NOTE: le parti racchiuse
tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel
passato.
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice
il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci,
dei protagonisti.
In un paese
d'estate
di Unmei
parte IX
Dopo la brezza marina che gli aveva accarezzato gentilmente la pelle,
alleviando il caldo incredibile di St. Ives, il cambiamento fu quasi
shockante: le folate che lo investirono non appena scese dall'auto erano
gelide e sferzanti, e Matthias si strinse istintivamente nel maglione.
"Sicuro che non siamo andati troppo in là e siamo finiti in
Groenlandia?"
"Che esagerato, non fa poi così freddo, nemmeno per una lucertolina
come te."
"Lucertolina? Devo considerarlo un nomignolo affettuoso?"
Chiese, aiutando Keith a scaricare i bagagli.
Dentro al vecchio cottage c'era un piacevole profumo di legno.
Appena superata la soglia ci si trovava in un'ampia sala, dove troneggiava
un rustico camino di pietra, la cui mensola era un disordinato deposito di
libri e oggetti vari, tra cui una vecchia radio, alcune candele ridotte a
pozze di cera nelle loro bugie di latta, ed un grosso coltello da caccia
dentro ad un fodero di cuoio.
Il resto dell'arredamento era dato da un grande divano ed una poltrona
dall'aria vissuta, un tavolo massiccio, una credenza antica, di legno di
quercia, con due ante di vetro di un cupo colore verde, tanto scuro da
rendere impossibile vedere cosa ci fosse dietro di esse, ed un libreria
nello stesso stile e colore.
Non vi era alcun lampadario, bensì delle appliques alle pareti, simili a
vecchie lanterne in ferro battuto.
Oltre ad una porta semi aperta si intravedeva la cucina, e in un angolo,
delle scale salivano verso il piano superiore, dove si trovavano le camere
da letto.
"Casa!"
Esclamò Keith, sedendosi di botto e con gran soddisfazione sulla vecchia
poltrona, accarezzando quasi con affetto il cuoio consunto dei suoi
braccioli. Poi notò, sul tavolino di fronte a sé, qualcosa che pensava
di aver perduto, e si allungò per prenderlo
"Ecco dove l'avevo lasciato!"
E scosse l'orologio appena ritrovato, per dargli nuovamente la carica.
"Questo posto è proprio tuo?"
Chiese Matthias, accomodandosi sul divano, ancora impegnato ad osservare e
memorizzare ogni dettaglio della stanza.
"Già; una volta era casa di mio nonno."
"Te l'ha lasciata in eredità?"
"No. Me la regalò quando era ancora vivo…..non voleva fare
testamento perché lo considerava di cattivo augurio, ma sapeva che così,
in caso di sua morte, il cottage sarebbe diventato proprietà di mia
madre, e che lei l'avrebbe sicuramente venduto; dunque lo passò
legalmente a me quando divenni maggiorenne. Amo questo posto, e cerco di
tornarci ogni volta che posso."
"Anche io lo trovo bello."
"Ti piacerà anche quando ti dirò che qui non ho né televisione né
computer e che il mass media più tecnologicamente avanzato consiste in
quella radio là sopra, che avrà come minimo trent'anni?"
"Se ci fosse stata una televisione, e tu avessi provato a guardarla,
io ti avrei picchiato."
Keith sorrise e lasciò la poltrona per andare a sedersi accanto a
Matthias.
"Disfiamo i bagagli e poi andiamo a fare spese; è più di un anno
che non torno qui e manca tutto."
"Più di un anno? Sembra che ci sia stato qualcuno fino a ieri; non
c'è un filo di polvere."
"Ho visto. Avevo informato Wilma sarei arrivato oggi e le avevo
chiesto di arieggiare le stanze…..lei invece deve essersi data alle
grandi pulizie; in fondo immaginavo che avrebbe fatto una cosa del genere.
Anzi! Vieni, andiamo, ti faccio conoscere qualcuno."
Si alzò in piedi, facendo con la testa un cenno a Matthias.
Il paese era davvero piccolo, in una magnifica vallata tra i monti
Trossach, e tutto affacciato lungo un'unica strada; vecchi cottage, simili
a quello di Keith, alcuni negozi, un pub, il Thirsty Dog, un piccolo
parco, poco più di un prato con delle panche di legno.
Proseguendo lungo tale sentiero si arrivava fino ad una piazza, su cui
dominava una chiesa austera e cupa, dall'alto della quale minacciosi
gargoyles occhieggiavano i peccatori; di lì poi la strada formava un
bivio, portando a zone più moderne del paese, ma meno pittoresche.
Keith però non si spinse fino lì, ma si limitò ad attraversare la
strada e a fermarsi ad un centinaio di metri dalla propria casa, bussando
alla porta di un cottage quasi gemello al suo.
Gli aprì una donnina rubiconda, avanti con gli anni, capelli bianchi e
occhi azzurrissimi, che vedendosi Keith davanti lo abbracciò con
affetto.
"Il mio bambino è tornato anche quest'anno…..fatti
vedere…..diventi sempre più alto….."
"Ho venticinque anni, Wilma, ho smesso di crescere da un bel
pezzo."
Disse lui, divertito.
"Probabilmente allora sono io a stare diventano più piccola con l'età…..vieni
dentro, dai. - la sua attenzione si rivolse a Matthias, che stava un passo
dietro a Keith, un po' in imbarazzo, come sempre, quando incontrava
persone nuove, - E vedo che finalmente hai portato un tuo amico, ti avevo
detto tante volte di farlo; non va bene stare sempre da soli, quando si è
giovani. Su, entrate tutti e due."
"Tuoi parenti?"
Chiese sottovoce Matt.
"Amici di mio nonno, e posso dire anche miei."
Un uomo stempiato e con baffi sottili scese dalle scale, con passo
piuttosto pesante.
"Sei proprio tornato in un giorno che ti si addice, eh, ragazzino?
Fino a ieri qui splendeva il sole, poi arrivi tu ed è bufera."
Disse, scontroso e brontolante.
"Tu pensa a salvare la Danimarca, Holger."
Gli rispose con un ghigno Keith, e poi i due si scambiarono alcune battute
in un dialetto di cui Matthias non capì una sillaba, a parte il fatto che
la discussione finì con il suo compagno che rideva e l'uomo che
borbottava qualcosa sui `giovani d'oggi che non hanno più rispetto'.
"Ragazzi, voi vi fermate da noi a cena, vero?"
Chiese cordialmente Wilma, spuntando dalla cucina allacciandosi un
grembiule.
"Se ci vuoi, restiamo volentieri."
"Che domande! Ed ora statevene buoni di qua, non voglio uomini in
cucina, quando lavoro!"
"Io tanto non ci pensavo nemmeno ad aiutarti, donna. Noi staremo qui
a bere whisky."
Mentre l'uomo era impegnato a versare tre bicchieri di distillato, ancora
una volta Matt si accostò a Keith per parlargli privatamente.
"Non ho ben capito quella battuta sul fatto che questa giornata ti si
addice…..e poi la Danimarca….."
Non voleva dire che gli era sembrato un dialogo fra pazzi, ma quasi…..
"Ah, quello…..si riferiva semplicemente al mio nome, che in lingua
scozzese significava 'vento'. Lui invece si chiama come un eroe danese,
che dovrebbe tornare a vivere se la Danimarca dovesse trovarsi in
pericolo. So che Holger sembra un tipaccio, ma è un uomo in gamba, è da
quando avevo quattro anni che mi piace farlo arrabbiare."
L'uomo tornò da loro, portando a ciascuno un bicchiere pieno di liquido
paglierino.
"Uisge beatha" - disse Keith, assaggiandolo - "Matt, forse
sarebbe meglio che tu non lo bev- -"
"Oh, certo che lo beve! Il whisky fa bene, io lo mando giù da quando
avevo dodici anni, ora ne ho settanta e guardami!"
"Quasi quasi divento astemio."
Commentò asciutto Keith. Mentre i due erano impegnati a scambiarsi
altre parole in dialetto, Matthias assaggiò un sorso, e il conseguente
eccesso di tosse che ne seguì interruppe la loro chiacchierata.
"Matt…..tutto bene?"
Il ragazzo, con la bocca storta e l'aria disgustata il bicchiere tra le
mani di Keith.
"Sa di muffa!"
Esclamò. Ci mancò poco che, orrificato, Holger si facesse il segno della
croce.
"Si dice che ha un aroma torbato."
Puntualizzò Keith.
"Muffa."
Ribadì Matthias, convinto.
"E di che marca sarebbe? Fa di sicuro più di quaranta gradi."
"Sono sessanta gradi…..e lo distilla Holger, non è in
vendita."
"Ah…..Ho come l'impressione di avere fatto una gaffe."
"Se a te non piace, no problem, mi bevo anche il tuo. Intanto vediamo
se c'è qualcosa di più leggero, che possa andarti bene. Magari del succo
di carote."
Keith si alzò, andando al mobile bar e dando un'occhiata alle bottiglie.
Meglio rinunciare, non c'era niente che avesse meno di quaranta gradi;
qualcosa però catturò la sua attenzione e il uso entusiasmo.
"Ladyburn 1973! E con bottiglia numerata! Ma da quando sei diventato
ricco, Hol?"
"Posala immediatamente, ragazzino! Quella non si tocca!"
Il padrone di casa era scattato come una molla, al suono di Keith che
estraeva la bottiglia dalla sua custodia di legno.
"Hai comprato un whisky da trecentocinquanta sterline per non berlo?
È un comportamento criminale."
"Quella è una preda di guerra, l'ho vinto ad una scommessa e deve
restare intatta, hai capito?"
"Beh, allora lasciamela in eredità, o vuoi anche che la
seppelliscano con te?"
Matthias era felice che Keith fosse così rilassato e di buon umore; era
stato piuttosto silenzioso, dopo quella sera, al mare, quando gli aveva
detto della peste. Aveva tentato di non darlo a vedere, ma era rimasto
impensierito, e triste.
Come promesso, lui non era tornato sull'argomento, e aveva fatto del suo
meglio per distrarlo, accorgendosi che l'entusiasmo del suo compagno, nel
loro secondo giorno a St. Ives, era stato forzato, non finto, ma quasi.
C'erano momenti in cui gli sembrava irraggiungibile, intoccabile, separato
da lui dalla cortina dei segreti che non potevano essergli svelati, e la
sensazione era insopportabile; desiderava poterla strappare, scoprire cosa
nascondeva, e poter parlare di tutto.
Prima o poi, ne era certo, avrebbe superato quel limite, avrebbe ricordato
tutto anche lui; sperava solo che accadesse presto, perché, ne era
sicuro, quello era l'unico modo per non vedere più la malinconia negli
occhi di Keith.
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*** *** ***
La serata era stata piacevole, allegra, Wilma aveva preparato una cena fin
troppo abbondante, e non aveva fatto altro che riempirgli il piatto di
doppie porzioni: partan bree, poi tweed kettle, gammon al whisky e
forfar bridies con clapshot ed infine un dolce buonissimo e dal nome
pittoresco: Edimburg Fog.
In poche parole, Matthias aveva mangiato così tanto da avere
l'impressione di essere ingrassato un chilo solo con quel pasto.
"Che ne pensi?"
Gli chiese Keith, mentre tornavano verso casa loro, a tarda notte,
circondandolo con un braccio in modo da ripararlo un po' dal vento che
continuava imperterrito a soffiare.
"Mi sono divertito, sono simpatici. Anche se non siete parenti
sembravate una famiglia."
"Loro sono meglio della mia famiglia. Io e i miei genitori non
scherzavamo molto tra noi, e abbiamo sempre avuto un tacito accordo, cioè
che se io non avessi rotto le scatole a loro, loro non le avrebbero rotte
a me. Non si sono mai interessati molto a quello che facevo, finché fosse
legale. Non che me ne lamenti, a me andava benissimo, e mi va bene
tuttora."
Matthias gli appoggiò la testa su una spalla.
"Io, invece….."
Non ne aveva mai parlato con nessuno, non sapeva nemmeno se fosse il caso
di farlo; forse Keith lo avrebbe giudicato male, per quello che stava per
raccontare, però sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno, e nessuno
poteva essere migliore di chi già lo conosceva così a fondo.
"Io…..i miei genitori si interessavano anche troppo a me. Volevano
prendere decisioni al posto mio. Non gli andavano bene un sacco di cose,
che volessi lasciare gli studi, che preferissi lavorare, che avessi idee e
progetti diversi dai loro; che volessi fare la mia vita, insomma.
Nell'ultimo periodo c'era continuamente tensione, in casa…..e quasi
tutti i giorni litigavamo. Non che io volessi, o che cercassi lo scontro,
ma finiva sempre così."
"Lo scontro generazionale non è certo una cosa rara…..però non è
tutto qui, vero?"
Matt annuì lentamente, e le parole cominciarono ad uscirgli con più
difficoltà.
"Quella sera, due anni fa….. ero in macchina con loro. Abbiamo
cominciato a discutere un'altra volta….ed ero così arrabbiato…..così
arrabbiato da sentire di odiarli. E poi, all'improvviso…..non ricordo
nemmeno bene come, c'è stato l'incidente….. dicono sia stato un camion
che procedeva contromano. Quando mi sono svegliato ero all'ospedale. Stavo
bene, avevo solo un paio di costole incrinate.
Però loro…..erano morti tutti e due."
Silenzio, doloroso, e Keith si fermò, seguendo l'arrestarsi de passi di
Matthias. Il ragazzo, immobile, teneva lo sguardo a terra, e
sembrava davvero stare facendo uno sforzo contro se stesso per portare
avanti il discorso.
"Quando l'ho saputo, io…..io non ho provato niente. Nessun dolore,
ma…..quasi sollievo. Ho pensato 'sono libero'…..'ora posso fare quello
che voglio'…..e non sono mai riuscito a piangere per loro. Sono…..sono
un mostro, vero?"
Alzò gli occhi verso Keith, imploranti che gli dicesse che lo capiva, in
qualche modo. Voleva che cancellasse i suoi timori, che lo consolasse,
anche se non sapeva di preciso da cosa.
"Il dolore non si misura solo con le lacrime che versiamo, ma anche
con quelle che ci restano dentro."
Gli disse lui.
…..Le lacrime si potevano anche fingere, ma quelle più amare e
brucianti, che ti uccidono dentro, sono sempre quelle che non si
riescono a piangere, che ti avvelenano l'anima.
Come le sue.
Edgard non aveva pianto per la morte di Ewan; non ci era riuscito…..i
suoi occhi erano rimasti aridi, e tali furono per sempre.
"Non sei un insensibile, se è questo che credi" - aggiunse -
"Prova ne è che me ne hai parlato con tutta questa tristezza e
preoccupazione…..se tu davvero non avessi sofferto, non ti saresti mai
fermato a pensare ai tuoi sentimenti, ad analizzare questa apparente
mancanza di emozioni; eri arrabbiato con loro, lo hai detto tu, e a volte
la rabbia può fare brutti scherzi. Specialmente quando lo siamo con
qualcuno a cui vogliamo bene."
"Lo pensi davvero o lo dici solo per me?"
Chiese fioco Matt, respirando nel calore di Keith, contro il suo maglione
morbido, tra le sue braccia che lo imprigionavano.
"Lo penso, anche se per te direi qualsiasi cosa."
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Terzo giorno di vacanza, e a Matthias già sembrava che quel posto fosse
la sua casa; le stanze, così fuori dal tempo, avevano un calore che il
suo appartamento londinese non avrebbe mai posseduto; la camera da letto,
austera, e la cucina, che tra gli elettrodomestici, moderni ma certo non
nuovi, conservava anche una stufa a legna ed una madia vecchia di almeno
cent'anni.
E poi c'era quell'incredibile silenzio, e nessuna frenesia…..il paese
era tanto piccolo che ormai già poteva dire di conoscere il viso di ogni
abitante, e l'aria fresca, profumata di pioggia, erba e muschio gli aveva
completamente lavato via da dosso il grigio odore di smog della città.
Avesse potuto, sarebbe rimasto lì per sempre, in una perenne vacanza, ed
era sicuro che non se ne sarebbe pentito.
"Che fai, Matt?"
Keith, arrivatogli alle spalle, si fermò a spiare il suo lavoro.
Stava dipingendo, e si interruppe per dare all'altro la possibilità di
esaminare meglio la sua opera.
"Ho trovato la tavoletta in soffitta, e ho comprato i colori e tutto
il resto ieri mattina all'emporio…..nelle mie intenzioni dovrebbe
risultare un'icona, ma credo proprio di essere fuori allenamento."
"Sta riuscendo bene, invece."
Affermò, guardando la sua immagine e quella di Matthias ritratte sul
legno, limpide e dettagliate, in qualche modo simili alle miniature di
Ewan; che strano ammirarle ancora una volta dal vivo.
Chissà…..prima o poi avrebbe potuto anche lui provare suonare
nuovamente l'arpa: era una cosa che gli piaceva tantissimo e che non aveva
mai più fatto.
Lasciò un bacio tra i capelli di Matthias.
"Promettimi che non ti arrabbierai."
Gli disse.
"Cioè?"
Nella voce dell'altro c'era già sentore di sospetto.
"Ho ricevuto una telefonata dal mio capo, poco fa….." - già
solo a sentire quello l'espressione di Matt si incupì - "Vorrebbe
approfittare del fatto che mi trovo in Scozia per farmi risolvere una
certa questione ad Edimburgo. Non è niente di impegnativo, sarà più il
tempo che ci metterò per il viaggio che non a sbrigare il resto. Sarà
solo per questa volta, lo prometto. Mi perdoni?"
"E quanto ci metteresti?"
"Se parto ora, correndo, potrei essere a casa per ora di cena."
Matthias sospirò.
"Non guidare troppo veloce; non voglio che…..ti capiti
qualcosa."
Il solo pensiero bastava a farlo sentire male; un brivido freddo lo
scosse, per niente piacevole; una sensazione terribile, come un'ombra
incombente su di loro.
[Non andartene!]
Gli avrebbe voluto gridare.
[Non andare perché succederà qualcosa, non andare, non oggi…..]
Aveva un brutto presentimento, confuso, non identificabile, e non sapeva
come spiegarlo, e non voleva nemmeno dirlo a Keith, o avrebbe fatto la
figura del ragazzino paranoico e capriccioso: sarebbe sembrata una scusa
per non farlo allontanare.
Probabilmente, poi, era solo una sciocchezza: il novanta per cento delle
volte i presentimenti si rivelavano sempre infondati, frutto della
fantasia…..però quella consapevolezza non toglieva nulla alla
sua ansia.
"Stai tranquillo, tornerò tutto intero."
Gli diede un bacio sulla fronte.
E un lampo gelido, di nuovo.
[Keith…..è che oggi…..ho paura di stare da solo.]
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*** *** ***
*** *** ***
Aveva acceso la radio nel tentativo di farsi compagnia, perché le ore,
dense, sembravano esserglisi appiccicate addosso, data la lentezza con cui
passavano, e non era più riuscito a dipingere, né a leggere o a fare
qualsiasi altra cosa; aveva vagato per il cottage, si era preparato un tè
con il miele, aveva mangiucchiato svogliatamente un plum cake e per
diverse volte era stato per chiamare Keith sul cellulare, rinunciando
sempre all'ultimo momento.
Guardò l'orologio; ormai erano le sei del pomeriggio, sarebbe dovuto
tornare presto.
Fuori si stavano assiepando nuvoloni neri e minacciosi, già si poteva
sentire un cupo brontolio lontano, foriero di un violento temporale.
Matthias, alla finestra, guardava fuori sperando che durante il viaggio
Keith trovasse bel tempo, che facesse in tempo ad arrivare prima che
cominciasse a piovere.
Come ebbe finito di pensarlo, esplose un lampo violaceo, e pochi secondi
dopo un tuono fece tremare i vetri; balzò all'indietro, premendosi una
mano al petto, dove il suo cuore aveva iniziato a battere ad un ritmo
tachicardico.
"Che stupido" - disse, cercando conforto nel suono della propria
voce - "Non sono più un bambino, non c'è niente da aver paura, sono
solo scariche elettriche….."
Un altro lampo, un altro tuono….. scivolò seduto a terra, e tremava,
con gli occhi fissi sulla pioggia che violenta era iniziata a scendere.
Quella sera, come un'altra di tanto tempo fa…..stava aspettando che lui
tornasse, e fuori tempestava.
Come ora aspettava Keith, allora aspettava Edgard.
Edgard, che era andato dagli Ashmore, e doveva tornare quel giorno, e lui
era preoccupato…..
Forse poteva abbandonarsi con fiducia a quei ricordi….. loro gli
avrebbero tenuto compagnia.
Lasciò che il presente sfumasse.
######Aveva iniziato a piovere, di colpo, e il rumore dell'acqua
scrosciante aveva riempito la stanza. Sperò che Edgard si fosse fermato
da qualche parte, piuttosto che continuare il viaggio di ritorno in quelle
condizioni: con quel freddo e tutta quell'acqua si sarebbe di sicuro
ammalato, e l'averlo visto già una volta, pallido ed immobile in un letto
gli aveva causato abbastanza dolore e sofferenza da bastargli per tutta la
vita.
"Avrei voluto venire con voi…..so che non sarebbe stato possibile,
però questi quattro giorni sono stati così lunghi. Chissà se alla
fine…..se avete acconsentito….."
Si rifiutò di portare a termine la frase e si lasciò cadere sulla sedia
del suo padrone.
Se almeno avesse avuto il coraggio di guardare in faccia alla realtà,
invece di colmarsi la testa di illusioni e fantasie, avrebbe potuto
ricominciare da capo; se il giovane duca non fosse stato sempre così
gentile e dolce con lui, allora avrebbe potuto rinunciare più in fretta
ai suoi sogni.
La porta si aprì, con un lieve cigolio, e sulla soglia si stagliò
un'alta, slanciata figura, familiare, vestita di blu, lisci capelli neri.
Ewan saltò dalla sedia come se l'avessero punto; gioia, gioia, non
provava altro, avrebbe voluto correre da lui ed abbracciarlo e <baciarlo>
…..no! Non poteva…..rimase allora, muto, immobile a guardarlo, mentre
egli entrava e si chiudeva la porta alle spalle.
"Ewan, ti sei imbambolato? Oppure non sei contento di vedermi?"
La sua voce…..una bassa melodia, avvolgente.
Contento? Dirlo sarebbe stato un eufemismo.
Era paralizzato da un'emozione bizzarra; il nobile era entrato mentre lui
era nel pieno di riflessioni e pensieri che lo riguardavano, ed Ewan si
era sentito colto in fallo, come se i suoi sentimenti fossero stati
smascherati. Aprì la bocca, ma non riuscì a proferire parola.
"Ho evitato la pioggia per un pelo!"
Disse l'altro, e si slacciò il mantello, leggermente umido; lo portò
vicino al fuoco, appoggiandolo sullo schienale della sedia, perché
asciugasse più in fretta, mentre il servo osservava tutti i suoi
movimenti.
Trasalì quando il duca lo sfiorò con la destra, appoggiandogliela sul
braccio. Ne sentiva il calore attraverso la stoffa, gli sembrava bollente,
come se gli imprimesse un marchio indelebile nelle carni.
"C'è qualcosa che non va? Mi sembri strano."
Alzò lo sguardo verso si lui. Adesso, o rinunciare per sempre. Erano solo
poche parole, qualche sillaba, e avrebbe finalmente risolto la sua
situazione, guadagnando o perdendo tutto.
"Io…..io mi sono….."
Non poteva dirglielo, non poteva!
Avrebbe voluto nascondersi, scappare <tra le sue
braccia>; voltò la testa, e chiuse gli occhi, che tuttavia si
riaprirono di scatto quando sentì la mano di lui risalire lungo il suo
braccio, toccargli una spalla e poi accarezzargli il viso.
Piano, lentamente, gli toccò una guancia con il dorso delle dita,
percorse la linea fragile del suo mento.
"Mio…..signore…"
Mormorò incredulo, sconvolto, mentre il giovane, più alto, si chinava su
di lui; i capelli corvini lo sfiorarono, e uno sguardo ambrato si fissò
nel suo, così magnetico da rendergli impossibile staccarsene.
Quando le dita che lo stavano accarezzando gli passarono sulle labbra, gli
sfuggi un gemito, un singhiozzo, un sospiro, tutto insieme, in un'unica
implorazione.
Era sicuro che sarebbe morto, perché il suo cuore avrebbe ceduto ….non
sarebbe stato brutto morire in quel modo, però. Schiuse la bocca, forse
inconsciamente, e sentì quelle stesse dita sfiorargli i denti. Le baciò,
senza rendersene conto.
Così vicino…..era così vicino da sentire il suo respiro lambirlo…..
"Ewan, se tu fossi una donna, varresti davvero la pena, anche per più
di una notte."
La sua voce si era fatta ghiaccio, sfumata di divertimento.
A quella frase, nell'incantesimo spezzato, il ragazzo sentì il proprio
respiro frantumarsi.
Il cuore frantumarsi.
Tutto, frantumarsi.
E la mano sulle sue labbra se ne andò velocemente, raggiunse la sua
testa, i suoi capelli e lì si immerse, attorcigliando ciocche bionde alle
dita, ma senza nessuna tenerezza, nessun affetto.
"D'altra parte nessuno è perfetto."
Perché si stava comportando così? Perché gli aveva detto una cosa tanto
crudele?
"Ahi, mi fate…..mi fate male!"
Alzò un braccio per liberarsi di quella stretta dolorosa, ma il nobile fu
più veloce, e lo afferrò, con la sinistra, e la fitta di quella presa fu
tale da coprire l'altro dolore.
"Non provare a toccarmi, servo."
Un incubo, un incubo…..
Adesso si sarebbe svegliato.
Dov'era il suo Edgard? Com'era potuto cambiare tanto?
Poté vedere bene la mano che gli stringeva il braccio, ed ebbe una
vertigine, la terra gli mancò da sotto i piedi; a quella mano…..mancava
una falange del mignolo.
Era Thomas…..quell'uomo era Thomas!
In qualche modo Ewan capì che l'incubo era solo all'inizio.#####
Matthias era una sagoma tremante, seduta in un angolo, vicino ad una
finestra, con le ginocchia strette al petto, e lo sguardo vagante nel
nulla, mentre nelle mente riviveva di prima persona il passato, il dolore,
la paura, l'umiliazione.
Una lacrima solitaria gli scendeva su una guancia.
"Adesso te ne tiro fuori."
La voce che aveva parlato era gentile, comprensiva: Rain, al suo fianco,
tese una mano verso la sua testa, ma quando fu a un solo soffio dallo
sfiorarla qualcosa lo respinse, aggredendolo con una scintillante scossa
elettrica. Una specie di scudo, di barriera gli impediva di avvicinarglisi
troppo…..ma se non avesse toccato Matthias non lo avrebbe potuto
risvegliare: il contatto era fondamentale.
"Lascialo stare. Se è destino che ricordi, deve farlo."
L'altro Custode era comparso nella stanza, alla luce di un lampo, pallido
come uno spettro e freddo come tale.
"Ma sta soffrendo! Noi non possiamo - -"
"Non dobbiamo interferire, lo sai. Nessuno deve. Ci ha pensata già
Edg a complicare le cose, vediamo di non peggiorare la situazione."
Rain tentò ancora di penetrare la barriera, ma, anche riuscendo a
spingersi un po' più in là, la protezione lanciata da Jael lo scacciò
inesorabilmente, baluginando. Si massaggiò la mano dolorante, fissando il
suo compagno.
"Sei più forte di me, a quanto pare."
Constatò, con dispiacere e disappunto.
"Andiamocene. Qui non c'è nulla che possiamo fare."
"Come puoi parlare con tanta insensibilità? Non possiamo lasciarlo
qui, in questo modo, da solo…..questo è uno dei suoi ricordi
peggiori!"
Il suo compagno lo guardò come si guarda un oggetto senza importanza, e
il suo slancio si spense a contatto di quell'algida indifferenza.
Rain non lo capiva più…..il comportamento di Jael era cambiato,
sembrava ridiventato l'essere freddo e rigido dei primi tempi. Aveva
provato a parlargliene, a chiedergli cosa non andasse, se qualcosa lo
stesse preoccupando, ma l'altro aveva troncato la conversazione, facendo
anche ben intendere che non desiderava che si tornasse sull'argomento.
Non voleva parlargliene perché non si fidava di lui?
"Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile, o che in questa vita
sarebbero stati sempre sereni e felici. È ancora tutto in gioco, Rain. Ed
ora vattene, per favore."
[Lo faccio anche per te, non lo capisci? Sai benissimo che punizione c'è
per chi infrange le regole…..non puoi intrometterti nel corso dei suoi
ricordi, e modificare quello che deve essere. Sarebbe un male per
lui…..e anche per te. Ed io….. non voglio.]
Rain gli voltò le spalle, e scomparve senza una parola.
Arrabbiato, deluso, o che altro, non era una cosa di cui Jael potesse
occuparsi in quel momento.
Ma perché la sua vita era diventata improvvisamente così difficile?
Non voleva restare da solo, ma era quello che sarebbe successo se il suo
compagno non avesse raggiunto la sua evoluzione; anche se era nella loro
natura, gli sembrò ingiusto e sbagliato.
Neanche per aiutare Rain poteva fare qualcosa.
Che situazione odiosa…..essere potenti e immortali e non poter fare
nulla.
Si inginocchiò accanto a Matthias e gli parlò, anche se il ragazzo, in
quel trance, non lo sentiva.
"Mi dispiace tanto, davvero, ma non posso aiutarti. Tu e Edgard
avrete sempre più bisogno l'uno dell'altro, d'ora in poi; non sarà
facile, ma…..affrontate tutto insieme, sempre. È così brutta…..la
solitudine."
E anche lui scomparve.
#####"Ma che faccino sconvolto! Pensavi che fossi il tuo caro
padrone, vero?"
Il braccio, il braccio…..Thomas lo stringeva così forte da fargli
vedere bagliori piccoli come punte d'aghi davanti agli occhi, e da
rendergli impossibile chiudere la mano.
"Riconosco anche io che è stupefacente; è bastato che mi tagliassi
la barba, e nemmeno tu, che gli sei sempre appiccicato, non sei riuscito a
distinguermi da lui."
"Ma perché…..state facendo questo?"
"Perché? Non ci arrivi? Lo sai, no, che io e Edgard non andiamo
d'accordo. Ma di più…..io lo detesto, detesto i suoi atteggiamenti, le
sue idee, credo di detestare anche te, che non fai altro che pendergli
dalle labbra" - il gorgoglio di una risata maligna interruppe
le sue parole - "Poco fa ti saresti lasciato fare qualsiasi cosa,
credendo che fossi lui, vero?"
Il viso di Ewan diventò una maschera bollente di rossore e vergogna, che
finì di palesare completamente il suo segreto; Thomas aveva capito. In
pochi minuti aveva compreso quello che Edgard aveva sempre ignorato, e che
continuava ad ignorare; perché, fra tutti gli uomini, proprio da lui i
suoi sentimenti dovevano venire scoperti? La vista gli tremò, e il suo
nuovo tentativo di liberarsi fu inutile come quello precedente.
"Che schifo. Mi date il voltastomaco, tutti e due. D'altra parte,
devo ammettere, come ho detto prima, che sei grazioso; esile, delicato, e
hai le mani bianche e morbide di chi non ha mai svolto un lavoro pesante.
Posso immaginare per che cosa ti usi mio fratello."
"Non è come pensate!…..lui non…..non--"
La voce gli finì annegata in un singhiozzo; il tono di scherno di Thomas
e le sue parole piene di sprezzo stavano sporcando, insudiciando tutto,
come se gettassero fango su neve candida e pulita.
"Lui cosa? Non ti ha mai toccato? Però tu lo vorresti, vero?"
Con una mossa brusca e violenta, l'uomo lo sbatté contro la parete
vicina, accanto al camino; poteva sentire il muro tiepido dietro di sé,
contro la sua schiena percossa dal dolore inaspettato.
"Sono venuto qui per una cosa precisa; per quanto sarei felice di
liberarmi di Edgard, non posso farlo. Non posso fare niente contro di lui,
l'erede, il prediletto; se mio padre lo scoprisse finirei con il
rimetterci. Ma posso ferirlo ugualmente: posso prendermela con ciò a cui
mio fratello tiene, con ciò che ama, con ciò che desidera proteggere.
Posso prendermela con il suo giocattolo, e chissà se lo vorrà ancora,
quando sarà rotto."
Un tuono fortissimo, una folata di vento, lo scuro di una delle finestre
si spalancò, e una raffica di pioggia gelida entrò nella stanza,
bagnando il pavimento. Ewan urlò mentre la mano che lo stringeva per i
capelli diede uno strattone, strappandogli intere ciocche.
"Nessuno ti può sentire…..con il rumore della tempesta, e questi
muri spessi. Ti sei accorto che ho chiuso il chiavistello, prima? Non c'è
proprio nessuno che ti verrà ad aiutare."
Ewan, con il braccio libero, tentò di spingerlo via, inutilmente; non
riuscì a farlo indietreggiare nemmeno di un passo; La sua mano si strinse
convulsamente attorno alla stoffa della sua blusa, mentre l'uomo lo
colpiva nello stomaco.
"Ti ho già detto di toccarmi, o non hai capito?"
Scivolò giù, accasciandosi, accorgendosi di stare strappando qualcosa
dall'indumento di Thomas, qualcosa dalle punte fredde e frastagliate, che
gli entrarono nella carne del palmo, quando strinse la mano a pugno. Un
fermaglio d'oro…..lo strinse forte, mentre Thomas lo colpiva, sperando
di poter coprire con quella fitta tagliente tutte le altre…..pregando di
poter svenire e non sentire più nulla.
Gli facevano male i muscoli, le ossa, ogni cosa, un labbro gonfio e
spezzato gli pulsava di dolore, in bocca aveva il gusto del sangue ed ogni
respiro era una coltellata spietata tra le sue costole ferite.
L'aria fredda che aveva riempito la stanza, sopraffacendo il calore del
fuoco, lo aveva intorpidito, e il vento aveva spento i lumi, lasciando la
camera al chiarore rosso proveniente dal camino e ai bagliori dei lampi.
Lampi…..e tuoni…..e pioggia…..
La violenza della natura…..
La violenza di quell'uomo…..
Basta.
Basta.
Basta.
Voleva che finisse tutto.
Anche la sua vita.
Edgard…..
Padrone…..dov'era? Perché se ne era andato?
Lui aveva detto che non lo avrebbe mai lasciato, ma adesso era solo.
Lo aveva lasciato solo per la prima volta, ed ecco cos'era successo.
"Edgard….."
Non di accorse di averlo detto a voce alta, nemmeno dal dolore di cui le
sue labbra spaccate si accesero nel parlare.
Le botte cessarono, e Thomas si chinò su di lui.
"Sei ancora cosciente; credevo fossi svenuto già da tempo. Allora
sei più resistente di una fanciulla, nonostante tu ne abbia quasi
l'aspetto. Più resistente…..mi domando quanto. Posso sempre
scoprirlo."
Concluse, con una nota bieca nella voce, pregna di perversa
curiosità, e c'era la follia che gli danzava negli occhi spiritati.
Scoprirlo?
Quanto voleva andare avanti ancora?
Non gli importava, non gli importava più di niente. Anche l'avesse
ucciso…..
Bastava che lo facesse in fretta.
Sentì le mani di lui infilarglisi sotto le ascelle e tirarlo
violentemente in piedi, e poi trascinarlo lungo la stanza, con facilità
sconcertante; tentò debolmente di puntare i piedi, di ostacolarlo, ma
ormai aveva capito che era inutile; che poteva fare contro un uomo, un
guerriero come lui?
Thomas lo gettò sul letto e senza dargli il tempo di rendersi conto di
quanto accadesse, lo voltò sulla pancia, schiacciandogli la faccia contro
il materasso e tenendolo fermo, puntandogli un ginocchio sulla schiena.
"Voglio vedere quando cederai…..voglio sentire quanto urlerai
adesso. Prima non l'hai fatto abbastanza."
Cosa stava dicendo?
Sentiva le parole, ma erano ovattate, gli giungevano attraverso un mare di
fitta nebbia; le udiva, ma non ne percepiva il senso, non del tutto.
Thomas si mosse, sopra di lui, tolse il ginocchio, gli liberò la testa,
ma lui era troppo debole e stanco per tentare qualsiasi reazione…..il
letto era freddo, come tutto intorno, ma lo stesso avrebbe voluto dormire.
Anzi, avrebbe voluto svegliarsi.
"Edgard."
Mormorò ancora, con una voce che non riconosceva nemmeno più come sua.
Spezzata, distorta, arida…..gli raschiava la gola, gli incespicava sulla
lingua.
Thomas si chinò su di lui, gli parlò in un orecchio.
"Inutile che continui a chiamarlo, lui non c'è. Ci sono solo io,
ora…..ma se ti può consolare, sto per farti quello che vorresti ti
facesse lui."
Raddrizzandosi gli sfilò i pantaloni, strappandone i lacci, e con pochi
altri movimenti tutti i suoi abiti furono gettati a terra.
[NO!]
Urlò la mente di Ewan, perché il suo corpo non aveva abbastanza fiato
per farlo.
[No! Non questo, non è così che deve essere…..no per favore! Per
favore…..qualcuno…..]
Pregare non serve, era solito dire Edgard…..
Pregare non serve, lo stava imparando anche lui, in quel momento.
Il dolore lo colpì come una frustata, lo riempì completamente, lo accecò,
lo crocefisse.
Si sentì strappare, lacerare, sentì la pelle rompersi, sentì il sangue,
e una spinta profonda - terribile - lancinante - spietata -
entrargli dentro in fino in fondo, con tanta violenza che fu sicuro di
essere stato attraversato, da parte a parte, come da una lancia.
E un'altra spinta e un'altra e un'altra, sempre più agonizzanti, più
cattive, e la mano dell'uomo che di nuovo lo premeva contro il letto,
soffocandolo.
Gli occhi gli si disfecero in lacrime, e il suo grido era solo più un
rantolio esausto in gola.
Aveva capito: era una punizione.
Sì…..quella era la punizione per il suo amore sbagliato, per i desideri
che aveva provato, per i suoi sogni e le fantasie…..per i sentimenti che
non avrebbe mai dovuto avere.
***
Sembrò lunghissimo il tempo dell'abuso brutale e umiliante, e forse lo
fu, le mani che gli lasciarono lividi, che si strinsero come morse sui
suoi fianchi, e le parole, e gli insulti…..
Ma alla fine lo lasciò; dopo essere affondato un'ultima, terribile volta
dentro di lui, Thomas finì.
Gli sollevò la testa afferrandola per i capelli e diede un'occhiata
interessata al viso distrutto di Ewan, e non fece che un ghigno
soddisfatto.
Si alzò, ripulendosi dal sangue della sua vittima e dal proprio sperma
con un lembo della coperta, si risistemò gli indumenti, e se ne andò,
semplicemente e senza dire una parola, non prima di essersi versato una
coppa di vino.
Poi la porta dalla quale era entrato un paio di ore prima si aprì di
nuovo per lasciarlo uscire.
Solo, nel freddo e nel buio rotto dai lampi…..ormai anche il fuoco si
era ridotto a poche braci quasi spente; insanguinato, nudo e dilaniato, in
corpo e anima, Ewan si raggomitolò in un angolo del letto, tremando
convulsamente.
Senza riuscire a pensare più a nulla, tranne che a una cosa…..
Sporco.
Sporco.
Non c'era più serenità, sorrisi, speranza…..
Sogni, quali sogni?
Tutto strappato, bruciato, calpestato.
Niente amore, per lui…..che amore poteva esserci per un ragazzo che
amava il suo padrone, che peccava così in più di una maniera?
Che amore, dopo quanto gli era successo ora?
Quale salvezza?
Nella sua testa si era fatto il vuoto, l'unica cosa rimasta, che
ricominciava una volta dopo l'altra era Thomas che lo picchiava…..Thomas
che lo insultava…..Thomas che…..che lo…..
Un lamento, lungo, inarticolato, un pianto quasi inumano gli uscì dalla
bocca.
E poi…..Thomas che gli diceva…..
'Chissà se lo vorrà ancora, quando sarà rotto.'
`Chissà se lo vorrà ancora…..'
'Chissà…..'
Era sveglio, i suoi occhi aperti…..ma la loro luce era spenta.#####
*** *** ***
*** *** ***
*** *** ***
Come il riflesso di Ewan, Matthias era rincantucciato, tremante, spezzato,
con il viso lavato dal pianto.
Imprigionato nella vita passata, cieco al mondo intorno, sordo ai suoi
rumori.
Era sceso il buio anche nel suo tempo, continuava a piovere anche lì.
Quella volta, era da solo, Edgard non c'era…..
Questa volta, era ancora solo, Keith non c'era.
Perché non era ancora tornato?
#####Perché non era ancora tornato?#####
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