quiete tra le tempeste...mica posso sempre farli
penare, poi finisce che mi fanno sciopero...(tanto prossimamente avranno
di che divertirsi, ma è un segreto, non diteglielo!) C&C sempre
apprezzati, graditi et incoraggiati! ^_^
In un paese
d'estate
di Unmei
parte XII
Il tepore di un altro corpo, il rumore di un altro respiro, il piacevole
peso di un braccio attorno a sé; Matthias era sveglio, ma decise di
continuare a godersi pigramente quel momento di tranquillità. L'incubo
rivissuto la sera precedente era ancora vivido nella sua mente, un ricordo
che sapeva ormai scolpito dentro di sé; non lo avrebbe potuto
dimenticare, e nemmeno sarebbe riuscito ad ignorarlo...però non lo
spaventava più, perché lo sentiva lontano, inoffensivo. Quelle ferite di
tanto tempo prima gli avevano già inflitto tutto il male possibile, e non
avrebbe permesso loro di fargliene altro.
Forse... quella violenza, lo stupro, avevano dato una spinta decisiva al
rapporto tra Edgard e Ewan: una spinta crudele, ma che li aveva costretti
a smettere di girare l'uno intorno all'altro. Thomas aveva creduto di
separarli, di distruggere il loro legame e invece non aveva fatto altro
che stringerlo ancora di più.
Matt aprì infine gli occhi e si specchiò nelle iridi ambrate del suo
compagno; dentro a quello sguardo ombreggiato da ciglia lunghe poteva
vedere ancora apprensione, e nessun tentativo di dissimularla.
"Buongiorno, Keith" - gli sussurrò - "Non guardarmi così,
mi sento bene.
Davvero."
Lo scrutò, cercando di capire se stesse mentendo a suo beneficio, ma il
viso che aveva davanti era sorridente, non sembrava nascondere ombre o
dispiaceri; Matt non era capace di dissimulare le proprie emozioni, e
nemmeno di raccontare bugie in maniera convincente...era troppo
trasparente per riuscirci. Come se gli avesse letto nel pensiero, il
ragazzo gli parlò, posandogli l'indice sulle labbra, leggero come una
libellula.
"Sai bene che non ho scrupolo di piangere come uno stupido, quanto ne
sento il bisogno, ed ora non lo sto facendo, giusto? Vuol dire che sono
tranquillo, quindi sii tranquillo anche tu."
Già; Matthias aveva appena detto una cosa verissima e Keith si arrese al
suo sorriso...come faceva ogni volta, del resto. Era poco saggio, forse,
permettere a qualcuno di diventare così importante per lui; ma Matthias
non era 'qualcuno'; lui era 'tutto', tutto ciò che aveva aspettato,
cercato e voluto.
Raggiunse la sua mano con la propria e gliela strinse.
"Ti credo."
"Keith! Che cosa ti sei fatto?
Matt si mise a sedere, esaminandogli il dorso della mano destra: era pieno
di graffi e taglietti, striato di sangue.
"Niente, solo un piccolo incidente con uno specchio."
"Ma come hai fatto? Sembra quasi che tu ci abbia tirato un
pugno..." - volse uno sguardo inquisitorio verso di lui - "Non
dirmi che è così!"
"Beh, sì...ma è stato lui ad iniziare."
"Keith!"
"Sul serio!"
Matthias studiò la sua espressione di perfetta innocenza e poi scosse
rassegnatamente il capo.
"E hai anche la camicia sporca di sangue! Avresti potuto farti male
davvero...e poi sei sicuro che non ci siano rimaste delle schegge?"
Prima ancora di ottenere risposta trascinò Keith fuori dal letto,
portandolo vicino alla finestra per poter osservare alla luce se ci
fossero pezzetti di vetro nelle ferite.
"Dai, non è niente!"
Cercò di inutilmente sottrargli la mano, ma Matthias la trattenne,
stringendola mentre la osservava da vicino, borbottandogli parole di
rimprovero.
"L'hai disinfettata, almeno?"
"Matt, stai facendo la chioccia."
Lo avvisò, canzonandolo.
"Chioccia?'"
"Ti manca solo di chiedermi se ho messo la maglia di lana e saresti
perfetto."
"Veramente preferisco quando non indossi proprio nessuna
maglia."
Rivelò Matthias con aria maliziosa, alzandosi in punta di piedi e
dandogli un veloce bacio sulle labbra.
Che soddisfazione vedere sul dipingersi viso di Keith un misto di sorpresa
e divertimento.
"Noto che cominci a rispondere come si deve.
"Stando insieme a te dovevo pur imparare, prima o poi."
"Sarà...ma nella maggior parte dei casi mi ci vuole veramente poco a
smontarti."
Suonava quasi come una sfida, lo era, senza dubbio, bastava guardare i
suoi occhi per capirlo; Keith lo stava deliberatamente provocando, e lui
decise di stare al gioco, anche se in un certo senso gli 'faceva male'.
Sì...faceva male perché intuiva che quel buonumore era fittizio,
illusorio: non era veramente sentito ma solo esibito a suo beneficio. Come
tante altre volte scherzare gli serviva a smorzare un momento difficile, a
distrarre entrambi; lui aveva imparato ormai a riconoscere quando lo
scherzo era sincero e spensierato e quando invece era solo il camuffamento
al quale Keith ricorreva per nascondersi quando si sentiva in difficoltà,
quando qualcosa lo turbava.
Da un lato quel tipo di atteggiamento commuoveva Matt, perché si rendeva
conto che Keith si comportava in maniera tale per non angustiarlo, ma
dall'altro quell'aspetto insincero del suo carattere lo urtava: la
completa fiducia significava anche completa sincerità, e il trincerarsi
dietro un affascinante sorriso di facciata, quando dentro si aveva ancora
un tarlo, era pericolosamente simile ad una menzogna.
Ma in ogni caso, se stava mentendo, mentiva per lui.
Per lui, che se avesse avuto un minimo di autocontrollo, che se non si
fosse fatto trovare terrorizzato e piangente come un bambino, gli avrebbe
potuto evitare quella preoccupazione.
Se fosse stato capace di passare da solo oltre a quel ricordo, se fosse
stato in grado di calmarsi e tenergli nascosto che quei fatti erano
riemersi, se fosse riuscito, per una volta, a non appoggiarsi a lui...
"Matthias?"
Lo aveva chiamato, interrogativo; incuriosito dal suo silenzio prolungato,
dalla sua espressione che oscillava indecisa tra la gioia e la tristezza,
dagli occhi nocciola che spalancati che lo fissavano.
Senza distogliere lo sguardo da lui Matt gli lasciò andare la mano e
cominciò a sbottonarsi lentamente la camicia chiara, lasciandosela poi
scivolare giù per le spalle, fino a lasciala cadere a terra.
Aveva bisogno di lui, in quel momento, perché diradasse gli ultimi lembi
di dolore che gli stagnavano dentro, perché cancellasse per un po'
qualsiasi pensiero dalla sua mente.
Sì; per porre davvero fine a quell'esperienza doveva...voleva, sentire
subito Keith muoversi dentro di lui, voleva il suo corpo e il suo respiro
addosso, e che la sua essenza lo riempisse, ribadendo che lui non era di
nessun altro, e che non lo era mai stato, qualunque cosa fosse accaduta in
passato.
E sapeva allo stesso modo che anche Keith aveva bisogno di lui, delle sue
braccia che gli si aggrappavano, del calore della sua carne che lo
stringeva, della sua bocca sulla quale annullarsi.
Unirsi, fondersi, mescolarsi, scambiarsi saliva, sudore, sperma e
trasformare la passione in conforto, e viceversa.
"Non c'è bisogno dica niente, vero?"
Sussurrò Matthias, appoggiandogli le mani sul petto; le fece scivolare giù,
sulla stoffa, slacciando, lungo la sua strada, un bottone dopo l'altro, e
intanto continuava a non staccare gli occhi dai suoi, cercando in
essi una crepa, uno spiraglio, che da quelle pupille feline gli concedesse
l'accesso al cuore.
Keith si lasciò spingere verso il letto, vi ricadde con il suo prezioso
angelo sopra di lui; incantato dalle labbra tenere gli accarezzavano la
pelle, dal respiro che lo sfiorava ogni volta, caldo e sottile, dal corpo
che si strusciava lento contro il suo, seducente, pieno di promesse, di
aspettative, di fiducia.
Accolse l'invito della sua lingua, quando gli si infilò tra le labbra, e
mentre il bacio continuava, diventando divorante, il languido abbandono da
cui si era lasciato prendere si trasformò in un incendio,
alimentato da tutti i pensieri infelici che desiderava distruggere.
Si mise a sedere, portando su Matthias, mentre sentiva le sue mani
stringersi sulle spalle e poi scendergli sul petto, fermarsi sui suoi
capezzoli, stuzzicandoli fino a renderli scuri e sensibili, quasi
doloranti, e nonostante ciò non smise, continuò con più
gusto, fino a quando non gli diede un piccolo morso di avvertimento sulla
lingua Matt ridacchiò e tentò di ricambiare il gesto, lasciando
scivolare giù le mani fino all'altezza dei pantaloni; slacciò il
bottone, infilando una mano dentro...
...'tentando' di infilare una mano dentro, visto che la cinta sembrava non
essersi allenta per niente...
ma che cosa...un altro bottone?
Per quale stupido motivo doveva esserci anche un'allacciatura interna?
Quel contrattempo stava decisamente guastando l'atmosfera!
"Perché devi indossare dei pantaloni con l'antifurto? Non potresti
portare dei normalissimi jeans?"
Chiese frustrato, riuscendo alfine a sbottonare l'indumento ribelle.
"Sono pantaloni di seta e tu mi vieni a dire che preferiresti dei
rozzi jeans? Beh, visto il tuo guardaroba non me ne stupisco
molto..."
"Snob."
"Eh?"
"E anche vanitoso."
Gli brontolò in un orecchio, per poi mordicchiargli il lobo e
l'angolo della mascella.
"Forse ti riferisci a qualcun altro."
"Mi riferisco a qualcuno che di tanto in tanto si diverte a vivere al
di sopra delle proprie possibilità."
"Lo conosco?"
Chiese candidamente Keith.
"Scemo."
Decretò Matt, passandogli le mani fra i capelli per spettinarlo del
tutto.
"Ehi, la pianti di insultarmi?"
Ribatté finto-offeso, e Matthias rise ancora.
"Per farmi smettere potresti finire di spogliarmi...o di
spogliarti."
"Qualche preferenza su quale delle due cose dovrei fare per
prima?"
"Mmhh...potendo scegliere UH!"
Gli sfuggì un'esclamazione di stupore nel ritrovarsi di colpo steso sul
letto, tenuto saldamente per i polsi, con il viso di Keith tanto vicino al
suo che, nel parlare, con le labbra sfiorava le sue.
"Visto che mi hai dato dello snob, del vanitoso e dello scemo, per
punizione non terrò conto del tuo parere e farò a modo mio."
"Sì? Cosa hai intenzione di fare, allora?"
"Prima di tutto... - chiuse quel soffio di distanza tra le loro
bocche, riportando per un po' il silenzio nella stanza -...colazione.
Terminò, staccandosi da lui e saltando giù dal letto.
Matthias rimase per qualche secondo immobile a guardare il soffitto, con
le labbra ancora aperte e umide, prima di riuscire ad afferrare il
significato dell'ultima parola.
Colazione...forse quella cosa che si fa al mattino con uova, pancetta e
pane tostato?
"C-come hai detto?"
"Ailleagan, sono quasi ventiquattr'ore che non mangio, sto morendo di
fame!"
Si lamentò, già impugnando la maniglia della porta.
Prima gli arrivò addosso una cuscinata, poi Matthias in persona.
"Tu non vai da nessuna parte!"
Esclamò, saltandogli sulla schiena, e stringendogli le braccia intorno
alle spalle aggiunse a bassa voce:
"Basta scherzare, adesso."
Keith sentì il viso di Matt appoggiato alla sua nuca, e quasi gli
sembrava di vederlo, con gli occhi chiusi e i capelli deliziosamente
spettinati.
"Matthias..."
Tornò verso il letto, lasciando scendere il ragazzo; così, in ginocchio
l'uno davanti all'altro, Keith si sentiva con le spalle al muro,
contemporaneamente folle di desiderio e incerto, bloccato.
Aveva già provato quella sensazione, anche se in misura enormemente
maggiore: quel timore assurdo di compiere un passo falso, l'ansia che il
cedere alla voglia di fare l'amore con Matthias corrispondesse ad un atto
di egoismo, ad uno sfogo...
"Matt. Dopo quello che è successo ieri..."
"Ieri era ieri...e quello che è successo è stato moltissimo tempo
fa; lascia che resti tutto al tempo a cui appartiene, cioè al passato. Un
passato lontano che non si deve intromettere tra noi."
Intrecciò le dita dietro il collo di Keith e si strinse a lui per
baciarlo, fino a quando non lo sentì scivolare via dalla sua bocca e
appoggiargli la fronte su una spalla.
"Vorrei...vorrei che tu non ricordassi più nulla. Anzi, vorrei che
tu non avessi mai ricordato nulla... sono riuscito a incontrarti, e ad
averti, che bisogno avevo che ti rammentassi di no? Non era necessario, ma
io l'ho desiderato...perché sono capace di pensare solo a me
stesso."
"Se dici ancora qualcosa di simile mi arrabbierò, e le conseguenze
non saranno per niente piacevoli, sai?"
Ecco, in quel momento, anche se Keith gli precludeva la vista del suo
viso, aveva capito di essere passato oltre le sue barriere, o almeno di
aver gettato uno sguardo oltre ad esse...per trovarsi di fronte ad un
vasto e profondissimo oceano, di ricordi, emozioni, pensieri, rimpianti,
rimorsi; due intere vite e tutti gli anni intercorsi fra esse; dava quasi
un senso di vertigine.
"Non so quanto bene ci facciano, queste altalene emozionali. Non
possiamo passare dalla felicità alla depressione quattro volte nel giro
di mezz'ora."
"Temo che sotto questo punto di vista dovrai avere molta pazienza con
me, Matt."
"Me ne sto accorgendo."
Keith ridacchiò, un suono divertito, breve e soffocato. In fondo, molto
in fondo, anche un po' amaro.
I suoi sbalzi d'umore...
Matthias non aveva visto nemmeno la metà di quello che erano in grado di
fargli; lui stesso talvolta temeva di essere schizofrenico...e sarebbe
stato il minimo, dopotutto.
"Keith...finiamo quello che abbiamo iniziato."
Gli bisbigliò Matthias, e non ci fu bisogno di dire nient'altro.
***
"Non è per niente giusto!"
Brontolò, riordinando la corrispondenza sparsa sulla scrivania.
"Invece di gioire con me ti stai lamentando; non è gentile da parte
tua, Matt."
"Hai un'altra intera settimana di vacanza, mentre io sono già
di nuovo al lavoro! Tu potrai alzarti alle dieci, io dovrò strisciare giù
dal letto alle sei."
"Striscerò assieme a te. Se vuoi verrò qui a fare il commesso
aggiuntivo."
Propose Keith, sbirciando come si faceva per aprire la cassa da sopra la
spalla di Matthias
"E' escluso, mi distrarresti."
"Non sono io che ti distraggo, sei tu che ti fai distrarre, c'è una
certa differenza."
Schiacciato tra il bancone e il suo ragazzo, Matthias si voltò verso
Keith, incrociando le braccia sul petto. Un quarto d'ora prima il suo
compagno era entrato nella libreria con un sorriso giubilante stampato
sulle labbra, annunciando che, per via di opere di rinnovo dei locali
ancora da ultimare, la sua azienda aveva accordato a tutti un
prolungamento delle ferie pagate; un po' perché lavorare in quelle
condizioni sarebbe stato comunque impossibile, un po' perché il suo
direttore ne avrebbe approfittato per partire ancora per qualche giorno
alla volta della Spagna...
"Per me va bene, allora. Però ricordati che qui le cose le decido
io, okay?"
"Agli ordini. E per i pagamenti come ci accordiamo? In natura?"
Matthias inarcò le sopracciglia, che sparirono dietro la sua frangia
lunga, era davvero quasi ora che facessi visita ad un barbiere, e poi gli
rivolse un'occhiata allettata.
"Beh..."
"No, no, aspetta...quello capita già di norma. Preferisco un
assegno."
"Keith, sappi che sta per arrivarti una copia dei Buddenbrook in
piena faccia."
Lo minacciò, puntandogli contro un indice, che l'altro prontamente si
chinò a prendere tra i denti.
"Ahia! Non mi mordere! E io dovrei riuscire a lavorare con te? Oggi
sei peggio del solito!"
"E' che mi sento euforico."
Riuscì a rispondere senza mollargli il dito.
Oh, cavolo...se davvero fosse andato in negozio tutti i giorni sarebbe
stata davvero una settimana da ricordare.
Il rumore del campanello attivato all'apertura della porta lo fece
sobbalzare.
Cercò di girarsi, implorando dentro di sé che fosse solo un cliente e
non il padrone del negozio che aveva deciso di arrivare in
anticipo...certo che si sarebbe sentito in imbarazzo anche davanti a un
cliente, facendosi trovare schiacciato contro la cassa da un giovanotto
che lo stava mordicchiando con entusiasmo.
"Salve ragazzi! Non ci si vede da un po'."
Salutò Keith, e Matt approfittò per liberare la mano.
"Mi hai lasciato il segno!"
Si lamentò, voltandosi per vedere chi fosse entrato.
"Ti siamo mancati, Edg?"
Rain, con un sorriso da gatto che si è mangiato il canarino, procedette a
lunghi passi verso di loro, appoggiandosi al bancone con i palmi delle
mani e dondolandosi con nonchalanche.
"Chiedo scusa se abbiamo interrotto qualcosa."
Jael si avvicinò più civilmente, fermandosi solo un istante a
osservare pensosamente le costine dei libri che sporgevano da un
espositore.
"No, non avete interrotto nulla; solo un po' stupito dal fatto che
siate entrati dalla porta, invece di apparire dal niente come al
solito."
"Beh, ogni tanto facciamo un giro confondendoci in mezzo agli
umani... 'allo stato brado'. Sai, mescolarsi a voi per qualche giorno può
essere più utile che osservarvi dall'esterno per mesi. L'ultima volta qui
a Londra è stata...quando, Jael?"
"1840. Nei giorni del matrimonio della Regina Vittoria."
"Già, è vero. Che abiti scomodi, in quel periodo...molto meglio
questi."
Commentò, lisciandosi i jeans sulle cosce.
"Umani allo stato brado."
Ripeté asciuttamente Keith, sottolineando implicitamente che
quell'espressione non gli piaceva particolarmente. Per Matthias era invece
il contrario.
"Io la trovo divertente, come definizione: rende l'idea."
"Ah, vedo che io e il ragazzo ci capiamo!"
"Già allora c'era una libreria, in questo posto - Jael si guardò
intorno, parlò con voce assente, come se stesse riflettendo tra sé,
piuttosto che rivolgendosi a qualcuno - non c'era il soppalco, ma scaffali
altissimi, massicci... C'era odore di carta, cuoio, inchiostro e polvere.
Il pavimento era di legno, scricchiolava ad ogni passo. Ora invece non c'è
nessun odore, nessun rumore...nessuna bellezza."
Il legno sostituito da materiali più pratici e funzionali; non un
granello di polvere, neanche un filo fuori posto, libri in edizione
economica, destinati a sciuparsi in fretta, o dalla copertina di
tela...niente più pelle dalle bordure dorate ed eleganti.
Era un negozio dove tutto era razionale ed efficiente, ma privo di
fascino.
Asettico.
Probabilmente perché così voleva il progresso...perché migliorare in un
senso significava spesso sacrificare qualcosa in un altro.
Qualcosa...o qualcuno.
Cosa diavolo c'entrava quel pensiero, in quel momento? Perché quell'idea
doveva continuare a battergli e ribattergli addosso, rimbalzando come una
palla impazzita dentro alla sua testa, facendosi beffe dei suoi tentativi
di concentrarsi su qualcos'altro, serpeggiando tra pensieri, idee e
ricordi, rifiutandosi di lasciarsi mettere da parte, accantonare e
dimenticare.
Jael si infilò tra i bassi scaffali, curiosando distrattamente, sperando
di riuscire a distrarsi prima di finire in mille pezzi.
***
"Ha qualcosa che non va, forse?"
"Credo proprio di sì, ma non vuole dirmi cosa, e ho anche la
sensazione che, se potesse...mi eviterebbe."
"Non starai esagerando? Perché mai dovrebbe?"
"Provate a chiederglielo voi. E ad ottenere una risposta, se ci
riuscite. Qualcosa di diverso da 'non so di cosa tu stia parlando', che
negli ultimi tempi è diventato il suo ritornello."
Rain non poteva fare a meno di osservare il comportamento, i movimenti di
Keith e Matthias. Le loro mani che si incontravano, i loro corpi che si
sfioravano, quasi casualmente, attratti da un magnetismo naturale,
istintivo.
O come in quel momento, in cui il braccio di Keith, da sopra la spalla di
Matt gli cingeva il petto, mentre l'altro gli si abbandonava contro, e
alzava di tanto in tanto una mano per sfiorargli una guancia.
La vista quelle manifestazioni d'affetto gli opprimeva il petto, e
nonostante ciò, masochisticamente, non riusciva a distaccarne
l'attenzione.
Si ripeté che non provava invidia per il loro amore...non in forma
maligna, almeno; desiderava davvero di sinceramente che i due
potessero sempre essere così felici, ne avevano tutto il diritto, dopo ciò
che avevano vissuto, e ciò che ancora, probabilmente, dovevano passare.
Invece la persona che lui amava sembrava diventata completamente dimentica
di cosa fossero gioia o tristezza, e aveva anche il coraggio di affermare
che loro non provavano certi tipi di sentimenti...
No? Davvero?
Niente desideri, niente attrazione, niente amore?
Balle.
Nessuno, né umano né celeste, poteva dire di non provare nulla, e lui,
in particolare, nutriva ciascuna di quelle emozioni, e non faceva che
sezionarle una per una, analizzarle, osservarle sotto ogni aspetto e punto
di vista, misurandosele addosso come fossero state abiti...
E intanto Jael si stava allontanando da lui ogni giorno di più,
lentamente ma inesorabilmente, senza guardarsi indietro, e lui aveva paura
di non riuscire a raggiungerlo.
Probabilmente la cosa più saggia da fare sarebbe stata passare oltre,
lasciar perdere, raccontandosi che così come quel sentimento gli era
arrivato addosso, allo stesso modo se ne sarebbe andato, lui avrebbe
finito col dimenticarsene o almeno a pensarci con distacco... dopotutto si
è pur liberi di mentire a se stessi, no? C'era gente che lo faceva
continuamente e riusciva così ad essere serena e soddisfatta: bastava
chiudere gli occhi e fare finta di niente...ma quella era una cosa che lui
non era mai stato capace di fare.
La canzoncina allegra che improvvisamente udì in sottofondo non era per
niente adatta alle sue elucubrazioni; era una filastrocca infantile
cantata da una voce lievemente metallica.
Giocherellando con l'orecchino entrò anche lui tra gli scaffali, e
sbirciando silenziosamente; si trovò davanti all'improbabile, ed
impagabile, visione di Jael che studiava con interesse un libro sonoro,
uno di quegli aggeggi rumorosi e con le pagine di cartoncino che si
regalano ai bambini.
Pigiò un altro pulsante ed un gallo cantò.
Era semplicemente...irresistibile; in ogni senso, con quell'espressione
serissima, da bibliofilo, mentre maneggiava un giocattolo. Rain sentì le
proprie labbra tendersi fino all'inverosimile nel ghigno più divertito
che gli fosse capitato di fare da qualche tempo a quella parte. Inclinò
la testa per leggere ciò che c'era scritto sulla copertina.
"Gli animali della fattoria. - Dai tre ai sei anni -. Ma non sarà
troppo complicato per te?"
Jael lo guardò, sospirò appena e socchiuse gli occhi, come faceva ogni
volta in cui decideva di dare inizio a qualche scaramuccia.
Ma che facesse pure, lui aveva già pronte decine di risposte pronte...
Il biondo gli si avvicinò, mettendogli il libro praticamente sotto il
naso, poi una delle sue lunghe e curatissime dita pigiò uno dei pulsanti.
"...And this is a donkey..."
Ne seguì un raglio, sintetico ma inequivocabile.
Ecco, forse una risposta a quello non l'aveva proprio pronta sul momento.
"Mi stai forse dando dell'asino?"
"Moi?"
Chiese Jael, poggiandosi una mano sul petto, spalancando gli occhi
nell'espressione più innocente di cui era capace, ma con una scintilla di
divertimento che gli illuminava le iridi verdi.
Anche volendolo, Rain non riuscì a ribattere: le risposte adeguate che
avrebbe potuto concepire presero vagamente forma nella sua mente, ma
vennero lasciate incomplete, abbandonate a metà, abortite prima di
nascergli sulle labbra. Jael si aspettava una risposta da lui, ma non
avrebbe avuto quella che si aspettava.
"Sono contento di vederti sorridere di nuovo."
Capì di aver scelto le parole sbagliate quando lo vide rabbuiarsi, come
se quella confidenza sussurrata lo avesse messo a disagio, disturbato;
pentito di aver aperto uno spiraglio, di aver mosso un passo nella
direzione di Rain, si affrettò a indietreggiare subito. Ripose il libro e
oltrepassò il suo compagno, senza più guardarlo, dirigendosi verso l'ala
opposta della libreria.
A Rain parve di sentire freddo, a livello mentale, ma anche fisico: come
se vicino a lui fosse in realtà passata una nebbia di cristalli di
ghiaccio...un brivido gli corse lungo la schiena. Non era
possibile...aveva voglia di urlare.
[Che ti prende? Chi diavolo credi di essere? Guarda...ho solo provato ad
avvicinarmi a te e ti sei ritratto come se...come se ti facesse schifo.]
Era davvero così? Aveva forse capito tutto e per tale motivo lo
teneva a distanza? Sentì nel petto una specie di dolore che non aveva mai
provato prima.
** è una complicazione che preferisco lasciare agli umani**, ecco
cos'aveva detto Jael in merito; chissà, forse aveva ragione lui.
***
Guardava senza vedere i volumi allineati davanti a sé, aveva troppo a cui
pensare per riuscire a prestare attenzione.
Mostrare freddezza era difficile...e non aveva previsto che lo sarebbe
stato così tanto. Bastava un attimo per ritrovarsi a scherzare con lui,
come avevano sempre fatto.
Scherzare, e parlare, e studiare e litigare e ogni altra cosa...sempre
assieme.
Anche i loro nomi venivano sempre pronunciati assieme, Rain e Jael, Jael e
Rain, come se l'uno dovesse implicare necessariamente la presenza
dell'altro, come se fossero un'entità unica, inseparabile, con gli stessi
pensieri, le stesse emozioni, le stesse ambizioni...
No, maledizione!
Non c'era nessun dannato cordone ombelicale ad unirli.
Anche se non riusciva a ricordare un singolo giorno nelle loro esistenze
in cui fossero rimasti lontani l'uno dall'altro per più di qualche
ora...anche se il destino dell'uno dipendeva dall'altro...non c'era niente
di più che quello, e non era amicizia, non era un rapporto, non era
nulla.
Doveva stare più attento.
Doveva allontanarlo.
[Sì, tienilo lontano da te. Abituati a essere solo, perché presto lui
non ci sarà più. Assorbirai la sua vita come un buco nero risucchia la
luce, lo cancellerai, lo spegnerai, lo ucciderai. E lui che non sa niente
ti guarda con quegli occhi troppo espressivi e ti dice che è contento di
vederti sorridere. Sciocco, sciocco, sciocco!]
Fu costretto a scuotersi dai suoi pensieri quando qualcosa lo colpì sulla
schiena..qualcosa di grosso, e metallico...un espositore girevole vuoto.
"Accidenti, scusa, scusa tantissimo! Ho camminato all'indietro, stavo
leggendo, non ho fatto caso..."
La voce concitata apparteneva ad una ragazza, dietro di lui, che non riuscì
a vedere.
"Non importa, non mi sono fatto niente."
Rassicurò, piatto; l'espositore era di metallo, ma piuttosto leggero, non
l'aveva nemmeno sbilanciato, ma solo colto di sorpresa, svegliandolo di
colpo dal suo rosario di pensieri.
"Che succede, tutto bene?"
"Jael?"
Le voci degli altri, da dietro l'angolo.
"Me la cavo da solo, non occorre che veniate tutti qua."
Fece per muovere la testa, ma fu piuttosto doloroso.
"Ti si sono impigliati i capelli nelle griglie! Aspetta, ti aiuto a
liberarli."
"Strappali pure, faremo prima."
"Sei pazzo? Sono così belli, sarebbe un peccato. Lasciami
fare."
Sentiva dita leggere districargli i capelli, scorrere fra di essi,
liberare le ciocche prigioniere, delicatamente. Ancora non aveva visto la
sua interlocutrice, ma poteva averne una visione spirituale abbastanza
chiara, non era una novità per lui fissare l'anima senza prestare
attenzione al volto: un arcobaleno di colori.felicità, ma anche tristezza
nascosta a tutti. Sicurezza forzata...sogni, tantissimi sogni. Troppi per
una sola persona.
"Ho quasi finito...ecco...fatto."
Una mano gli sfiorò la spalla destra e lui si girò.
Un vestito corto, a piccoli fiorellini, capelli lisci, pieni di
treccioline, mollettine, nastrini...occhi scuri, tanto scuri da sembrare
completamente neri, come lucenti sfere di onice.
"Scusami ancora!"
Esclamò e sorrise incerta, chinando un po' la testa e guardandolo da
sotto le sopracciglia.
"Fa nulla" -la studiò ancora un istante - "Non sei
inglese."
"Come hai...è l'accento, vero? Accidenti, speravo di essere
migliorata di più! Vengo dalla Provenza, il mio nome è Magalie."
Gli tese una mano, e lui la accettò.
"Dopodomani torno a casa, ma sono riuscita a fare un'altra pessima
figura, ed è probabile che nel giro di quarantotto ore riesca anche a
farne altre."
Commentò lei, andando alla cassa con i suoi due acquisti sottobraccio.
"Quindici sterline."
Disse Matthias, controllando i prezzi. Keith da bravo allievo aprì la
cassa, Rain alzò lo sguardo dai sonetti di Shakespeare. La ragazza porse
venti sterline, ricevendo in cambio il resto e i suoi libri in una borsina
di cartoncino.
Guardò le cinque sterline prima di metterle nel portafoglio, e guardò
Jael.
"Senti...visto che ti ho praticamente investito, anche se mi hai
scusata, preferirei guadagnare il tuo perdono. Posso offrirti qualcosa al
bar?"
Oltre a quelli di Magalie, altre tre paia di occhi si fissarono in
aspettativa su Jael.
In quel momento desiderava davvero uscire da quel negozio, uscire dalla
vista di Rain, e degli altri.
Distrarsi, se era possibile...in un modo qualsiasi, ma allontanarsi e
tenere la mente occupata.
"Va bene. Andiamo dove vuoi."
Lei sorrise e si avviarono insieme verso la porta; uscirono e si
mescolarono alla gente in quella tarda mattina di inizio settembre.
"Non ci credo."
Disse Matthias, continuando a guardare la porta appena richiusasi.
"Hai visto quella come se lo è rimorchiato?"
Gli chiese Keith, e il ragazzo fece un pensieroso 'ah-ha'.
"E tu, Rain, hai visto come --"
"Ho visto, ho visto!" - esclamò, chiudendo di botto il libro e
incrociando le braccia "Non occorre farmelo notare, e tanto quello
non si sarà nemmeno reso conto di essere stato rimorchiato."
Ci fu qualche secondo di profondo silenzio, prima che l'ex-duca parlasse
ancora.
"Invidioso?"
Chiese.
"O geloso?"
Aggiunse Matthias guardandolo con occhio esperto.
"MA COME....uhm...ma come mi vengono in mente sciocchezze
simili?"
Veramente un pessimo attore...Matt uscì da dietro al banco e lo prese per
un braccio, trascinandolo con sé.
"Keith, ci pensi tu per un po' al negozio, vero? Io e Rain dobbiamo
fare due chiacchiere."
E sparirono entrambi nel retro.
"Siediti pure, io accendo il bollitore elettrico e faccio un po' di
thè. Come lo preferisci?"
"Eh?"
"Verde, nero, bianco, zucchero, limone, latte, alla menta, vaniglia,
gelsomino, fragola eccetera eccetera eccetera. C'è una bella scelta
qui...il mio capo è probabilmente imparentato con Keith."
"Per me è lo stesso. Fai tu."
Mugugnò lo spirito, incrociando le braccia sul tavolo e poggiando il
mento su un polso.
"Che vitalità, così all'improvviso."
Motteggiò Matthias, prendendo un paio di tazze.
"Allora, hai voglia di parlarne?"
"Del thè?"
Chiese, sinceramente stupito Rain, sbattendo gli occhi.
"Ooh, andiamo bene! Sei un po' distratto o sbaglio? Sto parlando di
Jael! Ti piace, vero?"
Il tono era sì quello della domanda, ma di una domanda retorica...quasi
un'affermazione.
"Come hai fatto a capirlo?"
"E' abbastanza chiaro, almeno per me...ricorda che ho una certa
esperienza in materia di sentimenti inespressi verso persone totalmente
inconsapevoli di essere oggetto di tanta attenzione. E poi un attimo fa
hai praticamente cambiato colore, non so se te ne sei reso conto...oh
guarda, già bolle."
"Non pensavo fosse tanto evidente."
"Beh, forse non lo è, per gli altri, ma per me sì. Lui come la
pensa?"
"Lui non la pensa."
Dichiarò Rain, mettendosi a sedere più compostamente quando Matthias gli
posò davanti una tazza fumante dal profumo fiorito. Doveva aver scelto il
thè al gelsomino.
Contò i cucchiaini di zucchero che il giovane umano metteva nella
tazza...due, tre, un attimo di riflessione e poi...quattro.
"Matt, guarda che qui sono io quello con le carenze affettive."
Fece notare, vagamente disgustato.
"Mi piacciono le cose dolci." - Rispose lui con un sorriso. -
"Allora non gli hai detto niente. Perché?"
"Perché non so come la prenderebbe, perché già si è staccato da
me e non voglio causare una rottura definitiva. Perché se sei così bravo
a capire quello che provo io per lui dovresti aver intuito anche quello
che non prova lui per me."
"Rain...sei davvero sicuro di quello che dici? Perché dovrebbe
prenderla male, anche se non ti ricambiasse? Dopotutto siete amici,
e--"
"Solo io dico che è mio amico, lui non ha mai usato tale termine per
riferirsi a me."
Sorseggiò un po' della bevanda, tranquillamente, come se la frase appena
pronunciata non gli fosse costata né sforzo né dispiacere.
"Mi sembra impossibile che sia così! Voi due--"
"Posso farti degli esempi, se vuoi. È come la differenza tra
compagni di scuola e amici...o tra colleghi di lavoro e amici. Un uomo può
passare quarant'anni della sua vita a lavorare accanto a persone con cui
chiacchiera, mangia, scherza, discute, ...e non per questo considerarle
sue amiche."
"Ma ci si può benissimo innamorare di qualcuno saltando la fase 'amico',
lo sai?"
Il ragionamento era del tutto giusto, semplice, ma lui non ci aveva mai
pensato...forse per vigliaccheria, perché rassegnarsi in anticipo
convincendosi di non avere comunque alcuna speranza gli poteva evitare una
possibile delusione.
Evidentemente, però, era venuto il momento di decidersi: tergiversare sul
discorso non lo avrebbe portato a nulla, mentre costringere Jael a
sbatterci contro con tutti i denti lo avrebbe almeno costretto ad una
reazione, ed una qualsiasi risposta forse era meglio di tutta
l'indifferenza e il distacco degli ultimi tempi.
In un modo o nell'altro avrebbe dovuto reagire...per forza.
"Forse hai ragione...gli dovrei parlare seriamente. E prima lo farò
meglio sarà."
"Vuoi raggiungerlo subito?"
"Esattamente! Devo solo rintracciare la sua aura e posso trovarlo
ovunque sia andato."
Rain si concentrò, ma la sua espressione si fece via via più tesa,
contratta, come se stesse incontrando delle difficoltà.
"C'è qualcosa che non va?"
"Si sta schermando; non posso fare niente per trovarlo, se nasconde
la sua vibrazione...lui può avvertire che lo sto cercando, ma nonostante
ciò continua a oscurarsi. È come quando voi umane inserite la segreteria
telefonica anche se siete in casa, per filtrare le telefonate sgradite. In
pratica, sono uno scocciatore."
Concluse con uno sbuffo a metà tra il rassegnato e il sarcastico; buttò
giù quel che restava del thè e si abbandonò contro lo schienale della
sedia fissando il soffitto. Che tentativo incoraggiante, aveva quasi
voglia di ridere.
Di se stesso, certo, ma comunque di ridere.
Cretino lui, a sentirsi uno straccio per quella specie di...di
presuntuoso, via, tanto per limitarsi ad usare un termine che non
necessitava censure.
"Rain, mi spiace..."
"Non dispiacerti per le azioni degli altri, è solo uno spreco di
energie. Grazie per l'aiuto, piuttosto."
"Non mi sembra d'essere stato molto utile."
"E' il pensiero che conta. Per me ha molto valore." - si alzò,
e andò sulla soglia a sbirciare ciò che stava avvenendo in negozio, e
quando tornò a voltarsi aveva di nuovo sul viso un'aria sorniona -
"Credo che faremmo meglio a tornare di là, adesso. C'è un gruppetto
di ragazzine civettanti che sta cercando di spingere il tuo bel
fidanzato in un angolo poco illuminato...oh, beh, tanto credo che lui non
se ne sia nemmeno accorto. Certe cose non cambiano mai..."
***
"Matt, cercavo solo essere gentile!"
"Tu volevi essere gentile, quelle stavano flirtando!"
"Mi stavo impegnando a vendere qualcosa! Va a vantaggio tuo,
no?"
"Non mi pagano mica a provvigione!"
Keith lo guardò intensamente e poi sogghignò, divertito.
"Sei geloso!"
Matthias arrossì, colto alla sprovvista.
"Non è vero!"
"E invece sì."
Incalzò, muovendo due passi avanti e bloccandolo contro il muro,
rivolgendogli uno di quei suoi sorrisi che non lasciavano scampo.
"Ecco, io...forse un po'."
"La cosa mi lusinga, ma non ne hai nessun motivo."
E approfittando del fatto di non avere per il momento nessun cliente gli
diede un bacio.
"Matt, hai divorato un pacco di caramelle, mentre eri di là?"
Gli chiese, dopo essersi staccato da lui.
"No, perché?"
"Mah, mi hai mandato la glicemia alle stelle...meno male che la tua
bocca è l'unica cosa dolce che mi piaccia."
***
Rain li osservò, nuovamente con quella sensazione stringente di
malinconica invidia; gli sarebbe bastata anche solo la metà di ciò che
avevano loro.
Li guardò ancora per qualche istante, poi silenziosamente scomparve,
sentendosi pateticamente di troppo.
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