NOTE: le parti racchiuse
tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel
passato.
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice
il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci,
dei protagonisti.
In un paese
d'estate
di Unmei
parte X
[Maledizione!]
Sceso dall'auto,
riparandosi con l'ombrellino pieghevole che teneva d'abitudine sotto il
sedile, Keith esaminò la brutta strisciata lungo il fianco ammaccato
della macchina; a voler essere molto ottimisti, erano trecento sterline di
danno. Poteva ancora dirsi fortunato di essere lì a lamentarsi, e non
accartocciato contro un guardrail; per un attimo, quando aveva perso il
controllo dell'auto, aveva davvero pensato di essere arrivato a fine
partita.
[Che
ti serva se non altro ad imparare a rispettare i limiti di velocità,
almeno quando c'è un diluvio universale in corso.]
Si ammonì, anche
se, sapeva bene, inutilmente; quando viaggiava da solo finiva sempre con
il correre come un incosciente.
"Speriamo
che Matthias non si arrabbi troppo…..ha rischiato di diventare vedovo,
oggi!"
***
La
casa era stranamente buia e silenziosa; che fosse uscito?…..ma per andare
dove, con quel temporale?
Impossibile
poi che fosse già andato a dormire, era troppo presto; erano da poco
passate le nove mezza di sera; era in ritardo sulla tabella di marcia che si
era prefissato, ma non di moltissimo, e poi, pure fossero state le tre di
notte, sapeva che l'altro lo avrebbe aspettato in piedi.
"Matt?
Ci sei?"
Chiamò
accendendo la luce, senza avere alcuna risposta.
Fece
alcuni passi, guardandosi intorno, percependo un'atmosfera negativa,
pesante, che non gli piaceva per niente; poté sentire a livello interiore
che era successo qualcosa di brutto, e cominciò a preoccuparsi seriamente.
Eccolo,
accoccolato in terra, nell'angolo formato dal divano e il muro, gli occhi
gonfi e spalancati ma lo sguardo assente, il viso
esangue; non gli rispose, né voltò la testa per guardarlo; rimase
immobile dove si trovava, come una statua di cera.
Keith gli
si inginocchiò accanto, una spina gli stava premendo il petto,
affondandogli più profondamente nel cuore ad ogni battito.
"Stai
bene?"
Le sue
parole non lo scossero dal torpore, né gli fecero muovere gli occhi; ora
che lo osservava più da vicino, poté accorgersi del lievissimo tremare che
gli scuoteva ogni muscolo.
"Matt,
rispondimi, per favore."
Chiese,
con voce turbata, prendendolo gentilmente per le spalle.
Lentamente,
come in un movimento al rallentatore, finalmente Matthias si volse verso di
lui, e lo fissò muto per alcuni secondi.
E poi urlò.
Urlò,
spaventato, e tentò di allontanarlo, di svincolarsi, di fuggire.
Keith
sentì una sua mano raggiungergli il viso e graffiarlo di traverso, vicino
alla bocca, ma non lo lasciò andare; lo strinse anzi più forte,
scuotendolo.
"Matthias,
calmati! Sono io! "
I
movimenti del ragazzo si fecero via via meno violenti, e poi, di colpo, si
bloccarono, lasciandolo immobile, smarrito, come se avesse esaurito ogni
energia.
"Sono
io."
Gli ripeté
sottovoce, passando e ripassando le dita tra i suoi capelli. Forse quel
gesto era meglio delle parole, per riportarlo alla coscienza; poteva
sembrare una cosa da niente, ma lui, personalmente, considerava quel
contatto molto intimo.
"K-Keith?"
Nei suoi
occhi passò un lampo di riconoscimento, e con un sospiro si afflosciò
contro il suo compagno che era finalmente tornato da lui.
"Io…..io
credevo che fossi tu. Credevo…..e invece….."
Disse,
esausto, singhiozzante, chiudendo gli occhi, da cui uscirono due scie
bollenti di lacrime.
Non ce la
faceva a dire altro, a spiegare, a raccontare, sentiva addosso un peso,
vergogna, senso di colpa, e stanchezza…..soprattutto tanta stanchezza.
"Cosa
è successo? Me ne vuoi parlare?"
Le
braccia di Matthias si strinsero come morse attorno a
Keith, e il ragazzo gli si spinse contro, così forte
e disperatamente che sembrava desiderasse potersi fondere, sparire
dentro di lui…..almeno, lì, niente avrebbe potuto raggiungerlo, nessuno
gli avrebbe mai più fatto del male, non ci sarebbero state altre
ingiustizie.
In
risposta gli sussurrò solo due parole, ma furono più che sufficienti perché
Keith capisse tutto.
"Era
Thomas….."
E poi non
ce la fece più, tutto quel che rimaneva delle sue forze lo abbandonò, e
rimase come una bambola rotta tra le braccia di lui, la fronte contro il suo
petto.
"Mio
dio."
Lo
stomaco gli si torse tanto da fargli male, tutto il fiato che aveva nei
polmoni sparì di colpo, lasciandoli come sacchi vuoti in cerca di aria che
non riuscivano a trovare.
Aveva
dovuto rivivere quell'orrore; l'esperienza peggiore che potesse capitare a
chiunque…..e aveva dovuto riviverlo da solo, completamente impreparato.
Cominciò
a cullarlo, avanti e indietro, cercando così di confortare non solo Matt,
ma anche se stesso.
"Mi
dispiace…..mi dispiace. Speravo che tu non dovessi ricordare anche questo;
speravo di poter creare per te abbastanza felicità da tenere lontani questi
spettri, da riuscire a cancellarli….. ma non ci sono riuscito.
Scusami."
Desiderò
intensamente poter tornare indietro nel tempo, all'infanzia della sua vita
precedente, per poter uccidere Thomas quando era ancora un bambino, prima
che la sua schifosa presenza insudiciasse il mondo, prima che posasse non
una mano, ma già solo uno sguardo, su chi lui amava…..avrebbe barattato
la sua esistenza attuale con quella opportunità, se fosse stato possibile.
Matthias
gli accarezzò una guancia, richiamandolo dai suoi pensieri.
"Io
non potrei essere più felice di così…..è successo quel che doveva
succedere, non possiamo farci nulla. Ora che sei qui, però, va di nuovo
tutto bene…..anche se ho ancora voglia di piangere, anche se non riesco a
capire perché ci debba essere stato tanto dolore nelle nostre vite, anche
se mi sento male…..e so che non potrò mai dimenticare." - la mano
scivolò giù, stanca, mentre il ragazzo parlava con voce delicata, molto più
del solito, una voce che sembrava più quella di Ewan che non quella di
Matthias - "I temporali…..è per questo che ne avevo tanta paura, da
piccolo? Per questo che poi hanno sempre continuato a lasciarmi
inquieto….."
Non si
aspettava una risposta, sapeva già che era così.
Keith
gli baciò le labbra, un bacio lungo, ma lieve, per ribadire la sua
vicinanza, per cercare di comunicare un po' di sicurezza, un po' di calore
in quel corpo che ancora tremava; non avrebbe avuto comunque il coraggio di
spingersi oltre, in quel momento; era meglio concludere così quella
giornata, sperando che la notte smorzasse i toni vividi dei momenti
rivissuti.
Si
alzò in piedi, tenendolo fra le braccia, con cautela; com'era
leggero…..così tanto che se ne stupiva sempre; non fu nessuna fatica
salire le scale, portarlo nella loro camera e sdraiarlo sul letto ancora
sfatto.
Lo coprì
con il lenzuolo e poi andò a sedersi dal proprio lato, appoggiandosi alla
spalliera.
"Riposati,
ora. Dormi. Io sono qui."
Senza una
parola Matthias si rannicchiò contro di lui, circondandogli la vita con le
braccia posandogli la testa in grembo, fiducioso come un bambino, languido
come un gatto.
"Ti
amo, Matt. Mi sembra di non dirtelo abbastanza."
Sentì il
suo lento annuire, l'ultimo movimento, prima che il ragazzo, stremato, si
addormentasse.
***
Sarebbe
potuto rimanere anche per ore a guardarlo dormire: non gli pesava restare
sveglio se, come in quel momento, poteva vedere il suo viso sereno,
rilassato, immerso in sogni che non avevano niente di minaccioso: sogni
felici, gli unici che avrebbero dovuto riempirgli il cuore e gli occhi.
Che luogo
strano, i sogni; adagiati nei recessi della mente, sempre brutalmente
sinceri; impossibile fingere, o mentire, agli altri o a se stessi,
impossibile difendersi, essere razionali e padroni del proprio
agire……ecco il motivo per cui lui detestava sognare, ed era grato che la
maggior parte delle sue notti fossero solo abissi di buio e d'oblio, come
piccole morti.
Intanto,
però, le tempie di Keith avevano preso a pulsare per il mal di testa,
scaricando tutta la tensione che il suo corpo aveva assorbito.
[Ho
bisogno di un'aspirina.]
Si disse,
scostando cautamente Matthias da sé, che reagì con un lamento, come se,
pure nel sonno, si fosse accorto della perdita del loro contatto.
"Torno
subito."
Gli
sussurrò, alzandosi.
***
Ingoiò
un paio di compresse, buttandole giù con del succo di pompelmo, e prima di
tornare a letto si fermò in bagno, facendo scorrere l'acqua nel lavandino
fino a che non fu gelida, e riempiendosi le mani sotto il getto, si bagnò
il viso, sentendosi subito meglio; cominciava ad avvertire il peso della
stanchezza, ma non voleva dormire.
[…..ti
credi migliore di me?…..]
Keith si
rialzò di scatto, gocciolante, riflettendosi nello specchio di fronte a
lui; si trovò davanti agli occhi un riflesso che non gli sembrava il suo,
benché fosse sempre lo stesso; quel viso lo guardava, derisorio, come un
nemico, e sentì dentro la propria testa una voce che avrebbe preferito
dimenticare.
[Assassino!]
Lo accusò
essa, beffarda.
Keith la
zittì, o ci provò, tappandosi le orecchie.
[Assassino!]
[Assassino!]
[Assassino!]
"BASTA!"
Ruggì
alla fine, scagliando contro lo specchio un pugno così violento da sfondare
lo sportello, fracassando il vetro, spargendo schegge taglienti.
"Che
vuoi da me? E' stata colpa tua, Thomas…..soltanto colpa tua."
Guardò
il sangue scorrere dalle proprie ferite, lento. I tagli pizzicavano, ma non
poteva dire che fosse spiacevole….. anzi, era quasi affascinante quella
visione di rosso calore che fuoriusciva da lui.
Un
assassino…..già. E per niente pentito.
[Ne
sei proprio certo?]
---Sì…..
ne sono sicuro. Forse. Non lo so più.---
[Lo
sai, vero, di essere quasi pazzo, Keith.]
[Pazzo
esattamente quanto lo eri quando moristi.]
[Basterebbe
davvero poco a rompere il tuo equilibrio…..]
[Pensa
se tutto questo non esistesse, se questo tuo prezioso mondo non fosse altro
che la lunga, agonizzante, fantasia di un moribondo. Se tu fossi ancora- -]
"Stai
zitto; tu sei morto." - Si ripulì la mano passandosela sulla camicia,
sporcandola di rosso - "E io non ti lascerò rovinare le nostre vite
un'altra volta."
***
Tornò
a letto, e si distese accanto a Matthias, circondandolo con un braccio; il
suo respiro quieto lo rasserenava; il semplice fatto che stesse dormendo lo
faceva sentire tranquillo: significava che quel trauma sarebbe stato
superato in fretta, almeno quella volta. Ewan non aveva dormito per giorni,
dopo la violenza subita: era
rimasto muto, spaventato, con la febbre addosso.
Anche
Ewan aveva gridato, quando lo aveva visto…..e poi aveva pianto….. e gli
aveva fatto una sola richiesta, alla quale lui non aveva consentito…..
E poi si
era chiuso in quel terribile silenzio, e in una specie di bozzolo di dolore,
che avvolgendolo lo prosciugava di ogni energia…..
"
Temetti di aver perso per sempre il tuo sorriso….. Se mi fossi accorto
prima dei tuoi sentimenti, e dei miei,….. chissà se avrei potuto cambiare
qualcosa."
######"Signore,
finalmente! Siete in ritardo, temevo che qualcosa vi fosse capitato lungo la
strada!"
"Ci siamo dovuti cercare un riparo a causa del temporale, e poi
i cavalli, nel fango, hanno avanzato più lentamente. Per favore, più tardi
passa dalla mia stanza, Adelius: mi sono fatto male ad una spalla durante
una quintana; non sento quasi più alcun fastidio, ma vorrei che tu ci dessi
lo stesso un'occhiata."
Il
vecchio alchimista, dalla figura ossuta e nervosa, si avvicinò
gesticolando.
"Ancora quello stupido gioco? Non capisco quale
divertimento ne traiate; siete stato disarcionato?"
"Non scherzare, nessuno e niente mi ha mai tirato giù da
cavallo; ho solo colpito il bersaglio un'angolazione sbagliata. Ti aspetto
tra poco."
***
Aprì
la porta della propria camera e rabbrividì; per il freddo di quella stanza,
sembrava d'essere ancora all'aria aperta; il fuoco era spento, una delle
finestre spalancata.
"Ewan, ci sei?"
…..no,
niente, nessuna risposta.
Velocemente
Edgard prese una delle torce che ardevano nel corridoio ed entrò,
cominciando per prima cosa ad accendere alcune candele, poi buttò la
fiaccola nel camino, insieme ad un paio di ciocchi, per scaldare nuovamente
la camera; infine richiuse lo scuro, cercando di aggirare la pozza d'acqua
piovana che si era formata sul pavimento.
Finalmente
nella stanza ci fu abbastanza luce perché riuscisse a vedere
qualcosa…..anche se, per ciò che gli si mostrò davanti agli occhi,
avrebbe preferito che avesse continuato ad esserci solo e sempre il buio.
Rannicchiato
sul proprio letto, nudo e pallido, si era fatto il più piccolo possibile,
come se sperasse di potersi chiudere su se stesso e sparire.
"Ewan?"
Si
avvicinò al giaciglio, sentendo due odori mischiarsi a quello della
pioggia; quello metallico del sangue, ed un altro, inconfondibile…..
No…..non
era possibile che…..
Odore
maschile, odore di sperma…..
Sangue…..era
sangue davvero, ormai secco, quello che gli striava le cosce, sangue quello
che macchiava la coperta, sangue quello che aveva all'angolo della bocca, e
sul labbro rotto.
E
poi marchi rossi, e lividi,
macchie bluastre sulla pelle pallidissima, che risaltavano crudelmente, sui
fianchi, sulla schiena, sulle braccia che aveva posto dinanzi a sé in
tentativo di difesa.
Edgard
barcollò e cadde seduto sul letto, accanto a quella figura tremante; fu
sicuro che il suo cuore avesse smesso di battere, che il mondo intero avesse
cessato di esistere, il tempo di scorrere.
Gelido,
tale lo sentì quando lo prese fra le braccia; freddo, come se non avesse più
una briciola di calore in tutto il corpo, e inerte, persino il suo respiro
era così sottile da essere appena
percettibile.
"Ewan…..Ewan, ti prego, parlami. Ti prego….."
Era
come se qualcosa gli stesse strappando il cuore via dal petto, un pezzo alla
volta, sadicamente…..come se il dolore più atroce che si potesse
immaginare, ancora moltiplicato per mille, per diecimila, gli mordesse le
membra, fino nelle ossa, spezzandole; come se il fiato bruciasse come fumo
acre nella gola, proprio come tale gli facesse salire le lacrime agli occhi.
Si
inumidì il pollice e, piano, cancellò una macchia di sangue dal mento di
quel giunco spezzato.
"Piccolo mio…..tesoro….."
La
voce gli sfumò in un sussurro, e si rivide davanti un bambino di dieci
anni, che si guardava attorno impressionato, la prima volta che entrava
nella sua dimora, e che lo seguiva ovunque con occhi felici ed adoranti,
timido, ma pieno di entusiasmo, lasciandosi ogni giorno alle spalle un po'
della tristezza e delle difficoltà che aveva dovuto attraversare già a così
giovane età. Un bambino dolce che diventò per lui prezioso,
indispensabile; che era cresciuto in un ragazzo che arrossiva facilmente, e
che, con un solo sguardo, esercitava su di lui più influenza di quanta ne
avrebbero mai potuta avere baroni, grandi uomini d'arme o vecchi e illustri
consiglieri.
La
voce del duca dovette attraversare un oceano di nebbia prima di poter
raggiungere la coscienza del ragazzo, e destarlo dal suo torpore, anche se
di poco, come una scintilla circondata da tenebre troppo fonde per poter
essere dissipate da una luce fioca.
Gli
occhi stravolti del servo si voltarono verso il padrone, e si fissarono sul
suo volto, riempiendosi di nuovo di emozioni sconvolte.
"NO!
NOO!"
Con
un grido, debole, perché ogni forza gli falliva, Ewan tentò di
allontanarsi da lui, terrorizzato, coprendosi il viso con un braccio.
"Basta! Lasciatemi stare, per favore,
lasciatemistarelasciatemistare….."
L’altro
lo trattenne, continuando a chiamarlo, insistente, fino a quando il suo
dibattersi scemò fino a spegnersi del tutto.
"Ewan, sono io…..sono Edgard. Sono tornato."
Gli
occhi rossi e lucidi che si posarono su di lui finirono di spezzargli il
cuore: sembravano una ferita aperta sulla carne viva…..uno squarcio
nell’anima, attraverso il quale si vedeva un paesaggio che, un tempo
sereno e radioso, era ridotto ad una landa desolata.
"P-padrone?"
C'era,
nella sua voce, incredulità e speranza, spavento e disperazione, come se
desiderasse implorare aiuto ma non avesse il coraggio di chiederlo.
"Sì…..adesso sono qui. Non avere paura."
Gli
affondò la testa nel petto, squassandosi di singhiozzi dolorosi.
"Va bene, va bene…..piangi quanto ne hai bisogno."
"Non guardatemi….."
Chiese
soffocato il ragazzo, e se avesse avuto abbastanza energie sarebbe fuggito
da quell’abbraccio, da quella camera, sarebbe andato a nascondersi chissà
dove…..ma non ce la faceva…..non ce la faceva a staccarsi dal calore
affettuoso e rincuorante del suo signore, dal tepore delle braccia che lo
avvolgevano, che sembravano
fatte apposta per stringerlo e guidarlo nella dimenticanza. No, non riusciva
a lasciarle…..l’unica cosa che poteva fare era quella richiesta
straziata e piena di vergogna.
"Non guardatemi, non mi dovete guardare…..io
sono…..sporco."
"Shhhh…..Continuerò a guardarti, invece. Niente potrà
mai sporcarti, ma in ogni caso…..credi forse che, a causa di quello che è
successo, potrei volerti meno bene?"
Gli
chiese, chinando la testa sulla sua. Edgard si slacciò il mantello e lo
passò attorno alle spalle di
Ewan, strofinandolo, massaggiandolo, per riportare calore nel suo sangue,
cercando di placare il violento tremare di freddo e paura. Rimase in
silenzio, lasciando che si sfogasse; che parole poteva trovare per lenire un
dolore simile? Quali parole, che non sembrassero sciocche?
"Chi
è stato, Ewan? Chi ti ha fatto questo?"
L'altro
strofinò la testa contro di lui, in diniego, e non gli rispose; lentamente
Edgard lo rimise giù, e lo fece distendere, asciugandogli il viso divenuto
privo d'espressione.
"Me lo devi dire."
Ewan
si stringeva una mano al petto, serrata a pugno, da cui usciva un unico,
sottile filo di sangue. Il duca la prese fra le sue e delicatamente la aprì,
scostando le dita serrate e scoprendo l'oggetto che esse nascondevano: un
fermaglio d'oro brunito e filigranato, i cui bordi frastagliati e pungenti
erano penetrati profondamente nel palmo del ragazzo, ferendolo in più
punti. Il metallo era sporco di rosso, come anche la pietra preziosa montata
al centro del gioiello.
Rosso,
lo stesso colore di cui si tinse la vista di Edgard nel riconoscere quella
spilla.
"E' stato Thomas? E' stato mio fratello?"
Non
seppe come riuscì ad evitare di gridare, probabilmente si trattenne solo
per non spaventare ancora di più il ragazzo, che, murato nel suo silenzio,
al sentir nominare il suo violentatore, si raggomitolò nel mantello del
padrone, nascondendo la testa.
Edgard
scattò in piedi, infuriato, sentendo un'energia irresistibile e omicida
scorrergli in corpo, mangiandosi in una volta sola tutta la stanchezza del
viaggio che aveva ancora addosso. Se avesse dovuto affrontare una battaglia
in quel momento, sentiva che lui da solo sarebbe riuscito a fare mattanza di
un intero esercito, e nemmeno quello sarebbe stato sufficiente a placarlo.
Prese
il suo pugnale preferito, con il manico d’avorio, lo estrasse dal fodero e
ne saggiò la lama. Poi, soddisfatto dal filo tagliente, uscì dalla camera,
per dare al mondo una vedova in più; ed anche più d’una, se qualche
incosciente avesse avuto la pessima idea di mettersi tra lui e il suo
gemello.
***
Lungo
il corridoio, svoltato il primo angolo, poco ci mancò che non si scontrasse
con Adelius: Edgard gli passò oltre, senza rivolgergli la parola, troppo
focalizzato sul suo obiettivo per badare ad altro, ma la sua espressione
cupa e feroce era tale che l'alchimista si preoccupò e lo fermò, o almeno
ci provò, prendendolo per un braccio.
"Stavo venendo da voi come mi avevate chiesto
signore." – disse, e poi vide l’inconfondibile l'impugnatura della
daga spuntare dalle pieghe della tunica - "Ma dove state
andando?"
"Ad ammazzare mio fratello."
Rispose
gelido Edgard, scrollandosi l'uomo di dosso e proseguendo per la sua strada.
Adelius
rimase inebetito per alcuni secondi, a chiedersi se avesse davvero sentito
bene o se le sue vecchie orecchie gli avessero giocato uno scherzo. Quello
poteva anche essere, ma i suoi occhi erano sanissimi, e non avevano mentito
nel vedere il desiderio omicida sul volto del giovane nobile. Cercò di
nuovo di bloccarlo, afferrandolo per la stoffa della blusa.
"Fermo! Siete impazzito?"
"Lasciami, Adelius! Non farmi perdere tempo."
"Non vi lascio affatto, invece! Sono stato vostro
precettore, ed esigo almeno un po' di rispetto; siete appena ritornato, cosa
è successo di grave in questo breve lasso di tempo da irarvi a questa
maniera?"
"Quel…..bastardo, lurida imitazione di essere
umano….."
"Edgard! È di vostro fratello che state par-"
"HA VIOLENTATO IL MIO EWAN!"
Violentato;
mentre la parola gli usciva dalle labbra, per la prima volta la comprese
pienamente in tutto il suo orrore. Lui non poteva nemmeno lontanamente
immaginare come doveva essere un'esperienza del genere…..non poteva
riparare il danno che era stato fatto, non poteva trovare le parole adatte a
sanare le ferite che erano state aperte, a cancellare le cicatrici, a lavare
via l’orrore dallo spirito di Ewan…..ma una cosa c’era, che poteva
fare…..
Quella
sì, con estremo piacere…..
Vendetta.
Far
scorrere il sangue.
Era
un bel po' di tempo che non vedeva il sangue di un uomo…..sarebbe stata la
prima volta che lo avrebbe versato al di fuori di una battaglia, come aveva
fatto la prima volta, a sedici
anni…..
La
prima volta, al di fuori di un torneo o d'una giostra…..
La
prima volta che sentiva una fredda determinazione a uccidere, a massacrare
un uomo fino a lasciare per terra qualcosa
che non sarebbe stato riconosciuto nemmeno dalla sua stessa
madre.
"State…..scherzando."
"Per niente. Ora lasciami fare quello che devo."
Edgard
diede uno strattone, ma l'uomo non mollò la presa su di lui, nonostante ci
mancò poco che ruzzolasse per terra.
"Se ciò che mi avete detto è vero, perché ora non
siete con quel ragazzo?"
"C-cosa?"
"Il vostro servitore ha più bisogno della vostra
presenza che non della vostra vendetta. Se vi importa di lui, e decisamente
mi pare di sì, in questo momento dovreste essergli accanto, e non qui a
cercare di mettervi in pericolo con le vostre stesse mani."
Le
parole di Adelius gettarono improvvisamente acqua sul fuoco, e lo fecero
vergognare di se stesso; desiderava ancora uccidere, ma l'anziano aveva
ragione: sarebbe dovuto rimanere con Ewan, invece di lasciarlo di nuovo da
solo, pensando per prima cosa a vendicarsi.
"Sì, ma io…..io non ci ho visto più" - Edgard si
appoggiò al muro con una mano e fissò il pavimento di pietra ai suoi piedi
- "Il solo pensiero di quello che gli ha fatto mi fa desiderare di
fracassargli la testa a mani nude…..però hai ragione, dovrei essere
insieme a Ewan, in questo momento."
Il
suo interlocutore annuì, lasciandolo andare.
"Avanti, allora, vengo con voi; visiterò il ragazzo, va bene?"
***
Non
fu facile per il medico esaminare Ewan, che quasi non gli permetteva di
avvicinarsi, né tantomeno di toccarlo, rincantucciato in un angolo del
letto come un animale ferito; alla fine, però, il ragazzo si arrese, e
indifferente a tutto lasciò che Adelius tastasse le sue ecchimosi, e che
controllasse le sue abrasioni e la pelle lacerata.
Edgard
era rimasto in piedi, accanto al letto, con le labbra pallide e tirate,
pieno di rabbia, ma ancora di più di frustrazione e di illogico senso di
colpa.
“Se
gli avessi insegnato a combattere, piuttosto che a legger versi…..”
“Avreste solo peggiorato la situazione.”
Completò
pacatamente il medico, cercando di curare i tagli sulla palmo del paziente,
che però ricominciò a ritrarsi nel momento in cui il suo tocco si fece più
insistente.
“Che
vorresti dire?”
“A
parte…..” – l’anziano coprì di nuovo Ewan, e poi si voltò verso il
cavaliere – “che in quanto a forza fisica non ci sarebbe stato alcun
paragone, io credo piuttosto che se il ragazzo avesse opposto più
resistenza di quanta non abbia già fatto, Thomas avrebbe infierito ancora
di più su di lui. E se al contrario fosse riuscito a difendersi,
ferendolo…..non credo serva che vi dica quello che sarebbe accaduto, poiché lo
sapete benissimo anche voi.”
Probabilmente
aveva ragione Adelius, ma il pensiero non lo faceva stare meglio, tutta la
mente di Edgard era un calderone di ‘se…..’
“Ewan
fisicamente non ha nulla di grave, ma purtroppo gli sta salendo la febbre;
può darsi che sia dovuto allo shock, o al freddo che ha preso. Come avete
visto non mi permette di toccarlo più di tanto, e insistere in questo senso
sarebbe inutile per me e dannoso per lui. Sarebbe meglio se vi occupaste voi
di curarlo.”
"Io? Ma non sono in grado di--"
"Siete capace di medicare piaghe conseguite in battaglia,
sanguinolente e infette, quindi, per quel che riguarda il corpo, la scienza
non vi fa difetto. Ed in quanto alle ferite che ha nell'anima, credo solo
voi possiate sanarle; siete la persona che gli è più vicino, e credo anche
quella che gli vuole più bene."
"Ciò che dici è vero, però….."
Edgard
guardò Ewan, e sentì di avere paura; paura di sbagliare qualcosa, di non
riuscire ad aiutarlo come avrebbe voluto, di peggiorare la situazione, di
confondere ancora di più i propri sentimenti. Ma se non lo avesse aiutato
lui, chi altri lo avrebbe fatto?
“Vi
porterò una medicina contro la febbre e degli unguenti; in ogni caso,
ripasserò a visitarlo.” – si diresse verso la porta, fermandosi sulla
soglia e voltandosi indietro – “Cercate di non commettere sciocchezze;
capisco la vostra rabbia, ma consumare la vendetta vi metterebbe in una
situazione molto difficile. Inoltre vi ricordo che vostro fratello ha dei
figli e che, nonostante tutto, per loro è un buon padre; voi certo non
volete che altri innocenti abbiano di che soffrire.”
Adelius
se ne andò, senza aspettare risposta, visto comunque non ne attendeva
alcuna.
Edgard
prese tra le braccia Ewan e lo portò vicino al fuoco, facendolo sedere dove
il pavimento era diventato piacevolmente tiepido, e poi mise un tegame
d’acqua a scaldare accanto alle fiamme.
“Ti
prometto allora che non lo ucciderò, Adelius, ma solo questo.”
Intinse
la pezzuola nell’acqua ormai calda e la passò come una spugna lungo un
braccio di Ewan, e poi sull’altro; la sciacquò e ripeté l’operazione,
sulle spalle, il petto, le gambe.
Lentamente
lo lavò tutto, in silenzio, mentre il ragazzo teneva la testa voltata per
non guardarlo: Era anche più difficile di quanto s’aspettasse. Il volto
di Ewan era stanco, ma lui non voleva rimetterlo in un letto che portava il
segno di quanto era accaduto quella sera…..avrebbe bruciato quelle
lenzuola e ciò che esse rappresentavano.
Edgard
decise dunque di portare Ewan nel proprio, adagiandolo mollemente al centro
di esso…..il letto del duca era grande il doppio di quello del valletto, e
su di esso il ragazzo sembrava quasi perdersi.
“Ewan, mi dai il permesso di curarti?”
Il
cenno affermativo che ebbe in risposta fu così lieve, un abbozzo appena,
che forse il vederlo fu solo un ingannarsi. Gli stava scivolando via; Ewan
stava andando a rinchiudersi in un luogo che lui non sarebbe riuscito a
raggiungere, in una stanza di cui non avrebbe trovato la chiave…..se non
avesse fatto qualcosa subito, se non fosse riuscito a scuoterlo…..lo
avrebbe perso.
Gli
parlò, non importava se non avrebbe risposto subito; prima o poi un gesto,
o una parola, gliela avrebbe regalata. O almeno lo sperava.
"Per prima cosa, prendi questo" - disse, versando
della polverina in un bicchiere d'acqua - "Serve a non far alzare la
febbre."
Solo
un sorso, ed Ewan distolse la labbra allontanando da sé il bicchiere.
"Lo so che è amaro, ma devi berlo. Avanti, almeno un
altro po'."
Al
persistere del rifiuto preferì non insistesse, ma posò per terra la coppa
con la medicina, con un sospiro; non stava certo iniziando bene
Prese
dunque una bottiglietta di vetro scuro, e ne svitò il tappo.
“Ecco, anche questo lo ha portato Adelius: è olio di
calendula, addolcisce la pelle e placa il bruciore; poi c’è anche un
unguento alla mirra, serve a cicatrizzare e a disinfettare; li userò
assieme, va bene? Senti, hanno anche un buon profumo.”
La
forzata fermezza della sua voce suonava ridicola alle sue stesse orecchie, e
quelli che erano i suoi veri sentimenti si mostravano chiaramente attraverso
le mani che gli tremavano; ma il silenzio sarebbe stato intollerabile e
pungente, non lo avrebbe più resistito. Almeno le parole tessevano un filo,
creavano un contatto, riempivano l'aria, anche se erano vuote.
Versò
qualche degli unguenti nel palmo di una mano, mescolandoli, e cominciò a
spalmarli con calma e delicatezza sulle abrasioni e i graffi di Ewan, sul
taglio sulle sue labbra, sui lividi dolorosi…..le spalle, il torace, i
fianchi.
Il
ragazzo chiuse gli occhi, e si spaventò dalla violenza con cui il suo cuore
aveva preso a battere: quelle erano le mani che aveva tanto desiderato, ed
erano quasi come le aveva immaginate; forti, ma gentili; lisce, ma anche
indurite dal maneggiare la spada e l'arco. Le mani che aveva sognato lo
accarezzassero con amore, con…..desiderio…..ora lo stavano toccando con
quella che non doveva essere altro che compassione.
Edgard
si domandò se, nonostante le sue cautele, stesse facendo male a Ewan;
talvolta fremeva al suo tocco come di dolore, ma tuttavia dolore non vedeva
sul suo viso…..non fisico, almeno.
Si
stupì di quanto fossero flessuose le membra abusate di cui si stava
prendendo cura; tenere e armoniose, come l'animo stesso di quel ragazzo.
Come si poteva ferirlo in quel modo?
E
poi infierire su quel corpo fine come un prezioso strumento musicale, e
che soltanto come tale avrebbe dovuto essere toccato, con grazia e
amore….. solo per trarne suoni meravigliosi…..
Si
risvegliò da quei suoi pensieri come da un sogno ad occhi aperti, di colpo,
accorgendosi che la sua mano stava esitando in una carezza
calda e curiosa, troppo lunga, sul petto di Ewan.
[Sono
peggiore di mio fratello.]
Pensò,
disgustato di se stesso, ritraendola di scatto.
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